(“A Winter’s tale” 1611)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano Cleomene e Dione.
CLEOMENE
Il clima è temperato, l’aria dolcissima,
l’isola fertile, il tempio assai più bello
di quanto se ne dica.
DIONE
Io parlerò,
poiché mi han molto colpito, degli abiti celestiali
(penso sia questo il termine adatto) e l’aria venerabile
dei preti che li indossano. E il sacrificio!
Che cerimonia solenne e spirituale
fu l’offerta!
CLEOMENE
Ma, soprattutto, l’esplosione
e poi l’assordante voce dell’oracolo,
sorella al tuono di Giove, mi colsero così di sorpresa,
che rimasi annientato.
DIONE
Se l’esito del viaggio
sarà favorevole alla regina, – voglia il cielo! –
come per noi è stato raro, piacevole, veloce,
avremo usato bene il nostro tempo.
CLEOMENE
Grande Apollo
risolvi tutto per il meglio! Questi proclami
che scaricano accuse sopra Ermione
mi piacciono poco.
DIONE
La fretta e furia del procedimento
o chiarirà o chiuderà l’affare: quando l’oracolo
(così dal gran sacerdote di Apollo sigillato)
svelerà il suo contenuto, qualcosa d’inatteso
sorprenderà allora la nostra conoscenza. Andiamo; cavalli freschi!
E propizio sia l’esito. Escono.
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entrano Leonte, nobili e ufficiali.
LEONTE
Quest’assise (con nostra grande pena la dichiariamo aperta)
è un colpo per il nostro cuore: l’imputata
è figlia di re, nostra moglie,
e da noi troppo amata. Lungi da noi
l’accusa di tirannide, poiché così, apertamente,
iniziamo un processo, che avrà il suo corso
fino alla condanna od al proscioglimento.
S’introduca l’accusata.
UFFICIALE
È desiderio di sua maestà che la regina
compaia di persona davanti a questo tribunale. Silenzio!
(Entra Ermione sotto scorta; Paolina e dame seguono.)
LEONTE
Si legga l’accusa.
UFFICIALE
Ermione, regina del nobile Leonte, re di Sicilia, tu sei qui accusata e imputata di alto tradimento per aver commesso adulterio con Polissene, re di Boemia, e aver cospirato con Camillo per togliere la vita al nostro sovrano signore, il re, tuo regale marito: il quale proposito essendo stato in parte rivelato dalle circostanze, tu, Ermione, in contrasto alla fedeltà e all’obbedienza di un leale suddito, li consigliasti e aiutasti, per la loro salvezza, a fuggire nottetempo.
ERMIONE
Poiché quel che ho da dire, non può
che contraddire l’accusa,
e la sola testimonianza a mio favore,
è quella che viene da me stessa, non mi gioverà molto
pronunciarmi”non colpevole”: essendo la mia integrità
accusata di falso, per tale, quando l’esprimerò,
sarà accolta. Tuttavia, se i poteri celesti
seguono le nostre azioni umane (e lo fanno),
non dubito che l’innocenza farà arrossire
la falsa accusa, e tremare la tirannia
davanti alla pazienza. Voi, mio signore, sapete per primo
(anche se ora sembra siate l’ultimo) che la mia vita passata
è stata tanto continente, casta e fedele
quanto adesso sono infelice; il che sorpassa
ciò che una tragedia può illustrare, anche se
ordita e recitata per incantare gli spettatori.
Infatti guardate: io compagna di letto del re,
colei che possiede la metà del trono, figlia di un grande re, e
madre di un promettente principe, sto qui
a cianciare e far discorsi per la vita e l’onore
davanti a chiunque abbia voglia di ascoltare. La vita,
io l’apprezzo, quanto rispetto il dolore (del quale farei a meno):
l’onore, è l’eredità che lascio ai miei,
e questo solo io difendo. Richiamo
alla vostra coscienza, sire, prima che Polissene
venisse a corte, quanto fossi nel vostro favore,
e come questo favore meritassi; dopo la sua venuta,
con quale staordinario contegno
ho trasgredito per trovarmi ora qui? Se d’una iota oltre
i limiti dell’onore, in atti o volontà
ho mai inclinato, s’induriscano i cuori
di chi m’ascolta, e i miei consanguinei
maledicano la mia tomba!
LEONTE
Non ho mai sentito
che alcuno di questi vizi sfrontati
avesse meno impudenza per negare di aver commesso il fatto,
di quanta ne avesse per farlo.
ERMIONE
Questo è vero, signore,
però, è un commento che non mi riguarda.
LEONTE
Non volete ammetterlo.
ERMIONE
Più che responsabile
di ciò che ora mi torna col nome di colpa, non posso
riconoscermi. Quanto a Polissene,
con il quale sono accusata, confesso
che l’amavo come meritava il suo onore
e con l’affetto che conviene
a una del mio grado; quell’affetto,
e non altro, che voi stesso ordinavate:
non aver fatto così sarebbe stato in me, credo,
insieme disobbedienza e ingratitudine
verso voi, e verso il vostro amico, il cui affetto
per voi s’era dichiarato liberamente
fin da quando poté parlare, da bambino,
tutto vostro. Per la congiura poi
non saprei dire che sapore abbia, anche
se mi fosse servita qui per assaggiarla: tutto quel che so
è che Camillo era un uomo onesto;
e perché abbia lasciato la corte, gli stessi dèi
(se non ne sanno più di me) lo ignorano.
LEONTE
Sapevate della sua partenza, come sapete
ciò che avete cominciato a fare in sua assenza.
ERMIONE
Signore,
voi parlate una lingua che non capisco:
la mia vita è alla mercé dei vostri sogni,
ed io qui la depongo.
LEONTE
Le vostre azioni sono i miei sogni.
Voi avete avuto un bastardo da Polissene,
ed io l’ho soltanto sognato! Ogni ritegno avete sorpassato
(fanno così i criminali) e adesso passate sopra ogni verità,
ma insistere a negarla non vale la fatica; perché come
è stata esposta la tua marmocchia, com’era giusto,
non essendoci padre a riconoscerla (il che, veramente,
è più un misfatto tuo che suo), così tu
assaggerai la nostra giustizia; nel cui aspetto più mite
non aspettarti meno della morte.
ERMIONE
Signore, risparmiatevi le minacce:
l’orco con cui vorreste spaventarmi, io lo cerco.
La vita a me non serve più;
il culmine e la felicità della mia vita, il vostro favore,
io lo do per perso, perché lo sento andato,
anche se non so come. La mia seconda gioia,
e primo frutto del mio corpo, dalla sua presenza
sono esclusa, come un’appestata. La mia terza consolazione
(nata sotto nemica stella) è dal mio petto
(l’innocente latte ancora nell’innocente bocca)
strappata per essere uccisa; io stessa ad ogni porta
son proclamata prostituta, e con odio oltraggioso
mi si nega il privilegio delle puerpere, che appartiene
a donne di ogni condizione; infine sono di furia
portata fuori, in questo luogo, prima
d’aver ripreso le minime forze. Ora, mio signore,
ditemi, quali benedizioni ho io vivendo,
perché debba temere di morire? Perciò proseguite.
Ancora una cosa, però: non fraintendetemi: non per la vita,
che stimo meno d’una pagliuzza, ma per l’onore,
che vorrei intoccato: se sarò condannata
su congetture, tutte le prove dormenti
eccetto quelle che la vostra gelosia risveglia, allora vi dico
questo è abuso, non legge. Davanti a tutti voi,
onorati signori, io mi appello all’oracolo:
Apollo sia mio giudice!
UN NOBILE
Questa vostra richiesta
è assolutamente giusta; si produca perciò
in nome d’Apollo, il suo oracolo.
(Escono alcuni ufficiali.)
ERMIONE
Imperatore di Russia era mio padre:
o, se fosse vivo, e qui a osservare
le sofferenze di sua figlia! Se vedesse
la pienezza della mia disperazione, ma con occhi
di compassione, non di vendetta!
(Entrano gli ufficiali, con Cleomene e Dione.)
UFFICIALE
Voi qui giurerete su questa spada di giustizia,
che voi, Cleomene e Dione, siete entrambi
stati a Delfo, e da lì avete portato
questo sigillato oracolo, a voi consegnato
dalla mano del gran sacerdote d’Apollo; e che da allora
non avete osato rompere il sacro sigillo
né leggervi i segreti.
CLEOMENE. ADIONE
Tutto ciò noi giuriamo.
LEONTE
Rompete i sigilli e leggete.
UFFICIALE
Ermione è casta; Polissene senza colpa; Camillo un suddito leale; Leonte un tiranno geloso; l’innocente neonata onestamente concepita; il re vivrà senza erede se quello che è perduto non sarà ritrovato.
NOBILI
Sia benedetto il grande Apollo!
ERMIONE
Gloria a lui!
LEONTE
Hai letto il vero?
UFFICIALE
Sì, mio signore, esattamente
come è scritto qui.
LEONTE
Non c’è assolutamente niente di vero nell’oracolo:
il processo continui: questo è solo un imbroglio.
(Entra un servitore.)
SERVITORE
Il mio signor re, il re!
LEONTE
Che succede?
SERVITORE
O signore, sarò odiato per questa notizia!
Il principe vostro figlio, per il pensiero e l’ansia
per la sorte della regina, è andato.
LEONTE
Come! Andato?
SERVITORE
È morto.
LEONTE
Apollo è irato, e gli stessi cieli
colpiscono la mia ingiustizia. (Ermione sviene) Che c’è ora?
PAOLINA
Questa notizia è mortale alla regina: guardate qui
e osservate quel che fa la morte.
LEONTE
Portatela via:
ha solo il cuore oppresso: si riprenderà.
Ho creduto troppo al mio sospetto:
vi scongiuro, datele amorevolmente qualche rimedio
che la riporti in vita.
(Escono Paolina e dame, con Ermione.)
Apollo, perdona
la mia grande empietà contro il tuo oracolo!
Mi riconcilierò con Polissene,
riconquisterò la mia regina, richiamerò il buon Camillo,
che proclamo un uomo di fedeltà e compassione:
perché trascinato dalle mie gelosie
a pensieri di sangue e di vendetta, scelsi
Camillo come intermediario per avvelenare
il mio amico Polissene: il che sarebbe successo
se la saggia decisione di Camillo non avesse ritardato
il mio avventato ordine; e sì che con la morte
e la ricompensa io lo minacciai se non lo faceva,
e lo spinsi a fare. Egli (pieno d’umanità
e d’onore) al mio regale ospite
rivelò il mio piano, abbandonò qui le sue ricchezze
(che eran, come sapevate, grandi) ed al sicuro rischio
dell’incerta fortuna, consegnò se stesso,
ricco soltanto del suo onore: come risplende
in mezzo alla mia ruggine! E come la sua pietà
fa più fosche le mie azioni!
(Entra Paolina.)
PAOLINA
Giorno funesto!
Tagliate questi lacci sì che il cuore, spezzandoli,
non scoppi!
UN NOBILE
Cosa vi succede nobile signora?
PAOLINA
Quali raffinati tormenti mi riservi, tiranno?
Ruote? Cavalletti? Roghi? O scorticare? O bollire?
In piombo fuso o nell’olio? Quale vecchia o nuova tortura
m’aspetta, se ogni mia parola merita
d’assaggiare il peggio di te? La tua tirannia,
insieme ai tuoi gelosi furori
(fantasie troppo scialbe per i ragazzini, troppo immature e inutili
per ragazzine di nove anni), oh, considera quello che han fatto,
e poi diventa matto per davvero: pazzo furioso! Perché tutte
le tue passate stramberie eran solo antipasti.
Che tu tradissi Polissene, era un nonnulla;
che ti ha dimostrato, te stolto, un incostante
e un ingrato d’inferno: e neppure era gran cosa
che tu abbia voluto avvelenare l’onore del buon Camillo,
facendogli uccidere un re; peccatucci,
di fronte alle mostruosità in riserva: tra le quali
l’abbandonare ai corvi una figlia neonata
reputo poco o nulla; benché anche un diavolo
avrebbe versato acqua dagli occhi di bragia, prima di farlo:
né è direttamente a te imputabile la morte
del giovane principe, i cui nobili pensieri
(alti pensieri in uno così giovane) spezzarono il cuore
che poté pensare che un volgare e sciocco re
infangasse la sua nobile madre: di questo non sei, no,
responsabile; ma l’ultima – O signori,
quando ho finito, gridate “ahimè” – la regina, la regina,
la più dolce, cara creatura è morta; e la vendetta per ciò
deve ancora discendere.
UN NOBILE
Il cielo non voglia!
PAOLINA
Vi dico che è morta: lo giuro. Se parola o giuramento
non bastano, andate a vedere: se saprete riportare
colore, o luce al suo labbro, al suo occhio,
tepore fuori o respiro dentro, io vi servirò
come servirei gli dei. Ma, tu tiranno!
Non pentirti per queste cose, perché sono troppo pesanti
per esser rimosse dalle tue lamentazioni: per te
c’è solo la disperazione. Avessi anche mille ginocchi
e diecimila anni per digiunare, nudo
su un monte desolato, in continuo inverno
e tempesta perpetua, non riusciresti a muovere gli dei
a guardare dalla tua parte.
LEONTE
Continua, continua:
non potrai mai dirmene di troppo; ho meritato
che ogni lingua mi dica il suo più amaro.
UN NOBILE
Smettete ora:
comunque stiano le cose, avete torto
a esprimervi con tanta veemenza.
PAOLINA
Mi dispiace:
so riconoscere le mie colpe, quando
le vedo. Ahimè! Ho dato troppo sfogo
alla mia impulsività di donna. È toccato
nel profondo del suo nobile cuore. Per male passato
e senza rimedio, è inutile disperarsi. Non affliggetevi
per le mie invocazioni; vi prego, piuttosto
fatemi punire per avervi ricordato
quello che dovreste dimenticare. Ora, mio buon signore,
sire, regale sire, perdonate una stupida donna:
l’amore che portavo alla vostra regina – ahi! Sciocca, di nuovo!
Non parlerò più di lei, né dei vostri figli;
non vi ricorderò neppure il mio signore
(che pure è perduto): siate paziente,
e non dirò più nulla.
LEONTE
Tu hai parlato molto bene
quando più hai detto la verità: che io ricevo molto meglio
che esser compatito da te. Ti prego, accompagnami
dai corpi senza vita della mia regina e del principe:
avranno la stessa tomba: su essa
sarà scolpita la causa della morte,
a nostra eterna vergogna. Una volta al giorno visiterò
la cappella dove giaceranno, e le lacrime là versate
saranno il mio unico svago. Finché la natura
consentirà questo esercizio, io faccio voto
di praticarlo ogni giorno. Vieni, su, e conducimi
a questi dolori. Escono.
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entra Antigono (con la) bimba, (e) un Marinaio.
ANTIGONO
Tu sei sicuro, perciò, che la nostra nave ha toccato
i deserti di Boemia?
MARINAIO
Sì, monsignore, e temo
che siamo approdati in un momento infausto: il cielo ha l’aria cupa,
e minaccia imminenti burrasche. In coscienza
gli dei con la nostra missione son crucciati
e ci guardano storto.
ANTIGONO
La loro santa volontà sia fatta! Va’, torna a bordo,
e bada alla tua barca: non ci metterò molto
prima di raggiungerti anch’io.
MARINAIO
Fate al più presto, e non andate
troppo all’interno: qui è già tempo di tuoni;
inoltre questo posto è famoso per le bestie
feroci che lo infestano.
ANTIGONO
Tu va’ via:
ti seguirò al più presto.
MARINAIO
Sono contento davvero
di liberarmi così di quest’affare. Esce.
ANTIGONO
Vieni, povera piccina:
ho sentito, ma non vi ho creduto, che gli spiriti dei morti
possono tornare a visitarci: se ciò è possibile, tua madre
mi è apparsa ieri notte; perché mai sogno fu
più simile alla veglia. Viene verso me una creatura,
inclinando la testa ora da un lato, ora dall’altro;
non vidi mai vaso di ugual dolore,
così traboccante, e così leggiadro: in pure, bianche vesti,
come la stessa santità, s’avvicinò
al cubicolo in cui giacevo: tre volte mi s’inchinò davanti,
e, prendendo fiato per mettersi a parlare, gli occhi
le diventarono due fontane; esaurito lo zampillo,
tosto ruppe in queste parole: “Buon Antigono,
poiché il destino, contro la tua migliore natura,
ha scelto te per colui che abbandonerà
la mia povera bambina, come hai giurato,
ci sono in Boemia abbastanza luoghi remoti,
là potrai piangere, e abbandonarla al pianto; e poiché la bimba
è da considerare persa per sempre, Perdita,
ti prego, chiamala. Per questa triste consegna,
a te affidata dal mio signore, non rivedrai più
tua moglie Paolina.” Quindi, tra strida,
svanì nell’aria. Spaventato assai,
col tempo mi ripresi, e pensai
che così era successo, e non in sogno. I sogni son vanità:
ma per una volta, proprio, superstiziosamente,
da questo sogno mi farò guidare. Io credo
che Ermione ha patito la morte; e che
Apollo desidera, questo essendo veramente il frutto
di re Polissene, che sia messo qui,
per la vita o per la morte, sulla terra
del suo vero padre. Buona fortuna a te, germoglio!
Ti lascio qui, e qui c’è la tua storia: e questi oggetti,
che, la fortuna aiutando, potranno farti educare, carina,
e restare tua dote. La tempesta incomincia: povera cosina,
che per colpa di tua madre sei così esposta
all’abbandono e a ciò che può seguire! Piangere non so,
ma il cuore mi sanguina; e sono maledetto
per il giuramento che a questo mi costringe. Addio!
Il giorno si fa sempre più cupo: avrai
un’assai rude ninna-nanna. Non vidi mai
cielo più buio di giorno. Un rumore selvaggio!
Ch’io raggiunga la nave! Ecco l’animale:
Per me è la fine! Esce, inseguito da un orso.
(Entra un pastore.)
PASTORE
Vorrei che non ci fosse l’età tra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù la passasse tutta a dormire; perché non c’è niente in mezzo se non mettere incinte le ragazze, far soprusi agli anziani, rubare e picchiarsi. – Senti un po’ qui, adesso! Chi altri se non questi cervelli in ebollizione di diciannove e ventidue andrebbe a caccia con questo tempo? Mi hanno fatto scappare due delle mie pecore più belle e ho paura che le troverà prima il lupo del padrone: e se mai le trovo da qualche parte, sarà vicino al mare che brucano l’edera. (Vedendo la neonata) Che la fortuna mi assista, se Dio vuole, e questo cos’è? Misericordia, un bambino! Un bel bambino anche! Maschietto o femminuccia, mi domando? Molto bellino, proprio bellino. Sicuramente, qualche scappatella: io non so leggere, però qui leggo scappatella di qualche dama di compagnia. Questo è un lavoro da sottoscala, o da cassapanca, o da dietro la porta: in ogni caso chi l’ha fatto stava più al caldo della povera cosina qui. La prendo per pietà: però aspetterò che arrivi mio figlio; ora ora mi ha dato la voce. Uh-uh-ah!
Entra il contadino.
CONTADINO
Ollah-lah-lah!
PASTORE
Ma come, eri già qui? Se vuoi veder qualcosa da raccontare anche quando sarai morto e marcio, vieni qui. Ma che cos’hai, figliolo?
CONTADINO
Ne ho già viste due di cose così, una per mare e una per terra! Ma non posso neanche dir mare, perché adesso è cielo: e tra di esso e il firmamento non c’infileresti nemmeno la punta d’uno spillo.
PASTORE
Perbacco, ragazzo, che è stato?
CONTADINO
Vorrei vedeste come infuria, si alza e s’abbatte sulla spiaggia! Ma c’è dell’altro. O, le urla strazianti di quei poveri diavoli! Ora li vedevo, ora non li vedevo più: ora la nave sbuzzava la luna coll’albero maestro, ed ora scompariva nel fermento e nella schiuma, come quando si conficca un sughero dentro una botte. Sull’altro fronte, poi, quello di terra, dovevate vedere come l’orso gli strappò via l’osso della spalla, come gridava aiuto verso di me e diceva che il suo nome era Antigono, nobiluomo. Ma per finire con la nave, il mare se l’ingoiò, ma prima i poveracci urlavano e il mare li sfotteva: e quel povero signore urlava, e l’orso lo sfotteva, e tutti e due ruggivano più forte del mare e della tempesta.
PASTORE
Misericordia, ragazzo, quando è successo?
CONTADINO
Ora, ora: non ho ancora battuto ciglio da quando ho visto questi due spettacoli: gli uomini non sono ancora freddi sotto l’acqua e l’orso si sarà pappato solo metà di quel signore: ci sta ancora lavorando.
PASTORE
Fossi stato lì vicino, per aiutare quel vecchio!
CONTADINO
Ed io vorrei che foste stato dov’era la nave, per aiutarla: lì la vostra carità non avrebbe avuto terra sotto i piedi.
PASTORE
Brutte cose! Brutte cose! Ma guarda un po’ qui, ragazzo. Adesso fatti il segno della croce: tu trovi cose che muoiono ed io cose appena nate. Guarda che spettacolo; ma guarda, un panno da battesimo per un figlio di signori! E questo cos’è, prendilo, prendilo, ragazzo, aprilo. Allora, vediamo: mi è stato detto che le fate mi avrebbero fatto ricco. Questo sarà un bambino di fate; aprilo. Cosa c’è dentro, ragazzo?
CONTADINO
Siete un vecchio sistemato: se i vostri peccati di gioventù vi son perdonati, potete vivere felice. Oro! Tutto oro!
PASTORE
Questo è oro delle fate, ragazzo, e si farà vedere per quello che è; prendilo e acqua in bocca: a casa, a casa, subito. Siamo fortunati, ragazzo; e per restare così c’è solo da esser discreti. Lascia perdere le mie pecore: vieni, da bravo, subito a casa.
CONTADINO
Andate voi per la via più breve con quel che avete trovato. Io voglio vedere se l’orso ha finito con quel signore, e quanto se n’è mangiato; non sono mai feroci se non quando hanno fame; se ci sono dei resti, li seppellirò.
PASTORE
Questa è una buona azione. Se si può capire, da quello che n’è rimasto, chi era, portami a vederlo.
CONTADINO
Molto volentieri; così mi aiuterete a metterlo sotto terra.
PASTORE
È un giorno fortunato, ragazzo, e noi lo concluderemo con delle buone azioni.
Escono.
Il racconto d’inverno
(“A Winter’s tale” 1611)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V