(“A Winter’s tale” 1611)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUINTO – SCENA PRIMA
Entrano Leonte, Cleomene, Dione, Paolina, (e) servitori.
CLEOMENE
Signore, avete fatto abbastanza, e sopportato
le pene di un santo: non potevate commettere peccato,
che non abbiate redento; in verità, la vostra penitenza
è superiore alla colpa commessa: infine,
fate come han fatto gli dei, dimenticate il male compiuto,
e con essi, perdonate a voi stesso.
LEONTE
Finché ricordo
lei, e le sue virtù, non scorderò
le mie accuse, e sempre penso
al torto che da me mi feci: e che fu sì grande
che il mio regno ha privato di un erede,
ed ha distrutto la più dolce compagna da cui mai uomo
abbia generato le sue speranze.
PAOLINA
Vero, troppo vero, mio signore:
se, una dopo l’altra, voi le sposaste tutte, al mondo,
o se di ognuna prendeste la miglior parte,
per far la donna perfetta, quella che avete uccisa
rimarrebbe impareggiabile.
LEONTE
Lo penso anch’io. Uccisa!
Quella che io ho uccisa! Così ho fatto:
ma mi colpisci duro a dirmi questo: è amaro
in bocca a te, come nella mia mente. Ora, ti prego, ormai
non dirlo così spesso.
CLEOMENE
Anzi, mai più, buona signora:
mille altre cose potevate dire
più opportune al momento e più consone
alla vostra gentilezza.
PAOLINA
Voi siete di quelli
che vorrebbero farlo risposare.
DIONE
Se voi non lo volete,
non avete pietà per lo stato, né per la memoria
del suo nome sovrano; e poco considerate
quali calamità, la mancanza di un erede,
può far precipitare sul regno e divorare
i sudditi lasciati senza guida. Che c’è di più santo
del rallegrarsi per la pace che gode la defunta regina?
E che di ancora più santo, per il sostegno della dinastia,
un presente sicuro e un futuro prospero,
del benedire il letto di sua maestà
con una nuova tenera compagna?
PAOLINA
Non ne esiste una degna,
rispetto a quella che non è più. Inoltre gli dei
vorranno che i loro segreti disegni sian compiuti;
non ha forse detto il divino Apollo,
non è questo il tenore del suo oracolo,
che re Leonte non avrà un erede,
finché sua figlia perduta sia trovata? E che ciò avvenga
è così assurdo alla ragione umana
che se il mio Antigono rompesse la sua tomba
e ritornasse a me; lui che, sicuro,
morì con l’infante. Il vostro avviso è
che il mio signore sia contrario agli dei,
e s’opponga alla loro volontà. (A Leonte) Non vi curate della discendenza;
la corona troverà un erede. Il grande Alessandro
lasciò la sua al più degno, sì che potesse
succedergli il migliore.
LEONTE
Buona Paolina,
che conservi, lo so, la memoria di Ermione
in tanto onore, – Oh, se io avessi
seguito il tuo consiglio! Così, anche in quest’ora,
potrei guardare la mia regina nei begli occhi,
e suggerne tesori dalle labbra…
PAOLINA
Lasciandole
più ricche per quello che han concesso.
LEONTE
Tu dici il vero.
Mogli siffatte non ci sono più; perciò, niente moglie: una peggiore,
da me trattata meglio, farebbe la sua anima beata
riprender corpo, e su questa scena
(se questo errore ora commettessi) apparire mortificata
e dire, “Perché a me?”
PAOLINA
Se avesse tale potere,
ne avrebbe buon motivo.
LEONTE
L’avrebbe sì; e mi spingerebbe
a uccidere la nuova sposa.
PAOLINA
Io farei così:
se fossi il fantasma che cammina, mi chiederei di osservarle
gli occhi, e dirmi per quale smorta parte in essi
la sceglieste: quindi urlerei, tanto che le vostre orecchie
si spaccherebbero a sentirmi; e le parole in seguito
sarebbero”Ricorda i miei.”
LEONTE
Stelle erano, stelle!
E tutti gli altri occhi, carboni spenti! Non temere;
non prenderò altra moglie, Paolina.
PAOLINA
Mi giurerete
di non sposarvi mai se non col mio consenso?
LEONTE
Mai, Paolina; sulla salvezza della mia anima!
PAOLINA
Allora, miei buoni signori, siate testimoni al giuramento.
CLEOMENE
Voi gl’imponete troppo.
PAOLINA
A meno che un’altra,
simile a Ermione come il suo ritratto,
non gli compaia innanzi.
CLEOMENE
Buona signora…
PAOLINA
Ho finito.
Tuttavia, se il mio signore vuole sposarsi – se voi volete, sire;
non vi sarà rimedio – datemi l’incarico
di scegliervi una regina: ella non sarà così giovane
come la vostra prima, ma sarà tale
che, se il fantasma della prima regina camminasse, avrebbe gioia
a vederla nelle vostre braccia.
LEONTE
Mia fedele Paolina,
noi non ci sposeremo finché non ce lo dirai tu.
PAOLINA
Il che
sarà quando la prima regina respirerà di nuovo:
fino ad allora, mai.
Entra un servitore.
SERVITORE
Uno che s’annuncia come il Principe Florizel,
figlio di Polissene, con la sua principessa (costei
la più bella che abbia mai veduto) richiede accesso
al cospetto di vostra maestà.
LEONTE
Che vuole? Non viene
come s’addice alla grandezza di suo padre: il suo arrivo
(così informale e senza preavviso) ci prova
che non si tratta di visita ufficiale, ma forzata
dal caso o dal bisogno. Chi è con lui?
SERVITORE
Pochi
e in malo arnese.
LEONTE
La principessa, dite, l’accompagna?
SERVITORE
Sì, il più impareggiabile pezzo di terra, penso,
su cui mai il sole abbia sfolgorato.
PAOLINA
O Ermione,
come ogni tempo presente si vanta superiore
a un passato migliore, così deve la tua tomba
far posto a ciò che ora si vede! Signore, voi stesso
avete detto e pure scritto; ma il vostro scritto è ora
più freddo del suo argomento: “Ella non era stata,
né potrebbe mai essere eguagliata”; – così il vostro verso
fluiva un tempo con la bellezza di Ermione: ora è assai in riflusso,
se dite che ne avete vista una più bella.
SERVITORE
Perdonate, signora:
la prima l’ho quasi dimenticata – ve ne chiedo perdono –
la seconda, quando avrà colpito il vostro occhio,
conquisterà la vostra lingua pure. Ella è una creatura
che, se fondasse una nuova setta, estinguerebbe lo zelo
di chiunque ne professi altre; e convertirebbe
chiunque lei invitasse a seguirla.
PAOLINA
Andiamo! Anche le donne?
SERVITORE
Le donne l’ameranno, perché è una donna
con più meriti di qualsiasi uomo; gli uomini, perché
è la più preziosa fra tutte le donne.
LEONTE
Andate, Cleomene;
voi, assistito dai vostri onorati amici,
conduceteli al nostro abbraccio.
Escono (Cleomene e altri).
Eppure, è strano
che venga così di soppiatto.
PAOLINA
Se il nostro principe
(gioiello di figliolo) fosse vivo adesso, avrebbe un buon compagno
in questo signore: c’era meno di un mese
tra le loro nascite.
LEONTE
Ti prego, basta; smetti; sai bene
che per me muore di nuovo, quando se ne parla: certo,
quando vedrò questo gentiluomo, i tuoi discorsi
mi porteranno a pensieri che potrebbero
privarmi della ragione. Eccoli qui.
Entrano Florizel, Perdita, Cleomene e altri.
Vostra madre, principe, fu fedelissima alle nozze;
poiché fece una copia del vostro regale padre,
concependo voi. Se avessi i miei ventun anni,
l’immagine di vostro padre è così scolpita in voi,
con la sua stessa aria, che potrei chiamarvi fratello,
come facevo con lui, e ricordare qualche scappata
compiuta prima insieme. Il più affettuoso benvenuto!
E la vostra bella principessa – una dea! – Oh, ahimè!
Io persi un paio, che fra cielo e terra
potrebbe adesso stare e destar meraviglia, come
voi fate adesso, nobile coppia: e poi persi anche –
solo per mia follia – la compagnia
e pure l’amicizia, del vostro valente padre, che
rivedere una volta (sebbene in afflizione)
mi fa desiderare ancora la vita.
FLORIZEL
Per suo comando
sono qui approdato, in Sicilia, e da lui
vi porto tutti i riguardi che un re (da amico)
può inviare a suo fratello: e se l’infermità
(che accompagna l’età avanzata) non riducesse alquanto
le forze desiderate, lui stesso avrebbe
e terre ed acque tra il suo trono e il vostro
attraversato per vedervi; voi ch’egli ama
(così m’ha ordinato di dirvi) più di ogni scettro
e di coloro che vivi li reggono.
LEONTE
O mio fratello –
cortese nobil uomo! – i torti che ti ho fatto, riaffiorano
in me; e questi tuoi riguardi,
di squisita gentilezza, si fanno interpreti
della mia pigra negligenza! Siate benvenuto qui
come la primavera sulla terra. Ed ha egli anche
esposto questa perla al trattamento brutale
(almeno poco gentile) dell’orrido Nettuno,
per salutare un uomo indegno delle sue pene, e ancora più
del rischio della sua persona?
FLORIZEL
Mio buon signore,
ella viene dalla Libia.
LEONTE
Dove il fiero Smalo,
quel nobile, onorato signore, è temuto e amato?
FLORIZEL
Da lì, nobilissimo sire; da lui, la cui figlia qui
fu ben provata sua dalle lacrime che versò al separarsi da lei; quindi,
favoriti da un felice scirocco, abbiamo passato il mare,
per eseguire l’incarico affidatomi da mio padre
di visitare vostra altezza: il meglio del mio seguito
l’ho congedato sulle coste siciliane;
son diretti in Boemia, ad annunciare
non solo il mio successo in Libia, sire,
ma il mio felice arrivo, e quello di mia moglie,
qui, dove siamo.
LEONTE
Gli dèi beati
purghino l’aria nostra di ogni infezione mentre voi
soggiornate qui! Avete un padre venerando,
un gentiluomo pieno di virtù; contro la cui persona
(sacra com’è) io ho peccato,
per cui, i cieli (presane irata nota)
mi hanno lasciato senza discendenza: vostro padre è benedetto
(ben meritandolo dal cielo) d’avere voi,
che siete degno della sua bontà. Oh, come avrei potuto essere,
se avessi un figlio ed una figlia ora da contemplare,
due belle creature come voi!
Entra un nobile.
NOBILE
Nobilissimo signore,
ciò che sto per riferire non sarebbe credibile
se la prova non fosse così vicina. Compiacetevi, grande signore,
Boemia in persona vi manda per me il suo saluto;
chiede che voi arrestiate suo figlio, il quale –
rifiutando insieme dignità e dovere –
è fuggito da suo padre, dalla sua eredità, e insieme
alla figlia di un pastore.
LEONTE
Dov’è Boemia? Parlate.
NOBILE
Qui nella vostra città; l’ho lasciato adesso.
Parlo confusamente, come conviene
al mio stupore ed al mio messaggio. Mentre s’affrettava
verso il palazzo – in caccia, sembra,
di questa vaga coppia – s’imbatte per strada
nel padre di questa sedicente signora e
nel fratello, essendo entrambi partiti dal loro paese
con questo giovane principe.
FLORIZEL
Camillo mi ha tradito;
il cui onore ed onestà finora avevano resistito
ad ogni intemperia.
NOBILE
Potete ben accusarlo:
accompagna il re vostro padre.
LEONTE
Chi? Camillo?
NOBILE
Camillo, signore; ho parlato con lui; e ora
interroga quei due poveracci. Mai vidi
sventurati tremare così: stanno in ginocchio, baciano la terra;
rinnegano ogni parola che dicono.
Boemia si tappa le orecchie, e li minaccia
di morte in mille modi.
PERDITA
O povero padre mio!
Gli dei ci fanno spiare, hanno deciso
che il nostro matrimonio non si celebri.
LEONTE
Voi siete sposati?
FLORIZEL
Non lo siamo, signore, né sembra che lo saremo mai:
le stelle, vedo, baceranno prima le valli:
grandi o piccini siamo zimbelli della fortuna.
LEONTE
Signor mio,
è costei la figlia di un re?
FLORIZEL
Lo è,
nel momento che diventa mia moglie.
LEONTE
Quel “momento”, considerando la fretta del vostro buon padre,
sarà molto lento ad arrivare. Son dispiaciuto,
davvero dispiaciuto, che vi siate staccato dal suo affetto,
cui eravate legato dal dovere; e dispiaciuto pure
che la vostra scelta non sia ricca in nobiltà come in bellezza,
sì che possiate godere di lei appieno.
FLORIZEL
Cara, alza il viso:
per quanto la fortuna, a noi ovviamente avversa,
ci perseguiti, insieme a mio padre, essa non può
neppure di uno iota alterare il nostro amore. Vi supplico, sire,
ricordatevi di quando non dovevate al tempo più
di me adesso: e col pensiero degli affetti di allora,
fatevi mio avvocato: se voi glielo chiedete,
mio padre concederà cose preziose come fossero inezie.
LEONTE
Se così farà, io vorrei chiedergli la vostra preziosa amica,
che egli considera solo un’inezia.
PAOLINA
Signore, mio sovrano,
il vostro occhio ha troppa gioventù; neppure un mese
prima di morire la vostra regina meritava meglio quegli sguardi
che ora posate su costei.
LEONTE
Pensavo a lei,
proprio mentre posavo questi sguardi. (A Florizel) Ma la vostra richiesta
non ha ancora risposta. Andrò incontro a vostro padre:
se il vostro onore non è sommerso dai vostri desideri,
io sono amico loro e vostro: con questo intento
vado ora da lui; perciò seguite me
ed osservate quale metodo seguo. Venite, mio buon signore.
Escono.
ATTO QUINTO – SCENA SECONDA
Entrano Autolico e un gentiluomo.
AUTOLICO
Vi prego, signore, voi eravate presente a questo racconto?
PRIMO GENTILUOMO
Ero là quando hanno aperto il fardello, ho sentito il vecchio pastore raccontare come lo trovò: quindi, dopo un momento di stupore, ci fu ordinato a tutti di uscire dalla camera; solo una cosa, m’è sembrato di sentire il vecchio pastore che diceva d’aver trovato la bambina.
AUTOLICO
Mi piacerebbe tanto sapere com’è finita.
PRIMO GENTILUOMO
Ve ne faccio un racconto incompleto; ma le alterazioni che ho osservato nel re e in Camillo erano vere esclamazioni di meraviglia: sembrava quasi che, nel fissarsi l’un l’altro, gli venissero fuori gli occhi dalle orbite: c’era tutto un discorso nel loro silenzio, un linguaggio nei gesti; avevan l’aria di chi ha sentito di un mondo riscattato, o di uno distrutto: gli si leggeva addosso una vera frenesia di stupore; ma l’osservatore più acuto, che non sapesse di più di quanto vedeva, non avrebbe potuto dire se l’accento stava sulla gioia o sul dolore; comunque, doveva essere il culmine di uno dei due.
Entra un altro gentiluomo.
Ecco che arriva un gentiluomo che forse ne sa di più. Che novità, Rogero?
SECONDO GENTILUOMO
Si pensa solo ad accendere i falò: l’oracolo è compiuto; la figlia del re ritrovata: sono scoppiate in quest’ultima ora tali meraviglie, che i compositori di ballate non ce la fanno a esprimerle.
Entra (un terzo) gentiluomo.
Ecco che arriva il maggiordomo di donna Paolina: lui potrà informarvi meglio. Che succede adesso, signore? Questa notizia, che si dice vera, somiglia così tanto ad una fiaba che si dubita molto della sua autenticità. Il re ha dunque trovato il suo erede?
TERZO GENTILUOMO
È verissima, se mai verità fu provata dai fatti: ciò che si dice in giro potreste giurare d’averlo visto, tanto combaciano tutte le prove. Il mantello della regina Ermione, il suo gioiello al collo della bambina, le lettere di Antigono trovate con esso, la sua scrittura che hanno riconosciuto; la maestà della creatura a somiglianza della madre, la dote di nobiltà che la natura mostra superiore alla condizione, e molte altre prove la proclamano, con ogni certezza, figlia del re. Avete visto l’incontro dei due re?
SECONDO GENTILUOMO
No.
TERZO GENTILUOMO
Allora avete perduto uno spettacolo che bisognava vedere; non si può descriverlo a parole. Avreste visto una gioia coronarne un’altra, e in maniera che sembrava che il dolore piangesse al separarsi da loro, perché la loro gioia attraversava un fiume di lacrime. C’erano occhi che s’alzavano al cielo, mani che si tendevano, ed espressioni così commosse, che per riconoscerli bisognava guardare l’abito, non la faccia. Il nostro re, quasi saltando fuori di sé per la gioia d’aver ritrovato la figlia, come se quella gioia diventasse all’improvviso una perdita, grida “Ah, tua madre, tua madre!” Quindi chiede a Boemia perdono; poi abbraccia il genero; poi soffoca di nuovo la figlia coi suoi abbracci; ora ringrazia il vecchio pastore che se ne sta lì come un mascherone di fontana, consumato dalle intemperie e che ha visto i regni di molti re. Non ho mai sentito di un incontro come questo che storpia il racconto che se ne vuole fare e distrugge la descrizione che si cerca di darne.
SECONDO GENTILUOMO
E, vi prego, che è successo di Antigono che portò via la bambina?
TERZO GENTILUOMO
Ancora come una vecchia favola che ha sempre materia da recitare, anche quando la credulità s’è addormentata e le orecchie non prestano più attenzione. Fu fatto a pezzi da un orso: così testimonia il figlio del pastore, il quale non ha solo la sua ingenuità, che si dimostra abbondante, a provarlo, ma anche un fazzoletto suo e degli anelli che Paolina riconosce.
PRIMO GENTILUOMO
E che ne è stato del suo vascello e di quelli con lui?
TERZO GENTILUOMO
Naufragarono nel momento stesso della morte del loro padrone, e sotto gli occhi del pastore: così che tutti gli agenti che concorsero all’abbandono dell’infante si persero nel momento stesso in cui fu trovata. Ma, oh, quale nobile battaglia tra gioia e dolore si combatté in Paolina! Con un occhio guardava giù per la perdita del marito, con l’altro gioiva perché l’oracolo s’era compiuto: sollevò la principessa da terra e tanto se la strinse tra le braccia come se volesse appuntarsela sul cuore, perché non potesse mai più andare perduta.
PRIMO GENTILUOMO
La nobiltà di questa scena era davvero degna di un pubblico di principi e di re; poiché erano loro stessi a recitarla.
TERZO GENTILUOMO
Uno dei suoi tocchi più belli, e che buttò la lenza per agganciarmi gli occhi (pescò solo acqua però, non pesci) fu, quando al racconto della morte della regina (come ella vi giunse, fu coraggiosamente confessato e lamentato dal re) la figlia rimase ferita nell’ascoltarlo; finché, passando da un’espressione di dolore all’altra, uscì con un “Ahimè”, a, potrei dire, sanguinare lacrime, perché sono sicuro che il mio cuore in quel momento piangeva sangue. Anche chi era fatto di marmo, lì per lì cambiò colore; alcuni svennero, tutti erano afflitti: se il mondo intero avesse potuto assistere a quella scena, il mortorio sarebbe stato universale.
PRIMO GENTILUOMO
Son tornati a palazzo?
TERZO GENTILUOMO
No: avendo sentito la principessa della statua di sua madre che è in casa di Paolina, – un’opera costata molti anni di lavoro e ora da poco completata da quel grande maestro italiano, Giulio Romano, che, se avesse l’immortalità e potesse soffiar la vita nella sua arte, toglierebbe il mestiere alla natura, tanto perfetta è la sua imitazione di essa: egli ha fatto un’Ermione così simile a Ermione, che dicono che uno le parlerebbe e starebbe lì ad aspettare una risposta. Là sono andati con l’ardente curiosità dell’affetto, e là hanno intenzione di cenare.
SECONDO GENTILUOMO
Già me l’immaginavo che lei macchinava qualcosa di grosso lì; perché sempre, da quando Ermione è morta, lei da sola visitava quel padiglione appartato due o tre volte al giorno. Andiamo anche noi a far più allegra la festa con la nostra compagnia?
PRIMO GENTILUOMO
Chi mai, avendo il privilegio dell’accesso, ne starebbe via? Ad ogni batter d’occhio nasce una grazia nuova: la nostra assenza ci fa perdere l’occasione di arricchirci in sapere. Andiamo.
Escono (i gentiluomini).
AUTOLICO
Adesso, se non fosse per la macchia della mia vita passata, come niente mi toccherebbe una promozione. Fui io a portare il vecchio e suo figlio sulla nave del principe; e gli dissi anche che li avevo sentiti parlare di un fagotto e non so che altro: ma era tutto preso in quel momento dalla figlia del pastore (che tale allora la riteneva), la quale cominciava a soffrire un gran mal di mare, e lui stesso non stava molto meglio, con quel tempaccio che infuriava, e questo mistero rimase irrisolto. Ma per me fa lo stesso; perché se fossi stato io lo scopritore di questo segreto, non mi avrebbe giovato, vista la mia reputazione.
Entrano il Pastore e il Contadino.
Ecco che arrivano quelli che ho beneficato senza saperlo, e già appaiono nel fiore della loro fortuna.
PASTORE
Vieni, ragazzo; io ho passato l’età d’avere altri figlioli, ma i tuoi figli e figlie nasceranno tutti gentiluomini.
CONTADINO
Ben trovato, signore. Voi rifiutaste di battervi con me l’altro giorno dicendo che non ero gentiluomo nato. Vedete adesso questi abiti? Dite che non li vedete e consideratemi pure non nato gentiluomo: fareste meglio a dire che questi vestiti non sono gentiluomini nati: datemi la smentita; avanti, su; e provatevi ora a dire che non sono un gentiluomo nato.
AUTOLICO
Mi è noto, signore, che adesso siete un gentiluomo nato.
CONTADINO
Giusto, e lo sono stato da quattro ore.
PASTORE
Anch’io, ragazzo.
CONTADINO
Anche voi, sì: ma io son gentiluomo nato prima di mio padre; perché prima il figlio del re prese la mano a me e mi chiamò fratello; e solo dopo i due re chiamarono fratello mio padre; e poi il principe, mio fratello, e la principessa, mia sorella, chiamarono padre mio padre; e così ci mettemmo a piangere; e furono le prime lacrime da gentiluomini che mai versammo.
PASTORE
Ma nella vita possiamo, figlio, versarne molte altre.
CONTADINO
Già; sarebbe altrimenti mala sorte, vista la nostra prepostera situazione.
AUTOLICO
Vi supplico umilmente, signore, di perdonarmi tutte le colpe da me commesse verso vostra eccellenza e dire per me una buona parola al principe mio padrone.
PASTORE
Ti prego, figlio, fallo; perché dobbiamo essere gentili, ora che siamo gentiluomini.
CONTADINO
Cambierai vita?
AUTOLICO
Sì, se così piace a vostra eccellenza.
CONTADINO
Dammi la mano: giurerò al principe che sei il più onesto e sincero giovanotto che ci sia in Boemia.
PASTORE
È meglio dirlo senza giurarlo.
CONTADINO
Come non giurarlo, ora che sono un gentiluomo? Lasciate che burini e paesani dicano, io lo giurerò.
PASTORE
E se poi si scopre che è falso, figliolo?
CONTADINO
Sia pure falso quanto vuole, un vero gentiluomo può sempre giurarlo per aiutare un amico: e così, io giurerò al principe che sei un uomo di fegato quando c’è da menar le mani e che non ti ubriachi mai; ma io so che tu non sei per niente un uomo di coraggio con le mani e che ti ubriachi spesso: ma lo giurerò lo stesso, sperando che tu diventi un uomo di fegato quando c’è da menar le mani.
AUTOLICO
Farò il possibile, signore, per dimostrarmi tale.
CONTADINO
Ah sì, con ogni mezzo devi dimostrare d’essere un tipo in gamba: se io non mi stupisco di come tu osi ubriacarti, non essendo un tipo in gamba, non ti fidare di me. Ma ascoltate! I re e i principi, nostri parenti, vanno a vedere il ritratto della regina. Vieni con noi, seguici: saremo i tuoi buoni padroni.
Escono.
ATTO QUINTO – SCENA TERZA
Entrano Leonte, Polissene, Florizel, Perdita, Camillo, Paolina, nobili, (e servitori).
LEONTE
O Paolina buona e saggia, quale conforto
ho io trovato in te!
PAOLINA
Se non sempre ho agito bene,
maestà, l’intenzione è stata sempre buona. I miei servizi
l’avete tutti più che ripagati: ma ora che vi degnate,
col vostro coronato fratello ed i riconosciuti eredi
dei vostri regni, di visitare la mia povera casa,
è un onore per me così speciale che mai
avrò vita abbastanza per ricambiarlo.
LEONTE
O Paolina,
noi vi onoriamo dandovi fastidio: ma siamo venuti
a vedere la statua della nostra regina: la vostra galleria
abbiamo attraversato, non senza deliziarci
per le sue molte opere rare; ma non abbiamo visto
ciò che mia figlia è venuta a vedere,
la statua di sua madre.
PAOLINA
Com’ella fu impareggiabile in vita,
così la sua morta immagine, io stimo
ben al di sopra d’ogni cosa che avete visto finora,
o che mano d’uomo abbia fatto; perciò la tengo
isolata, a parte. Ma eccola qui: preparatevi
a vedere la vita così da vicino imitata come mai
l’immobile sonno imitò la morte; guardate ed ammirate.
(Paolina tira una tenda e scopre Ermione in piedi come una statua)
Mi piace il vostro silenzio, prova di più
la vostra meraviglia: ma tuttavia parlate; voi, per primo, mio signore.
È somigliante, vero?
LEONTE
Che posa naturale!
Rimproverami, cara pietra, ch’io possa dire invero
che sei Ermione; o piuttosto, lo sei davvero
perché non mi rimproveri; poiché ella era dolce
quanto l’infanzia e la grazia. Però, Paolina,
Ermione non era così rugosa, non così avanti
negli anni come appare qui.
POLISSENE
Oh, no davvero.
PAOLINA
Tanto più grande l’arte del nostro scultore,
che mostra il passaggio di circa sedici anni e la rappresenta
come se fosse viva adesso.
LEONTE
E se lo fosse,
Tanto sarebbe il mio conforto, quanto essa
ora mi trafigge il cuore. Oh, così stava,
con questa stessa viva maestà, calda vita,
come ora essa è fredda, quando la corteggiai la prima volta!
Sono umiliato: non mi rinfaccia forse la pietra
d’essere più pietra di lei? O regale opera!
C’è una magia nella tua maestà, che ha
risvegliato alla memoria le mie malvagità, ed ha
sospeso la vita nella tua stupefatta figlia
lasciandola di pietra accanto a te.
PERDITA
E datemi licenza,
e non dite che è superstizione, se ora a lei davanti
m’inginocchio e ne imploro la benedizione. Signora,
cara regina, che finiste quando io appena cominciavo,
lasciate che vi baci la mano.
PAOLINA
Oh, aspettate!
La statua è stata appena dipinta, il colore
non s’è ancora asciugato.
CAMILLO
Mio signore, così profondo in voi si radicò il dolore,
che sedici inverni non poterono soffiarlo via,
né sedici estati asciugarlo: raramente una gioia
visse mai tanto a lungo; né mai dolore
che non si spegnesse assai prima.
POLISSENE
Fratello mio caro,
permettete a chi fu causa di ciò di potervi
sollevare di una parte della vostra pena
per aggiungerla alla sua.
PAOLINA
In verità, mio signore,
se avessi immaginato che la vista della mia povera immagine
vi avrebbe fatto tale effetto – poiché la pietra è mia –
non ve l’avrei mostrata.
LEONTE
Non tirate la tenda.
PAOLINA
Non dovete più fissarla così, o la vostra immaginazione
potrà illudersi che ora cominci a muoversi.
LEONTE
Lasciate, lasciate!
Ch’io possa morire qui, ma già così mi sembra –
cos’era chi l’ha fatta? Guardate, mio signore,
non direste che respira? E che quelle vene
portano vero sangue?
POLISSENE
Magistralmente fatta:
la stessa vita sembra calda sul suo labbro.
LEONTE
C’è movimento nell’occhio che ci fissa,
tanto c’inganna l’arte.
PAOLINA
Io tiro la tenda:
il mio signore è ora tanto rapito che presto
penserà che sia viva.
LEONTE
Oh dolce Paolina,
fammi pensare così vent’anni in fila!
Non c’è senso pacato a questo mondo che valga
il piacere di questa follia. Lasciala stare così.
PAOLINA
Mi spiace, sire, d’avervi turbato a tal punto: ma
potrei affliggervi di più.
LEONTE
Fallo, Paolina;
perché quest’afflizione ha un sapore dolce
quanto ogni conforto del cuore. Eppure mi sembra
che un respiro venga da lei. Quale scalpello sopraffino
poté mai scolpire anche il fiato? Nessuno si burli di me,
ma io la voglio baciare.
PAOLINA
Mio buon signore, fermatevi:
il rosso delle labbra è umido ancora;
se lo baciate, lo rovinerete, e voi vi sporcherete
con olio di pittura. Posso tirare la tenda?
LEONTE
No, non per vent’anni ancora.
PERDITA
Tanti potrei anch’io
restare ad ammirarla.
PAOLINA
O desistete adesso
e subito lasciate la cappella, o siate pronti
ad altre meraviglie. Se potrete tollerarlo,
farò davvero muovere la statua; scendere
e prendervi per mano: ma allora penserete
(cosa che nego) che sono assistita
da poteri oscuri.
LEONTE
Tutto ciò che potrete farle fare,
sarò contento di vederlo: tutto ciò che potrete farle dire,
sarò contento di udire; farla parlare
dev’essere facile come farla muovere.
PAOLINA
È necessario
che svegliate in voi la fede. E adesso tutti fermi:
o – chi pensa che sia illecito
ciò che sto per fare, esca.
LEONTE
Va’ pure avanti:
nessuno oserà muoversi.
PAOLINA
Musica, destala; comincia! (Musica)
È ora; scendete; non siate più di pietra; avvicinatevi;
colpite di stupore chi vi guarda. Venite!
Colmerò io la vostra tomba: destatevi ormai, scendete:
lasciate alla morte il vostro torpore; poiché da lei
la cara vita vi riacquista. Come vedete, si muove:
(Ermione scende dal piedistallo)
Non trasalite; i suoi atti saranno sacri come
vi dico che il mio incantesimo è lecito. (A Leonte) Non v’allontanate
da lei finché non la vedrete morire di nuovo; perché così
la uccidereste per la seconda volta. Su, datele la mano:
quand’era giovane la corteggiaste; ora, in età,
è lei che vi corteggia?
LEONTE
Oh, ma è calda!
Se questa è magia, che essa diventi un’arte
legale come il mangiare.
POLISSENE
Ella l’abbraccia!
CAMILLO
E gli si stringe al collo.
Se è tra i vivi, fate che anche parli!
POLISSENE
Sì, e che riveli dove è vissuta,
o come fu rapita ai morti!
PAOLINA
Che è vivente,
se vi fosse detto, verrebbe canzonato
come una vecchia fiaba: ma sembra viva,
anche se non parla ancora. Ma aspettate un momento.
(A Perdita) Vi prego, intervenite, bella signora, inginocchiatevi
e implorate la benedizione di vostra madre. (A Ermione) Volgetevi, buona signora,
la nostra Perdita è stata ritrovata.
ERMIONE
Voi dei, volgete giù lo sguardo,
e dai vostri sacri vasi versate grazie
sul capo di mia figlia! Dimmi, mia cara,
dove sei stata salvata? Dove hai vissuto? Come sei giunta
alla corte di tuo padre? Poiché ora sentirai che io,
saputo da Paolina che l’oracolo
dava speranza che tu fossi in vita, mi son conservata
per assistere a questo finale.
PAOLINA
Per questo c’è tempo;
o loro vorranno (a questo punto) che voi turbiate
la vostra gioia con simili racconti. Andate,
voi tutti illustri vincitori; la vostra esultanza
dividete con tutti. Io, vecchia colomba,
volerò su qualche ramo secco, e là
il mio compagno (che mai più potrà esser ritrovato)
lamenterò, finché sarò finita.
LEONTE
Oh, basta così, Paolina!
Dovresti prendere marito per mio consenso,
come io ho preso moglie per il tuo: questo è un patto
suggellato tra noi con giuramento. Tu hai trovato la mia;
come, è ancora da chiedersi; poiché io la vidi,
come credetti, morta; e invano dissi molte
preghiere sulla sua tomba. Non cercherò lontano –
in quanto a lui, so in parte come la pensa – per trovarti
un marito degno di te. Vieni, Camillo,
e prendila per mano; tu il cui merito e onestà
sono ben noti; e qui garantiti
da noi, coppia di re. Adesso andiamo.
(A Ermione) Ah! Guardate mio fratello: perdonatemi entrambi,
che mai io misi tra i vostri puri sguardi
il mio perfido sospetto. Ecco vostro genero,
e figlio del re, che, con l’aiuto del cielo,
è promesso sposo di vostra figlia. Buona Paolina,
guidaci via da qui, dove possiamo in tutta pace
interrogarci l’un l’altro, e spiegare ognuno la parte
che ha recitato in quest’ampio intervallo di tempo,
da quando fummo separati: facci uscire presto.
Escono.
Il racconto d’inverno
(“A Winter’s tale” 1611)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V