(o “I due nobili congiunti”)
di William Shakespeare e John Fletcher
(“The two noble kinsmen” – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Trombe in luoghi diversi. Rumori e incitazioni come di gente alla festa del calendimaggio. Entra Arcite solo.
ARCITE
Il Duca ha perso Ippolita; ognuno andò
ad un diverso prato. Questo è un rito solenne
che si deve al Maggio fiorito, e gli Ateniesi l’offrono
con cerimonie elaborate. O regina Emilia,
più fresca del Maggio, più dolce
dei suoi boccioli d’oro sui rami, o di tutti
O smaltati gioielli del campo o del giardino – sì,
noi sfidiamo anche la riva d’ogni ninfa
che fa la corrente apparire di fiori – tu, o gioiello
del bosco, del mondo, hai parimenti benedetto un luogo
con la tua sola presenza. Nella tua fantasia
potessi io, povero mortale, un giorno introdurmi
ed occupare un tuo casto pensiero! Caso tre volte beato
capitare una tale padrona, e così
assolutamente inaspettato! Dimmi, signora Fortuna,
subito dopo Emilia mia regina, fino a che punto
potrò andarne fiero. Ella si cura molto di me,
mi ha messo vicino a lei; e in questa vaga mattina,
primavera di tutto l’anno, mi regala
un paio di cavalli; due destrieri ben degni
d’esser montati da una coppia di re in un campo
dove si decidesse il diritto alla corona. Ahimè, ahimè,
povero cugino Palamone, povero prigioniero, tu
che neppure sogni la mia fortuna,
ti consideri l’oggetto più fortunato, per essere
così vicino a Emilia; mi pensi a Tebe,
e perciò infelice, anche se libero. Ma se
tu sapessi che io colgo il respiro della mia padrona,
nell’orecchio il suo discorso, mi beo del suo sguardo – oh, cugino,
quale passione s’impadronirebbe di te!
Entra Palamone come da dietro un cespuglio, in catene; agita il pugno verso Arcite.
PALAMONE
Cugino traditore,
proveresti su di te la mia passione, se queste insegne
di prigionia non avessi addosso, e in questa mano
tenessi una spada. Per tutti i giuramenti messi insieme,
io e la giustizia del mio amore faremmo di te
un traditor confesso, oh, tu il più perfido
che mai ebbe gentile aspetto, il più vuoto d’onore
che mai portò nobile stemma, il più falso cugino
che mai fu parente di sangue. Tu la chiami tua?
Lo proverò anche in catene, con queste mani,
prive d’armi, che tu menti, e altro non sei
che un ladro in amore, uno scarto di nobiltà
indegno perfino del nome di vassallo. Avessi una spada,
e libero dai ceppi…
ARCITE
Caro cugino Palamone…
PALAMONE
Cugino Arcite, rivolgiti a me con il linguaggio
che hai dimostrato coi fatti.
ARCITE
Non trovando
nel cerchio del mio petto alcuna volgare qualità
che mi faccia simile al blasone che m’attribuite,
eccovi una risposta cortese: è la vostra passione
che così travede, che essendo vostra nemica
non può essere gentile con me. Onore ed onestà
io rispetto e ad essi m’attengo, per quanto
voi li ignoriate in me, e secondo queste norme, buon cugino,
continuerò a comportarmi. Vi piaccia, perciò,
esprimere in termini cortesi le vostre lagnanze, poiché
la contesa è con un pari vostro, il quale intende
rimuovere l’ostacolo nello spirito e con la spada
di un vero gentiluomo.
PALAMONE
Non oseresti, Arcite!
ARCITE
Cugino mio, cugino mio, siete stato ben avvisato
di quanto io osi; m’avete visto usare la spada
contro i consigli della paura. Sicuramente da un altro
non sopportereste ch’io fossi messo in dubbio, ma il silenzio
rompereste, perfino in un santuario.
PALAMONE
Signore,
vi ho visto agire in tali situazioni che bene
potrebbero provare il vostro eroismo; avevate fama
di buon e ardito cavaliere. Ma non l’intera settimana è bella
se piove un giorno; il loro carattere coraggioso
perdono gli uomini quando cedono al tradimento,
e allora combattono come orsi forzati, che fuggirebbero
se non fossero legati.
ARCITE
Cugino, meglio fareste
a parlare e agitarvi così davanti a uno specchio
che all’orecchio di colui che ora vi disdegna.
PALAMONE
Vieni qui,
liberami da queste fredde catene, dammi una spada,
anche arrugginita, e della carità
di un pasto fammi credito. Vieni davanti a me poi,
una buona spada in mano, e di’ soltanto
che Emilia è tua: io ti perdonerò
il torto che mi hai fatto – la vita, pure,
se avrai la vittoria; e le anime valenti tra le ombre
che son morte da prodi, quando mi chiederanno
notizie dalla terra, non avranno altra che questa,
che tu sei coraggioso e nobile.
ARCITE
Siate di buon animo;
tornate nel vostro spinoso rifugio.
Sotto la protezione della notte, tornerò qui
con cibo sostanzioso; quest’impicci
limerò via; avrete abiti, e profumi
per coprire l’odore della prigione. Dopo
che vi sarete sgranchito, dite soltanto “Arcite,
sono pronto,” e sarà lì per voi
sia spada che armatura.
PALAMONE
O voi cieli, può uno
così nobile commettere un’azione vergognosa? Nessuno
se non Arcite; perciò nessuno se non Arcite
in questo osa tanto.
ARCITE
Dolce Palamone!
PALAMONE
Abbraccio voi e la vostra offerta – ma lo faccio
solo per la vostra offerta, signore; alla vostra persona,
senza ipocrisia, non potrei augurare
altro che il filo della mia spada.
Suono di corni fuori scena; trombe.
ARCITE
Sentite i corni;
rientrate nella vostra tana, o il nostro incontro
sarà sventato prima dell’inizio. Datemi la mano; addio;
vi porterò ogni cosa necessaria; vi prego
confortatevi e siate forte.
PALAMONE
Prego, mantenete la promessa;
e fate quest’atto con faccia irata. Chiaramente
voi non mi amate; mostratemivi ostile, dunque,
meno olio nelle vostre parole; per quest’aria,
vorrei ad ogni parola darvi un pugno, la bile
in me non cede alla ragione.
ARCITE
Avete parlato chiaro.
Ma scusatemi dall’usare parole offensive; quando sprono
il mio cavallo, io non l’insulto; contentezza o rabbia
in me hanno una sola espressione.
Suonano i corni.
Sentite, signore, suonano
il raduno al banchetto; avrete capito
che ho un incarico là.
PALAMONE
Signore, il vostro servizio
non può piacere al cielo, e certo l’incarico
è stato ottenuto con l’inganno.
ARCITE
Ben guadagnato, invece.
Sono convinto che questa disputa, infetta tra noi,
dev’essere curata da un salasso. Chiedo
che alla vostra spada affidiate il dibattito,
e non se ne parli più.
PALAMONE
Ancora una parola.
Ora voi andate a contemplare la mia dama –
poiché, badate, essa è mia –
ARCITE
No, dunque –
PALAMONE
No, vi prego.
Voi parlate di nutrirmi per ridarmi forza;
ma ora vi avviate a contemplare un sole
che ristora chi lo guarda; là voi avete
un vantaggio su di me, ma godetelo finché
io possa imporre il mio rimedio. Addio. Escono.
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entra la Figlia del Carceriere sola.
FIGLIA
Non ha compreso quale macchia intendessi, è andato
per conto suo. Ora è quasi mattina.
Poco m’importa; vorrei che fosse notte perpetua,
e l’oscurità signora della terra. Senti; è un lupo!
In me il dolore ha ucciso la paura, e tranne una cosa
non m’importa di nulla, e quella è Palamone.
Non faccio conto se i lupi mi sbranassero, se solo
egli avesse questa lima; e se lo chiamassi?
Non posso gridare; se urlassi, che sarebbe poi?
Se non rispondesse, richiamerei un lupo,
e gli farei un bel servizio. Ho sentito
strani ululati per tutta questa notte; e se fosse
che già ne han fatto preda? Egli non ha armi;
non può correre; il tintinnio delle sue catene
potrebbe richiamare bestie feroci, che hanno in sé
un istinto per riconoscere un uomo disarmato
e fiutano dove c’è resistenza. Potrei giurarci
che l’hanno fatto a pezzi; ulularono tutti insieme,
e poi lo mangiarono; e così è finita.
Fatti coraggio e suona la campana. E poi che sarà di me?
Tutto è finito ora che lui è andato. No, no, m’inganno;
mio padre sarà impiccato per la sua fuga,
io a mendicare, se tenessi alla vita tanto
da negare la mia azione; ma non lo farò,
dovessi soffrire la morte in mille modi. Sono confusa;
non presi cibo questi due giorni; solo un poco d’acqua.
Non ho chiuso gli occhi, se non quando
le palpebre spazzavan via il salmastro. Ahimè,
sciogliti, vita, prima ch’io perda il senno,
e non m’anneghi, o pugnali, o m’impicchi.
O edificio della natura, cedi in me del tutto,
Se i tuoi più forti sostegni si sono piegati! Da che parte adesso?
La via migliore è la più breve alla tomba;
ogni passo che erri altrove è tortura. Ecco,
la luna è tramontata, i grilli stridono, la strige
invoca l’alba. Ogni compito è concluso,
tranne quello in cui fallisco; ma il punto è questo,
una fine, ed è tutto. Esce.
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entra Arcite, con cibo, vino, e lime.
ARCITE
Dovrei esserci vicino. Ehi là, cugino Palamone!
Entra Palamone.
PALAMONE
Arcite?
ARCITE
Sono io. Vi ho portato cibo e lime;
venite avanti e non temete, non c’è Teseo qui.
PALAMONE
E nessuno onesto come lui, Arcite.
ARCITE
Lasciate perdere;
litigheremo più tardi. Venite, fatevi coraggio;
non morirete come una bestia. Ecco, signore, bevete,
so che siete debole; poi vi parlerò.
PALAMONE
Arcite, ora potresti avvelenarmi.
ARCITE
Potrei;
ma perché dovrei aver paura di voi? Sedetevi, amico mio,
basta con questi vaneggiamenti; ora,
tornati ad essere quelli che eravamo,
non parliamo da sciocchi e da codardi. Alla vostra salute!
Beve.
PALAMONE
Avanti.
ARCITE
Prego, allora, sedetevi, e lasciate che vi chieda,
per tutta l’onestà e onore in voi,
di non far menzione di questa donna, ci turberebbe.
Avremo tempo abbastanza.
PALAMONE
Ebbene, signore, ve lo suggello.
Beve.
ARCITE
Mandate giù una bella sorsata, fa buon sangue, amico,
non lo sentite come vi disgela?
PALAMONE
Aspettate, ve lo dirò
dopo uno o due sorsi ancora.
ARCITE
Non misuratelo;
il Duca ne ha altro, cugino. Ora mangiate.
PALAMONE
Sì.
Mangia.
ARCITE
Son contento
che abbiate sì buon appetito.
PALAMONE
Son più contento io
che abbia trovato sì buon cibo.
ARCITE
Che cosa da pazzi star
qui nei boschi selvaggi, eh, cugino?
PALAMONE
Sì, per coloro
con la coscienza inselvaggita.
ARCITE
Son saporite le vostre vettovaglie?
La vostra fame non ha bisogno di salse, vedo.
PALAMONE
Non direi;
ma se anche fosse, la vostra è troppo aspra, buon cugino.
Questo cos’è?
ARCITE
Selvaggina.
PALAMONE
Carne libidinosa;
datemi ancora vino. Qua, Arcite, alle ragazze
conosciute ai nostri giorni! La figlia di milord sovrintendente –
la ricordate?
ARCITE
Dopo di voi, cugino.
PALAMONE
Amava un uomo dai capelli neri.
ARCITE
Così fu; ebbene, signore?
PALAMONE
Ed ho sentito che si chiamava Arcite, e…
ARCITE
Avanti, allora.
PALAMONE
E l’incontrava sotto le fraschette.
Che ci faceva là, cugino? Suonava il verginale?
ARCITE
Qualcosa ci faceva, signore.
PALAMONE
Che ce la faceva gemere per un mese –
o due, o tre, o dieci.
ARCITE
La sorella di milord cerimoniere
ebbe pure la sua parte, se ben ricordo, cugino,
se non c’erano frottole in giro; brindate a lei?
PALAMONE
Sì.
ARCITE
Una bella brunetta. Ci fu un tempo
che i ragazzi eran fuori a cacciare – e un bosco,
e un grande faggio – e poi tutta una storia –
aah!
PALAMONE
Per Emilia, ci giurerei! Pagliaccio,
smettila con quest’allegria forzata; lo ripeto,
quel sospiro t’è uscito per Emilia. Vile cugino,
osi per primo rompere il patto?
ARCITE
Vi sbagliate.
PALAMONE
Per il cielo e la terra,
niente c’è in te di onesto.
ARCITE
Allora me ne vado;
siete una bestia adesso.
PALAMONE
Tale tu mi riduci, traditore.
ARCITE
Ecco quanto vi serve; lime, e camicie, e profumi.
Tomo da qui a due ore, e porto
quello che placherà ogni cosa.
PALAMONE
Una spada e l’armatura!
ARCITE
Non dubitate. Ora siete troppo sporco; addio.
Toglietevi quei ninnoli; nulla vi mancherà.
PALAMONE
Messere…
ARCITE
Basta con le parole. Esce.
PALAMONE
Se mantiene la promessa, per essa morirà.
Esce.
ATTO TERZO – SCENA QUARTA
Entra la Figlia del Carceriere.
FIGLIA
Ho tanto freddo, e anche tutte le stelle sono andate via,
tutte le stelle piccoline, che sembrano lustrini.
Il sole ha visto la mia pazzia. Palamone!
Ahimè, no; lui è in cielo. Dove mi trovo io ora?
Quello là è il mare, e c’è una nave; veh, come balla!
E c’è uno scoglio in agguato sotto l’acqua;
ecco, ecco, ci va a sbattere sopra; ecco, ecco, ecco,
s’è aperta una falla, e grossa anche; come gridano!
Mettetela sottovento, o tutto è perduto;
su con una vela bassa o due, e virate di bordo, ragazzi.
Buona notte, buona notte, siete andati. Ho tanta fame.
Se potessi trovare un bel ranocchio; mi racconterebbe
le novità da ogni parte del mondo; poi mi farei
un galeone con una conchiglia, e navigherei
est e nord-est fin dal Re dei Pigmei,
che sa leggere bene l’avvenire. Mio padre adesso,
venti a uno che lo issano su in un batter d’occhio
domani mattina; io non dirò nulla. [Canta]
Ché mi taglierò il vestito verde, un piede sopra il ginocchio,
e mi scorcerò la chioma d’oro, un pollice sotto l’occhio;
eh, pocchio, pocchio, pocchio.
Mi comprerà un bianco destriero perch’io ci vada su
e andrò per tutto il mondo a cercarlo in su e in giù;
eh, clicchete, clocchete, clu.
Oh, s’avessi una spina adesso, come un usignuolo,
a metterci contro il petto; sennò m’addormento come un piolo.
Esce.
ATTO TERZO – SCENA QUINTA
Entrano un Maestro di scuola, sei Rustici, uno vestito da babbuino, e cinque ragazzotte, più un Tamburino
MAESTRO
Vergogna, vergogna,
che tediosume ed arcipazzeria
sta qui in mezzo a voi! Quante volte i miei rudimenti
vi son stati spiegati, spremuti dentro,
e, per metafora, perfino il brodo d’uva passa
e il midollo del mio intendimento servito col cucchiaino?
E com’è che ancora gridate ‘dove?’ e ‘come?’- e ‘perché?’
Voi cervelli di grossissima rascia, teste di genovese cotonazzo,
ho detto ‘così lascia’, e ‘lascia là’,
e ‘poi lascia’, e nessuno mi capisce?
Proh deum, medius fidius , voi tutti somari siete!
Mannaggia, io sto qui; qua viene il Duca; là state voi
nascosti nel boschetto. Il Duca compare; io mi approssimo,
e al suo cospetto sortisco un discorso sapiente,
con molte figurazioni; lui sente, e approva, e borbotta,
e poi grida ‘Bellissimo’ ed io continuo; alla fine
butto il berretto in aria – attenti! allora voi,
come fecero un tempo Meleagro e il cinghiale,
irrompete bellini davanti a lui, come veri innamorati,
vi mettete graziosamente in fila, e dolcemente,
secondo la figura, spassettate e giravoltate, ragazzi.
PRIMO RUSTICO
E dolcemente così faremo, Mastro Geraldo.
SECONDO RUSTICO
Radunate la compagnia. Dov’è il tamburino?
TERZO RUSTICO
Ehi, Timoteo!
TAMBURINO
Son qui, fanatici; eccomi a voi!
MAESTRO
Ma, dico io, dove sono le donne?
QUARTO RUSTICO
Qui c’è la Franchina e Maddalena.
SECONDO RUSTICO
E la Lucietta gambe bianche, e Barbara la tettona.
PRIMO RUSTICO
E Nella la russola, che non mancò mai al suo cavaliere.
MAESTRO
Dove li avete i nastri, ragazze? Muovete leggiadro il corpo,
e tenetevi dolci e leggere,
ed ogni tanto riverenza e saltellino.
NELLA
Lasciate fare a noi, signore.
MAESTRO
Dov’è il rimanente dei musici?
TERZO RUSTICO
Dispersi come voi ordinaste.
MAESTRO
Accoppiatevi, dunque,
e vediamo cosa manca. Dov’è il babbuino?
Amico mio, la coda portala senza sconcezze
o scandalezzi per le signore; e ricordati
di saltare con audacia e coraggio,
e quando abbai, di farlo con giudizio.
BABBUINO
Sì, signore.
MAESTRO
Quousque tandem? Qui manca una donna!
QUARTO RUSTICO
Ora si va a bischeri; gli è tutto da rifare.
MAESTRO
Abbiamo,
come saggi scrittori sentenziano, lavato una tegola;
siamo stati fatuus, e faticato per niente.
SECONDO RUSTICO
È la smorfiosa, lo scorfano scorbutico
che promise solennemente di venire…
Cecilia, la figlia del sarto;
i prossimi guanti che le do saran di cane!
Ma, se mi bidona una volta… Dillo tu, Arcade,
lo giurò sul vino e sul pane che non mancava.
MAESTRO
Donne e anguille,
dice un poeta saggio, se per la coda
e con i denti non le tieni, ti sgusciano via.
Nel buon uso questa era errata posizione.
PRIMO RUSTICO
La pigli un gratta-gratta; ora ci ripensa?
TERZO RUSTICO
Che cosa decidiamo, signore?
MAESTRO
Nulla;
il nostro progetto si è fatto nullità,
e una dolente e una pietosa nullità, per giunta.
QUARTO RUSTICO
Adesso che l’onore del borgo è in palio,
adesso fa la permalosa e piscia sulle ortiche!
Va in malora, questa me la ricordo; ci penserò io a te.
Entra la Figlia del Carceriere.
FIGLIA [canta]
La George Alow veniva dal sud
dalla costa dei Barbari-a;
le vennero incontro le belle fregate,
a una, a due, a tri-a.
Ben trovate, ben trovate, voi belle fregate,
e per dove veleggiate-a?
Oh, tenetemi compagnia
finché arrivo a casa mia-a.
C’eran tre allocchi che s’allocchirono per un gufino;
[canta]
Uno disse che era un gufo,
l’altro disse di no;
il terzo disse che era una poiana
e le campane via gli tagliò.
TERZO RUSTICO
Ecco una bella matta, maestro, arriva
al momento giusto, matta come una lepre di marzo.
Se riusciamo a farla ballare, siamo di nuovo a posto;
scommetto che farà i salti più belli.
PRIMO RUSTICO
Una matta? Ci siamo, ragazzi!
MAESTRO
E voi siete matta, buona donna?
FIGLIA
Sarei infelice altrimenti.
Datemi la mano.
MAESTRO
Perché?
FIGLIA
Io so leggere l’avvenire.
Siete scemo. Contate fino a dieci; c’è cascato. Sciuh!
Amico, non dovete mangiare pane bianco; se lo fate
i denti vi sanguineranno a non finire. Balliamo, allora?
Io vi conosco, siete stagnino; messere stagnino,
non tappate più buchi di quelli che dovreste.
MAESTRO
Dii boni,
io stagnino, madamigella?
FIGLIA
Oppure negromante;
evocatemi un diavolo adesso, e fategli suonare
Chi passa con ossa e campanelle.
MAESTRO
Andate a prenderla,
e con buoni argomenti convincetela a starci.
Et opus exegi, quod nec Iovis ira nec ignis…
Musica, e portatela dentro.
SECONDO RUSTICO
Venite, ragazza, ecco i passi.
FIGLIA
Conduco io.
TERZO RUSTICO
Forza, forza.
MAESTRO
Con blandizia e furberia! Via, ragazzi.
Suono di corni dentro.
Sento i corni; datemi un momento per pensare,
e attenti al segnale. Escono tutti tranne il Maestro.
Pallade ispirami!
Entrano Teseo, Piritoo, Ippolita, Emilia, Arcite e seguito.
TESEO
Per di qua prese il cervo.
MAESTRO
Restate, e edificatevi!
TESEO
Che abbiamo qui?
PIRITOO
Un rustico trattenimento, sulla mia vita, sire.
TESEO
Ebbene signore, procedete, ci edificheremo.
Signore, sedetevi; staremo a vedere.
Vengono portati una sedia e degli sgabelli; le signore si siedono.
MAESTRO
Tu valente Duca, ave e salute; salute grandini su voi, gentili dame!
TESEO
Freddino come inizio.
MAESTRO
Se solo v’intrattenga, il nostro rustico divertimento è fatto.
Noi siamo pochi di quei congregati qui
che rozza lingua fa apparir villani;
e per dire la verità, e non favoleggiare
siamo un’allegra brigata, oppure una ganga,
o compagnia, o per estensione, chorus,
che innanzi alla tua dignità una moresca danzerà.
Ed io che sono l’organizzatore di tutto,
per ufficio pedagogus, che faccio calare
la ferula sulle brache dei piccini,
e umilio con un bastone i più cresciutelli,
ora introduco questa macchinazione, o quest’intrattenimento;
e, grazioso duca, la cui possente-terrificante fama
da Dite a Dedalo, di posta in pilastro,
è diffusa in giro, aiuta me, tuo meschin ben-volente,
e coi tuoi occhi ammiccanti guarda a dritta e davanti
a questo ‘moro’ prestante, di gran peso;
‘esca’ viene ora avanti, che incollati insieme
‘moresca’ diviene, e la ragione che ci ha condotti qua,
centro del nostro gioco e di studio non poco.
Io compaio per primo, benché rozzo, e incolto, e fangoso,
a pronunciare al tuo nobile cospetto questo discorso,
ai cui grandissimi piedi depongo il mio scrittorio;
prossimi, il Sire di Maggio e Madonna Lucente;
la cameriera ed il famiglio, che notturnamente
cercano un arazzo discreto; poi il mio signor oste
con grassa consorte, che benevolo accoglie a spese sue
l’esausto viaggiatore, e con un cenno
informa il sommelier d’attizzare il conto;
quindi il villano, fratel di latte ai vitelli , e poi il buffone,
il babbuino, con lunga coda, e lungo ugual strumento,
cum multis aliis che fanno il danzamento;
di’ ‘sì’, e tutti immantinente avanzeranno.
TESEO
Sì, sì, senz’altro, caro domine.
PIRITOO
Fuori perciò!
MAESTRO
Intrate, filii! Venite avanti e forza coi piedi.
Il Maestro bussa; entrano i danzatori. Si suona musica; danzano.
Signore, se un poco matti noi siamo stati,
e i nostri scherzi vi sono piaciuti,
ed uno su ed uno giù,
dite che il maestro buffone non fu;
Duca se a te siamo pure piaciuti,
e abbiam danzato da bravi ragazzi,
dacci soltanto un albero o due
per il calendimaggio, e di nuovo,
avanti sia trascorsa un’altra annata,
faremoti riridere con tutta la brigata.
TESEO
Prendine venti, domine. [A Ippolita] Come va la mia dolcezza?
IPPOLITA
Mai così divertita, signore.
EMILIA
La danza era eccellente,
e quanto al prologo, non ne ho mai sentito uno migliore.
TESEO
Maestro, vi ringrazio. – Si provveda a compensarli tutti.
PIRITOO
E qui c’è qualcosa di cui ornare il vostro albero.
TESEO
Ora si riprenda la caccia.
MAESTRO
Possa il cervo che cacci darti lunga emozione,
e siano i tuoi cani veloci nell’azione;
che riescano ad ucciderlo senza impedimenti
e mangino le dame i suoi penzolamenti.
Suono di corni. Escono Teseo, Piritoo, Ippolita, Emilia, Arcite, e seguito.
Ovvìa, c’è andata bene. Dii deaeque omnes,
avete danzato proprio divinamente, ragazzotte. Escono.
ATTO TERZO – SCENA SESTA
Entra Palamone dalla boscaglia.
PALAMONE
Circa a quest’ora mio cugino dette la parola
di visitarmi di nuovo, e portare con sé
due spade e due buone armature; se manca,
non è né uomo né soldato. Quando mi lasciò,
pensavo che una settimana non sarebbe bastata
a ridarmi le forze perdute, tanto ero abbattuto
e indebolito dalle privazioni. Ti ringrazio, Arcite,
sei un nemico leale; ed io mi sento,
così rinfrancato, capace una volta ancora
d’affrontare i pericoli. Rimandare oltre
farebbe pensare il mondo, quando lo verrà a sapere,
che m’ingrassavo come un maiale per battermi,
e non come un soldato. Perciò questa radiosa mattina
sarà l’ultima; e la seconda spada che porterà,
se solo non si spezza, l’ucciderò con essa; è regolare.
Sicché, amore e fortuna a me!
Entra Arcite con armatura e spade.
Oh, buon giorno.
ARCITE
Buon giorno, nobile cugino.
PALAMONE
Vi ho arrecato
troppo fastidio, signore.
ARCITE
Mai troppo, bel cugino,
quello che è solo un debito d’onore, e mio dovere.
PALAMONE
Se così foste in tutto, signore; in voi potrei augurarmi
un così gentile parente come voi mi forzate a riconoscervi
nemico generoso, e vi ringrazierebbero,
i miei abbracci, non i miei colpi.
ARCITE
Troverò gli uni o gli altri,
se ben dati, un nobile compenso.
PALAMONE
Allora pareggerò con voi il conto.
ARCITE
Sfidatemi in questi termini cortesi, e mi apparirete
più caro d’un’amante; basta con la rabbia,
per quanto vi è cara ogni cosa che sia cavalleresca!
Non ci hanno educati a far discorsi, amico; una volta armati,
ed entrambi in guardia, irrompa la nostra furia,
come il cozzare di due maree, da noi violentemente,
e allora a chi il patrimonio di questa bellezza
spetti veramente – senza corrucci, scherni,
insulti alle nostre persone, ed altri imbronciamenti
più adatti a ragazzine e scolaretti – si vedrà,
e rapidamente, vostro o mio. Volete armarvi, signore?
O se non vi sentite pronto ancora
e forte della vecchia energia, aspetterò, cugino,
ed ogni giorno vi riconforterò nella salute,
nel tempo libero. Alla vostra persona sono amico,
e quasi vorrei non aver detto che amavo colei,
per quanto sarei morto; ma poiché amo tale signora,
ed il mio amore è giustificato, non devo rinnegarlo.
PALAMONE
Arcite, tu sei così coraggioso come avversario
che nessuno oltre a tuo cugino è degno d’ucciderti.
Son sano e vigoroso. Scegli le armi.
ARCITE
Scegliete voi, signore.
PALAMONE
Vuoi superarmi in tutto, o lo fai
per far ch’io ti risparmi?
ARCITE
Se così pensate, cugino,
Vi sbagliate, perché come io sono un soldato
non vi risparmierò.
PALAMONE
Ben detto.
ARCITE
Lo constaterete.
PALAMONE
Allora, poiché io sono un uomo giusto e amo,
con tutta la giustizia di un innamorato
ti punirò come meriti. Prendo questa.
Sceglie l’armatura.
ARCITE
Questa perciò è la mia.
Armerò prima voi.
PALAMONE
D’accordo. Prego dimmi, cugino,
dove rimediasti questa bella armatura?
ARCITE
È del Duca,
e a dir la verità, la rubai. Vi stringo?
PALAMONE
No.
ARCITE
Non è troppo pesante?
PALAMONE
Ne ho portate di più leggere,
ma farò buon uso di questa.
ARCITE
Ve l’allaccio stretta.
PALAMONE
Non abbiate timore.
ARCITE
Non volete un grande pettorale?
PALAMONE
No, no, non useremo i cavalli. Ma forse
voi preferireste un tale scontro?
ARCITE
Mi è indifferente.
PALAMONE
Invero a me pure. Buon cugino, infilate la fibbia
ben dentro.
ARCITE
State certo.
PALAMONE
Il mio elmo adesso.
ARCITE
Volete combattere senza bracciali?
PALAMONE
Saremo più spediti.
ARCITE
Mettete comunque i guanti. Quelli sono scadenti;
ti prego prendi i miei, buon cugino.
PALAMONE
Grazie, Arcite.
Come ti sembro? Son molto dimagrito?
ARCITE
In verità assai poco; l’amore vi ha trattato con riguardo.
PALAMONE
Ti garantisco che andrò fino in fondo.
ARCITE
Fatelo, senza risparmio;
ve ne darò incentivo, buon cugino.
PALAMONE
A voi ora, signore.
Arma Arcite.
Mi pare quest’armatura molto simile a quella, Arcite,
che indossavi il giorno che caddero i tre re, soltanto
più leggera.
ARCITE
Quella era ottima, e quel giorno,
ricordo bene, voi mi superaste, cugino.
Non vidi mai tale valore; quando vi lanciaste
sull’ala sinistra del nemico,
io spronai forte per raggiungervi, e sotto di me
avevo un ottimo cavallo.
PALAMONE
Lo era davvero;
un bel baio, ricordo.
ARCITE
Sì, ma ogni mio sforzo
fu fatica vana; correste tanto avanti a me,
neppure col desiderio potei tenervi dietro; eppure un poco
feci per emulazione.
PALAMONE
Più per coraggio;
Siete modesto, cugino.
ARCITE
Quando vi vidi caricare in testa,
mi sembrò udire un tremendo scoppio di tuono
levarsi dalla truppa.
PALAMONE
Ma ancor prima di quello balenò
il folgore del vostro valore. Aspettate un momento;
non è questo pezzo troppo stretto?
ARCITE
No, no, è perfetto.
PALAMONE
Voglio che niente t’offenda, ma la mia spada;
un livido sarebbe disonore.
ARCITE
Son tutto pronto adesso.
PALAMONE
Discostiamoci allora.
ARCITE
Prendi la mia spada; la ritengo migliore.
PALAMONE
Vi ringrazio. No, tenetela, ne va della vita vostra.
Eccone una; solo che regga, non chiedo di più,
per ogni mia speranza. La mia causa e l’onore mi proteggano!
ARCITE
E me il mio amore!
S’inchinano in diverse direzioni, poi avanzano e si fermano.
Resta altro da dire?
PALAMONE
Questo soltanto, e basta. Tu sei il figlio di mia zia,
e il sangue che desideriamo versare è fratello,
in me, il tuo, e in te, il mio; la spada
ho in mano, e se tu mi uccidi
gli dei ed io ti perdoniamo. Se c’è
un luogo destinato a coloro che dormono nell’onore,
mi auguro che l’anima affaticata di chi cade vi arrivi.
Combatti bene, cugino; dammi la tua nobile mano.
ARCITE
Eccola, Palamone. Questa mano mai più
ti toccherà con tale affetto.
PALAMONE
Ti raccomando a Dio.
ARCITE
Se cado, maledicimi, e di’ ch’ero un codardo,
perché essi soltanto muoiono in queste giuste prove.
Un ultimo addio, mio cugino.
PALAMONE
Addio, Arcite.
Combattono. Poi suono di corni all’interno; si fermano.
ARCITE
Oh, cugino, ahimè, la nostra follia ci ha perduti!
PALAMONE
Perché?
ARCITE
Questo è il Duca, a caccia come vi dissi;
Se siamo scoperti, è finita. Oh, nascondetevi
in nome dell’onore e della sicurezza, subito
nella vostra boscaglia nuovamente, signore; troveremo
per morire tempo abbastanza poi. Gentile cugino,
se siete visto, vi uccidono all’istante
per la vostra evasione, ed io, se voi mi rivelate,
per aver rotto il bando; tutto il mondo ci disprezzerà,
dicendo che avemmo una nobile contesa
ma una meschina conclusione.
PALAMONE
No, no, cugino,
non mi nasconderò oltre, né rinvierò
questa grande occasione a una seconda prova.
Conosco il vostro gioco, e l’ingiustizia della vostra causa;
chi adesso si ritira, che sia disonorato! Rimettiti
subito in guardia.
ARCITE
Siete forse ammattito?
PALAMONE
O farò mio il vantaggio di quest’ora,
e quanto alla minaccia che s’avvicina
la temo meno di quest’esito. Ricorda, vile cugino,
io amo Emilia, e in quest’amore seppellirò
te, e ogni altro ostacolo.
ARCITE
Sia allora quel che sia,
imparerai, Palamone, ch’io sfido anche il morire
come il parlare o il sonno; solo questo mi spaventa,
che il patibolo ci privi di una morte onorata.
Bada per la tua vita!
PALAMONE
Bada bene alla tua, Arcite.
Riprendono a combattere. Suono di corni all’interno; entrano Teseo, Ippolita, Emilia, Piritoo, e seguito.
TESEO
Quali pazzi ignoranti e malvagi traditori
siete voi, che a dispetto di ordini precisi nei miei editti
combattete, così in tutto come cavalieri armati,
senza il mio permesso e araldi d’arbitraggio?
Per Castore, entrambi morirete.
PALAMONE
Sii di parola, Teseo;
poiché siamo certamente traditori entrambi, e in vilipendio
di te e della tua generosità. Io sono Palamone
tuo nemico da sempre, che evase dalla tua prigione –
ricorda ciò che questo comporta – e questo è Arcite;
un traditore così sfrontato mai calpestò questo suolo,
uno più falso mai si finse amico; questo è colui
per cui grazia fu chiesta e fu esiliato, costui spregia te
e ciò che tu decreti, e in queste vesti,
contro il tuo editto è al seguito di tua cognata,
quella stella splendente di buona fortuna, la bella Emilia
il cui servo devoto, se c’è un diritto nel vedere,
e per primo dedicarle la propria anima, giustamente
sono io – e per di più, osa pensarla sua.
Di questo tradimento, da sincerissimo amante,
l’ho sfidato ora a rispondere; se tu sei,
come hai fama, magnanimo e nobile,
vero arbitro di ogni contesa,
di’ ‘combattete ancora’, e mi vedrai, Teseo,
render tale giustizia che tu stesso invidierai.
Poi prendi la mia vita; ti supplicherò di farlo.
PIRITOO
O cielo,
questi vale più di un uomo!
TESEO
Ho dato la parola.
ARCITE
Non cerchiamo
un tuo sospiro di misericordia, Teseo; per me
il morire sarà come per te pronunciar la sentenza,
non ne sarò più scosso. Ma poiché costui mi chiama traditore,
lascia ch’io dica almeno questo: se c’è tradimento nell’amore,
nella devozione a una bellezza sì eccelsa,
come io l’amo sopra ogni cosa, e in fedeltà di lei morirò,
come ho rischiato qui la vita a confermarlo,
come l’ho servita in virtù e dovozione,
come non esiterò a uccidere questo cugino che lo nega,
chiamatemi allora perfido traditore, e mi farete contento.
Quanto a sprezzare la tua legge, Duca, chiedi a quella signora
perché è tanto bella, e perché i suoi occhi mi comandano
di stare qui ad amarla; e se lei mi chiama ‘traditore’,
sono uno scellerato degno di restare insepolto.
PALAMONE
Sarai pietoso verso entrambi, o Teseo,
se né l’uno né l’altro vorrai risparmiare. Chiudi,
giusto come tu sei, il tuo nobile orecchio avverso a noi;
per il tuo valore, per l’anima di tuo cugino,
le cui dodici tremende fatiche ne incoronano la memoria,
concedici di morire insieme, nello stesso momento, Duca;
solo che lui cada un istante prima di me,
sì ch’io possa dire alla mia anima che lei non sarà sua.
TESEO
Accolgo la vostra supplica, perché, a dire il vero, vostro cugino
è dieci volte più colpevole, dato che io gli dimostrai
più clemenza di quanta voi ne trovaste, signore, non essendo
le vostre colpe maggiori delle sue. Nessuno qui parli per loro;
prima che il sole tramonti, entrambi dormiranno per sempre.
IPPOLITA
Ahimè che sventura! Ora o mai più, sorella,
parlate per non esser rifiutata; il vostro viso
altrimenti sopporterà le maledizioni dei secoli futuri
per questi due cugini perduti.
EMILIA
Nel mio viso, sorella cara,
non trovo ira per loro, né rovina;
la sventura che lì uccide sta nei loro occhi;
ma poiché voglio esser donna e pietosa,
i miei ginocchi affonderanno nel suolo se non otterrò clemenza.
Aiutatemi, cara sorella; in un’azione così onorevole,
i voti di ogni donna saranno per noi.
[Le signore s’inginocchiano.]
Molto regale fratello…
IPPOLITA
Sire, per la nostra unione in matrimonio…
EMILIA
Per il vostro onore immacolato…
IPPOLITA
Per quella fede,
quella bella mano e quel cuore schietto che mi deste…
EMILIA
Per la pietà che aspettereste in altri,
per le vostre virtù infinite…
IPPOLITA
Il valore,
e tutte le caste notti in cui ti ho dato gioia…
TESEO
Questi sono strani incantamenti.
PIRITOO
E anch’io mi unisco;
per tutta la nostra amicizia, sire, e i pericoli corsi,
per tutto ciò che più amate, guerre e questa dolce signora…
EMILIA
Per ciò che non avreste osato rifiutare
a una timida vergine…
IPPOLITA
Per gli occhi vostri; per la forza
in me che voi giuraste superare ogni donna,
quasi ogni uomo, e cui pur rinunciai, Teseo…
PIRITOO
A coronare il tutto; per la vostra anima nobilissima,
cui non può mancare giusta clemenza, per primo chiedo …
IPPOLITA
Ascolta poi le mie preghiere…
EMILIA
Lascia infine che io ti supplichi, sire…
PIRITOO
D’aver pietà.
IPPOLITA
Pietà.
EMILIA
Pietà per questi principi!
TESEO
Voi fate vacillare la mia parola. E s’io provassi
compassione per entrambi, come l’applichereste?
EMILIA
Concedendo la vita – ma accompagnata dall’esilio.
TESEO
Siete proprio donna, sorella; avete pietà,
ma vi manca il senso per applicarla.
Se desiderate che vivano, escogitate un modo
più sicuro dell’esilio; possono vivere questi due,
avendo in sé il tormento dell’amore,
senza uccidersi l’un l’altro? Ogni giorno
combatterebbero per voi, ogni ora metterebbero il vostro onore
alla prova manifesta delle loro spade. Siate saggia, perciò,
e qui dimenticateli; ne va della vostra fama
del pari col mio giuramento; io ho detto che devono morire.
Meglio che cadano sul patibolo che per mano l’uno dell’altro.
Non scalfite il mio onore.
EMILIA
Oh, mio nobile fratello,
quel giuramento vi sfuggì, e in un momento d’ira;
la vostra ragione non deve confermarlo. Se tali voti
esprimessero la vera volontà, il mondo intero dovrebbe scomparire.
Inoltre, io ho in serbo un altro vostro giuramento contro questo,
che vale di più, perché dato con amore,
e non sfuggito nella passione, ma con animo posato.
TESEO
Quale, sorella?
PIRITOO
Fatelo valere ora, buona signora.
EMILIA
Che non m’avreste mai negato alcuna cosa
purché fosse onorevole richiesta, e in vostro potere concederla.
Vi obbligo adesso alla vostra parola; se non la manterrete,
considerate come il vostro onore ne sarebbe mortificato –
perché ora che mi son decisa a chiedere, signore, son sorda
a tutto eccetto che alla vostra clemenza – come la loro morte
potrebbe portare rovina alla mia reputazione, maldicenza.
Dovrà ogni cosa che mi ama morire per questo?
Sarebbe una crudele precauzione; forse che si potano
i verdi rami dritti che arrossiscono di mille boccioli
in caso marciscano? O Duca Teseo,
le buone madri che li hanno partoriti con dolore,
e tutte le ardenti fanciulle che li amarono,
se state al giuramento, malediranno me e la mia bellezza,
e nei loro funebri canti per questi due cugini
spregeranno la mia crudeltà, e invocheranno sfortuna per me,
finché diventerò lo scherno delle donne;
per amore del cielo, risparmiate loro la vita ed esiliateli.
TESEO
A quali condizioni?
EMILIA
Che giurino mai più
di farmi oggetto della loro contesa, o di ricordarmi,
o metter piede nel tuo ducato, e di rimanere,
ovunque vadano, per sempre estranei
l’uno all’altro.
PALAMONE
Ch’io sia tagliato a pezzi
prima di fare questo giuramento! Dimenticare che l’amo?
O voi dei, disprezzatemi tutti allora. L’esilio
non mi dispiace, perché potremo liberamente portare
le nostre spade e la nostra causa con noi; sennò non esitare
a toglierci la vita, Duca. Io devo amare e voglio,
e per quest’amore devo cercare di uccidere mio cugino
in ogni angolo di questa terra.
TESEO
Volete voi, Arcite
accettare queste condizioni?
PALAMONE
Se lo fa, è un vile.
PIRITOO
Questi sono uomini!
ARCITE
No, Duca, mai; per me sarebbe peggio che elemosinare
aver salva la vita così ignobilmente. Benché io pensi
di non averla mai, tuttavia conserverò
l’onorato affetto e morirò per lei,
anche se mi metterai a un supplizio infernale.
TESEO
Che si può fare? Perché ora provo compassione.
Le signore si alzano.
PIRITOO
Fate che non si spenga, Sire.
TESEO
Dite, Emilia,
se uno dei due morisse, come dovrebbe, sareste
contenta di prender l’altro per marito?
Non possono avervi entrambi. Sono principi
belli come gli occhi vostri, e nobili
come fama ne abbia mai celebrati; guardateli,
e se potete amare, terminate questa contesa.
Io do il mio consenso; siete anche voi contenti, principi?
PALAMONE e ARCITE
Con tutta l’anima.
TESEO
Quello che lei rifiuterà
dovrà morire dunque.
PALAMONE e ARCITE
Qualsiasi morte tu decreterai, Duca.
PALAMONE
Se muoio per quella bocca, muoio felice,
e gli amanti a venire benediranno le mie ceneri.
ARCITE
Se mi rifiuta lei, mi sposerà la tomba,
e soldati canteranno il mio epitaffio.
TESEO
Fate la scelta, allora.
EMILIA
Non posso, sire, sono troppo eccellenti tutti e due;
per causa mia, non si torcerà un capello a questi uomini.
IPPOLITA
Che si farà di essi?
TESEO
Così io stabilisco,
e sul mio onore un’altra volta, resti,
o moriranno entrambi: tornerete al vostro paese,
e ciascuno entro un mese, accompagnato
da tre bravi cavalieri, ritornerà in questo luogo,
sul quale farò erigere un obelisco; e colui
che, in nostra presenza, obbligherà il cugino,
in leale e cavalleresco scontro, a toccare il pilastro,
avrà la dama; l’altro perderà la testa,
e quella dei suoi amici; e né gli rincrescerà di perdere,
né penserà di morire con qualche diritto su questa signora.
Siete soddisfatti?
PALAMONE
Sì! Qua, cugino Arcite,
vi sono amico di nuovo, fino a quell’ora.
ARCITE
Io v’abbraccio.
TESEO
Siete contenta, sorella?
EMILIA
Sì, per forza, sire,
o ne avranno sventura tutti e due.
TESEO
Venite, stringetevi ancora la mano,
e badate, sul vostro onore di gentiluomini, questa contesa
resti sopita fino all’ora, fissata, e tenetevi alla promessa.
PALAMONE
Non sarai deluso di noi, Teseo.
TESEO
Venite, vi darò ospitalità
adesso in qualità di principi e di amici.
Quando ritornerete, il vincitore, qui stabilirò;
e lo sconfitto, pure nella sua bara piangerò. Escono.
I due nobili cugini
(“The two noble kinsmen” – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V