(“Troilus and Cressida” – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
Troiani
PRIAMO, re di Troia
ETTORE, figlio di Priamo
PARIDE, figlio di Priamo
DEIFOBO, figlio di Priamo
ELENO, sacerdote, figlio di Priamo
TROILO, figlio di Priamo
MARGARELLONE, bastardo, figlio di Priamo
ENEA, comandante troiano
ANTENORE, comandante troiano
PANDARO, principe, zio di Cressida
CALCANTE, padre di Cressida, passato ai Greci
ALESSANDRO, servo di Cressida
ANDROMACA, moglie di Ettore
CRESSIDA
CASSANDRA, figlia di Priamo, profetessa
Servi di Troilo, un ragazzo e un uomo
Servo di Paride
Soldati, gente del seguito
Greci
AGAMENNONE, comandante in capo dei Greci
MENELAO, re di Sparta, fratello di Agamennone
ULISSE, comandante greco
ACHILLE, comandante greco
AIACE, comandante greco
NESTORE, comandante greco
DIOMEDE, comandante greco
PATROCLO, compagno di Achille
TERSITE
ELENA, moglie di Menelao, compagna di Paride a Troia
Servo di Diomede
Soldati, Mirmidoni, gente del seguito
Dicitore del PROLOGO
PROLOGO
Entra il Prologo in armi
PROLOGO
Troia è la scena. Dalle isole di Grecia
i principi orgogliosi, di fuoco il sangue nobile,
ad Atene hanno spedito navi
cariche di quello che bisogna
a una guerra senza quartiere. Sessantanove
teste coronate salpano dalla baia d’Atene,
loro meta la Frigia, giuramento
abbattere Troia, nelle cui salde mura
Elena, la rapita moglie di Menelao,
dorme con Paride lascivo: per questo è guerra.
A Tenedo è lo sbarco, lì vomita la flotta
dal suo capace ventre il carico cruento.
Ora sulla dardanica pianura,
i rilucenti e ancora intatti Greci
piantano i loro fieri padiglioni.
Ma le sei porte serra la città di Priamo,
chiude Dardana e Timbria, Eliade e Chetade, Troade
e Antenoride con massicce sbarre,
attorno ai figliuoli di Troia. Dall’una e l’altra parte
ora gli animi inquieti solo l’attesa attizza;
tutti, Greci e Troiani, mettono in gioco
tutto cio che hanno. Ed io qui mi presento,
Prologo armato, non per sostenere
la penna dell’autore, la voce degli attori,
ma, in piena concordia col soggetto,
per dirvi, cortesi spettatori, che il dramma
salterà le iniziali schermaglie della guerra
per cominciare nel mezzo, e poi passare
a quello che in teatro puo essere ospitato.
Vi piaccia o no, a voi sarà la scelta:
vincere o perdere è il bello della guerra. Esce.
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano Pandaro e Troilo.
TROILO
Chiamate il mio scudiero – che mi ritolga le armi.
Io battermi fuori delle mura di Troia
quando ho dentro la battaglia più dura?
Al campo ci corra ogni Troiano che è ancora
padrone del suo cuore – Troilo del suo non lo è più.
PANDARO
Non si risolverà mai questo groviglio?
TROILO
I Greci sono forti, nella forza astuti,
nell’astuzia feroci, nella loro ferocia valorosi –
e io? più debole d’una donna lagrimosa,
più mite del sonno e più allocco dell’ignoranza,
meno valente d’una vergine la notte,
meno esperto dell’inesperta infanzia.
PANDARO
È un bel pezzo che ne stiamo a parlare; per me basta così. Solo: chi vuole col grano fare una focaccia deve aspettare la macinatura.
TROILO
E non ho forse aspettato, io?
PANDARO
Sì, ma solo la macinatura – c’è anche la setacciatura.
TROILO
E non ho forse aspettato, io?
PANDARO
Sì, la setacciatura – ma c’è anche la lievitazione.
TROILO
Anche questa ho aspettato.
PANDARO
Sì, la lievitazione, ma in questo verbo attendere ci sono anche l’impastatura, la panificazione, il riscaldamento del forno, la cottura. Ancora non basta, devi aspettare che raffreddi o sai che sbruciacchiatura di labbra!
TROILO
La Pazienza in persona, che vedi un po’ è una dea,
il dolore lo sopporta molto meno di me.
Mi capita nel mezzo di un pranzo accanto a Priamo,
che di colpo nella testa m’entra la bella Cressida –
ma ho detto “entra”, lo vedi come mento?
Che, forse, ne è mai fuori?
PANDARO
Dio, come faceva colpo ieri sera, tutta una luce come mai s’è vista splendere una donna.
TROILO
Stavo proprio per dirtelo: il mio cuore,
penosamente oppresso da un sospiro,
stava per spaccarsi in due – io,
per evitare che Ettore o mio padre s’avvedessero,
simile al sole che stenta nel cielo procelloso,
seppellii il mio sospiro nella piega di un sorriso.
Ma la mestizia che alloggia in una parvenza d’allegria
è come euforia che il destino muta in una pena improvvisa.
PANDARO
Se i capelli non li avesse un tantino più scuri di quelli di Elena – ma via, lasciamo perdere, non ci sarebbe neanche da paragonarle. Ora basta davvero: lei è mia nipote e non vorrei, per questo, dirne troppo bene… vorrei soltanto che qualcuno l’avesse sentita parlare ieri sera, ecco tutto. Non vorrei sottovalutare l’arguzia di tua sorella Cassandra, ma…
TROILO
Oh Pandaro, Pandaro,
se ti dico che sott’acqua giace ogni mia speranza
non mi chiedere a che profondità.
Se ti dico che son folle d’amore per Cressida,
no, non rispondermi “È stupenda”. Se fai così
versi sull’ulcera aperta del mio cuore i suoi occhi,
i suoi capelli, le guance, il portamento, la voce:
le tue parole toccano quella sua mano
al cui confronto il bianco più splendido è un inchiostro
buono a scrivere la propria oscurità; la cui soffice
stretta fa sembrar ruvida la lanugine del cigno
e il tatto più sensibile ottuso e duro
come il palmo incallito del bifolco.
Questo tu mi dici, come mi dici “è vero”, quando ti dico che l’amo.
Così tu parli e immergi, invece che olio curativo,
in ogni ferita che l’amore m’ha inferto,
il pugnale che l’ha aperta.
PANDARO
Dico solo la verità
TROILO
Non credo tutta.
PANDARO
Giuro, non voglio più impicciarmene. Sia come sia, se è bella, meglio per lei; se no, di rimedi ne vendono a bizzeffe.
TROILO
Pandaro, buon Pandaro, non fare così!
PANDARO
Fatico e fatico e questo è il risultato! Lei mi disprezza, tu pure. Corri, ti dai da fare per rappattumare la situazione, nessuno che ti dica”grazie”.
TROILO
Con chi ce l’hai, Pandaro, con me?
PANDARO
Siccome si tratta di mia nipote ecco che tutti dicono che Elena è più bella. Non fosse mia parente sarebbe più bella lei di venerdì che Elena la domenica. Ma che m’importa, fosse anche negra, io me ne stropiccio.
TROILO
Ho forse detto che non è bella?
PANDARO
Che tu lo dica o non lo dica non m’interessa punto. Io dico che è stata una bella sciocca a non seguire suo padre dai Greci. Dovrebbe andarci anche lei, e glielo voglio dire la prima volta che la vedo. Ma te lo ripeto, in questa faccenda non mi ci immischio più.
TROILO
Pandaro…
PANDARO
Basta, basta.
TROILO
Pandaro, dolce Pandaro…
PANDARO
Fammi il santo favore, basta parlarne; lasciamo tutto come prima e mettiamoci sopra un bel pietrone.
Esce. Suoni d’allarme.
TROILO
Silenzio, chiasso sguaiato! Basta, suoni brutali!
Pazzi, da tutt’e due le parti; sì, Elena è bella
se ogni giorno vi dissanguate per rifarle il trucco!
Per questo motivo non so combattere.
È causa troppo triviale per la mia spada.
Ma tu, Pandaro – oh dei, che cosa m’infliggete!
La via che porta a Cressida passa per Pandaro
e lui è così restio a lasciarsi sedurre a sedurla
come lei resta dura, casta se la supplico.
Apollo, dimmi, se davvero ami la tua Dafne,
chi è Cressida, chi Pandaro, chi tutti noi.
Letto di Cressida è l’India – lì giace la perla,
lei. Qui siamo a Troia e fra noi e lei
fingiamo ci sia un mare selvaggio e molto infido;
io faccio il mercante, questo Pandaro
è vela alla mia incerta speranza,
è la mia nave, la mia sola scorta.
Suoni d’allarme. Entra Enea.
ENEA
Qui, principe Troilo? E perché non sul campo?
TROILO
Perché non ci sono. Sì, ti risponde una donna,
proprio perché è da donna non essere sul campo.
C’è qualcosa di nuovo oggi dalla battaglia?
ENEA
S’è dovuto ritirare Paride, ferito.
TROILO
Da chi?
ENEA
Da Menelao.
TROILO
Che Paride sanguini, è uno sgraffio da scorno –
Menelao l’ha trafitto col suo corno. Suoni d’allarme.
ENEA
Senti come si folleggia oggi, fuori delle mura!
TROILO
E dentro anche di più, se “desidero” diventasse “posso”.
Ma è tempo di uscire a divertirsi. Ci stavi andando, no?
ENEA
A spron battuto.
TROILO
Allora ci faremo compagnia. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entrano Cressida e il suo servo Alessandro.
CRESSIDA
Chi erano quelle?
ALESSANDRO
La regina Ecuba ed Elena.
CRESSIDA
Dove vanno?
ALESSANDRO
Alla torre di levante, quella
dalla cui sommità si domina la valle,
a veder la battaglia. Ettore, la cui pazienza
è costante come una virtù, oggi era fuori di sé –
se l’è presa con Andromaca, le ha date all’attendente,
poi, come se in guerra convenisse la frugalità,
sul far dell’alba s’è alzato, s’è armato
alla leggera ed è partito per il campo
dove ogni fiore diventato un profeta
ha pianto prevedendo cosa la sua ira avrebbe fatto.
CRESSIDA
Cos’è che l’ha fatto arrabbiare?
ALESSANDRO
Si dice questo: in mezzo ai Greci c’è
un principe di sangue troiano, cugino d’Ettore,
che ha nome Aiace.
CRESSIDA
Allora, che si dice di lui?
ALESSANDRO
Che è un uomo senza pari, che sta in piedi da sé.
CRESSIDA
Non lo fanno tutti, tranne gli sbronzi, gli invalidi o chi non ha più gambe?
ALESSANDRO
Quest’uomo, mia signora, sapeste a quanti animali ha sottratto le loro peculiarità. È valoroso come un leone, rude come l’orso, maestoso come l’elefante: è un uomo in cui la natura ha talmente stipato tutti gli umori che in lui il valore tiene della follia e la follia è condita con il buonsenso. Possiede un pizzico d’ogni virtù e non c’è vizio di cui non abbia macchia. È melanconico senza alcun motivo e allegro a sproposito; è un’associazione di tutte le cose, ma così dissociato che si potrebbe definirlo un Briareo gottoso, tutto braccia senza che possa muovere un dito, o un Argo orbo, tutto occhi e niente vista.
CRESSIDA
Ma Ettore si arrabbia per uno così, che a me fa venir da ridere?
ALESSANDRO
Si dice che ieri sera Aiace si sia scontrato con Ettore in battaglia e l’abbia sbattuto a terra e che Ettore, da allora, per la rabbia e la vergogna, non mangi e non chiuda più occhio.
CRESSIDA
Chi è che viene?
ALESSANDRO
Vostro zio Pandaro, signora.
Entra Pandaro.
CRESSIDA
Ettore è davvero un uomo gagliardo.
ALESSANDRO
Come nessun’altro, signora.
PANDARO
Allora, che bolle in pentola?
CRESSIDA
Buon giorno, zio Pandaro.
PANDARO
Buon giorno, nipote Cressida. Allora, di che state parlando? Buon giorno, Alessandro. Come stai nipotina? Sei stata a palazzo?
CRESSIDA
Stamattina, zio.
PANDARO
Di che stavate parlando quando sono arrivato? Ettore s’era già armato ed era andato a combattere prima che tu arrivassi a palazzo? Elena s’era già alzata?
CRESSIDA
Ettore se n’era già andato, Elena non s’era ancora alzata.
PANDARO
Già: Ettore s’è alzato prestissimo.
CRESSIDA
Di questo stavamo parlando, e della sua rabbia.
PANDARO
Era proprio arrabbiato?
CRESSIDA
Così dice lui. Esce Alessandro.
PANDARO
È vero, e io ne conosco anche il motivo. Oggi farà una strage, glielo dico io, e Troilo non gli sarà da meno. Tengano gli occhi aperti su Troilo e vedranno, glielo dico io.
CRESSIDA
Perché? è fuori di sé anche lui?
PANDARO
Chi? Troilo? Troilo è il migliore dei due.
CRESSIDA
Oh Giove! Non c’è confronto.
PANDARO
Cosa? Fra Ettore e Troilo? Sei capace di riconoscere un uomo vero a vista?
CRESSIDA
Come no! se l’ho già visto prima.
PANDARO
E dunque! Troilo è Troilo, te lo dico io.
CRESSIDA
Siamo d’accordo allora! Anch’io sono sicura che Troilo non è Ettore.
PANDARO
Vero, ed Ettore non è Troilo, per certi aspetti.
CRESSIDA
Il che si applica a entrambi – ciascuno di loro è se stesso.
PANDARO
Se stesso? Ahimè, povero Troilo! Magari lo fosse.
CRESSIDA
Ma via, per forza lo è.
PANDARO
Questo è vero com’è vero che sono andato in India a piedi nudi.
CRESSIDA
Certo lui non è Ettore.
PANDARO
Lui è se stesso? No, non è se stesso, magari lo fosse! Ma gli dei, si sa, stanno lassù, e il tempo guarisce o finisce. Povero Troilo, beh, vorrei che il mio cuore l’avesse in corpo lei… No, Ettore non è più in gamba di Troilo.
CRESSIDA
Col tuo permesso…
PANDARO
Ettore è più vecchio.
CRESSIDA
Scusa, scusa un momento…
PANDARO
Certo, l’altro non è ancora arrivato al dunque, ma tu me la conterai diversa quando ci arriverà. E poi Ettore non avrà mai la sua intelligenza.
CRESSIDA
Perché dovrebbe averne bisogno, ha la sua.
PANDARO
Né le sue qualità.
CRESSIDA
Poco importa.
PANDARO
Né la sua bellezza.
CRESSIDA
Non gli si confarebbe, gli sta meglio la sua.
PANDARO
Non hai discernimento, nipotina. Elena in persona, l’altro giorno, giurava che Troilo per esser moretto, perché moretto è, va riconosciuto, ma poi neanche tanto…
CRESSIDA
Neanche tanto, ma moretto.
PANDARO
Se vuoi la verità, lui è e non è moretto.
CRESSIDA
Se vuoi la verità, è vero e non vero.
PANDARO
Elena stessa disse che il suo colorito era più bello di quello di Paride.
CRESSIDA
E sì che Paride di colorito ne ha abbastanza.
PANDARO
Sì sì.
CRESSIDA
Allora vuol dire che Troilo ne ha più del dovuto. Se Elena l’ha lodato più di Paride, allora Troilo è più colorito; e se uno ha il colorito giusto, e l’altro ne ha di più, allora la lode di Elena è troppo infiammata per un buon colorito. È come se quella lingua d’oro di Elena avesse elogiato Troilo perché ha un bel naso paonazzo.
PANDARO
Dai retta a me, a Elena piace più lui che Paride.
CRESSIDA
Allora è proprio una Greca allegra.
PANDARO
È come dico. L’altro giorno gli si è avvicinata sulla veranda – tu lo sai, Troilo sul mento avrà in tutto tre o quattro peli…
CRESSIDA
Certo, l’aritmetica di un oste basterebbe a tirar la somma.
PANDARO
Beh, è molto giovane, e tuttavia quando solleva i pesi è lì lì per battere suo fratello Ettore.
CRESSIDA
Così giovane e già così lesto di mano?
PANDARO
Ma per provarti che Elena lo ama: dunque, gli si fa vicina e la sua bianca mano gli tocca lo spacchetto del mento…
CRESSIDA
Per Giunone! e come se l’è spaccato?
PANDARO
Via, lo sai bene che ha la fossetta: in tutta la Frigia non ce n’è uno cui stia così bene il sorriso.
CRESSIDA
Ah sì, a sorridere è proprio valente.
PANDARO
Non è vero, forse?
CRESSIDA
Sì, come una nuvola d’autunno.
PANDARO
Sì, scherza pure! Ma per provarti che Elena ama Troilo…
CRESSIDA
Oh, Troilo ci starebbe a quella prova, se vuoi provarlo così.
PANDARO
Troilo? Ma se la stima quanto io un uovo marcio.
CRESSIDA
Se un uovo marcio ti attrae quanto ti attrae una testa marcia, finirà che ti pappi i pulcini nel guscio.
PANDARO
Non ce la faccio a non ridere quando penso a come gli faceva il solletico sul mento; ha una mano lei che è un miracolo di candore, lo devo proprio confessare…
CRESSIDA
Anche senza tortura.
PANDARO
E non le viene la voglia di trovarci un pelo bianco su quel mento?
CRESSIDA
Povero mento! Ha più peli una verruca.
PANDARO
Dio che ridere! La regina Ecuba rideva da piangere.
CRESSIDA
Eh sì, da piangere macigni!
PANDARO
E come rideva Cassandra!
CRESSIDA
Certo il fuoco sotto la pentola dei suoi occhi era più basso, oppure rideva anche lei fino a piangere?
PANDARO
Ettore, anche lui rideva.
CRESSIDA
E perché ridevano tanto?
PANDARO
Diamine, per quel pelo bianco che Elena aveva trovato sul mento di Troilo.
CRESSIDA
Fosse stato verde avrei riso anch’io.
PANDARO
Ma non ridevano tanto del pelo quanto per come lui le ha risposto.
CRESSIDA
E che cosa ha detto?
PANDARO
Dice lei: “Hai cinquantadue peli sul mento e uno è bianco”.
CRESSIDA
Questo lo dice lei.
PANDARO
Esatto. Nessun dubbio. “Cinquantadue peli – risponde lui – e uno è bianco. Quello è mio padre, gli altri son tutti suoi figli”. “Per Giove”, continua allora lei, “e quale di questi è mio marito Paride?” “Quello biforcuto”, ribatte lui, “strappalo e regalaglielo”. E tutti si misero a ridere. Elena arrossì, Paride s’arrabbiò; e tutti a ridere tanto che è impossibile raccontarlo.
CRESSIDA
Bene, non raccontarlo, l’hai tirata fin troppo in lungo.
PANDARO
Bene, nipote. Ieri ti ho detto una cosa, pensaci su.
CRESSIDA
Ci penso.
PANDARO
Ti giuro che è vero: piange per te come se fosse nato sotto un acquazzone d’aprile.
CRESSIDA
E io germoglierò per le sue lacrime come un’ortica prima di maggio. Suona la ritirata.
PANDARO
Ascolta! tornano dal campo. Fermiamoci qui a vederli passare mentre vanno al palazzo. Sta’ qui con me, nipotina, resta qui, dolce Cressida.
CRESSIDA
Come vuoi tu.
PANDARO
Qui, qui, che è un posto magnifico, qui si vede magnificamente. Per filo e per segno te li indicherò man mano che ci passano davanti – ma più di tutti, attenta a Troilo.
CRESSIDA
Abbassa un po’ la voce.
Enea attraversa la scena.
PANDARO
Quello è Enea. Non è un vero eroe? È uno dei fiori di Troia, giuraddio lo è. Ma attenta a Troilo, adesso arriva. Passa Antenore.
CRESSIDA
Quello chi è?
PANDARO
È Antenore, uomo dalla testa fina, credi a me, di pasta buona; di lui, come di pochi, a Troia ci si puo fidare, e poi è prestante. Ma dov’è Troilo? Un attimo, te lo farò vedere: quando mi vedrà, osserva bene l’ammicco che mi farà.
CRESSIDA
Ti farà un ammicco?
PANDARO
Aspetta e vedrai.
CRESSIDA
Allora sarai ancora più micco.
Passa Ettore.
PANDARO
Ecco qua Ettore, eccolo, eccolo, guarda: quello sì è un uomo! Forza, forza Ettore! Guarda un eroe, nipotina! Oh prode Ettore! Guarda se non è bello! – E che portamento! Non è un tipo in gamba?
CRESSIDA
Sì, un tipo in gamba.
PANDARO
Vero? Basta guardarlo e ti si apre il cuore. E guarda che ammaccature ha lì sull’elmo! Guarda, le vedi? Son mica bazzecole, quelle; guarda guarda: son colpi che chi li ha, si dice, se li tiene: quelle sì che son botte!
CRESSIDA
Colpi di spada?
PANDARO
Spada o altro gliene importa assai. Gli fosse addosso il diavolo sarebbe pari e patta. Per l’occhio di Dio, ti si scalda il cuore. Ecco che viene Paride, eccolo là, Paride.
Passa Paride.
Guarda un po’, nipotina, se non è anche lui un bel campione, non ti pare? Proprio un bel campione! Chi ha detto che oggi è tornato a casa ferito? Macché ferito. Ah, Elena se ne rallegrerà, non ti pare? Ma ora vorrei che si vedesse Troilo! Vedrai che adesso arriva.
Passa Eleno.
CRESSIDA
E quello?
PANDARO
È Eleno. Mi chiedo dove sia finito Troilo. Quello è Eleno. Forse oggi non è andato al campo. È Eleno quello lì.
CRESSIDA
Combatte anche Eleno, zio?
PANDARO
Eleno? No… Beh, si batte alla bell’e meglio. Mi chiedo dov’è Troilo. Ascolta, non stanno forse gridando “Troilo, Troilo”? È un sacerdote, Eleno.
CRESSIDA
Chi è quello che va come di soppiatto?
Troilo attraversa la scena.
PANDARO
Dove? Là? È Deifobo. No, è Troilo! Che uomo, nipote mia! Evviva! Ardimentoso Troilo, principe della cavalleria!
CRESSIDA
Zitto, vergogna, zitto!
PANDARO
Considerarlo devi, osservarlo bene. Audace Troilo! Ma dagli un po’ un’occhiata, nipotina. Guarda di quanto sangue gronda la sua spada, quanti colpi ha sull’elmo, più di Ettore; guardane la figura, il portamento! Che giovane stupendo, e ancora non ha ventitré anni: avanti Troilo, avanti! Avessi per sorella una Grazia, per figlia una dea, gli lascerei la scelta. Che uomo ammirevole! Paride? Paride, in confronto, è spazzatura. Scommetto che Elena darebbe un occhio per fare il cambio. Passano dei soldati semplici.
CRESSIDA
Eccone ancora.
PANDARO
Asini, buffoni, pagliacci! Pula e crusca, pula e crusca! Brodaglia dopo carne di prima scelta! Potrei vivere e morire guardando in viso Troilo. Su, che guardi a fare? Le aquile sono passate, e questa è la parata dei corvi e delle cornacchie! Preferirei essere Troilo piuttosto che Agamennone e tutti quei di Grecia!
CRESSIDA
Ma fra i Greci c’è Achille, e vale più di Troilo.
PANDARO
Achille! Sì, un carrettiere, un facchino, Dio che cammello!
CRESSIDA
Sarà, sarà.
PANDARO
Macché sarà! Ma tu, hai discernimento? Li sai usare gli occhi? Un uomo, lo sai che è? Non sono forse natali, bellezza, prestanza, eloquenza, virilità, sapienza, gentilezza, virtù, giovinezza, liberalità e cose simili, il sale e le spezie che insaporiscono un uomo?
CRESSIDA
Sì, un uomo affettato e poi da metter nel forno ma senza aggiunta di frutta, perché la sua frutta l’ha già sfruttata.
PANDARO
Sei un bel tipo! Non si sa mai come ti metti né che armi conti di usare contro le mie battute.
CRESSIDA
Mi metto così di schiena, per difendere il mio pancino; conto sull’astuzia, per difendere i miei capricci; sulla mia segretezza, per difendere il mio onore; mi metto la maschera per difendere la mia bellezza; e conto su di te, per difendere tutto questo. Adotto tutte queste posizioni di guardia, e tengo mille occhi aperti.
PANDARO
Dinne una, delle tue posizioni di guardia.
CRESSIDA
Per cominciare, mi guardo da te; anzi, questa è una delle mie posizioni principali. Se non posso difendere cio che non voglio che sia colpito, almeno posso impedire che tu vada in giro a dire come ho incassato il colpo; a meno che non si gonfi così che non si puo più nascondere, perché allora, beh, mi resterebbe poco da stare in guardia.
PANDARO
Sei davvero un bel tipo, vai!
Entra il paggio di Troilo.
PAGGIO
Signore, il mio padrone vorrebbe parlarvi subito.
PANDARO
Dove?
PAGGIO
A casa vostra, è lì che si toglie l’armatura.
PANDARO
Bene, ragazzo, digli che arrivo.
Esce il paggio.
Temo che l’abbiano ferito. Addio, nipotina.
CRESSIDA
Arrivederci, zio.
PANDARO
Torno presto da te, nipote mia.
CRESSIDA
Per portarmi cosa, zio?
PANDARO
Vedrai, un pegno d’amore di Troilo. Esce.
CRESSIDA
E proprio per questo sei un ruffiano.
Parole, voti, doni, lacrime, il sacrificio pieno dell’amore
lui offre per conto di un altro;
ma in Troilo io vedo mille volte più
di quello che si specchia nelle lodi di Pandaro.
Però resisto. Quando son corteggiate,
le donne sono angeli, ma men che niente valgono
quando si sono date; la gioia è solo nel farlo.
La donna amata non sa nulla se non sa questo:
a quello che non hanno gli uomini danno
più valore di quello che ha. Non è ancora nata
la donna che ricordi sempre che l’amore
non è mai così dolce come quando è corteggiamento.
E quindi v’insegno questa massima dell’amore:
“Chi ha fatto, comanda; chi non ha fatto supplica”.
Quindi anche se il cuore ho certo del mio amore
neanche un istante lo mostreranno gli occhi. Esce.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Fanfara. Entrano Agamennone, Nestore, Ulisse, Diomede, Menelao e altri comandanti greci.
AGAMENNONE
Principi,
quale rovello vi ha colorato le guance d’itterizia?
Le grandi prospettive che la speranza apre
a ogni disegno ideato quaggiù
mai sono pari alle promesse avute.
Incidenti si generano, disastri
dentro le vene delle più nobili azioni –
come per l’ingorgarsi di diverse linfe
crescono nodi che infettando il pino
più sano, distorcono l’essenza dal retto sviluppo.
No, principi, non è per noi una novità
esser delusi molto nelle nostre speranze
dacché sette anni già dura l’assedio
e le mura di Troia sono ancora in piedi.
Ogni impresa degli anni passati di cui dicono le cronache
ha subìto rovesci e scarti di un destino avverso,
e nell’attuarsi si è separata dal piano originale
e dall’incorporea figura del pensiero
che plasmò la sua prima forma.
Perché, allora, principi, con volti contriti
abbassate gli occhi davanti alle nostre azioni
e le giudicate vergognose? Esse non sono altro
che le prove dilatorie con cui il sommo Giove
saggia la pazienza perseverante degli uomini,
un metallo il cui pregio reale non va
calcolato dal favore della Fortuna.
No, perché allora coraggioso e codardo,
saggio e stolto, colto e incolto,
forte e debole, sembrano tutti di una pasta.
Ma è quando la fortuna si corruccia in tempesta
che allora, solo lì, d’impeto scuote ogni cosa
il soffio sventagliante della differenza
e liquida via l’effimero – soltanto quello
che ha massa o sostanza genuina
resta lì intatto, ricco d’intrinseca virtù.
NESTORE
Grande Agamennone, con ogni rispetto dovuto
pel tuo divino rango, Nestore farà una chiosa
a quello che per ultimo hai detto. L’uomo è tale
quando soffia malora. Se il mare è calmo,
barchette da due soldi traversano il suo seno paziente,
osando battere la rotta dei più forti navigli!
Ma appena quel farabutto Borea stuzzica
Teti gentile, allora vedi la nave dalle costole robuste tagliare
le liquide montagne balzando fra i due umidi elementi
come il cavallo di Perseo.
E dov’è ora quel guscetto smargiasso
i cui deboli fianchi mal fasciati osavano
competere coi grandi?
È riparato in tutta fretta in porto
o ha fatto da spuntino al gran Nettuno.
E così che l’apparenza del valore e il valore
si differenziano nelle tempeste della sorte,
perché quand’essa coi suoi raggi risplende
il gregge teme il tafano più di una tigre;
ma quando il vento tagliente mette in ginocchio
la nodosa quercia
e le mosche scappano al riparo, il coraggioso
allora, acceso dalla furia, con la furia consòna
e s’accorda al registro della fortuna avversa
e le risponde a tono.
ULISSE
Agamennone
gran comandante, nerbo e ossatura
della Grecia, cuore del nostro esercito,
anima e spirito unico in cui dovrebbero
chiudersi umori e idee di tutti noi, ascolta
quello che dice Ulisse.
Oltre all’applauso e all’approvazione
che, o tu potentissimo per comando e rango,
(a Nestore) e tu reverendissimo per la tua lunga vita,
io qui tributo ai vostri due discorsi –
tali che, mio signore, le mani della Grecia
dovrebbero innalzare il tuo nel bronzo;
mentre il tuo, Nestore, venerabile,
cesellato in argento,
dovrebbe, con un legame d’aria, ma forte
come l’asse su cui ruota il cielo,
congiungere ogni orecchio greco alla sua saggia lingua –
vogliate tuttavia, tu grande e tu saggio, degnarvi
di ascoltare Ulisse.
AGAMENNONE
Parla, Principe d’Itaca: non è facile
che schiuda la tua bocca materia vana,
non importante eloquio, così come non è facile
dalla bocca d’inferno di Tersite laido
udire armonia, intelligenza e oracoli.
ULISSE
Troia, che ancora è salda in piedi,
sarebbe già in rovina, e orfana di mano
vedremmo la spada del grande Ettore
se non per i seguenti motivi.
Il principio sull’autorità è stato trascurato,
e quante sono le tende greche che inutili stanno
su questa pianura, tante sono le inutili fazioni.
Quando l’autorità non è più l’alveare
cui tutte le api operaie fanno capo,
che miele ci si puo aspettare? Se la gerarchia
è mascherata, i più indegni fan bella figura
anch’essi nella mascherata generale.
I cieli stessi, i pianeti, e questa terra ch’è centro
di ogni cosa, rispettano grado, priorità, rango,
stabilità, corso, proporzione, tempo, forma,
dovere e fedeltà col massimo rigore.
Per questo l’astro glorioso, Sole,
troneggia col suo globo in nobile eminenza
nel mondo celestiale – e il suo occhio benefico
corregge l’influsso dei pianeti maligni,
e come il proclama d’un re arriva senza fallo
a buoni e a cattivi. Ma se i pianeti
si mischiassero a caso in maligno disordine,
quali pestilenze, mostruosità, rivolte,
tempeste marine e terremoti, turbini di vento,
terrori, mutazioni, orrori, spaccherebbero,
frantumando e sradicando, l’unità
e il sereno connubio dei ceti dal loro saldo posto!
Quando la gerarchia è scossa, che è la scala
ad ogni grande impresa, l’azione volge a male.
Le comunità, i ranghi nelle scuole, le corporazioni,
il pacifico commercio fra terra e terra,
la primogenitura e il diritto di nascita,
le prerogative dell’età, della corona, degli scettri,
degli allori, come potrebbero, senza gerarchia,
conservare il timbro del legittimo?
Si spezzi la gerarchia, si porti a dissonare
quella corda, e sentirete quale discordia
seguirà! Tutto litigherà con tutto,
l’acqua dall’alveo strariperà oltre riva
e il solido globo ridurrà a fanghiglia;
la forza asservirà la debolezza,
il figlio violento ucciderà il padre,
forza e giustizia sarà una cosa sola –
anzi, il giusto e il torto, il cui eterno litigio
è controllato dalla giustizia, perderanno i nomi,
e la giustizia il suo. Tutto avrà nome potere,
e il potere volontà, e la volontà desiderio,
e il desiderio, lupo universale,
assecondato doppiamente dalla volontà e dal potere
farà dell’intero universo la sua preda
per poi, alla fine, divorar se stesso.
Grande Agamennone, quando la gerarchia è soffocata
è questo il caos che segue lo strangolamento,
e l’abbandono della gerarchia è tale
che ogni ascesa diventa inarrestabile discesa:
il generale è disprezzato dal suo sottoposto,
questi da chi gli sta sotto, e quest’ultimo
da chi lo segue: e così ogni grado,
sull’esempio del primo che sia insofferente
del superiore, è colto da una febbre
di pallida e spossante emulazione.
E questa è la febbre che tiene Troia in piedi,
non il suo nerbo. Per farla corta, Troia si regge
perché siamo deboli noi, non perché è forte.
NESTORE
Con grande saggezza Ulisse ha indicato
la febbre di cui questo nostro potere soffre.
AGAMENNONE
Ulisse, trovata la malattia, qual è la cura?
ULISSE
Il grande Achille, che l’opinione comune esalta
nerbo e braccio del nostro esercito,
pieni gli orecchi della sua aerea fama,
s’innammora del proprio merito, e riposa nella sua tenda,
facendosi scherno di tutti i nostri piani.
Con lui c’è Patroclo, che su un pigro letto,
passa tutto il giorno a inventare lazzi sconci,
e con gesti ridicoli e sguaiati che lui,
impudente, chiama imitazione,
di noi tutti fa una grande farsa.
A volte, grande Agamennone, impersona
il tuo smisurato potere, e come un attore vanaglorioso
la cui presunzione sta tutta nei garretti,
e che si gloria tutto nell’udire il legnoso dialogo
tra il suo goffo andirivieni e l’assito,
recita la tua grandezza
sì da sembrar pietoso e più che esagerato;
quando parla sembra una campana fessa,
quel che dice è così rozzo da sembrare
iperbolico sulla lingua del ruggente Tifone.
E, di fronte a questo guitto, Achille grande e grosso
stravaccato sul suo letto sfatto, si mette
ad applaudire con risatacce sonore e grida:
“Bravissimo! È Agamennone sputato! Ora fammi
Nestore, schiarisciti la gola e accarezzati la barba
come fa lui quando sta per parlare”.
E Patroclo lo fa, avvicinandosi al suo modello
quanto due parallele fra loro, e gli somiglia
quanto Vulcano è simile a sua moglie.
Ma il divo Achille è ancora lì che grida:
“Bravissimo! È Nestore sputato! E ora fallo
quando deve alzarsi di notte e prendere le armi
per un allarme improvviso”. Ecco che gli acciacchi
dell’età diventano oggetto di divertimento,
e lui tossisce, sputa, brancica con mani malferme
la gorgiera e non gli riesce mai d’allacciarla.
E lì di fronte c’è Ser Valore tutto sbellicato:
“Basta Patroclo, oppure fammi costole d’acciaio
che le mie non reggono a questo grande ridere”.
Così ogni nostra abilità, virtù, forma, natura,
ogni talento di ognuno e di tutti,
le nostre gesta, i nostri piani, ordini, difese,
incitamenti a battersi, trattative, vittorie,
sconfitte, tutto cio che è o che non è
diventa oggetto di beffa per quei due.
NESTORE
E molti altri si sono infettati
imitando quei due cui l’opinione di tutti,
come dice Ulisse, attribuisce merito altisonante.
Aiace s’è fatto protervo, avanza a testa in su,
assume pose superbe come l’immenso Achille;
come questi s’imbuca nella tenda, organizza riunioni
da cospiratore, sputa sentenze come un oracolo
su tutto cio che si dovrebbe fare;
infine aizza Tersite – un poveraccio
la cui bile conia calunnie come una zecca –
a coprirci di tutte le lordure e d’ogni fango,
a indebolirci e a screditarci mentre noi siamo esposti
ai pericoli più gravi, da ogni parte.
ULISSE
Biasimano la nostra strategia, e la chiamano codardia,
la saggezza per loro non ha posto nella guerra;
disprezzano la prospettiva sul futuro,
non vedono altro che il menar le mani.
Le doti silenziose della mente che considerano
le forze giuste nel momento giusto,
la valutazione precisa della forza del nemico,
beh, tutto cio per loro è men che nulla.
Sapete cosa dicono, che è guerra da lenzuola,
da tavolino, da studio; come se l’ariete,
quando abbatte un muro, con la forza e l’impeto del colpo,
fosse più importante della mano che l’ha costruito
o dell’intelligenza di quelli che, col calcolo,
ne guidano l’effetto usando la ragione.
NESTORE
Fosse così, il cavallo di Achille
varrebbe molti figli di Teti. Squillo di tromba.
AGAMENNONE
Cos’è questa tromba? Guarda un po’, Menelao.
MENELAO
Viene da Troia.
Entra Enea.
AGAMENNONE
Cosa volete davanti alla nostra tenda?
ENEA
Vi prego, è questa la tenda del grande Agamennone?
AGAMENNONE
Proprio così.
ENEA
Può uno che è ambasciatore e principe
portare un messaggio ai suoi orecchi regali?
AGAMENNONE
Con più garanzia che sotto la protezione
del braccio d’Achille, e avanti
a tutti i signori greci che a una voce
chiamano Agamennone loro comandante in capo.
ENEA
Gentile consenso e ampia garanzia. Ma chi può,
non conoscendo il suo imperiale sguardo,
distinguerlo da quello di altri uomini?
AGAMENNONE
Cioè?
ENEA
Sì, voglio dire per poter destare in me
la riverenza e ordinare alle guance un rossore
come l’Aurora quando, intirizzita,
adocchia il giovane Febo.
Chi è dunque il dio in carica, il duce di tutti,
il grande e potente Agamennone?
AGAMENNONE
O questo Troiano ci prende per i fondelli,
o a Troia son tutti cortigiani raffinati!
ENEA
Quando s’è in pace, cortigiani franchi e affabili
come angeli benevolenti: così siam noti.
Ma quando vanno in guerra hanno fegato forte,
braccia potenti, salde membra, spade ardite,
e, Giove lo puo dire, coraggio senza pari.
Ma piano, Enea! Frenati, Troiano, mettiti
il dito sulle labbra.
Il valore della lode diventa disvalore
se chi è lodato è lui stesso a lodarsi;
quello che il nemico concede a denti stretti,
è di quel fiato che la Fama è fatta,
quella è la lode che, sola, è sempre pura.
AGAMENNONE
Signor Troiano, il vostro nome è Enea?
ENEA
Sì, Greco, lo è.
AGAMENNONE
Di grazia, che volete?
ENEA
Chiedo scusa, lo dico solo ad Agamennone.
AGAMENNONE
Non ascolta nulla, in privato, se viene da Troia.
ENEA
Né io vengo fin qua
per stargli a bisbigliare qualche cosa.
Ho qui con me una tromba che sveglierà il suo udito,
per mettere i suoi sensi sull’attenti,
poi parlerò.
AGAMENNONE
Parla franco come il vento:
Agamennone il sonno l’ha già fatto,
e perché tu sappia, Troiano, che sta in piedi
te lo dice lui stesso.
ENEA
Soffia, trombettiere, forza,
entra con la tua voce d’ottone in queste pigre tende
e sappia ogni nobile Greco cosa Troia ha deciso
di dire forte e chiaro.
Squilli di tromba.
Abbiamo a Troia, grande Agamennone,
un principe chiamato Ettore, figlio di Priamo,
che in questa sonnacchiosa e lunga tregua,
si sente arrugginire. Così m’ha ordinato
di prendere un trombettiere e di proclamare:
“Re, principi, signori, se uno v’è
tra i nobili di Grecia che tenga più al suo onore
che ai suoi agi, che cerchi la gloria
più di quanto non tema il pericolo,
che non conosca la paura, ma solo il suo valore,
che ami veramente la sua donna,
più che a parole, o con lodi inutili alle labbra di lei,
e osi quindi affermarne la bellezza, e il valore
affrontando braccia che non sono di lei,
costui io sfido. Davanti a Greci e Troiani
Ettore proverà, o si proverà di provare,
che la sua donna è più bella, saggia, fedele,
di tutte quelle che Greco abbia mai stretto.
Domani la sua tromba suonerà
proprio a metà fra il vostro campo e Troia
per stanare un Greco che sia genuino in amore.
Si faccia uno avanti, Ettore l’onorerà;
se poi nessuno viene, tornato a Troia
potrà annunciare a tutti che le Greche
hanno la pelle bruciata dal sole e non valgono
la scheggia d’una lancia”. E questo è tutto.
AGAMENNONE
Lo diremo ai nostri innamorati, Sire Enea.
Se nessuno di loro ha animo in questo caso
è segno che i veri amanti sono restati a casa.
Ma noi siamo soldati, e possa rivelarsi un vile quel soldato
che non è stato, è, o sta per essere innamorato.
Se dunque uno c’è che lo sia stato, lo è,
o sta per esserlo, costui si batterà con Ettore.
Se poi non c’è nessuno, combatterò io stesso.
NESTORE
Fategli pure il mio nome, un uomo fatto
al tempo che il nonno d’Ettore poppava.
È vecchio, ora, ma se non c’è tra i Greci
chi abbia quel tanto di fuoco per rispondere
del suo amore, ditegli che la mia barba canuta
la nasconderò in una celata d’oro,
il muscolo avvizzito in un bracciale,
poi gli dirò in faccia che la mia donna
era più bella di sua nonna, e casta
come nessuna al mondo. Sia pure nel pieno del suo vigore,
questa verità io la sosterro con le mie tre gocce di sangue.
ENEA
Il cielo non voglia che ci sia tale scarsità di giovani!
ULISSE
Amen.
AGAMENNONE
Principe Enea, lasciate che vi prenda per mano:
vi condurrò anzitutto nel nostro padiglione.
Anche Achille dovrà conoscere questa sfida,
e con lui, di tenda in tenda, tutti i nobili greci.
Voi pranzerete con noi prima d’andarvene,
e assaggerete il benvenuto d’un nobile nemico.
Escono tutti tranne Ulisse e Nestore.
ULISSE
Nestore…
NESTORE
Cosa dice, Ulisse?
ULISSE
Ho in testa un’idea adolescente:
sii tu il tempo per darle una qualche forma.
NESTORE
Di che si tratta?
ULISSE
Ecco: a nodo imbrogliato cuneo smussato.
Il germe d’orgoglio di Achille è cresciuto talmente
che dev’esser subito falciato; se si propaga
genererà un tale vivaio di superbia
da soffocarci tutti.
NESTORE
Sì, ma cosa fare?
ULISSE
Questa sfida che il prode Ettore lancia,
sebbene sia rivolta a tutti quanti noi,
ha in mente in realtà soltanto Achille.
NESTORE
Vero: lo scopo è del tutto evidente, come un bene
il cui ammontare consti della somma di cifre limitate;
quando la sfida avrà piena pubblicità
non ho dubbi che Achille, avesse il cervello
anche più arido delle dune della Libia
– ma che è abbastanza secco ben lo sa Apollo –
intenderà subito, con il suo alato ingegno,
che Ettore ce l’ha con lui.
ULISSE
E pensi davvero che si scomoderà a rispondere?
NESTORE
Sarebbe la cosa migliore. Chi altri mai
potremmo, con onore, contrapporre a Ettore?
Anche se si tratta di una sfida per gioco,
pero è in gioco la nostra reputazione.
I Troiani assaggeranno qui la nostra fama
migliore col loro palato più fine;
e credimi, Ulisse, la nostra rinomanza,
in quest’azione voluta, sarà messa in gioco
pericolosamente, perché l’esito,
anche se individuale, sarà tale da misurare,
bene o male, il valore di tutti.
È da questi indici – sia pur guide minime
dei volumi che li seguono – che si ricava
la figura infantile del gigantesco cumulo
di cose che di sé fa l’opera tutta.
Si presume che chi incontra Ettore
lo faccia per nostra propria scelta, la quale
essendo unanime, non puo che basarsi sul merito,
e scelta e merito uniti produrranno,
quasi espresso da noi tutti, un uomo distillato
dalle nostre stesse virtù. Se costui abortisce,
immagina quale cuore ne ricava la parte che vince
per rafforzare una ferrea fiducia in se stessa!
Che, quando è coltivata, le membra sono suoi strumenti
non meno efficaci di spade e archi maneggiati
da quelle membra stesse.
ULISSE
Scusa un po’: ma proprio per questo
è bene che Achille non incontri Ettore.
Perché non facciamo come i bottegai?
Esponiamo prima la merce più scadente
e cerchiamo di venderla; se poi non ci riusciamo,
il pregio di quella ch’è migliore attrarrà di più
perché è mostrata dopo. Quindi
che per nessun motivo Ettore e Achille s’incontrino.
Sia in caso di vittoria che in quello di sconfitta
la sfida porterebbe a due grossi inconvenienti.
NESTORE
Quali? Fin lì la mia vista non arriva.
ULISSE
La gloria che Achille ricavasse da Ettore,
se non fosse superbo, sarebbe certo anche nostra:
ma è già così insolente che per noi
morire di sete sotto il sole africano sarebbe meglio
che sotto l’orgoglio e il disprezzo salato dei suoi occhi,
se la spuntasse con Ettore. E se fosse battuto
allora guai per la nostra reputazione, a pezzi
nello smacco del nostro uomo di punta. No,
tiriamo a sorte e con un trucco facciamo
che tocchi a quel fesso d’Aiace combattere con Ettore.
Diamogli tutti d’accordo il titolo di uomo migliore.
E vedremo il grande mirmidone sorbettarsi la purga,
lui che si crogiola di applausi per lui solo!
Vedrai che abbasserà la cresta
che inarca con più orgoglio di Iride azzurra.
Se poi l’ottuso e scervellato Aiace ne esce vivo
lo copriremo di applausi; se fa cilecca
avremo sempre la reputazione
di possedere uomini migliori.
Ma, che si picchi sodo o se ne buschi,
in tutti i casi la vita del nostro progetto
assume questo senso: Aiace verrà usato
per strappare le penne ad Achille.
NESTORE
Ulisse, comincio ad apprezzare il tuo piano,
e ne darò subito un assaggio
ad Agamennone. Andiamo direttamente da lui.
Due cani si domeranno a vicenda. Solo l’orgoglio
aizza i mastini, come fosse un osso.
Escono.
Troilo e Cressida
(“Troilus and Cressida” – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V