Enrico V – Atto I

(“Henry V” – 1598 – 1599)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Enrico V - Atto I

Personaggi

CORO (anche in funzione di PROLOGO ed EPILOGO)

Re ENRICO V

Duca di BEDFORD (già Principe di Lancaster), fratello del Re
Duca di GLOUCESTER, fratello del Re
Duca di CLARENCE, fratello del Re
Duca di EXETER, zio del Re
Duca di YORK, cugino del Re
Conte di SALISBURY
Conte di WESTMORELAND
Conte di WARWICK
Conte di HUNTINGDON
Arcivescovo di CANTERBURY
Vescovo di ELY
Richard, Conte di CAMBRIDGE, cospiratore contro il Re
Henry, Lord SCROPE, cospiratore contro il Re
Sir Thomas GREY, cospiratore contro il Re
Sir Thomas ERPINGHAM, ufficiale dell’esercito del Re
FLUELLEN, Capitano gallese, ufficiale dell’esercito del Re
GOWER, Capitano inglese, ufficiale dell’esercito del Re
MACMORRIS, Capitano irlandese, ufficiale dell’esercito del Re
JAMY, Capitano scozzese, ufficiale dell’esercito del Re
John BATES, soldato nell’esercito del Re
Alexander COURT, soldato nell’esercito del Re
Michael WILLIAMS, soldato nell’esercito del Re
Alfiere PISTOLA, al seguito dell’esercito
Tenente BARDOLFO, al seguito dell’esercito
Caporale NYM, al seguito dell’esercito
PAGGIO (già al servizio di Falstaff), al seguito dell’esercito
OSTESSA Nella, già madama Quickly e ora moglie di Pistola
Un ARALDO inglese
Carlo VI, RE DI FRANCIA
REGINA Isabella di Francia
Principessa CATERINA, loro figlia
Luigi, il DELFINO, loro figlio e erede
Gran CONNESTABILE di Francia
Duca di ORLÉANS, nipote del Re
Duca di BRETAGNA
Duca di BORBONE
Duca di BERRY
Signore di GRANDPRÉ
Signore di RAMBURES
Signore di BEAUMONT
Duca di BORGOGNA
MONTJOY, araldo francese
Il GOVERNATORE di Harfleur
AMBASCIATORI di Francia presso il Re d’Inghilterra
Monsieur Le Fer, SOLDATO francese
ALICE, dama di compagnia della Principessa Caterina

Nobili, dame, ufficiali, messaggeri, soldati e cittadini

LA CRONACA STORICA DI ENRICO QUINTO,
CON LA BATTAGLIA COMBATTUTA
AD AGINCOURT IN FRANCIA.
CON LA PARTECIPAZIONE DELL’ALFIERE PISTOLA.
COSÌ COME È STATA PIÙ VOLTE RAPPRESENTATA<
DAI SERVITORI
DEL MOLTO ONOREVOLE LORD CIAMBELLANO.

PROLOGO

Entra il [Coro come] Prologo.

CORO

Oh, per una Musa di fuoco, capace di ascendere

al risplendente empireo dell’Invenzione:

un regno per palcoscenico, principi per attori,

e monarchi, a spettatori di un dramma grandioso!

Allora sì che, da par suo, il battagliero Harry

sarebbe un Marte personificato, ed alle sue calcagna,

tenuti a freno come dei segugi, Ferro, Fuoco e Fame

s’acquatterebbero, cupidi d’azione. Ma perdonate, pubblico cortese,

la scarsa, incerta ispirazione di chi ebbe l’ardire,

su questa indegna impalcatura, di portare in scena

sì epica vicenda. Può contenere, quest’angusta arena,

gli sconfinati campi della Francia? Possiam stipare a forza

in questo “O” di legno anche solo i cimieri

che ad Agincourt fecer tremare il cielo?

Ah, perdonateci! perché uno sgorbio da nulla

può, nel suo piccolo, rappresentare un milione.

Lasciate dunque a noi, gli zeri di sì gran rendiconto,

di fare appello alle forze dell’immaginazione.

Immaginate che entro la cinta di questi muri

sian confinati due possenti reami

che si confrontan dall’alto dei loro orgogliosi confini,

divisi solo da un periglioso braccio di mare.

Supplite voi, col vostro pensiero, alle nostre carenze:

dividete ogni singolo uomo in mille unità,

così creando armate immaginarie.

Pensate, se vi parliam di cavalli, di vederli voi stessi

calcare i lor fieri zoccoli nella terra amica;

è alla vostra mente che spetta ora equipaggiare i sovrani

e condurli per ogni dove, bruciando i tempi

e condensando gli eventi di molti anni

in un voltar di clessidra: e proprio a questo fine

fatemi fare in questa storia, vi prego, la parte del Coro;

ed io, da prologo, vi chiederò umilmente di esser pazienti

e giudicare cortesemente il nostro spettacolo con occhi indulgenti.

Esce.

ATTO PRIMO – SCENA PRIMA

Entrano l’arcivescovo di Canterbury e il Vescovo di Ely.

CANTERBURY

Mio signore, vi dirò: han riproposto il progetto di legge

che nell’undicesimo anno di regno del defunto re

poco mancò non venisse approvato, e in verità a nostro danno,

non fosse che i torbidi di quel tormentato periodo

imposero il rinvio di ogni ulteriore dibattito.

ELY

Ma adesso, mio signore, come faremo ad opporci?

CANTERBURY

Dobbiamo pensarci bene. Se la legge contro di noi passa,

perdiamo la parte migliore dei nostri possedimenti

di tutti i domini temporali che uomini di fede

hanno per testamento lasciato alla Chiesa

ci voglion spogliare costoro. E così calcolano il loro valore:

rendite tali da mantenere, per l’onore del Re,

ben quindici conti e mille e cinquecento cavalieri,

con seimila e duecento valenti scudieri;

e poi, per l’assistenza ai lebbrosi ed ai vecchi infermi,

ai poveretti indigenti ormai inabili al lavoro,

un centinaio di ospizi forniti di tutto punto;

ed oltre a questo, pei forzieri del Re

mille sterline l’anno. Questo dice il progetto.

ELY

Gran bella spremuta!

CANTERBURY

Quelli si bevono pure tazze e bicchieri!

ELY

Ma come impedirlo?

CANTERBURY

Il Re è toccato dalla Grazia, e nobilmente disposto.

ELY

E ama sinceramente la santa Chiesa.

CANTERBURY

I suoi trascorsi giovanili non promettevano tanto.

Ma non appena la vita ebbe lasciato il corpo del padre suo

quella sua intemperanza, in lui mortificata,

parve anch’essa spirare. Anzi, proprio in quel frangente,

la Riflessione apparve, in guisa di angelo,

a scacciar via da lui l’Adamo peccaminoso,

lasciando il suo corpo come un paradiso,

dimora e involucro di ispirazioni celesti.

Mai conversione allo studio fu più repentina;

mai ravvedimento fu tanto impetuoso

da spazzar via i peccati come un fiume in piena;

né mai le teste d’Idra dell’Intemperanza

furon mozzate così, subito, in un sol colpo,

come in questo re.

ELY

Un cambiamento che ci rende felici.

CANTERBURY

Solo a sentirlo ragionare di teologia,

colmi d’ammirazione e dal profondo del cuore

vorreste che diventasse un prelato.

Sentitelo mentre dibatte un qualche affare di Stato:

direste che mai non ha studiato altro.

Ascoltatelo parlare di guerra e vi accadrà di sentire

che una tremenda battaglia lui ve la rende in musica.

Sottoponetegli un qualsiasi dilemma politico,

ed egli ne scioglierà il nodo gordiano

quasi che fosse la sua giarrettiera: sicché, quando è lui a parlare,

l’aria, che pure ha licenza di andar dove vuole, s’arresta,

mentre un muto stupore s’annida nell’orecchio degli astanti

pronto a carpire il segreto di quel suo eloquio dolce come il miele.

Soltanto l’arte e l’esperienza della vita pratica

possono averlo tanto bene ammaestrato nella teoria:

sembra incredibile che Sua Grazia ne abbia fatto tesoro,

lui che era così dedito agli svaghi più insulsi

in compagnia di gente incolta, rozza e superficiale,

che il tempo lo passava in orge, banchetti e spassi,

senza che mai si notasse in lui una tendenza allo studio

o alla meditazione, né un voluto appartarsi

da frequentati ritrovi o dal contatto con la plebe.

ELY

La fragola cresce all’ombra dell’ortica

e bacche salutari proliferano e maturano meglio

accanto a frutti di qualità inferiore:

e così il principe volle occultare la sua natura riflessiva

dietro a un velame di dissolutezza; ed essa, senza dubbio,

veniva su come l’erba d’estate, che cresce la notte

non vista, eppure, di per sé, rigogliosa.

CANTERBURY

Sarà così, giacché è finito il tempo dei miracoli:

pertanto ci tocca per forza ammettere che ci sono altri mezzi

perché le cose maturino a perfezione.

ELY

Ma intanto, mio buon signore,

come si fa a mitigare gli effetti di questa legge

promossa dai Comuni? E Sua Maestà

è favorevole o contrario?

CANTERBURY

Si direbbe neutrale,

o forse un po’ più incline ad assecondare noialtri

che a incoraggiare i proponenti, a noi ostili;

visto che a Sua Maestà io ho fatto l’offerta –

in occasione della nostra assemblea sinodale,

e in relazione al contenzioso tuttora aperto

con la Francia, di cui ho con Sua Grazia

ampiamente discusso – di dare a lui una somma più grande

di quanto il clero, in una volta sola,

mai abbia versato ai suoi predecessori.

ELY

E come vi pare sia stata accolta l’offerta, mio signore?

CANTERBURY

Assai di buon grado, da parte di Sua Maestà;

solo che ci mancò il tempo di chiarire

come Sua Grazia, se ho ben capito, avrebbe desiderato,

tutti i dettagli delle indiscusse motivazioni

su cui si fondano i suoi titoli a taluni ducati

e, più in generale, alla corona e al trono di Francia,

che gli derivan dal suo bisnonno Edoardo.

ELY

Cosa vi fece interrompere tale colloquio?

CANTERBURY

L’ambasciatore di Francia, proprio in quel momento,

venne a chiedere udienza, e credo sia giunta l’ora

di dargli ascolto: son già le quattro?

ELY

Proprio così.

CANTERBURY

Allora entriamo, e sentiamo le sue proposte:

avrei buon gioco a prevederne il tenore

prima che quel francese dica una sola parola.

ELY

Vi accompagno, e non vedo l’ora di sentirle. Escono.

ATTO PRIMO – SCENA SECONDA

Entrano il Re [Enrico], Gloucester, Bedford, Clarence, Warwick, Westmoreland, e Exeter.

ENRICO

Dov’è Sua Grazia l’arcivescovo di Canterbury?

EXETER

Non qui fra i presenti.

ENRICO

Mandatelo a chiamare, buon zio.

WESTMORELAND

Facciamo entrare l’ambasciatore, mio sire?

ENRICO

Non ancora, cugino mio: occorre deliberare,

prima di dargli udienza, su alcune questioni importanti

che molto ci dan da pensare, riguardo a noi e la Francia.

Entrano i due Vescovi.

CANTERBURY

Dio e i Suoi angeli proteggano il vostro sacro trono,

e ve lo facciano occupare a lungo e con onore.

ENRICO

Bene. Vi ringraziamo.

Dotto Arcivescovo, vi preghiamo di continuare

e di spiegarci, al lume di religione e giustizia,

se quella legge salica che ha valore in Francia

possa o non possa vanificare le nostre pretese.

E Dio non voglia, mio caro e fedele signore,

farvi manipolare, forzare o falsare la vostra interpretazione,

o sottilmente addossare alla vostra coscienza razionale

il patrocinio di pretese illegittime, la cui giustezza

male si intona al naturale colore della verità.

Iddio sa bene quanti, oggi in buona salute,

dovran versare il loro sangue a sostegno

di quanto Vostra Eminenza ci indurrà a fare:

state perciò bene attento nell’impegnare la nostra persona,

nel risvegliare la spada di guerra, tuttora dormiente.

In nome di Dio, vi ingiungiamo di fare attenzione,

che mai due regni come i nostri si sono scontrati

senza un gran spargimento di sangue; e ogni goccia innocente

sarà ognuna un lamento e una dolente rampogna

contro colui che a torto volle affilare le spade

a far cotanto scempio di effimere vite mortali.

Tenendo a mente questo solenne richiamo, parlate, Eminenza:

noi ascolteremo attenti, convinti in cuor nostro

che quanto dite è stato lavato e purificato nella vostra coscienza,

come il peccato al fonte battesimale.

CANTERBURY

Allora ascoltatemi, grazioso sovrano, e voi Pari

che fedeltà dovete, e la vita, con i vostri servigi,

a questo trono imperiale. Non vi ha impedimento

alle pretese di Vostra Altezza sul trono di Francia

se non questa citazione, attribuita a Faramondo:

In terram Salicam mulieres ne succedant

“Nessuna donna potrà succedere in terra salica”.

La qual terra salica, sostengono a torto i Francesi,

altro non è che il regno di Francia, e Faramondo è per loro

il creatore di questa legge che escluderebbe le donne.

Eppure i loro stessi autori affermano esplicitamente

che la terra salica si trova in Germania,

tra il corso del fiume Sala e quello dell’Elba:

ove Carlo Magno, avendo sottomesso i Sassoni,

si lasciò dietro ed insediò colonie di Franchi,

i quali, avendo in dispregio le donne di Germania

per certi loro costumi alquanto immorali,

stabilirono allora questa legge: vale a dire, che nessuna femmina

potrà mai ereditare in terra salica.

E la terra salica, che come ho detto era tra l’Elba e il Sala,

nella Germania odierna si chiama Meissen.

E dunque risulta chiaro che la legge salica

non per il regno di Francia fu escogitata;

né i Franchi preser possesso della terra salica

prima di quattrocento e ventuno anni

dal decesso di Re Faramondo,

a torto ritenuto l’ideatore di questa legge.

Questi morì nell’anno di nostra redenzione

quattrocentoventisei; e Carlo Magno

sottomise i Sassoni ed insediò i Franchi,

di là dal fiume Sala, nell’anno

ottocentocinque. Dicono inoltre i loro studiosi

che Re Pipino, il quale aveva deposto Childerico,

ritenendosi erede universale in quanto discendente

da Blithilde, la figlia di Re Clotario,

poté a buon diritto reclamare la corona di Francia.

Anche Ugo Capeto, il quale usurpò la corona

di Carlo, Duca di Lorena, unico erede maschio

della legittima discendenza diretta di Carlo Magno,

per conferire al suo titolo un simulacro di legittimità

anche se, a dir la pura verità, era nullo e viziato,

si fece passare per erede di Madonna Lingarda,

figlia di Carlomanno, a sua volta figlio

di Ludovico imperatore, il Ludovico figlio

di Carlo Magno. Anche Re Luigi Decimo,

l’unico erede dell’usurpatore Capeto,

non riuscì a starsene con la coscienza tranquilla

e la corona di Francia, finché non si fu assicurato

che la leggiadra Regina Isabella, sua nonna,

discendeva da Madonna Ermengarda,

figlia di Carlo, il prefato Duca di Lorena:

fu tramite quell’unione che la stirpe di Carlo Magno

poté reinsediarsi sul trono di Francia.

Pertanto è chiaro come il sole estivo

che il titolo di Re Pipino, e le pretese di Ugo Capeto,

e le certezze di Re Luigi, tutti sembran fondarsi

sul buon diritto e il titolo di una donna,

Lo stesso è valso, sino ad oggi, per i re di Francia,

anche se poi si appellano a questa legge salica

per impedire a Vostra Altezza di avanzare pretese per via femminile,

e scelgon piuttosto di nascondersi in una rete

che invalidare in tutto e per tutto i discutibili titoli

a voi usurpati, e ai vostri progenitori.

ENRICO

Posso in coscienza e a buon diritto reclamar la corona?

CANTERBURY

Se c’è peccato, ricada sulla mia testa, o temuto sovrano!

Poiché nel Libro dei Numeri è scritto:

“Quando l’uomo muore, la sua eredità

può passare alla figlia”. Grazioso sovrano,

difendete il vostro diritto, spiegate la vostra bandiera tinta di sangue,

ricordatevi dei vostri possenti antenati:

andate, mio temuto signore, alla tomba del vostro bisnonno,

l’eredità del quale voi reclamate; invocate il suo spirito guerriero

e quello del vostro prozio, Edoardo il Principe Nero,

che in territorio francese compì gesta tremende,

sbaragliando l’intero esercito di Francia,

mentre il suo formidabile padre, dall’alto d’un colle

ristava sorridente a guardare il suo leoncello

predare nel sangue dei nobili francesi.

Oh nobili inglesi, che seppero impegnare

con la metà delle loro forze tutta la superbia della Francia,

lasciando l’altra metà a radersela, da spettatori

del tutto inoperosi, contenti d’esserne fuori!

ELY

Rinverdite il ricordo di quei prodi caduti

e il vostro braccio possente ne rinnovi le gesta.

Siete voi il loro erede, sedete voi su quel trono,

il sangue e A coraggio che dette loro la fama

corre nelle vostre vene: il mio sovrano, tre volte possente,

vive la sua giovinezza come un lieto mattino di maggio,

maturo per grandi gesta ed epiche imprese.

EXETER

I re e monarchi della terra, vostri confratelli,

si aspettano tutti che andiate alla riscossa,

come già fecero gli altri leoni della vostra stirpe.

WESTMORELAND

Sanno che Vostra Grazia ha il buon diritto, e i mezzi, e forze:

e Vostra Altezza li ha. Mai re d’Inghilterra

si ebbe nobili più ricchi e sudditi più fedeli:

i loro cuori qui in Inghilterra han disertato i corpi

e già sui campi di Francia han piantato le tende.

CANTERBURY

Oh, che anche i corpi li seguano, amato sovrano,

per sostenere la vostra causa col sangue, col ferro e col fuoco!

Per dare appoggio all’impresa noi uomini di chiesa

raccoglieremo per Vostra Altezza una somma sì ingente

quale mai il clero, in una singola elargizione,

portò ad alcuno dei vostri predecessori.

ENRICO

Dobbiamo non solo armarci per invader la Francia,

ma suddividere le nostre forze per poterci difendere

dagli Scozzesi, che marceranno contro di noi

se appena appena gliene offriamo il destro.

CANTERBURY

Gli uomini delle marche di frontiera, grazioso sovrano,

son baluardo sufficiente a difendere

il retroterra da quei predoni di là dal confine.

ENRICO

Non intendevo soltanto razzie e colpi di mano:

temo piuttosto le intenzioni dell’intera nazione scozzese

che è sempre stata, per noi, un vicino turbolento.

Potrete leggere infatti che il mio bisnonno

non andò mai con le sue forze in Francia

senza che gli Scozzesi sul suo regno sguarnito

si rovesciassero, come la marea in una breccia,

con tutto l’impeto e la pienezza delle loro forze,

martoriando con feroci incursioni un paese indifeso,

cingendo d’implacabile assedio castelli e città:

sì da lasciar l’Inghilterra, svuotata dei suoi difensori,

sconvolta e tremante alla mercé di quei brutti vicini.

CANTERBURY

Essa però, mio sire, subì più paura che danni;

basti pensare di quali esempi essa è stata capace.

Quando tutti i suoi cavalieri trovavansi in Francia

ed essa era una vedova, in lutto per i suoi nobili,

non solo seppe assai bene difender se stessa,

ma catturò e mise in gabbia, come un cane randagio,

il Re di Scozia, che in Francia poi volle spedire

per coronare la fama di Re Edoardo con re prigionieri,

e far ricchi di gloria i suoi libri di storia,

così come son ricchi i melmosi fondali marini,

di relitti colati a picco e incalcolabili tesori.

ELY

Ma vi è anche un detto molto antico e verace:

“Se la Francia vuoi tu conquistare

dalla Scozia fai bene a cominciare”.

Poiché ogni volta che l’aquila inglese va a caccia di preda,

nel suo nido incustodito la faina scozzese

s’insinua di soppiatto, a suggerne le uova regali,

facendo la parte del topo in assenza del gatto,

straziando e guastando quel che non può divorare.

EXETER

Ne consegue che il gatto dovrebbe starsene a casa.

Eppure questa non è necessità impellente,

visto che abbiamo serrature per custodire i nostri beni,

e trappole ingegnose per acciuffare i ladruncoli.

Fintantoché il braccio armato si batte lontano da casa,

la testa, ben consigliata, saprà difendersi in patria;

giacché il governo, nelle sue gerarchie alte, medie e basse

consta di più elementi, che pure dan vita a un unico concerto

ov’essi convergono in ricca e naturale armonia:

come la musica.

CANTERBURY

Vero. Proprio per questo alla condizione umana

il cielo assegna molteplici funzioni

e ne governa l’attività in un moto perpetuo,

al quale assegna, come obiettivo e fine ultimo,

la subordinazione: così lavoran, difatti, le api da miele,

creature che per legge di natura servon da esempio

di società ordinata alla popolazione di un regno

Esse hanno un re, e funzionari di diverso rango:

alcuni in patria, come magistrati, vi fari rigare dritti;

altri all’estero, come mercanti, esploran le vie del commercio;

altri ancora, come soldati, armati di pungiglione,

fanno man bassa dei vellutati boccioli detestate,

e tal bottino allegramente portano a casa,

alla regale tenda del loro imperatore:

il quale, tutto preso dalla maestà del suo ruolo, tien d’occhio

i muratori che, cantando, tiran su tetti d’oro,

i buoni borghesi che spremon cera dal miele,

i poveri manovali che s’accalcano a trasportare

quei loro grossi carichi sino al suo stretto portone,

il giudice accigliato, che tetramente bofonchia

nel consegnare a giustizieri spettrali

il fuco torpido e ignavo. Io ne concludo

che molte cose, purché dirette esclusivamente

verso un unico fine, possono anche venire da opposte direzioni:

così come molte frecce, scoccate da punti diversi,

centrano un solo bersaglio; e molte vie portano a un’unica città,

e molti dolci rivoli si versano nelle acque salate di un unico mare,

e molte linee convergono al centro della meridiana.

E così possono mille azioni, purché bene avviate,

tendere a un solo obiettivo e giungere tutte a buon fine,

senza insuccessi. E allora in Francia, mio sire!

Spartite in quattro la vostra felice Inghilterra;

portatevi in Francia appena un quarto di essa,

e voi con esso farete tremare la Gallia intera.

Se noi, con forze tre volte superiori rimaste in patria,

non sapremo tenere a bada i cani sull’uscio di casa,

tanto vale lasciarci azzannare, e far perdere alla nostra nazione

la sua reputazione di tenacia ed acume politico.

ENRICO

Fate entrare i messi inviati dal Delfino.

Adesso siam fermamente decisi; e con l’aiuto di Dio

e di voi tutti, nobile nerbo del nostro potere,

poiché la Francia è nostra la ridurremo in soggezione,

o la faremo a pezzi. O noi c’insedieremo colà,

dettando legge con autorità illimitata

alla Francia e a tutti i suoi ducati, grandi quasi come regni,

o lasceremo queste ossa in un’urna ingloriosa,

senza alcun monumento o epigrafe sepolcrale.

O la nostra storia dovrà con parole sonanti

favoleggiare delle nostre imprese, oppure la nostra tomba,

resterà muta come la bocca di un turco dalla lingua mozzata,

senza neppure l’onore di un epitaffio di cera.

Entrano gli ambasciatori di Francia.

Ora siam pronti ad ascoltare ciò che desidera

il nostro amabile cugino, il Delfino: ci risulta infatti

che non dal Re, ma da lui viene il vostro messaggio.

AMBASCIATORE

Vostra Maestà, vorrete cortesemente darci licenza

di riferire in tutta franchezza la nostra ambasciata,

oppure ci limitiamo a illustrarvelo un po’ alla lontana

il pensiero del Delfino, di cui siamo latori?

ENRICO

Noi non siamo un tiranno, ma un re cristiano

le cui passioni son soggette al suo illuminato volere

tal quali i malfattori, in ceppi nelle sue prigioni.

Diteci dunque francamente, senza troppi riguardi,

che cosa vuole il Delfino.

AMBASCIATORE

Allora, in breve, ecco qui:

Vostra Altezza ha, or non è molto, inviato in Francia emissari,

rivendicando taluni ducati, in forza del diritto

del vostro grande predecessore, Re Edoardo Terzo.

In risposta a tale pretesa, il principe nostro signore

dice che voi tirate un po’ troppo in lungo la giovinezza,

e vi consiglia di metter la testa a partito; nessuna conquista

farete in Francia con un’agile gagliarda:

laggiù i ducati non si ottengono a suon di baldorie.

Egli vi manda pertanto qualcosa a voi più congeniale,

un barile di preziosi; e, come contropartita,

vi prega di lasciarli perdere, i ducati che pretendete:

che essi non sentan più parlare di voi. Questo dice il Delfino.

ENRICO

Quali preziosi, zio?

EXETER

Palle da tennis, mio sire.

ENRICO

Siami assai grati al Delfino per le sue amabili uscite.

Vi ringraziamo per il suo dono e pel vostro disturbo.

Quando opporremo a queste palle le nostre racchette

ci giocheremo in Francia, a Dio piacendo, una tale partita

che la corona di suo padre finirà fuori gioco.

Ditegli che ha scelto di cimentarsi con un avversario

che metterà sottosopra tutti i campi di Francia

con i suoi tiri. E lo sappiamo benissimo

che quando lui ci rinfaccia gli anni della dissipazione

non ha nessun’idea dell’uso che ne abbiamo fatto.

Povero trono d’Inghilterra! Mai gli demmo valore;

e preferimmo tenerci alla larga da esso, abbandonandoci invece

a barbara licenza: è cosa risaputa

che più uno è lontano da casa, più cerca gli spassi.

Dite al Delfino che osserverò le forme della regalità,

portandomi da re e spiegando le vele della mia grandezza

il giorno che sarò assiso sul mio trono di Francia.

E a questo fine che la maestà volli metter da parte,

sgobbando come fa l’operaio nei giorni di lavoro;

sol per risorgere laggiù, sfolgorante di gloria,

abbacinando gli occhi della Francia intera.

Ma sì! Pure il Delfino, vedendoci, resterà abbagliato.

Dite al faceto principe che la sua presa in giro

ha cangiato le sue palle in proietti; e che la sua coscienza

porta l’amara responsabilità della devastante vendetta

che volerà con essi. Molte migliaia di vedove

questa sua beffa defrauderà di mariti affettuosi;

sottrarrà i figli alle madri, farà crollare castelli;

e c’è chi non è ancora nato e nemmen concepito

eppure avrà motivo di maledirla, la beffa del Delfino.

Ma tutto questo è nelle mani di Dio,

al quale io mi rimetto, e in nome del quale

voi direte al Delfino che io sto per arrivare,

per vendicarmi come posso e per levare il mio braccio

di giustiziere in una causa sacrosanta.

Andatevene dunque in pace, e dite al Delfino

che la sua burla sembrerà tutt’altro che spiritosa

se a riderne saranno in pochi, e a pianger migliaia.

Date a costoro una scorta adeguata. E buon viaggio.

Escono gli ambasciatori.

EXETER

Davvero spiritoso, il messaggio!

ENRICO

Speriamo di farne arrossire il mandante.

Perciò vi dico, signori, che ogni ora è preziosa

che possa aiutarci ad affrettare la spedizione,

poiché da questo momento abbiamo un solo pensiero, la Francia,

anche se prima d’ogni altra cosa noi pensiamo a Dio.

Chiamate subito a raccolta, per questa guerra,

le nostre forze; e diamoci pensiero, urgentemente

ma con giudizio, di tutto ciò che aggiunga alle nostre ali

qualche penna di più: visto che – Iddio c’è testimone –

a casa di suo padre daremo al Delfino una bella lezione.

Chiedo a ciascuno di dedicare ogni risorsa della sua mente

a far partire questa nobile impresa a tamburo battente.

Escono.

Enrico V
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