Enrico V – Atto V

(“Henry V” – 1598 – 1599)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Enrico V - Atto V

Entra il Coro.

CORO

Consentite che, a quanti non hanno letto la storia,

io faccia la parte del suggeritore. A chi l’ha letta,

chiedo umilmente di accettare le nostre scuse:

i tempi, le masse umane, la sequenza degli eventi

noi non possiamo, nella loro grandiosità, in modo adeguato

rappresentare qui. Ora noi il Re vi portiamo

in quel di Calais. Fate conto di averlo già visto,

e sollevatelo in alto, sui vostri alati pensieri,

di là dal mare. Guardate! La sponda inglese

ricinge i flutti con una siepe d’uomini, donne, ragazzi:

con grida e applausi essi sommergon la voce tonante del mare

che, come un possente battistrada, precede il sovrano

come ad aprirgli un varco. Fatelo dunque sbarcare,

guardatelo imboccare in trionfo la via di Londra.

Così veloce è il pensiero che in questo istante

potete immaginarlo che attraversa Blackheath,

dove i suoi Pari lo pregano di far sfilare

il suo elmo ammaccato e la sua spada distorta

dinanzi a lui per la città. Ma egli rifiuta,

essendo immune da vanità, vanagloria e superbia,

e assegna ogni trofeo o segnacolo di gloria ostentata

non già a se stesso, ma a Dio. Mirate ora,

nella fucina pulsante e industriosa della vostra mente,

come Londra riversa in strada i suoi cittadini:

il Sindaco, con tutti i suoi maggiorenti parati a festa,

simili ai senatori dell’antica Roma,

con i plebei che sciamano alle loro calcagna,

vanno a incontrare il loro Cesare vittorioso.

Così – con minor pompa, ma non minore entusiasmo –

se il generale della nostra graziosa Imperatrice

si decidesse un bel giorno a rientrar dall’Irlanda

portando la ribellione infilzata sulla sua spada,

in quanti non svuoterebbero la pacifica città

per dargli il benvenuto! A maggior ragione, e tanto più numerosi,

lo fecero per Harry. Il quale ora insedierete a Londra:

tuttora le querimonie dei Francesi

inducono il Re d’Inghilterra a indugiare in patria.

L’Imperatore è in arrivo, per conto della Francia,

a negoziare la pace fra i due paesi; voi passerete sopra

a ogni altro evento, qual che ne sia la piega,

fin quando Harry non sbarca ancora in Francia:

colà dobbiamo portarlo; se pur vi ho rammentato

quel ch’è intercorso, sappiate che è passato.

Io son stato succinto; voi, con animo indulgente,

riportatevi in Francia con gli occhi della mente. Esce.

ATTO QUINTO – SCENA PRIMA

Entrano Fluellen e Gower.

GOWER

Va bene, siamo d’accordo; ma perché portare il porro anche oggi? La festa di San Davide è passata.

FLUELLEN

Ci sono occasioni e ci sono perché e percome in tutte le cose: lasciatevelo dire da amico, Capitan Gower. Quel farabutto rognoso, pidocchioso, pezzente e spaccone, Pistola, che voi, proprio voi stesso, e il mondo intero sanno che non è niend’altro che un individuo, badate bene, di nessun valore, quello è venuto da me, e ieri mi porta il pane e il sale e mi dice di mangiare il mio porro. L’ingidente è accaduto in un posto dove non era il caso di attaccar briga con lui; ma io avrò l’ardire di portarlo sul cappello finché non l’avrò rivisto, e allora gli darò un piccolo andicipo di quel che ho indenzione di dargli.

Entra Pistola.

GOWER

Ehi, eccolo che arriva, gonfio come un tacchino.

FLUELLEN

Non so che farmene dei suoi gonfiori e dei suoi tacchini! Dio vi benedica, Alfiere Pistola! Rognoso e pidocchioso furfande, Dio vi benedica!

PISTOLA

Olà, sei tu forse un folle? o non vedi l’ora, vile marrano,

d’indurmi a recidere della Parca la trama fatale?

Lungi da me! L’odor di porro mi dà il voltastomaco.

FLUELLEN

Io v’imploro caldamente, rognoso e pidocchioso furfande, diedro mia sollecitazione e incitamendo e invocazione, a mangiare, badate bene, questo porro; visto che voi, badate bene, non lo apprezzate, e né la vostra inglinazione né la vostra ingestione né la vostra digestione riescono a farvelo digerire, vorrei chiedervi di mangiarvelo.

PISTOLA

Nemmeno per Cadwaflader e tutte le sue capre!

FLUELLEN

Eccovi una capra, a voi! (Lo percuote.) Volete farmi la cortesia di mangiarlo, furfande rognoso?

PISTOLA

Vile marrano, tu perirai!

FLUELLEN

Questa è la pura verità, furfande rognoso: sarà quando Dio vorrà. Nel frattempo voi badate bene a restare in vita e mangiare il vostro cibo. Fatevi Sotto, eccovi un po’ di sugo di bosco! (Lo percuote nuovamente.) Ieri m’avete chiamato il signore dei miei crinali, e oggi farò di voi l’alfiere dei miei stivali. Su, di grazia, mangiate: chi dice corna del porro deve almeno provarlo.

GOWER

Basta così, Capitano: me l’avete stordito.

FLUELLEN

Dico, un bel po’ del mio porro glielo fo mandar giù, a costo di pestargli la zucca quattro giorni filati. Mordete, vi prego, non può farvi che bene alla ferita aperta, e alla vostra capoccia insanguinata.

PISTOLA

Devo proprio mordere?

FLUELLEN

Sì, certo, e senz’ombra di dubbio e senza tande storie o tendennamenti di sorta.

PISTOLA

Su questo porro, la mia vendetta sarà orripilante! Mangio e mangio, ma giuro al cielo…

FLUELLEN

Su, mangiate, vi prego. Non vorrete mica un altro po’ di sugo sul vostro porro? Resterete senza più porro, a forza di giurare.

PISTOLA

Rattieni il randel tuo: lo vedi che sto mangiando.

FLUELLEN

Buon pro ti faccia, rognoso furfande, e di tutto cuore. No, vi prego, non gettatene nulla, la parte esterna vi farà bene a quel testone malconcio. Se avrete occasione di trovare dei porri, in futuro, di grazia, fate ancora lo spiritoso. E non dico altro.

PISTOLA

Bene.

FLUELLEN

Certo, il porro fa bene. Tenete, eccovi quattro soldi per sistemarvi la zucca.

PISTOLA

Quattro soldi a me!

FLUELLEN

Sì, in fede e in verità io vi dico che li dovete accettare: altrimenti l’altro porro che ho in tasca ve lo dovrete mangiare.

PISTOLA

Accetto i quattro soldi, a pegno di futura vendetta.

FLUELLEN

Se son rimasto in debito vi pagherò a randellate: e diventerete mercante di legname con tutti i randelli che vi tirerò addosso. Dio v’assista e conservi e vi rattoppi la zucca. Esce.

PISTOLA

L’inferno intiero tremerà per questo!

GOWER

Andate, andate, siete un furfante, un impostore e un codardo. Siete capace di irridere a un’antica tradizione, iniziata con una motivazione onorevole, e perpetuata come memorabile trofeo di valorosi antenati, e non osate sostenere nei fatti nemmeno una delle vostre parole? Già due o tre volte vi ho visto irridere e beffare questo gentiluomo e siccome questi non sa parlare inglese con le inflessioni native, voi non lo credevate capace di maneggiare un randello inglese. Avete scoperto che così non è; e d’ora innanzi ci penserà un Gallese a farvi rigare dritto, da buon Inglese. Addio. Esce.

PISTOLA

Adesso la Fortuna mi vuole cornificare.

Mi giunge nuova che la mia Lola è morta allo spedale

del morbo gallico,

e un altro porto sicuro va a farsi benedire.

Invecchio, e dalle membra mie infiacchite

l’onore vien cacciato a randellate. Beh, mi farò ruffiano

e, all’occasione, tagliaborse di mano lesta.

Tornerò in Inghilterra furtivamente, per darmi al furto

mi applicherò delle bende sui segni delle legnate

e giurerò che nelle guerre galliche me le son procurate. Esce.

ATTO QUINTO – SCENA SECONDA

Entrano, da una parte, il Re Enrico, Exeter, Bedford, [Gloucester, Clarence,] Warwick, [Westmoreland, Huntingdon] e altri Pari; dall’altra, il Re di Francia, la Regina Isabella, [la Principessa] Caterina, [Alice] e altre Dame; il Duca di Borgogna [col seguito].

ENRICO

Pace a questa assemblea che ci riunisce!

Al nostro fratello di Francia, e alla nostra sorella,

salute e una lieta giornata; auguri di felicità

alla nostra soavissima cugina, la Principessa Caterina;

e a voi, ramo e membro di questa real casa,

che avete reso possibile questa grande assemblea,

vada il nostro saluto, o Duca di Borgogna;

e a voi, principi e Pari di Francia, salute a voi tutti!

RE DI FRANCIA

Ci riempie di gioia il contemplarvi da presso,

nobilissimo fratello d’Inghilterra: siate il benvenuto!

E benvenuti voi tutti, prìncipi inglesi.

REGINA

Sian dunque felici, fratello d’Inghilterra,

gli esiti di sì fausta giornata e sì eletta riunione,

ora che abbiamo il piacere di guardarvi negli occhi:

gli stessi occhi che ebbero già a fulminare

tutti i Francesi venuti loro a tiro,

con le fatali folgori di micidiali basilischi.

Speriamo sinceramente che il veleno di quelle occhiate

abbia perduto la sua efficacia, e che questo giorno

ogni afflizione e discordia possa cangiare in amore.

ENRICO

E noi siam qui per dire “Amen” a questi voti.

REGINA

Salute a voi, principi inglesi tutti!

BORGOGNA

Il mio omaggio ad entrambi, fondato su pari affetto,

gran re di Francia e Inghilterra! lo mi son prodigato

con ogni mia facoltà, con fatica, con strenui sforzi,

a portare le Vostre auguste Maestà

a queste assise e a questo regale colloquio:

le Vostre Altezze possono entrambe testimoniarlo.

E dal momento che i miei buoni uffici hanno alfine ottenuto

che viso a viso, occhio a occhio regale

vi siate scambiati i saluti, non torni a mio disonore

se io, al cospetto di tale reale adunata,

chiedo per quale ostacolo o impedimento

la Pace, ignuda, povera e martoriata,

la tenera nutrice di arti, raccolti, e fecondità gioiosa

non debba nel più bel giardino del mondo,

la nostra Francia ferace, mostrar le sue liete fattezze.

Ahimè, per troppo tempo essa è rimasta in esilio,

e tutte le sue colture restano abbandonate,

per poi marcire, pur nella lor profusione.

Le vigne, che rendono i cuori lieti e giocondi,

muoiono non potate; le siepi, un tempo nitidamente curate,

come dei prigionieri inselvaggiti ed irsuti

si fanno ispide e informi; nelle terre a maggese

il loglio, la cicuta e l’ostinata fumaria

metton salde radici, e arrugginisce il vomere

che tale proliferazione dovrebbe estirpare;

il prato vellutato, che già produceva in un dolce rigoglio

la primula screziata, la pimpinella e il verde trifoglio

senza una falce, negletto, infestato di erbacce,

è fecondato dall’incuria e non produce nient’altro

che ignobili bardane, cardi spinosi, lappole e cicute,

perdendo ogni bellezza e utilità.

E come le nostre vigne, i maggesi, i prati e le siepi,

deviati dal loro fine, inselvatichiscono,

così le nostre famiglie, i nostri figli, noi stessi

abbiam perduto, o non troviamo il tempo di coltivare,

le scienze che dovrebbero ornare il nostro paese,

ma veniam su come selvaggi – come soldati

che non fan nulla se non pensare al sangue –

torvi, imprecanti e malvestiti,

e imbarbariti in modo innaturale.

Per riportare ogni cosa al suo aspetto di sempre

voi siete qui adunati; e il mio discorso v’implora

di dirmi per quale ostacolo la Pace gentile

non viene ancora a liberarci di tali jatture

e a benedirci dei suoi favori come già in passato.

ENRICO

Se, Duca di Borgogna, voi volete la pace

in assenza della quale si moltiplicano i danni

che avete enumerato, voi quella pace dovrete pagarvela

accedendo in tutto e per tutto alle nostre giuste richieste,

il cui tenore generale, come pure i dettagli,

son già, concisamente enunciati, in vostro possesso.

BORGOGNA

Il Re ne è a conoscenza; ma ad esse ancora

non ha dato risposta.

ENRICO

Ebbene, allora la pace

che avete or ora caldamente impetrato, dipende da lui.

RE DI FRANCIA

Io ho, ma in verità di sfuggita,

dato un’occhiata alle clausole: Vostra Grazia si degni

di designare d’urgenza qualcuno del vostro Consiglio

affinché torni a riunirsi con noi, per passarle in rassegna

con più attenzione; e noi senza indugio

andremo alla ratifica, e vi daremo una risposta definitiva.

ENRICO

Fratello, sarà fatto. Andate, zio Exeter,

fratello Clarence, e voi, fratello Gloucester,

con voi, Warwick e Huntingdon; andate dal Re.

Avrete pieni poteri di ratificare,

emendare, introdurre modifiche, che la vostra saggezza

ritenga vantaggiose per la nostra dignità,

in qualsiasi clausola, compresa o no fra le nostre richieste:

noi vi daremo il nostro consenso. E voi, bella sorella,

andrete con i prìncipi o resterete con noi?

REGINA

Andrò con loro, nostro grazioso fratello.

Può darsi che una voce di donna possa esser d’aiuto

se si comincia a cavillare troppo su qualche punto.

ENRICO

Però nostra cugina Caterina lasciatela a noi:

è lei la prima fra le nostre richieste, inserita com’è

in prima fila fra le clausole da noi previste.

REGINA

Ben volentieri: ella ha il nostro permesso.

Escono tutti tranne Enrico, Caterina, e [Alice] la dama di compagnia.

ENRICO

Bella Caterina, bella fra le belle,

consentirete a insegnare a un soldato

parole atte a insinuarsi nell’orecchio d’una dama

e a perorare la causa del suo amore al dolce cuore di lei?

CATERINA

Vostra Maestà prenderà me in giro: non so parlare vostra Inghilterra.

ENRICO

O bella Caterina! Se siete capace di amarmi veramente col vostro cuore francese, io sarò contento di sentirvelo confessare malamente con la vostra lingua inglese. Che ve ne pare di me, Kate?

CATERINA

Pardonnez-moi, non so cosa vuol dire “nepare”.

ENRICO

Un angelo pare simile a voi, Kate, e voi mi parete un angelo.

CATERINA

Qui dit-il? queje suis semblable à un ange?

ALICE

Oui, vraiment, sauf votre grâce, ainsi dit-il.

ENRICO

L’ho detto, diletta Caterina, e lo proclamo senza arrossire.

CATERINA

O bon Dieu! Les langues des hommes sont pleines de tromperies.

ENRICO

Cosa dice, bella dama? Che le lingue degli uomini son piene d’inganni?

ALICE

Oui, che le langue dei uomini sono piene di enganni – dice la Princesse.

ENRICO

La principessa sa far l’inglese meglio di voi. Parola mia, Kate, questo mio modo di farti la corte è fatto su misura per te; e sono lieto che tu non sappia parlare un inglese migliore. Se lo sapessi parlare, mi troveresti un re così ruvido che penseresti che per pagarmi la corona mi son venduto il podere. Io non so farli, i salamelecchi d’amore, ma so dire chiaro e tondo: “Io vi amo”. Se però voi mi incoraggiate a andar oltre un: “E voi, in fede, mi amate?” il mio corteggiamento si è già bello e sgonfiato. Datemi una risposta, questo sì, fatelo; poi una stretta di mano, e l’affare è fatto. Che ne dite, signora?

CATERINA

Sauf votre honneur, me capito bene.

ENRICO

Perbacco, se mi chiedeste di verseggiare o danzare per amor vostro, Kate, beh, mi mettereste nei guai: per la poesia mi fan difetto la parola e il ritmo, e nella danza non è certo il ritmo il mio punto di forza, anche se non mi fan certo difetto le forze. Se potessi conquistare una dama col saltamontone, oppure saltando in sella con tanto di armatura sul dosso – e se questa è una spacconata, fatemela pure pagare – in quattro salti me la farei, una moglie. O se dovessi fare a pugni per la mia bella, o far giostrare il cavallo per conquistarne i favori, saprei pestare come un macellaio e stare in sella con l’agilità d’una scimmia e senza mai cascare. Ma al cospetto di Dio, Kate, io non so fare il babbeo, né dare la stura a un’eloquenza fatta di sospiri, né so cavarmela con le dichiarazioni; so solo far giuramenti, di quelli veri, ai quali ricorro solo se costretto, e che mai romperei, nemmeno se costretto. Se tu puoi amare un individuo di questa fatta, Kate, la cui faccia stracotta nemmeno il sole può più abbrustolire, e che mai va a guardarsi allo specchio per amore di ciò che potrebbe scoprirvi, allora ci pensi il tuo occhio ad abbellirmi per te. lo ti parlo schiettamente, da soldato. Se tu puoi amarmi così come sono, prendimi. Se no, non verrò a dirti che mi aspetto di morire: sarà comunque vero, ma non certo per amor tuo, eh no, santo Iddio! Ma è anche vero che ti amo. E finché sei in tempo, mia cara Kate, prenditi un uomo fedele, semplice e non sofisticato, ed egli per forza di cose non ti tradirà, poiché gli farà difetto la vocazione di corteggiare altre donne; mentre cotesti tipi dalla lingua inesauribile, che sanno insinuarsi a forza di rime nelle grazie delle dame, trovan poi sempre eccellenti argomenti per sgusciarsene fuori. Andiamo! Un fine dicitore non è che una lingua lunga; una poesia non è che una tiritera. Una buona gamba s’infiacchirà, una schiena ritta s’incurverà, una barba nera si tingerà di bianco, una testa riccioluta diventerà calva, un bel volto appassirà, un occhio vivo sarà spento e infossato; ma un cuore onesto, Kate, è come il sole e la luna, o piuttosto come il sole, non come la luna, visto che splende luminoso e non cambia mai, sempre seguendo fedelmente il suo corso. Se vorrai prenderti uno così, prendi me: se prendi me, tu prendi un soldato; prendi un soldato, e prenderai un re. Ed ora cosa rispondi a questo mio amore? Parla, dolce creatura, e con dolcezza, ti prego.

CATERINA

È possibile per me di amare l’ennemi de la France?

ENRICO

No, non è possibile, Kate, che possiate amare il nemico della Francia; ma amando me voi amereste l’amico della Francia, perché io amo tanto la Francia che non saprei rinunciare nemmeno a un villaggio francese. Voglio che sia tutta mia, la Francia e, Kate, quando essa sarà mia e io vostro, allora la Francia sarà vostra e voi sarete mia.

CATERINA

O non capisco quel che voi dire.

ENRICO

Davvero, Kate? Te lo dirò in un francese che, son sicuro, mi resterà attaccato alla lingua come una sposa novella al collo del suo sposo, incapace di scrollarsela via. Jequand sur la possession de France, et quand vous avez la possession de moi… Vediamo un po’, e adesso? San Dionigi, aiutami tu! – donc vôtre est France, et vous êtes mienne. È più facile per me, Kate, conquistar tutto il regno che parlare un po’ meglio il francese: non saprò mai commuoverti in francese, sollo muoverti al riso.

CATERINA

Sauf votre honneur, le français que vous parlez il est meilleur que l’anglais lequel je parle.

ENRICO

No davvero, le cose non stan così, Kate; ma quando tu parli la mia lingua e io la tua spropositiamo così a proposito che occorre ammettere che noi due c’intendiamo assai bene. Ma ora, Kate, cerca di capire almeno queste parole: potresti amarmi?

CATERINA

Non saprei.

ENRICO

Forse lo sa, Kate, qualcuno del tuo seguito. Glielo chiederò. Andiamo, lo so che mi ami, e che la notte, quando vi chiuderete in camera vostra, farai a questa gentildonna tante domande su di me; e io so già, Kate, che con lei troverai da ridire su quelle mie qualità che in cuor tuo ti son care. Ma, mia buona Kate, ingerisci su di me dolcemente, visto che, nobile principessa, io ti amo ferocemente. Se mai tu sarai mia, Kate, e qui dentro una fede salutare mi dice che lo sarai, io e avrò conquistata d’assalto, e tu, per forza di cose, ti dimostrerai una fattrice di buoni soldati. Non potremmo tu ed io, tra San Dionigi e San Giorgio, combinare fra noi un ragazzo mezzo francese e mezzo inglese, capace di andare fino a Costantinopoli a tirare la barba al Turco? E perché no? Che ne dici tu, mio bel fiordaliso?

CATERINA

Io non so questo.

ENRICO

Certo che no: questo si saprà dopo, ma ora si tratta di promettere. Promettetemi fin da ora, Kate, che vi darete da fare per la metà francese di un tale rampollo, e per la metà inglese avrete la mia parola di re e di scapolo, Cosa mi rispondete, la plus belle Katharine du monde, mon très cher et divin déesse?

CATERINA

La Vostra Majesté parla un francese tanto fausse da ingannare la più sage demoiselle che essere en France.

ENRICO

Accidenti al mio falso francese! Sul mio onore, e in buon inglese, Kate, io ti amo: e sul mio onore io non oso giurare che tu ami me. Eppure il mio sangue comincia a illudermi che sia così, malgrado l’aspetto tutt’altro che accattivante delle mie fattezze. Maledetta ambizione di mio padre! Lui non pensava che alle guerre civili quando mi concepì: ecco perché venni al mondo con questa dura scorza, con questa grinta ferrigna, da spaventar le signore, quando mi provo a far loro la corte. Ma in fede mia, Kate, il mio aspetto non può che migliorare col passare degli anni; e mi conforta il fatto che la vecchiaia, quella guastatrice della bellezza, non può fare altri danni alla mia faccia. Tu mi avrai, se vorrai avermi, nel mio aspetto peggiore; ma mi godrai, se vorrai godermi, in modo sempre migliore. Ditemi dunque, o mia bellissima Caterina: volete farmi vostro? Lasciate da parte i rossori verginali, proclamate i segreti del vostro cuore con la fierezza d’una imperatrice, prendetemi per mano e dite: “Harry d’Inghilterra, io son tua”; e non appena avrai reso beato il mio orecchio con queste parole, io ti dirò forte: “L’Inghilterra è tua, l’Irlanda è tua, la Francia è tua, e Enrico Plantageneto è tuo”. Il quale, anche se non dovrei dirlo in sua presenza, se pur compagno non buono abbastanza pel migliore dei re, lo troverai il migliore re dei buoni compagni. Suvvia, rispondimi in quella tua musica incerta: poiché la tua voce è musica, e il tuo inglese incerto, e tanto vale, regina delle regine, che tu mi tolga dall’incertezza in un inglese incerto: vuoi farmi tuo?

CATERINA

Solo se le Roi mon père mi darà suo consenso.

ENRICO

Ma certo! Sarà ben lieto di consentire, Kate. Sarà più che lieto, Kate.

CATERINA

Allora sarà anche me ben lieta.

ENRICO

In tal caso io vi bacio la mano e vi chiamo mia regina.

CATERINA

Laissez, mon seigneur, laissez, laissez! Ma foi, je ne veux point que vous abaissiez votre grandeur en baisant la main d’une – notre Seigneur – indiane verviteur. Excusez-moi, je vous supplie, mon très puissant seigneur.

ENRICO

Allora, Kate, vi bacerò sulle labbra.

CATERINA

Les dames et demoiselles, pour étre baisées devant leur noces, il n’est pas la coutume de France.

ENRICO

Madama l’interprete, che cosa ha detto?

ALICE

Che non è usanza pour les dames di Francia… Non so come il dire baiser in anglese.

ENRICO

Baciare.

ALICE

Vostra Maestà entendre meglio que moi.

ENRICO

Non è usanza delle fanciulle di Francia baciare prima di sposarsi, voleva dire?

ALICE

Oui, vraiment.

ENRICO

O Kate! Le usanze più compite s’inchinano davanti ai grandi re. Mia cara Kate, voi ed io non possiamo lasciarci rinchiudere dentro alle fragili barriere delle usanze di un paese. Siamo noi a creare le usanze, Kate; e la libertà ch’è inerente al nostro rango chiude la bocca a tutti i criticoni, come io faccio ora con voi, che invocate le sofisticate usanze del vostro paese per negarmi un bacio. Su, fate la brava e arrendetevi. [La bacia.] Giuraddio, Kate, le vostre labbra sono stregate: c’è più eloquenza nel soave tocco di esse che nelle lingue del Consiglio di Francia, ed esse saprebbero persuadere Harry d’Inghilterra meglio di una petizione collettiva di monarchi. Ma ecco vostro padre.

Entrano il Re di Francia, [la Regina] e i nobili francesi; [Borgogna] e i nobili inglesi.

BORGOGNA

Dio salvi Vostra Maestà! Mio regale cugino, state insegnando l’inglese alla Principessa?

ENRICO

Vorrei ch’ella imparasse, mio nobile cugino, quanto è perfetto il mio amore; e questo è un buon inglese.

BORGOGNA

Avete una buona allieva?

ENRICO

La nostra lingua è difficile, cugino, e il mio carattere non è dei più facili; per cui, non trovando in me né la voce né lo spirito della lusinga, non sono in grado di evocare in lei lo spirito dell’amore, in modo da rivelarglielo nel suo vero volto.

BORGOGNA

Perdonatemi la franchezza, e l’umore giocoso, ma devo rispondervi a tono. Se volete evocare qualcosa in lei, dovrete tracciare un circolo attorno alla sua persona. Se volete evocare in lei l’amore nel suo vero volto, questo dovrà apparirle nudo e cieco. E potete darle torto se lei, una fanciulla che ancora arrossisce e s’imporpora di verginale pudore, se lei rifiuta di far entrare un ragazzo nudo e cieco nella sua nuda e vigile intimità? Questo equivale, mio sire, a mettere una vergine in una situazione difficile.

ENRICO

Eppur esse socchiudono gli occhi e cedono, poiché l’amore è cieco e irruento.

BORGOGNA

Allora, mio sire, è d’uopo scusarle, se esse non vedono ciò che fanno.

ENRICO

Quand’è così, mio bravo signore, insegnate a vostra cugina a dir di sì socchiudendo gli occhi.

BORGOGNA

La indurrò a dir di sì con una strizzatina d’occhio, mio sire, ma voi dovete insegnarle a capire a volo il mio segnale: poiché le vergini, ben curate e tenute in caldo durante l’estate, son come le mosche a fine agosto, a San Bartolomeo, occhiute ma cieche: soltanto allora si lascian prendere, mentre prima non sopportavano nemmeno gli sguardi.

ENRICO

Morale della favola: dovrò prender tempo e aspettare una calda estate, così potrò prenderla la mosca, vostra cugina, dalla parte giusta e inoltre dovrà essere cieca.

BORGOGNA

Cieca come l’amore, sire, prima di far l’amore.

ENRICO

Proprio così. E potete anche, alcuni di voi, ringraziare l’amore che ha reso me cieco: tanto che non mi consente di posare gli occhi su tante belle città francesi per via di una bella francesina che mi si para davanti.

RE DI FRANCIA

Sì, mio signore, voi lo vedete come in un’illusione prospettica, queste città che si fondono in una figura di vergine: poiché son tutte cinte da mura inviolate, che la guerra non ha mai penetrato.

ENRICO

E Kate? Sarà la mia sposa?

RE DI FRANCIA

Se cosi vi piace.

ENRICO

Tanto mi basta. Purché le città inviolate di cui mi avete parlato possano farle corona: così che la vergine che prima sbarrava la strada ai miei desideri, adesso darà via libera alle mie voglie.

RE DI FRANCIA

Abbiamo accettato tutte le condizioni ragionevoli.

ENRICO

È così, miei Pari d’Inghilterra?

WESTMORELAND

Il Re ha sottoscritto ogni articolo:

sua figlia in primo luogo, poi, di seguito, gli altri,

secondo il preciso tenore di ciascuna richiesta.

EXETER

Una sola cosa gli resta da sottoscrivere: là dove Vostra Maestà esige che il Re di Francia, ogniqualvolta sia chiamato a ratificare concessioni di terre, debba riferirsi a Vostra Altezza con questa formula, seguita dal titolo francese di “Notre très cher fils Henri, Roi d’Angleterre, Héritier de France“, e parimenti dal titolo latino di “Praeclarissimus filius noster Henricus, Rex Anglie et Hares Franciae“.

RE DI FRANCIA

Non è ch’io mi sia rifiutato, fratello, di sottoscriverlo:

basta una vostra richiesta, e s’intende approvato.

ENRICO

Vi prego allora, in spirito di amicizia, da buoni alleati,

di far figurare quell’unico articolo assieme con gli altri;

e fatto questo, potete concedermi vostra figlia.

RE DI FRANCIA

Prendetela, nobile figlio; e dal suo sangue mettete al mondo

la mia nuova progenie: che i regni rivali

di Francia e d’Inghilterra, le cui stesse coste si guatano terree

di gelosia, ciascuna per la prosperità dell’altra,

possan cessare di odiarsi. Che questa unione solenne

getti il seme del buon vicinato e d’una cristiana concordia

nel loro grembo sereno. Che mai più torni la guerra,

con la sua spada grondante, fra dolce Francia e Inghilterra!

TUTTI

Amen!

ENRICO

Kate, sei la benvenuta! Chiamo tutti a testimoni

che io qui la bacio come mia sovrana regina. Fanfara.

REGINA

Iddio, miglior artefice di ogni matrimonio

congiunga i vostri cuori e i vostri regni in una sola entità!

Come marito e moglie, nell’amore, diventano una cosa sola,

così tra i vostri regni ci sian tali sponsali

che mai una mala azione, o un’empia gelosia,

di quelle che spesso tormentano il talamo consacrato,

venga a insinuarsi fra questi due regni alleati

a provocare il divorzio di un’intima unione!

Che gl’Inglesi trattino i Francesi, e i Francesi gl’Inglesi

come compatrioti! E sia Iddio a dire “Amen”!

TUTTI

Amen!

ENRICO

Prepariamoci alle nozze: e nel giorno fissato,

mio Duca di Borgogna, accoglieremo il giuramento

vostro e di tutti i Pari, a garanzia dei nostri patti.

Allora voi a me, io a Kate giureremo fedeltà,

e questi voti noi manterremo, in pace e prosperità.

Squilli di tromba. Escono.

[EPILOGO]

Entra il Coro.

[CORO]

La sua penna maldestra maneggiando

l’umile autore raccontò la storia,

i grandi in spazi angusti confinando

e abbreviando il percorso di lor gloria.

Fu grande, pur nella sua breve vita,

l’astro di Albione. Di Fortuna il brando

fè sua l’aiuola al mondo più fiorita,

novello impero al figliol suo lasciando.

Enrico Sesto, in fasce incoronato,

fu il nuovo Re di Francia e d’Inghilterra;

ma i troppi reggitori del suo stato

perser la Francia, straziando la sua terra.

Noi tutto ciò portammo sulle scene:

direte voi se abbiamo fatto bene. [Esce.]

FINE

Enrico V
(“Henry V” – 1598 – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

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