Sonetto 108

Shakespeare. Sonetto 9

«V’è altro nel cervello che inchiostro possa scrivere
che il mio sincero spirito non ti abbia dedicato?».  

Ammettendo che rischia di rimanere a corto di nuove idee e “devo ripetere ogni giorno le stesse cose” del giovane, il poeta sostituisce la creazione appena immaginata con il rito; l’amore ridondante trova un nuovo significato nella ripetizione “Così quell’eterno amore in rinnovata veste, / non dà peso alla polvere e al logorio del tempo.”

Sonetto 108
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V’è altro nel cervello che inchiostro possa scrivere
che il mio sincero spirito non ti abbia dedicato?
Che dir ancor di nuovo, che resta ancor da offrire
per esprimere il mio amore o il tuo prezioso merito?
Nulla, caro giovane; ma come in sante preci, ancor
devo ripetere ogni giorno le stesse cose,
non sentendo vecchio il vecchio dir, tu mio, io tuo,
come la prima volta che venerai il tuo nome.
Così quell’eterno amore in rinnovata veste,
non dà peso alla polvere e al logorio del tempo
né concede spazio alle implacabili rughe,
ma costringe vecchiaia a sua perenne schiava,
trovando il primo concetto d’amor perpetuato
dove tempo e apparenza lo penserebbero distrutto.

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Psicologicamente malsano, il poeta regredisce di nuovo a vedere se stesso e il giovane come “tu mio, io tuo”. Rivive il passato, ma lo fa in modo tale che il passato sembri nuovamente fresco: “trovando il primo concetto d’amor perpetuato / dove tempo e apparenza lo penserebbero distrutto”. Poiché la realtà comporta ferite e accuse del passato, il poeta sceglie di vivere in un mondo fantastico in cui non è costretto a ricordare il trattamento narcisistico che i giovani hanno di lui.

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Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)

Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture

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