(“Cymbelyne” 1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano solennemente Cimbelino, la Regina, Cloten, e Signori da una parte, e dall’altra Caio Lucio con il seguito.
CIMBELINO
Allora, dite: cosa vuole da noi Cesare Augusto?
LUCIO
Quando Giulio Cesare – il cui ricordo
vive ancora agli occhi degli uomini,
e sarà per orecchie e lingue tema perenne –
era qui in Britannia a conquistarla,
tuo zio, Cassibellano – famoso per le lodi
che di lui faceva Cesare stesso non meno
che per le gesta che gliele meritarono –
promise a Roma, per sé e i suoi successori,
un tributo di tremila libbre d’oro all’anno;
che negli ultimi tempi tu non hai pagato.
REGINA
E che, per eliminare ogni meraviglia
in futuro, non verrà mai versato.
CLOTEN
Molti Cesari vi saranno prima che ne venga un altro come Giulio. La Britannia è un mondo a sé, e non pagheremo proprio un bel niente per il diritto di portarci il naso sulla faccia.
REGINA
L’occasione che i Romani ebbero allora
di prendere il nostro a noi, ora l’abbiamo
noi di riprendercelo Ricordate, sire,
mio sovrano, i re vostri antenati,
e insieme la posizione forte e audace
per natura, della vostra isola: un parco
di Nettuno, cinto e chiuso da rupi
insormontabili e acque ruggenti, con sabbie
che non reggeranno le navi dei vostri nemici,
ma le risucchieranno fino alla cima degli alberi maestri.
Sì, Cesare fece qui qualche conquista,
ma non è qui che poté vantarsi,”venni, vidi, vinsi”.
Con vergogna anzi – la prima che mai gli toccò –
fu respinto lontano dalle nostre coste,
due volte battuto. E le sue navi
– poveri, ignari gingilli – sbalzate
nel nostro mare tremendo sopra alle ondate
come gusci d’uovo, andarono in pezzi
sui nostri scogli. Per la gioia che n’ebbe,
il famoso Cassibellano, il quale – oh fortuna sgualdrina –
si trovò sul punto di vincere a Cesare la spada,
fece brillare di falò la città di Lud,
in festa, rendendo i Britanni gonfi di coraggio.
CLOTEN
Via, non c’è più nessun tributo da pagare. Il nostro regno è più forte che a quei tempi; e, come dicevo, non ci sono oggi Cesari come quello. Altri avranno pure il naso camuso come lui, ma nessuno un braccio così dritto.
CIMBELINO
Lasciate, figlio, che vostra madre finisca.
CLOTEN
E ce ne sono ancora molti invece qui fra noi che hanno strette forti come Cassibellano Non dico di essere uno di loro: però una mano ce l’ho. Un tributo? E perché? Perché dovremmo pagare un tributo? Se Cesare potesse nasconderci il sole con una coperta, o mettersi in tasca la luna, allora gli pagheremmo un tributo per la luce. Altrimenti, signore, di grazia, basta tributi.
CIMBELINO
Dovete sapere che finché i Romani
non ci estorsero, insolenti, questo tributo,
eravamo liberi. L’ambizione di Cesare,
che tanto si gonfiò da spezzare, quasi,
i fianchi del mondo, contro ogni diritto
ci impose questo giogo. E scrollarselo di dosso
è un dovere per un popolo guerriero quale noi
ci reputiamo.
CLOTEN E SIGNORI
Proprio così.
CIMBELINO
Dite dunque a Cesare che nostro avo fu
quel Mulmuzio il quale dettò le nostre leggi;
che queste proprio dalla spada di Cesare
furono mutilate; che ristabilirle
in pieno vigore sarà compito primo
e più grande del potere che deteniamo,
anche a costo dell’ira di Roma.
A noi diede leggi Mulmuzio,
il primo che in Britannia cinse le tempie
di corona d’oro e chiamò re se stesso.
LUCIO
Cimbelino, mi dispiace di dover proclamare
tuo nemico Cesare Augusto
– Cesare, che ha più re al suo servizio
che tu servi e guardie di palazzo.
Ascolta dunque il mio messaggio:
in nome di Cesare dichiaro contro di te
guerra e rovina. Sii pronto ad una furia
irresistibile. Dopo questa sfida,
per me ti ringrazio.
CIMBELINO
Sei benvenuto, Caio.
Il tuo Cesare mi ordinò cavaliere, e sotto di lui
ho passato molta della mia giovinezza;
da lui ho ricevuto onori che adesso
vuole riprendersi per forza, e che io devo
difendere a oltranza. So che i Pannoni
e i Dalmati s’armano per liberarsi:
un precedente che, non compreso,
farebbe apparire vili i Britanni.
Cesare non li troverà di certo tali.
LUCIO
La parola ai fatti.
CLOTEN
Sua Maestà vi dà il benvenuto. Passate con noi piacevolmente uno o due giorni, o più. Se verrete a cercarci, dopo, con altre intenzioni, ci troverete difesi dalla cintura della nostra acqua salata. Se riuscirete a cacciarci fuori da essa, allora è vostra. Se invece perite nell’impresa, i nostri corvi avranno pasto migliore a vostre spese. E questo è tutto.
LUCIO
Sia pure, signore.
CIMBELINO
Ora io so qual è il volere del tuo signore,
e lui il mio. Quanto al resto, benvenuto. [Escono.]
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entra Pisanio, con una lettera.
PISANIO
Cosa? Di adulterio? Perché non scrivi
quale mostro la accusa? Leonato!
Signore, che strana infezione è penetrata
nelle tue orecchie? Quale traditore d’italiano,
con lingua velenosa quanto le mani,
ha conquistato la tua ingenua credulità?
Lei, infedele? No! È punita
per la sua fedeltà: e sopporta – non
come una donna, come una dèa – assalti tali
che sconfiggerebbero più d’una virtù!
Mio signore, il tuo animo è ora più in basso
del suo quanto lo erano prima
le tue fortune. Come? Dovrei ucciderla?
Contro l’affetto, la fedeltà, i giuramenti fatti
per ordine tuo? Io, uccidere lei?
Spargerne il sangue? Se questo significa
servire bene, che mai più
io sia ritenuto servizievole!
E di quanta umanità dovrebbe dimostrarsi
privo il mio viso per farmi credere capace
di un simile delitto? [Legge] Fallo. La lettera
che le ho inviato te ne darà occasione
per ordine di lei stessa. Foglio maledetto!
Nero come l’inchiostro su di te!
Insensibile bubbola, puoi essere complice
di tale delitto e ancora mantenere
l’aspetto di una vergine? Eccola, viene.
Di quanto m’è stato ordinato, niente voglio saperne.
Entra Imogene.
IMOGENE
Allora, Pisanio?
PISANIO
Signora, una lettera dal mio padrone.
IMOGENE
Chi? Il tuo padrone? Ma è Leonato,
il mio signore! Sarebbe assai dotto
l’astrologo che conoscesse le stelle
come io la sua scrittura: il futuro
gli sarebbe spalancato davanti. Oh dèi benigni,
fate che d’amore profumi ciò che qui
è contenuto, e della salute del mio sposo,
della sua felicità – non perché siamo
separati. No, questo deve farlo soffrire.
Ci sono dolori salutari, e questo appunto
è uno di quelli, perché cura l’amore –
della sua felicità in tutto meno che in questo!
Cera gentile, il tuo permesso.
Benedette siate voi, api, che fate
sigilli ai nostri segreti! Chi ama
e chi è in pericolo di perdere i suoi crediti
vi fanno preghiere diverse: e voi mandate
in prigione i debitori, e insieme i fogli
del giovane Cupido suggellate. Buone notizie, o dèi!
[Legge] La giustizia, e l’ira di tuo padre se mi trovasse nei suoi domini, non sarebbero per me crudeltà pari alla dolcezza con la quale tu, carissima fra tutte le creature, mi ridaresti vita con i tuoi occhi. Sappi che sono in Cambria, a Milford Haven. Segui quel che l’amore ti suggerirà di fare in questa circostanza Ti augura ogni felicità colui che rimane fedele al suo voto, e che ti ama sempre di più.
POSTUMO LEONATO.
Avessi un cavallo con le ali! Senti, Pisanio?
È a Milford Haven. Leggi, e dimmi
quanto è distante. Chi ha affari da poco
può andarci a rilento in una settimana.
Non potrei io allora volarvi in un giorno?
Dunque, fedele Pisanio, che spasimi
quanto me di vedere il tuo padrone
– spasimi, non esageriamo – non proprio quanto me,
ma un po’ di meno. No, non come me:
perché il mio desiderio varca ogni confine.
Dimmi, parla – un consigliere d’amore
deve riempire di parole le trombe dell’udito
fino a soffocarlo – quanto c’è da qui
a questo benedetto Milford? E spiegami poi
come mai il Galles sia tanto fortunato
da possedere un porto come Milford.
Ma, prima di tutto: come possiamo
fuggire da qui? E che scusa troveremo
per il vuoto che lasceremo nel tempo
fra l’andata e il ritorno? Prima, però,
come arrivarci! Perché cercare scuse
prima che ce ne sia bisogno? Di questo
parleremo dopo. Intanto, ti prego, dimmi:
quante decine di miglia potremo fare
a cavallo, in un’ora?
PISANIO
Una ventina tra un sole e l’altro, signora,
è abbastanza, e forse troppo, per voi.
IMOGENE
Ma come? Neanche uno che venisse portato
al patibolo sarebbe tanto lento!
Ho sentito parlare di scommesse su cavalli
che filavano più veloci della sabbia
nelle clessidre. Sono sciocchezze.
Va’, di’ alla mia ancella di fingersi ammalata
e di dire che va a casa da suo padre;
e procurami subito un abito da viaggio,
non più ricco di quello che converrebbe
alla moglie di un fittavolo.
PISANIO
Signora, rifletteteci: è meglio.
IMOGENE
Riesco a vedere solo davanti a me.
Tra qui e lì, e dietro di me,
c’è una nebbia che il mio sguardo
non sa attraversare. Via, ti prego:
fa’ come ti ho ordinato. Non c’è altro
da dire. Una strada sola è aperta:
quella che a Milford porta. [Escono.]
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entrano Belario, Guiderio e Arvirago.
BELARIO
Una bella giornata: da non stare a casa,
specie con un tetto basso come il nostro.
Ragazzi, chinatevi: questa porta v’insegna
come adorare il cielo, ed a piegarvi
per il santo ufficio del mattino.
Le porte dei monarchi hanno archi così alti
che i giganti vi possono passare, superbi,
con empi turbanti in capo, senza neppure
dare il buongiorno al sole. Salve,
bel cielo! Abitiamo fra le rocce,
ma ti trattiamo con più onore di coloro
che vivono orgogliosi.
GUIDERIO
Salute, cielo!
ARVIRAGO
Salute, cielo!
BELARIO
E ora, ai nostri svaghi montani. Su
per quella collina: avete gambe giovani!
Io prendo per il piano. Quando mi vedrete
di lassù piccolo come un corvo, allora
pensate che quello è il posto
che sminuisce e fa insieme risaltare.
Meditate quindi sulle storie che vi ho raccontate
delle corti, dei principi, degli inganni della guerra,
dove un servizio non è tale perché fatto,
ma perché come tale è riconosciuto.
A guardarla in questo modo, si trae profitto
da tutto ciò che si vede. Così,
spesso, troveremo – a nostro conforto –
che lo scarabeo nella sua corazza è più al sicuro
dell’aquila con le ali dispiegate appieno.
Ah, questa vita è più nobile
che servire a corte per aver rifiuti,
più proficua che stare a far nulla per ottenere
una livrea, più dignitosa che strusciarsi
in abiti di seta ancora non pagati.
I sarti riveriscono i clienti, ma poi
non li cancellano dal libro dei loro debitori.
Non è vita, quella, in confronto con la nostra.
GUIDERIO
Parlate così per la vostra esperienza.
Noi che, poveretti, siamo senza penne,
non abbiamo mai volato che vicino al nido,
e non sappiamo com’è l’aria lontano da casa.
Forse questa vita è per voi la migliore
(se una vita tranquilla è la migliore);
è più dolce per voi che ne avete conosciuta
una più aspra, e ben si conviene
alla vostra età più fredda. Ma per noi è
una prigione d’ignoranza, un viaggio fatto dormendo,
una cella di carcere per un debitore
che non osa varcarne la soglia.
ARVIRAGO
Di cosa parleremo quando saremo vecchi
come voi? Quando sentiremo pioggia
e vento battere il buio di dicembre?
Di che discorreremo in questa gelida caverna
per passare le ore lunghe che agghiacciano?
Nulla abbiamo visto. Siamo come bestie.
Astuti come volpi per la preda,
bellicosi come lupi per il cibo:
il nostro valore sta nel dar la caccia
a ciò che fugge; una cantoria facciamo
della nostra gabbia, come gli uccelli prigionieri,
e cantiamo la nostra schiavitù liberamente.
BELARIO
Che discorsi! Se soltanto conosceste
l’usura della città e provaste sulla carne
gli artifici della corte, da dove è tanto
arduo andarsene quanto restare,
e dove salire in cima vuol dire
caderne o scivolare al punto che pari
è la paura di cadere; le pene della guerra,
fatiche che paiono cercare il pericolo
in nome solo della fama e dell’onore e,
nella ricerca, muoiono, ricevendo
indifferentemente ad epitaffio elogi o calunnie –
fatiche che anzi, spesso, puniscono
chi opera bene e, peggio, lo piegano ai rimproveri.
Questa storia, figli, il mondo può leggere
in me. Il mio corpo porta i marchi
delle spade romane. La mia fama, un tempo,
era fra le più illustri. Cimbelino
mi amava, e quando si parlava di soldati,
il mio nome era tra i primi.
Ero come un albero, allora, i cui rami
si piegano dai frutti. Ma in una sola notte
una tempesta, o una rapina (chiamatela come volete),
scrollò a terra i miei frutti maturi,
e le foglie stesse, lasciandomi nudo
alle intemperie.
GUIDERIO
Favori incerti della fortuna!
BELARIO
Eppure, io non avevo colpa
– come vi ho detto spesso: semplicemente,
due canaglie, i cui spergiuri
prevalsero sul mio onore immacolato,
giurarono a Cimbelino che io ero
in lega coi Romani. E così fui bandito,
e per vent’anni queste rocce e queste plaghe
sono state il mio mondo, dove ho vissuto
in onesta libertà e pagato più debiti
di pietà al cielo che in tutta la prima
parte della mia vita. Ma su,
per le montagne! Non sono discorsi, questi,
da cacciatori. Chi per primo colpisce
la selvaggina, sarà il signore della festa:
gli altri due lo serviranno, e non dovremo
temere il veleno che spesso accompagna
i piatti sulle tavole di più alto rango.
Ci incontreremo a valle. [Escono Guiderio e Arvirago.]
Come è difficile nascondere le scintille della Natura!
Questi ragazzi non immaginano neanche
di essere i figli del re, e Cimbelino
non si sogna neppure che essi siano vivi.
Credono di essere figli miei,
e benché allevati così, umilmente,
in una caverna che li fa star curvi,
i loro pensieri raggiungono le cime dei palazzi,
e la Natura li spinge, ben al di sopra
dei modi altrui, a fare da prìncipi
perfino nelle cose semplici. Polidoro, ecco,
erede di Cimbelino sul trono di Britannia,
lui che suo padre chiamò Guiderio – o Giove! –
quando, seduto sul mio sgabello a tre zampe,
racconto le imprese di guerra che ho compiuto,
la sua anima balza al volo dentro alla mia storia.
E se dico,”Così cadde il nemico,
e così gli posi il piede sul collo”,
il suo sangue di principe gli corre al viso,
e suda, tende i giovani muscoli, si mette
a mimare nel contegno le mie parole.
Il fratello più giovane, Cadwal, che prima
si chiamava Arvirago, atteggiandosi allo stesso modo,
nel mio racconto accende la vita,
e ancora di più rivela quel che sente.
Ecco, hanno snidato la selvaggina!
Cimbelino, il cielo e la mia coscienza
sanno che mi hai esiliato ingiustamente.
Perciò, quando l’uno aveva tre anni
e l’altro due, ti rapii i bambini,
pensando di privarti così di successione
come tu mi spogliasti delle mie terre.
Tu, Eurifile, sei stata loro nutrice:
ti hanno creduto loro madre,
e ogni giorno rendono onore alla tua tomba.
E credono me, Belario, che conoscono
col nome di Morgan, loro padre naturale.
La caccia è al via. [Esce.]
ATTO TERZO – SCENA QUARTA
Entrano Pisanio e Imogene.
IMOGENE
Quando siamo smontati da cavallo,
mi hai detto che il posto era vicino.
Neppure mia madre ebbe tanta impazienza
di vedermi per la prima volta quanta ora ne ho io…
Pisanio, su! Dov’è Postumo?
Cosa hai in mente che sbarri gli occhi così?
Perché quel sospiro dal tuo cuore?
A farti il ritratto, verrebbe interpretato
come l’immagine della confusione e del tormento,
indecifrabile. Un aspetto che atterrisca un po’ meno
devi mostrare, se non vuoi che la pazzia
vinca la mia ragione. Che succede?
Perché mi passi questo foglio
con uno sguardo tanto impassibile?
Se sono notizie piene di calore,
annunciale con un sorriso; se invece di gelo,
devi solo tenerti questa espressione.
La calligrafia di mio marito?
Quella dannata Italia, con i suoi veleni,
l’avrà confuso, si troverà in un brutto momento.
Su, parla! La tua lingua forse
può spuntare la lama a quella carta
che, alla lettura, mi ferirebbe a morte.
PISANIO
Leggete voi, vi prego E vedrete se non sono
– ah poveretto! – l’essere più disprezzato
dalla fortuna.
IMOGENE [legge]
Pisanio, la tua padrona ha fatto la sgualdrina nel mio letto. Ne ho testimonianze che sanguinano dentro di me. Non parlo per deboli congetture, ma per prove forti come il mio dolore e certe quanto lo sarà la mia vendetta. Questa parte, Pisanio, devi farla tu per me, se la tua lealtà non s’è macchiata del tradimento di lei. Devi toglierle la vita con le tue stesse mani. Te ne darò l’opportunità a Milford Haven. Perché vada là le ho mandato una lettera. E là, se hai paura di colpire e non mi dai la certezza che l’hai fatto, diverrai il ruffiano del suo disonore, infedele a me quanto lei.
PISANIO
Che bisogno ho di sguainare la spada?
Il foglio le ha già tagliato la gola.
No: è la calunnia, che ha lama
più affilata della spada, e lingua
più velenosa di tutte le serpi del Nilo,
e fiato che cavalca il vento spargendo menzogne
ai quattro angoli del mondo. Re, regine,
nobili, fanciulle, matrone – perfino
nel segreto della tomba penetra questa
vipera della calunnia. Ebbene, signora?
IMOGENE
Infedele al suo letto? Che significa?
Giacervi sveglia e pensare a lui?
Piangere sempre, ora dopo ora?
E se il sonno vince la Natura,
romperlo per sognare di lui, e per lui
impaurita gridare fino a svegliarmi?
Questo è essere infedele al suo letto?
PISANIO
Ahimè, buona signora!
IMOGENE
Io, infedele? La tua coscienza a testimonio!
Iachimo, quando lo accusasti di incontinenza,
mi sembrasti una canaglia. Ora, ecco,
potrei crederti abbastanza onesto.
Qualche donnaccia italiana, figlia soltanto
del proprio belletto, deve averlo
sedotto. E io, poveretta, sono
un vestito ammuffito, fuori moda:
troppo ricco, sì, per essere appeso
al muro, e allora da stracciare – a pezzi,
farmi! Ah, i giuramenti degli uomini sono
tradimenti, per le donne! Marito mio,
per questo tuo voltafaccia nessun viso onesto
potrà più apparire naturale:
sembrerà finto, invece, per malvagità;
simulato per adescare le donne.
PISANIO
Ascoltatemi, signora.
IMOGENE
Quando Enea tradì, molti uomini onesti
e leali furono creduti traditori,
e il pianto di Sinone ha rese false
molte lacrime vere, e a vere miserie
ha sottratto pietà. Così tu, Postumo,
di marciume coprirai gli uomini onesti:
buoni e fedeli, tutti saran creduti
falsi e spergiuri per questa tua gran colpa.
Su, sii onesto almeno tu, esegui
gli ordini del tuo padrone. Quando lo vedi,
testimonia la mia obbedienza Guarda,
snudo la spada io stessa. Prendila,
e colpisci l’innocente dimora del mio amore:
il cuore mio. Non temere, ormai è vuoto
di tutto fuor che di dolore: non c’è
più, dentro, il tuo padrone,
che era la sua vera ricchezza.
Esegui i suoi ordini, colpisci.
Sarai pur valoroso in imprese più grandi:
ora, però, sembri un codardo.
PISANIO
Via da me, arma vile!
La mia mano non farai dannata!
IMOGENE
Pure, io devo morire: se non è
per mano tua, non servi il tuo padrone.
Contro il suicidio c’è un divieto così sacro
da rendere vile la mia debole mano.
Su, ecco il mio cuore,
obbediente come il fodero della tua spada
– c’è qualcosa sopra, aspetta.
Non voglio difesa. Ma che è?
Ah, le sacre scritture del leale Leonato,
divenute eresie! Via, via!
Corrompete la mia fede, e quindi
non farete più corazza al mio cuore.
Così dei poveri sciocchi credono, magari,
ai falsi maestri. Chi è tradito
soffre atrocemente il tradimento,
ma al traditore spetta pena più grande.
E tu, Postumo, causa della mia disobbedienza
al re mio padre, tu che mi hai fatto
disprezzare gli omaggi dei prìncipi miei pari,
imparerai un giorno che non erano, quelle,
azioni comuni, ma impulsi rari.
E m’addolora pensare che quando ti verrà meno
l’appetito per colei che ora ti sazia,
il ricordo di me sarà un tormento. Presto,
ti prego: l’agnello implora il macellaio.
Dov’è il tuo coltello? Sei troppo lento
a eseguire gli ordini del tuo padrone
e quanto io stessa desidero.
PISANIO
O mia graziosa signora, da quando ho ricevuto
l’ordine di compiere questo delitto,
non ho chiuso occhio.
IMOGENE
Allora compilo, e poi va’ a letto.
PISANIO
Consumerò piuttosto i miei occhi stando sveglio.
IMOGENE
Perché hai accettato, allora? Perché
con l’inganno, con un pretesto m’hai condotta
per tante miglia? Perché qui? Perché
stancarci, tu ed io, e affaticare i cavalli?
E questa occasione che hai? L’agitazione
della corte per la mia assenza – anche se credo
non ci tornerò mai più? Perché
andare tanto lontano da avere
l’arco lento quando sei ormai appostato,
e la cerbiatta designata sta davanti a te?
PISANIO
Solo per guadagnare tempo e liberarmi
di un compito così triste. Ho pensato,
intanto, a un rimedio. Buona signora,
ascoltatemi con pazienza.
IMOGENE
Parla fino a stancarti la lingua.
Ho sentito che sono una sgualdrina,
e il mio orecchio, colpito a tradimento,
non può ricevere ferita più grande
né essere sondato più a fondo. Parla, dunque.
PISANIO
Pensavo, signora, che non sareste ritornata indietro.
IMOGENE
Certo, se mi hai portata qui per uccidermi.
PISANIO
No, non per questo. Ma se sono stato
accorto quanto onesto, forse il mio piano
avrà successo. Il mio padrone
non può che esser stato ingannato:
qualche furfante, abilissimo nella sua arte,
ha giocato a voi due questo tiro dannato.
IMOGENE
Una cortigiana di Roma?
PISANIO
No, per la mia vita. Farò soltanto
sapere che siete morta, e ne manderò
a lui un segno coperto di sangue,
come ha ordinato. La vostra scomparsa
dalla corte lo confermerà.
IMOGENE
E intanto, amico, io che farò?
Dove abiterò? Come vivrò?
E quale conforto potrò avere,
morta come sono per mio marito?
PISANIO
Se volete ritornare a corte…
IMOGENE
Niente corte, niente padre, niente
più a che fare con quella nullità
brutale, ignobile, rozza – quel Cloten,
il cui corteggiamento è stato per me
più tremendo di un assedio.
PISANIO
Se non volete tornare a corte, non potete
neppure rimanere in Britannia.
IMOGENE
E dove, allora? La Britannia possiede
forse da sola tutto lo splendore del sole?
Il giorno e la notte si trovano solo in Britannia?
Nel volume del mondo, la Britannia appare
come una sua parte, ma separata:
il nido di un cigno in un gran lago.
Pensa, di grazia, che esseri viventi
ci sono anche fuori della Britannia.
PISANIO
Sono lieto che pensiate ad altri luoghi.
Lucio, l’ambasciatore romano, arriva domani
a Milford Haven. Ora, se riusciste a fingere
un animo oscuro quanto la vostra sorte,
e a celare quello che, se scoperto,
per voi comporterebbe soltanto pericoli,
prendereste una via piacevole e piena di prospettive
– forse anche vicina a dove sta Postumo,
o almeno tanto vicina che, se anche
non si potesse vedere da lì quello che fa,
pure d’ora in ora vi giungerà all’orecchio
notizia d’ogni suo movimento.
IMOGENE
Ah! Per una strada così, benché pericolosa
– non mortale, bada – per il mio pudore,
subito mi avventurerei!
PISANIO
Bene, ecco come: dovete dimenticare
che siete una donna; cambiare il comando
in obbedienza, paura e timidezza – le ancelle
di ogni donna, e anzi l’essenza attraente
della donna – in un coraggio arguto, pronto
allo scherzo e alla risposta, impertinente
e litigioso come una donnola. E poi, dovrete
dimenticare il tesoro prezioso delle vostre guance
ed esporlo – è duro, sì, e crudele,
ma, ahimè, non c’è rimedio – agli avidi baci
di quel Titano che con i suoi raggi
tocca tutti; e dimenticare i monili
squisiti che facevano infuriare la grande Giunone.
IMOGENE
Su, sii breve: vedo dove vai a parare,
e son già quasi un uomo.
PISANIO
Prendetene prima le sembianze.
Prevedendo la cosa, ho già pronti
nella sacca cappello, calzoni, giustacuore
e tutto quello che vi si accompagna.
Col loro aiuto, e imitando al meglio
un giovane della vostra età, dovrete
presentarvi al nobile Lucio, chiedergli
d’essere presa al suo servizio, illustrargli
le vostre capacità. Se ha orecchio per la musica,
capirà; e certo vi accoglierà con gioia,
perché è un uomo onesto e, inoltre,
virtuoso. Quanto ai vostri mezzi
una volta lontana da casa, ci sono io,
che ne ho e mai mancherò di fornirvene.
IMOGENE
Sei il solo conforto che gli dèi
mi concedono in aiuto. Ti prego, va’.
Ci sono altre cose da considerare,
ma lo faremo a tempo debito.
A questa impresa vado come un soldato,
e la compirò col coraggio di un principe. Va’, ti prego.
PISANIO
Bene, signora, dobbiamo congedarci in fretta.
Altrimenti, notando la mia assenza,
mi sospetteranno d’aver favorito la vostra fuga
dalla corte. Mia nobile signora, prendete
questa scatoletta. Me l’ha data la regina,
e il contenuto è prezioso. Se avete mal di mare,
o nausea di viaggio, una goccia di questo
caccerà via ogni disturbo. Cercatevi
un luogo in ombra e travestitevi da uomo.
Gli dèi vi guidino al meglio!
IMOGENE
Grazie, e così sia.
[Escono da parti diverse.]
ATTO TERZO – SCENA QUINTA
Entrano Cimbelino, la Regina, Cloten, Lucio e Signori.
CIMBELINO
Vi lascio qui. Addio.
LUCIO
Grazie, Maestà.
Il mio imperatore ha scritto, devo ripartire.
Mi spiace molto dovergli annunciare
la vostra inimicizia.
CIMBELINO
I nostri sudditi, signore,
non sopportano il suo giogo; e quanto a noi,
mostrarci meno sovrani di loro
non sarebbe da re.
LUCIO
Bene, sire. Vi chiedo allora
una scorta fino a Milford Haven.
Signora, a Vostra Grazia auguro gioia, e a voi.
CIMBELINO
Signori, vi assegniamo questo compito.
Non dimenticate il dovere dell’onore.
Addio, nobile Lucio.
LUCIO
La vostra mano, signore.
CLOTEN
Eccola, in amicizia. Ma d’ora in poi
essa sarà vostra nemica.
LUCIO
Signore, i fatti devono ancora
proclamare il vincitore. Addio.
CIMBELINO
Non lasciate il nobile Lucio, miei
buoni signori, finché non abbia attraversato
il Severn. A voi, felicità! [Escono Lucio e Signori.]
REGINA
Se ne va accigliato: ma è per noi un onore
avergliene dato motivo.
CLOTEN
Tanto meglio.
Così vogliono i vostri prodi Britanni.
CIMBELINO
Lucio ha già scritto all’imperatore
della situazione qui. È tempo dunque
di approntare i nostri carri e i cavalieri.
Le forze che Roma ha di stanza in Gallia
saranno presto concentrate, e da lì
muoveranno guerra alla Britannia.
REGINA
Non è cosa da dormirci sopra: bisogna
condurla speditamente e con energia.
CIMBELINO
La previsione che così sarebbe andata
ci ha preparati. Ma, nobile regina,
dov’è nostra figlia? Davanti al romano
non è comparsa, e a noi non ha dato
il saluto del giorno. Ci sembra piena
di malvolere, non di rispetto. L’abbiamo
notato. Chiamatela dinanzi a noi.
Siamo stati troppo tolleranti e miti.
[Esce un gentiluomo del seguito.]
REGINA
Regale signore,
dopo l’esilio di Postumo ha condotto
vita assai ritirata: guarirla, sire,
deve farlo il tempo. Vi supplico,
Maestà, non usate con lei parole dure.
È tanto sensibile ai rimproveri
che parole così sono per lei colpi mortali.
Rientra il gentiluomo del seguito.
CIMBELINO
Dov’è, signore? Come giustifica
questa mancanza di riguardo?
GENTILUOMO
Sire, scusate.
Le sue stanze sono chiuse e non c’è risposta
alle grida con cui abbiamo chiamato.
REGINA
Mio signore, quando l’ultima volta
andai a visitarla, mi pregò di scusarla
se rimaneva chiusa nelle sue stanze.
Costretta dalla sua infermità, doveva
per forza trascurare l’omaggio quotidiano
che aveva l’obbligo di farvi: questo
desiderava che io facessi sapere.
Ma gli affari della nostra grande corte
mi hanno reso colpevole di dimenticanza.
CIMBELINO
Le sue stanze, chiuse? Nessuno l’ha vista,
di recente? Voglia il cielo che ciò
che temo non sia vero. [Esce.]
REGINA
Figlio, su, segui il re.
CLOTEN
Quel suo vecchio servitore, Pisanio, il suo
uomo di fiducia, non lo vedo da due giorni.
REGINA
Su, seguilo. [Esce Cloten.]
Pisanio, appoggi Postumo con tale devozione…
Ha una mia droga: prego gli dèi
che la sua assenza dipenda dal fatto
che l’ha inghiottita, perché la crede
cosa preziosissima. Ma lei, dov’è andata?
Forse è in preda alla disperazione,
o sulle ali del suo amore ardente
è volata dal suo adorato Postumo:
verso la morte è andata, o verso il disonore,
e al mio scopo ambedue servono bene.
Caduta ch’ella sia, la corona di Britannia è in mano mia.
Rientra Cloten.
Allora, figlio?
CLOTEN
È fuggita, per certo. Andate a calmare
il re furibondo. Nessuno osa
avvicinarsi a lui.
REGINA [a parte]
Tanto meglio. Che questa notte
possa privarlo del giorno che viene! [Esce.]
CLOTEN
L’amo e l’odio: perché è bella e regale,
e possiede modi cortesi più squisiti
di qualsiasi dama, delle dame tutte,
di tutte le donne; di ognuna ha il meglio,
e tutte assommando in sé, tutte le supera.
L’amo per questo, ma il suo disprezzo per me
e il favore che butta al miserabile Postumo
scredita il suo giudizio e soffoca in lei
ogni altra dote rara. E perciò
decido di odiarla, anzi di vendicarmi
di lei. Ché, quando i pazzi…
Entra Pisanio.
Chi è? Cosa complotti, furfante?
Vieni qui, valente ruffiano!
Canaglia, dov’è la tua padrona? Parla,
in fretta, o ti spedisco dritto al diavolo.
PISANIO
Mio buon signore!
CLOTEN
Dov’è la tua padrona? O, per Giove… Non
ripeterò la domanda. Canaglia dalla bocca chiusa,
dal tuo cuore voglio il segreto, o il cuore
ti strappo per trovarlo. È con Postumo?
Quel mucchio d’immondizia, dal quale non può
venire neppure un grammo di buono?
PISANIO
Ahimè, signore, come può essere con lui?
Quando è sparita? Lui è a Roma.
CLOTEN
Ma dov’è lei? Vieni vicino.
Niente più esitazioni. Dimmi tutto.
PISANIO
Mio degnissimo signore…
CLOTEN
Degnissima canaglia! Rivela subito
dov’è la tua padrona, senza altre ciance.
Basta con “degnissimo signore”! Parla,
o il tuo silenzio all’istante ti condanna a morte.
PISANIO
Allora, signore, questa carta contiene
tutto quello che so della sua fuga. [Gli porge una lettera.]
CLOTEN
Vediamo. Fino al trono di Augusto la inseguirò.
PISANIO [a parte]
O questo, o morire. È lontana abbastanza,
e quanto apprenderà da questo foglio
vorrà dire un viaggio per lui, non certo
un pericolo per lei.
CLOTEN
Hmm!
PISANIO [a parte]
Scriverò al mio padrone che è morta. Imogene,
possa tu viaggiare sicura, e sicura fare ritorno!
CLOTEN
Furfante, questa lettera dice la verità?
PISANIO
Credo, signore.
CLOTEN
È la calligrafia di Postumo, la conosco. Tu, se invece di fare la canaglia ti mettessi lealmente al mio servizio, portando a termine con serietà tutti gli incarichi che ti affiderei, e cioè compiendo con rapidità e lealtà tutte le canagliate che ti ordinerei, allora potrei considerarti un uomo onesto. I miei mezzi ti assicurerebbero un certo conforto, e una mia buona parola non mancherebbe per la tua carriera.
PISANIO
Bene, mio buon signore.
CLOTEN
Al mio servizio, dunque? Se sei rimasto attaccato con tanta pazienza e costanza alle miserevoli fortune di quel mendicante di Postumo, non potrai, per la legge stessa della gratitudine, che essere seguace diligente delle mie. Allora, vuoi metterti al mio servizio?
PISANIO
Sì, mio signore.
CLOTEN
Qua la mano, e qua la mia borsa. Hai un qualche vestito del tuo ex-padrone?
PISANIO
A casa, signore, ho il vestito stesso che portava quando prese congedo dalla mia signora e padrona.
CLOTEN
Ecco il primo servizio da farmi: porta qui quel vestito. Il primo servizio, dunque: va’.
PISANIO
Sarà fatto, signore. [Esce.]
CLOTEN
Ci incontriamo a Milford Haven! – Mi sono dimenticato di chiedergli una cosa, mi tornerà in mente presto – E lì, infame Postumo, ti ammazzerò. Arrivassero, questi vestiti! Una volta disse (il fiele del ricordo mi fa vomitare il cuore) di avere più stima per il vestito di Postumo che non per la mia persona, nobile per natura e adorna di tutte le sue qualità. Con quel vestito addosso, la violenterò. Prima ammazzerò lui, e sotto gli occhi di lei: vedrà, lì, il mio valore, e questo sarà poi un tormento per il suo disprezzo. Steso lui a terra, terminato il mio discorso di insulti sul suo cadavere, e saziata la mia lussuria (e questo, come ho detto, lo farò, per tormentarla ancora di più, proprio nelle vesti che lei ha tanto lodato), la riporterò a corte a furia di pugni – a calci, a casa. Ha goduto a disprezzarmi, e io saprò godere la vendetta.
Rientra Pisanio, con i vestiti.
Sono quelli, i vestiti?
PISANIO
Sì, mio nobile signore.
CLOTEN
Da quanto è partita per Milford Haven?
PISANIO
Non ci sarà ancora arrivata.
CLOTEN
Porta questi vestiti nella mia camera: è la seconda cosa che ti ordino. E la terza è che devi essere complice muto del mio piano. Basta che tu sia zelante, e ti verrà offerta una giusta ricompensa nella carriera. A Milford, là mi attende la vendetta. Se solo avessi le ali per inseguirla! Vieni, e restami fedele. [Esce.]
PISANIO
Di dannarmi, mi ordini. Esser fedele a te
significherebbe tradire – e mai lo farò –
il più leale degli uomini. Vai pure a Milford,
colei che insegui non ci troverai. Scendete,
benedizioni del cielo, scendete su di lei!
La fretta di questo pazzo venga rallentata
dagli ostacoli: dalla fatica sia ricompensata! [Esce.]
ATTO TERZO – SCENA SESTA
Entra Imogene, vestita da ragazzo.
IMOGENE
Faticosa, vedo, la vita d’un uomo.
Sono esausta, e per due notti
ho fatto della nuda terra il mio letto.
Sarei ammalata, se la volontà non m’aiutasse.
Milford, quando Pisanio dalla cima
del monte ti indicò, sembravi a due passi.
Oh Giove! Dinanzi agli sventurati scompaiono
gli asili dove dovrebbero trovar conforto.
Due mendicanti mi hanno detto
che non avrei potuto perdere la strada.
Anche i poveri mentono dunque, afflitti
dalle miserie loro, e sapendo che esse
sono punizione e prova? Sì; e non c’è
da averne meraviglia, quando i ricchi
dicono la verità così raramente.
Mentire nell’abbondanza è più grave
che mentire per bisogno. La menzogna è peggiore
in un re che in un mendicante. Dolce mio
signore, tu sei uno di costoro, sleale!
Ora che penso a te, la fame se ne va.
Ma poco fa, svenivo per mancanza di cibo.
– E questa che è? C’è un sentiero
che porta lì: una tana selvaggia.
Meglio non chiamare, non oso: eppure
la fame, prima di sconfiggere la natura,
la rende coraggiosa. Pace e abbondanza
generano codardi, ma la vita dura
di un duro ardire è madre. Ehi, c’è qualcuno?
Parla, se sei un essere civile;
se selvaggio, prendi, o presta. Ehi!
Nessuna risposta. Entro, allora.
Meglio sguainare la spada: e se il nemico
della spada ha paura quanto me,
non oserà neppure guardarla. Oh cielo,
dammi un nemico così! [Esce, entrando nella caverna.]
ATTO TERZO – SCENA SETTIMA
Entrano Belario, Guiderio e Arvirago.
BELARIO
Polidoro, sei stato il migliore nella caccia,
e ora sarai signore della festa.
Cadwal ed io faremo il cuoco e il servo,
com’era nei patti. Il sudore e la fatica,
a nulla servirebbero, come secchi e morti,
se non fosse per il fine cui si lavora.
Venite, la fame renderà saporito
il nostro umile cibo: la stanchezza
può russare sulla nuda pietra, mentre
l’indolenza trova duro il cuscino di piume.
Che vi sia pace qui, povera casa,
custode di te stessa!
GUIDERIO
Sono stanco morto.
ARVIRAGO
E io fiacco dalla fatica; ma forte d’appetito.
GUIDERIO
C’è della carne fredda nella caverna:
divoreremo quella, mentre si cuoce
ciò che abbiamo ucciso.
BELARIO [guardando nella caverna]
Fermi, non entrate.
Se non stesse mangiando le nostre provviste,
la crederei un’apparizione.
GUIDERIO
Che cosa c’è, signore?
BELARIO
Un angelo, per Giove! O una meraviglia
di questo mondo! Guardate: la divinità,
e ha gli anni di un ragazzo!
Entra Imogene.
IMOGENE
Buoni padroni, non fatemi del male.
Prima d’entrare ho chiamato, e pensavo
di mendicare o comprare quello che ho preso.
Non ho rubato nulla, davvero,
né l’avrei fatto se anche dell’oro
avessi trovato sparso per terra.
Ecco del danaro per il mio cibo.
L’avrei lasciato sulla tavola, alla fine
del pasto; e sarei andato via pregando
per chi l’aveva procurato.
GUIDERIO
Danaro, ragazzo?
ARVIRAGO
Che l’oro e l’argento diventino fango!
Di più non valgono se non per coloro
che adorano idoli di fango.
IMOGENE
Vedo che siete in collera. Se per questa
colpa mi uccidete, sappiate che sarei morto,
se non l’avessi commessa, di fame.
BELARIO
Dove siete diretto?
IMOGENE
A Milford Haven.
BELARIO
Il vostro nome?
IMOGENE
Fedele, signore. Ho un parente che,
diretto in Italia, s’è imbarcato a Milford.
Andavo da lui e, consumato dalla fame,
sono caduto in questa colpa.
BELARIO
Vi prego, bel giovane, non prendeteci per zotici.
Non misurate il nostro animo buono
dal luogo selvaggio in cui viviamo.
Ben trovato! È quasi notte: prima
di ripartire avrete cibo migliore,
e vi ringraziamo se rimanete a mangiarlo.
Ragazzi, dategli il benvenuto.
GUIDERIO
Se foste una donna, ragazzo, vi farei
la corte con insistenza, per diventare vostro
fidanzato. Pronto a pagare un alto prezzo.
ARVIRAGO
Mi consolerò che è un uomo e l’amerò
come un fratello. Il benvenuto che gli darei
dopo lunga assenza è vostro. Benvenuto!
Siate allegro, ché siete fra amici.
IMOGENE
Fra amici? Certo, se fratelli. [A parte] Magari
fosse così, fossero questi
i figli di mio padre! Allora il mio valore
sarebbe di meno, e più eguale nel peso
al tuo, Postumo.
BELARIO
Qualche dolore lo tormenta.
GUIDERIO
Potessi alleviarlo!
ARVIRAGO
Anch’io, quel che sia, a costo
di qualsiasi pena, di qualsiasi pericolo.
Oh, dèi!
BELARIO
Ascoltate, ragazzi. [Sussurra loro qualcosa.]
IMOGENE
Degli uomini potenti, che avessero una corte
non più grande di questa caverna,
che si servissero da soli e non possedessero
altro suggello alla propria virtù
che la loro coscienza; che non si curassero
dell’omaggio vano delle folle mutevoli –
non potrebbero valere più di questi due.
Perdonatemi, o dèi! Cambierei sesso,
per essere loro compagno, dopo il tradimento
di Leonato.
BELARIO
Così va bene. Ragazzi, andiamo
a preparare la selvaggina. Bel giovane,
entrate Parlare a digiuno è faticoso;
dopo cena, discreti, ti chiederemo di narrarci
la tua storia fin dove vorrai dirla.
GUIDERIO
Vi prego, venite.
ARVIRAGO
La notte al gufo, il mattino all’allodola
sono meno benvenuti di voi.
IMOGENE
Grazie, signore.
ARVIRAGO
Entrate, vi prego. [Escono.]
ATTO TERZO – SCENA OTTAVA
Entrano due Senatori e Tribuni.
PRIMO SENATORE
Questo è il tenore del decreto imperiale:
poiché la plebe è ora in azione
contro i Pannoni e i Dalmati, e le legioni
stanziate in Gallia sono troppo deboli
per intraprendere guerra contro i Britanni ribelli,
dobbiamo incitare i patrizi a questa impresa.
Lucio è nominato proconsole; a voi tribuni,
per questa leva urgente l’imperatore delega
poteri assoluti. Lunga vita a Cesare!
PRIMO TRIBUNO
Lucio è dunque comandante in capo?
SECONDO SENATORE
Sì.
PRIMO TRIBUNO
Ed è ora in Gallia?
PRIMO SENATORE
Con le legioni che ho detto, e a cui la vostra leva
deve fornire rinforzi. Il decreto di nomina
fissa il numero degli uomini e i tempi
della loro partenza.
PRIMO TRIBUNO
Faremo il nostro dovere. [Escono.]
Cimbelino
(“Cymbelyne” 1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V