Cimbelino – Atto IV

(“Cymbelyne”  1609/1610)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Cimbelino - Atto IV

ATTO QUARTO – SCENA PRIMA

Entra Cloten solo.

CLOTEN

Se Pisanio mi ha dato indicazioni esatte, sono vicino al luogo dove dovrebbero incontrarsi A perfezione mi vanno i suoi vestiti! E perché la sua donna, che fu fatta da colui che creò pure il suo sarto, non dovrebbe andarmi a perfezione anche lei? Tanto più che, con rispetto parlando, si dice che alle donne vada a seconda dell’andamento del vento. Bisogna che mi metta al lavoro. A me stesso posso dirlo – non è vanagloria se un uomo si parla allo specchio in camera sua – voglio dire, il mio corpo ha una linea buona quanto il suo. Non sono meno giovane di lui, però sono più forte; non inferiore di fortuna, ma più favorito dalle circostanze; superiore a lui di nascita, capace quanto lui nelle operazioni militari, e più bravo in singolar tenzone. Eppure questa cocciuta senza senso ama lui a mio dispetto. Ecco cos’è la vita mortale! Entro un’ora, Postumo, la tua testa, che adesso è attaccata al collo, ne verrà spiccata, la tua donna violata, i tuoi vestiti fatti a pezzi davanti ai tuoi occhi. Compiuta quest’opera, la riporterò a calci a casa, da suo padre, il quale sarà forse un po’ irritato con me perché l’ho trattata in maniera così rude. Ma mia madre, che ha completo controllo sui suoi malumori, volgerà ogni cosa a mia lode. Il cavallo è ben legato: fuori, o mia spada, preparati ad un compito spietato! Fortuna, mettili nelle mie mani! Questo, secondo la descrizione, deve essere il luogo del loro incontro: non oserebbe certo ingannarmi, quella canaglia.

[Esce.]

ATTO QUARTO – SCENA SECONDA

Entrano, provenendo dalla caverna, Belario, Guiderio, Arvirago e Imogene.

BELARIO [a Imogene]

Non state bene: rimanete qui nella caverna:

torneremo da voi dopo la caccia.

ARVIRAGO [a Imogene]

Fratello, resta qui. Non siamo fratelli?

IMOGENE

Tali dovrebbero essere gli uomini.

Ma argilla differisce da argilla in qualità

benché la polvere loro sia la stessa.

Mi sento veramente male.

GUIDERIO

Voi andate a caccia, io resto con lui.

IMOGENE

Non sto poi così male, ma bene

non mi sento. Non sono un damerino di città,

uno di quelli che paiono morti

prima d’ammalarsi. Perciò, vi prego,

lasciarmi, seguite il corso giornaliero

delle vostre occupazioni: rompere le abitudini

significa buttare all’aria tutto.

Sto male, ma il vostro rimanermi accanto

non mi può guarire. La compagnia non è

di conforto a chi non è di compagnia.

Non sto poi così male, se riesco

a ragionarci sopra. Vi prego, lasciatemi

qui, fidatevi. Non posso che

derubare me stesso, e rubando così poco,

lasciarmi morire.

GUIDERIO

Ti voglio bene,

l’ho detto: tanto e così forte

come a mio padre.

BELARIO

Che? Come? Come?

ARVIRAGO

Se dirlo è peccato, signore, mi lego

nella colpa a mio fratello: non so

perché amo questo ragazzo, ma vi ho

sentito dire che le ragioni dell’amore

sono senza ragione. Se ci fosse

una bara alla porta e mi venisse chiesto

chi debba morire, risponderei,

“mio padre, non questo ragazzo”.

BELARIO [a parte]

O nobile carattere!

O virtù della natura! O seme di grandezza!

I codardi sono padri di codardi,

i vili generano vili. La natura

crea crusca e farina, virtù e viltà.

Io non sono loro padre,

ma chi può essere costui, che compie

il miracolo di farsi amare più di me?

Sono le nove.

ARVIRAGO

Fratello, addio.

IMOGENE

Vi auguro buona caccia.

ARVIRAGO

Salute. – Signore, agli ordini.

IMOGENE [a parte]

Creature veramente gentili, queste.

O dèi, quante menzogne m’è toccato

sentire! I cortigiani dicono che fuori

della corte non ci sono che selvaggi.

Ma tu, esperienza, smentisci la voce!

Gli oceani sovrani generano mostri,

mentre i poveri tributari, i fiumi,

forniscono alla mensa pesci squisiti.

Sto male, ancora; malissimo. Pisanio,

ora proverò la tua medicina.

GUIDERIO

Non sono riuscito a farlo parlare.

Ha detto d’essere nobile, ma sfortunato;

colpito ingiustamente, e tuttavia giusto.

ARVIRAGO

Così ha risposto anche a me, dicendo

però che più tardi avrei potuto

saperne di più.

BELARIO

A caccia, a caccia!

Per ora vi lasciamo, entrate a riposare.

ARVIRAGO

Non staremo via a lungo.

BELARIO

Non v’ammalate,

vi prego, dovrete farci da massaia.

IMOGENE

Che stia bene o male, sono legato a voi.

BELARIO

E per sempre lo sarete. [Imogene esce, verso la caverna.]

Questo giovane, per quanto mal ridotto,

sembra di buona schiatta.

ARVIRAGO

Come un angelo, canta!

GUIDERIO

E che cucina squisita! Ha tagliato

le nostre radici in forma di lettere

e insaporito il brodo come se Giunone

fosse ammalata, e lui il suo cuoco.

ARVIRAGO

Unisce nobilmente sorriso a sospiro,

come se il sospiro fosse tale solo

perché non è un sorriso, e il sorriso

si facesse gioco del sospiro perché

vola via da tempio così santo

per mescolarsi ai venti insultati dai marinai.

GUIDERIO

Ho notato che il dolore e la pazienza, radici

del sospiro e del sorriso, s’intrecciano in lui.

ARVIRAGO

Cresci, pazienza! Fa’ che il dolore,

sambuco puzzolente, sciolga le maligne

sue radici dalla vite che fiorisce!

BELARIO

È giorno pieno. Venite via! – Chi è quello?

Entra Cloten.

CLOTEN

Non riesco a trovare i fuggiaschi.

Quella canaglia m’ha preso in giro.

Sono sfinito.

BELARIO

“I fuggiaschi”! Vuol dir noi?

Mi pare di riconoscerlo: è Cloten,

il figlio della regina. Temo un’imboscata.

Non lo vedo da anni, ma so che è lui.

Siamo considerati fuorilegge: andiamo via!

GUIDERIO

Ma è solo! Voi e mio fratello

cercate se ha compagni qui vicino.

Vi prego, andate: lasciatemi solo con lui.

[Escono Belario e Arvirago.]

CLOTEN

Ferma! Chi siete voi che fuggite

così davanti a me? Briganti di montagna?

Ne ho sentito parlare. Che canaglia sei tu?

GUIDERIO

Nulla di più adatto a una canaglia

ho mai fatto, che rispondere

a una canaglia senza picchiarla.

CLOTEN

Sei un masnadiero, un fuorilegge,

un farabutto. Arrenditi, ladro.

GUIDERIO

A chi? A te? E chi sei, tu?

Non ho forse un braccio grande

come il tuo? Un cuore altrettanto

grande? Certo, le tue parole

sono più grosse, perché io non porto

il pugnale in bocca. Dimmi chi sei

e perché dovrei arrendermi a te.

CLOTEN

Vile canaglia, non mi conosci dagli abiti?

GUIDERIO

Né te, gaglioffo, né il sarto tuo,

cioè tuo nonno: che ha fatto quei vestiti

i quali ora, pare, fanno te.

CLOTEN

Emerito furfante, non li ha fatti il mio sarto.

GUIDERIO

Vattene via, allora, e ringrazia

chi te li ha dati. Sei un idiota,

a picchiarti non c’è gusto.

CLOTEN

Ladro insolente,

ascolta il mio nome, e trema.

GUIDERIO

Qual è il tuo nome?

CLOTEN

Cloten, canaglia

GUIDERIO

Cloten, due volte canaglia, sia

il tuo nome. Non riesce a farmi tremare:

fosse Rospo, Vipera, o Ragno,

mi farebbe più impressione.

CLOTEN

Perché tu abbia maggiore paura, anzi

a tua totale confusione, sappi

che sono il figlio della regina.

GUIDERIO

Me ne dispiace: il tuo aspetto non pare

degno della tua nascita.

CLOTEN

Non hai paura?

GUIDERIO

Ho paura di quelli che rispetto: i saggi.

Degli idioti rido, non ho paura.

CLOTEN

Muori, allora. Quando ti avrò

ucciso con le mie stesse mani,

inseguirò quelli che sono scappati.

E sulle porte della città di Lud

impalerò le vostre teste. Arrenditi,

rozzo montanaro. [Escono, combattendo.]

Rientrano Belario e Arvirago.

BELARIO

Non c’è nessuno in giro?

ARVIRAGO

Non un’anima viva. Vi siete sbagliato,

su di lui.

BELARIO

Non so: non lo vedevo da tanto,

ma il tempo non ha cambiato i lineamenti

che il volto aveva allora. Gli strappi di voce,

quel parlare a scoppi, erano i suoi;

sono sicuro che fosse proprio Cloten.

ARVIRAGO

Li abbiamo lasciati qui. Spero

che mio fratello se la sia cavata

con lui. Dite che è tanto feroce.

BELARIO

Non essendo ancora maturo – dico,

come uomo – non sapeva cosa fosse il terrore.

Spesso la mancanza di giudizio fa trascurare

la paura. Guarda, tuo fratello.

Rientra Guiderio con la testa di Cloten.

GUIDERIO

Questo Cloten era un vero idiota,

una borsa vuota, senza soldi.

Neppure Ercole avrebbe potuto

fargli schizzare via il cervello:

perché proprio non l’aveva.

Eppure, se non gli avessi tagliata

la testa, l’idiota ora si porterebbe

appresso la mia, come io faccio

con la sua.

BELARIO

Ma che hai fatto! Lo sai?

GUIDERIO

Benissimo lo so: ho tagliato la testa

di un certo Cloten, figlio (a detta sua)

della regina, che mi chiamava traditore e montanaro,

e giurava di batterci con una mano sola,

di spiccarci le teste da dove, grazie agli dèi,

si trovano, e di impalarle nella città di Lud.

BELARIO

Siamo rovinati, tutti.

GUIDERIO

Caro padre, perché? Cosa abbiamo da perdere

se non quel che giurava di toglierci: la vita?

La legge non protegge noi.

Perché dovremmo essere educati, e lasciare

che un arrogante pezzo di carne ci minacci

e faccia da solo il giudice e il boia

perché noi temiamo la legge? Avete veduto

qualcuno qui intorno?

BELARIO

Non abbiamo visto anima viva,

ma ragione vuole che avesse un seguito.

Benché fosse per lui punto d’onore

cambiare sempre, e di male in peggio,

nessun eccesso, né pazzia totale,

lo avrebbero condotto qui da solo.

Può darsi che a corte la voce circolasse

di fuorilegge come noi che abitano qui

nelle caverne, vivendo di caccia, e magari

potrebbero col tempo diventare forti.

Sentendo questo, si sarà infuriato,

com’è nella sua indole, e avrà giurato

di catturarci. Ma che sia venuto solo

non è possibile: tanto ardito non era,

e gli altri non l’avrebbero permesso.

Abbiamo dunque tutte le ragioni di temere

che questo corpo abbia una coda

ben più pericolosa della testa.

ARVIRAGO

Quanto è ordito dal destino avvenga

secondo il volere degli dèi: comunque,

mio fratello ha fatto bene.

BELARIO

Oggi non avevo voglia di cacciare.

La malattia del giovane Fedele

mi ha reso gravoso il cammino.

GUIDERIO

Con la sua stessa spada, quella che puntava

alla mia gola, gli ho mozzato la testa.

La getterò ora nel torrente dietro

alla nostra caverna, che raggiunga il mare

e dica ai pesci d’essere Cloten,

figlio della regina: è tutto, penso. [Esce.]

BELARIO

Ho paura che il gesto sarà vendicato.

Sarebbe stato meglio, Polidoro,

che non l’avessi fatto, anche se il valore

ben ti si conviene.

ARVIRAGO

L’avessi fatto io!

E fossi io solo inseguito dalla vendetta!

Polidoro, fraterno è il mio amore per te,

ma grande è l’invidia perché m’hai rubato

questa impresa. Vorrei che tutti i vendicatori

che le nostre forze possono affrontare

venissero a cercarci fino a qui,

sfidando la nostra risposta.

BELARIO

Ormai è fatta.

Non andremo più a caccia, oggi,

né senza profitto in cerca di pericoli.

Ti prego, torniamo alla caverna: tu e Fedele

farete i cuochi. Io attenderò il ritorno

dell’impetuoso Polidoro per condurlo a cena.

ARVIRAGO

Povero Fedele, ammalato! Volentieri

andrò da lui. Per ridargli il colore,

farei sanguinare una parrocchia intera

di Cloten, e per tale carità loderei me stesso. [Esce.]

BELARIO

O dèa! Natura divina! Te stessa

riveli in questi due prìncipi ragazzi.

Sono gentili come gli zefiri che soffiano

sotto la violetta senza smuoverne il capo

profumato; ma violenti, quando il loro sangue

regale s’infiamma, come i vènti feroci

che per la cima afferrano gli abeti di montagna

e li piegano a valle. È straordinario

come un invisibile istinto li informi

di una regalità che mai hanno appreso,

di un senso dell’onore mai loro insegnato,

di cortesia che mai hanno visto in altri,

di valore che in loro cresce selvaggio,

ma dà frutto come se fosse seminato.

E strano è il presagio che per noi

significa la presenza qui di Cloten

e quel che la sua morte può portarci.

Rientra Guiderio.

GUIDERIO

Dov’è mio fratello? La cocciuta cocuzza

di Cloten ho spedito nel torrente,

in ambasceria a sua madre; il corpo

rimane ostaggio qui fino al suo ritorno. [Musica solenne.]

BELARIO

Ascolta, Polidoro:

il mio ingegnoso strumento suona! Ma che ragione

ha Cadwal per usarlo adesso? Ascolta!

GUIDERIO

È a casa?

BELARIO

È andato via un istante fa.

GUIDERIO

Cosa vuol dire Cadwal? È rimasto muto

lo strumento dalla morte della mia cara madre.

I toni solenni devono rispondere soltanto

a eventi gravi. Quale ragione mai…?

Esultare per nulla, lamentare sciocchezze,

sono allegrie da scimmie, dolori da ragazzi.

È pazzo, Cadwal?

Rientra Arvirago portando Imogene morta fra le braccia.

BELARIO

Guarda, eccolo che viene, e porta

fra le braccia la causa terribile

di ciò per cui lo rimproveriamo.

ARVIRAGO

È morto l’uccellino che tanto amavamo.

Avrei preferito balzare dai sedici anni ai sessanta,

e cambiare l’età dei salti in una stampella,

che vedere questo

GUIDERIO

O dolcissimo, bellissimo giglio!

Mio fratello ti porta con assai meno grazia

di quella con cui crescevi tu stesso.

BELARIO

O malinconia!

Chi mai poté sondare il tuo fondo,

toccarne il fango, e scoprire sulla costa

l’approdo migliore per la barca tua tarda?

Creatura celeste, Giove soltanto

sa che uomo saresti potuto divenire.

Io so che sei morto, ragazzo impareggiabile,

di malinconia. Come l’hai trovato?

ARVIRAGO

Rigido come lo vedete: ma sorridente,

come se una mosca ne solleticasse il sonno;

non irrideva al dardo della morte.

La guancia destra riposava su un cuscino.

GUIDERIO

Dove?

ARVIRAGO

In terra, con le braccia incrociate, così:

pensavo che dormisse e mi sono tolto

dai piedi le rozze scarpe chiodate

che con fracasso echeggiavano i miei passi.

GUIDERIO

È soltanto addormentato, infatti. Se è morto,

farò della sua tomba un letto.

Le fate aleggeranno attorno al suo sepolcro:

mai i vermi giungeranno a te.

ARVIRAGO

Coi fiori più belli, finché duri l’estate,

profumerò, Fedele, la tua tomba triste,

finché vivrò qui. Non ti mancherà

il fiore che più somiglia al tuo volto,

la pallida primula, né la campanula azzurra

come le tue vene: no, non i petali

della rosa di macchia che – non li calunnio –

non profumano più del tuo respiro.

Ti porterà il pettirosso dal becco pietoso

– o becco, vergogna degli eredi arricchiti

che lasciano i padri giacere senza tomba –

tutto questo, sì, e una pelliccia di muschio,

quando i fiori più non saranno,

a coprire il tuo corpo d’inverno…

GUIDERIO

Smetti, ti prego. Su cose tanto gravi

non scherzare con parole da donne.

Seppelliamolo, senza tardare col nostro sgomento

quel che gli è ora dovuto. Alla fossa!

ARVIRAGO

Dimmi, dove lo seppelliremo?

GUIDERIO

Accanto a nostra madre, la buona Eurifile.

ARVIRAGO

Così sia.

E benché le nostre voci abbiano ora

il timbro degli uomini fatti, col canto

accompagnamo il suo viaggio alla fossa,

come un tempo facemmo con nostra madre.

Usiamo la stessa melodia, le stesse parole,

mettendo Fedele al posto di Eurifile.

GUIDERIO

Non so cantare, Cadwal.

Piangerò, e con te ripeterò le parole.

Perché i canti di dolore, stonati,

sono peggio di preti e chiese mendaci.

ARVIRAGO

Lo reciteremo, allora.

BELARIO

I dolori grandi, vedo, curano i piccoli.

Cloten è dimenticato, ora, del tutto.

Era figlio di una regina, ragazzi, e benché

sia venuto da nemico, per questo ha pagato,

ricordatelo, un prezzo ben caro.

Umili e potenti marciscono assieme

e in polvere eguale tutti ritornano.

Il rispetto, però, l’angelo del mondo,

fra grandi e piccoli fa distinzione.

Un principe era il nostro nemico:

al nemico voi avete tolto la vita;

al principe dovete dar sepoltura.

GUIDERIO

Portatelo qui, vi prego.

Il corpo di Tersite vale quello di Aiace,

quando entrambi sono senza vita.

ARVIRAGO

Mentre andate a prenderlo, reciteremo

il nostro canto. Incomincia, fratello. [Belario esce.]

GUIDERIO

No, Cadwal, prima a oriente dobbiamo

volgere il suo capo. Per questo pare

che nostro padre abbia una ragione.

ARVIRAGO

È vero.

GUIDERIO

Vieni, allora: spostiamolo.

ARVIRAGO

Ecco. Comincia.

CANZONE

GUIDERIO

Più non temere del sol la calura,

non la tempesta dell’inverno furiosa.

Hai assolto nel mondo ogni tua cura,

a casa sei andato, paga hai generosa.

Ragazzi e fanciulle che paiono d’oro,

come chi spazza i camini per loro,

in polvere deve ciascuno tornare.

ARVIRAGO

L’ira dei grandi più non temere,

non può dei tiranni toccarti condanna.

Più non curar di vestire e mangiare,

come una quercia è per te ogni canna.

Re, medico, dotto ti devon seguire;

in polvere deve ciascuno tornare.

GUIDERIO

Del fulmine il lampo più non temere.

ARVIRAGO

Né lo scoppio del tuono, a tutti sgomento.

GUIDERIO

Non temere calunnie né aspre censure.

ARVIRAGO

Per te spenta è la gioia, finito il lamento.

INSIEME

Gli amanti giovani, gli amanti tutti,

per legge sono compagni ai tuoi lutti:

in polvere deve ciascuno tornare.

GUIDERIO

Chi evoca spiriti non ti possa colpire!

ARVIRAGO

Non ti faccia magia d’incanto stregare!

GUIDERIO

I fantasmi insepolti ti dovran risparmiare!

ARVIRAGO

Creatura del male non ti possa sfiorare!

INSIEME

Consumati in pace sino alla fine!

Abbi tomba famosa senza confine!

Rientra Belario con il corpo di Cloten.

GUIDERIO

Abbiamo compiuto le esequie: su, seppelliamolo.

BELARIO

Ecco dei fiori, e altri poi a mezzanotte.

L’erba cosparsa di fredda rugiada notturna

è ornamento adatto alle tombe, ai volti che coprono

Come fiori eravate, e ora siete appassiti:

così quest’erba sarà, che spargiamo su voi.

Su, venite, preghiamo in ginocchio.

Se li riprende, la terra che li ha dati:

le gioie e i dolori loro qui sono finiti.

[Escono Belario, Guiderio e Arvirago.]

IMOGENE [svegliandosi]

Sì, signore, a Milford Haven Qual è la via?

Grazie, presso quel cespuglio? Per favore,

quanto è distante? Misericordia! Sei miglia ancora?

Tutta la notte ho camminato. Allora mi stendo

a dormire Piano! Non voglio compagno di letto!

O dèi! O dee! [Vede il corpo di Cloten.]

Questi fiori sono come i piaceri del mondo,

questo corpo insanguinato come il suo dolore.

Sogno, spero. Mi pareva d’essere massaia

in una caverna, e di far da cuoca a persone oneste.

Ma non è così. Era solo un lampo di nulla,

scagliato verso il nulla: una creazione del cervello

e dei suoi fumi. I nostri occhi a volte

sono come i nostri giudizi: ciechi.

Eppure, tremo ancora di paura.

Ma se in cielo è rimasta una goccia di pietà

piccola come l’occhio di uno scricciolo, o dèi temuti,

datemene almeno una parte! Ancora qui

è il sogno, fuori e dentro di me, perfino

quando sono sveglia: non immaginato, ma sentito.

Un uomo senza testa? I vestiti di Postumo?

Riconosco la forma della sua gamba. Questa

è la sua mano, il suo piede da Mercurio,

la coscia da Marte, i muscoli di Ercole.

Ma il suo volto da Giove? Un assassinio in cielo!

È sparito. Pisanio, tutte le maledizioni

che Ecuba impazzita gettò sui Greci,

e le mie in aggiunta, cadano su di te! Tu,

cospirando con Cloten, quel diavolo senza freno,

hai ammazzato qui il mio sposo.

Scrivere e leggere siano d’ora in poi

segni di tradimento! Dannato Pisanio,

con le sue lettere false, Pisanio dannato

ha troncato l’albero maestro del vascello

più nobile che vi fosse al mondo! Postumo,

ahimè, dove è la tua testa? Dove, ahi, dove?

Pisanio avrebbe potuto trafiggerti il cuore,

e lasciarti la testa. Perché così, Pisanio?

Lui e Cloten: malvagità e cupidigia

hanno compiuto questa orrenda sciagura.

Ah, vedo ora, è chiaro! Quella droga

che mi ha dato, che diceva essere per me

un cordiale prezioso, non ha forse ucciso

i miei sensi? Ecco la conferma. È opera,

questa, di Pisanio e Cloten. Oh, colora

col tuo sangue le mie pallide guance, sì che

più orrenda appaia a chi mi troverà.

O mio signore, mio signore! [Sviene sul corpo.]

Entrano Lucio, Capitani e un Indovino.

CAPITANO

Oltre a queste, le legioni stanziate in Gallia

hanno, secondo i vostri ordini, traversato il mare,

e vi attendono con le vostre navi a Milford Haven.

Sono pronte all’azione.

LUCIO

Che notizie da Roma?

CAPITANO

Il Senato ha richiamato i cittadini e i nobili d’Italia,

spiriti volenterosi, che promettono prestazioni eccellenti.

Vengono al comando dell’ardito Iachimo, fratello

del duca di Siena.

LUCIO

Per quando li aspettate?

CAPITANO

Al primo vento favorevole.

LUCIO

La prontezza

che vediamo ci dà buone speranze.

Che le truppe siano passate in rassegna:

i capitani provvedano. E voi, signore,

che avete sognato ultimamente di questa guerra?

INDOVINO

La notte scorsa gli dèi stessi mi hanno

mostrato una visione. Avevo digiunato e pregato

di poter capire. Ecco quel che ho visto:

l’aquila romana, l’uccello di Giove, volava

dall’umido meridione verso questa parte d’occidente,

e qui svaniva nei raggi del sole.

Se i peccati non oscurano il mio potere di divinazione,

questo presagisce vittoria all’esercito romano.

LUCIO

Sogna sempre così, e mai sia falso.

Fermi: che tronco è questo, senza testa?

I resti dicono che un tempo era un nobile

edificio. Che? Un paggio? Morto, o addormentato

sopra il cadavere? Morto, sembra: perché la natura

ha orrore di spartire il letto con i defunti

o di dormire sopra i corpi morti. Guardiamo

il viso del ragazzo.

CAPITANO

Signore, è vivo.

LUCIO

Allora su questo corpo potrà darci spiegazioni.

Ragazzo, parlaci delle tue sventure, che paiono

implorare d’esser conosciute Chi è costui

di cui ti fai cuscino sanguinoso? E chi

ha così mutato questa bella immagine

creata da nobile Natura? Che parte hai

in questo relitto miserando? Come è accaduto?

Chi è? E chi sei tu?

IMOGENE

Io sono nulla. E se no, sarebbe meglio

essere nulla. Questo era il mio padrone,

un britanno valoroso e buono, ucciso, qui,

dai montanari. Ahimè, padroni così

non ci sono più. Se anche vagassi

da oriente ad occidente offrendo i miei servizi,

ne provassi molti, buoni perfino,

e fossi sempre servitore buono e leale,

mai troverei un altro padrone così.

LUCIO

Povero ragazzo! Col tuo lamento commuovi

non meno che il tuo padrone sanguinando.

Dimmi il suo nome, amico mio.

IMOGENE

Richard du Champ. [A parte] Se mento senza far male

a nessuno, spero che gli dèi, ascoltandomi,

mi perdonino. Come dite, signore?

LUCIO

Il tuo nome?

IMOGENE

Fedele, signore.

LUCIO

E tale dimostri veramente d’essere:

il tuo nome si accorda alla tua fedeltà,

la fedeltà al nome. Vuoi tentare la fortuna

con me? Non dico che avrai padrone buono

quanto il primo, ma, certo, non t’amerà di meno.

Neppure una lettera vergata dall’imperatore di Roma

in persona, e inviatami per mezzo di un console,

potrebbe guadagnarti promozione più rapida

di quella che il tuo merito ti ottiene. Vieni con me.

IMOGENE

Vi seguirò, signore. Ma prima, col favore degli dèi,

nasconderò alle mosche il mio padrone,

scavando in profondità quanto possono le mie mani.

E quando avrò coperto la sua fossa

d’erbe e foglie, e su di essa pronunciato,

al meglio mio, centinaia di preghiere,

allora, piangendo e sospirando, lascerò

il suo servizio per seguire voi, se vorrete prendermi.

LUCIO

Sì, mio buon giovane. E ti sarò più padre che padrone.

Amici, questo ragazzo ci insegna quale sia

il dovere di un uomo. Cerchiamo il pezzo di terra

più bello, più pieno di margherite, e scaviamo

una fossa con le nostre picche e partigiane.

Su, sollevatelo. Ragazzo, tu l’hai raccomandato,

e avrà il sepolcro che può dargli un soldato.

Animo, asciugati gli occhi. Talvolta cadere

serve a risorgere e di più a godere. [Escono]

ATTO QUARTO – SCENA TERZA

Entrano Cimbelino, Signori, Pisanio, e gentiluomini del seguito.

CIMBELINO

Tornate da lei e riferitemi come sta. [Esce un gentiluomo.]

Una febbre per l’assenza di suo figlio, un delirio

che mette la sua vita in pericolo O cieli,

mi colpite a fondo, e in una volta sola!

Imogene, la mia più grande consolazione, fuggita;

la regina a letto, in condizioni disperate:

e tutto mentre una guerra terribile mi minaccia.

Suo figlio, così necessario ora, è scomparso.

Colpo su colpo, aldilà di ogni speranza.

Quanto a te, canaglia, che devi sapere qualcosa

sulla sua fuga, e fingi invece di ignorarlo,

ti strapperemo le informazioni con la tortura.

PISANIO

Sire, la mia vita è vostra: umilmente

la metto nelle vostre mani. Ma quanto alla mia padrona,

non so nulla di dove sia, perché sia fuggita,

o quando intenda ritornare. Prego Vostra Altezza

di credermi vostro leale servitore.

PRIMO SIGNORE

Mio sovrano,

il giorno in cui scomparve lui era qui.

Oso garantire che è onesto e compirà

lealmente i suoi doveri di suddito.

Quanto a Cloten, gli sforzi per ricercarlo continuano

e sarà senza dubbio trovato.

CIMBELINO

I tempi sono difficili.

[A Pisanio] Per il momento vi lasciamo andare,

ma i sospetti rimangono.

PRIMO SIGNORE

Di grazia, Vostra Maestà,

le legioni romane già raccolte in Gallia

sono sbarcate sulle nostre coste con un rinforzo

di nobili romani inviati dal Senato.

CIMBELINO

Potessi avere i consigli, ora, di mio figlio

e della mia regina! Sono frastornato dagli eventi.

PRIMO SIGNORE

Mio sovrano, le forze che avete sono in grado

di affrontare quelle di cui giunge notizia.

Se ne arriveranno delle altre, sarete pronto

anche per esse. Basta che facciate avanzare

le truppe che smaniano di muoversi.

CIMBELINO

Vi ringrazio. Andiamo a far fronte agli eventi

che ci si parano davanti. Non temiamo i fastidi

provenienti dall’Italia, ma ci preoccupano

le sciagure in casa. Andiamo!

[Escono Cimbelino, Signori e gentiluomini del seguito.]

PISANIO

Non ho ricevuto alcuna lettera dal mio padrone

da quando gli ho scritto che Imogene era morta.

Strano. E nulla ho saputo dalla mia padrona,

che aveva promesso di mandarmi spesso notizie.

Non so neppure cosa sia accaduto a Cloten.

Di tutto sono incerto. Il cielo dovrà agire ancora.

Se mento, sono onesto: se infedele, fedele.

La guerra proverà quanto ami il mio paese:

lo noterà anche il re; se no, cadrò in battaglia.

Su tutti gli altri dubbi il tempo sarà veritiero.

La fortuna guida in porto anche navi senza nocchiero.

[Esce.]

ATTO QUARTO – SCENA QUARTA

Entrano Belario, Guiderio e Arvirago.

GUIDERIO

Rumore ovunque, qui attorno.

BELARIO

Andiamocene via.

ARVIRAGO

Quale piacere troveremmo nella vita, signore,

se la chiudessimo all’azione e all’avventura?

GUIDERIO

E che speranza abbiamo poi a nasconderci?

Così, i Romani ci prenderanno per Britanni

e subito ci uccideranno, o ci accoglieranno

come barbari e ribelli fuorilegge,

ci useranno, e poi ci ammazzeranno.

BELARIO

Figli, saliamo più in alto, sui monti,

per essere al sicuro. Non possiamo andare col re:

non siamo conosciuti, né soldati di truppa,

e la recente morte di Cloten potrebbe

costringerci a spiegare dove abbiamo vissuto

e quindi a confessare quel che abbiamo fatto.

Saremmo puniti con la tortura e la morte.

GUIDERIO

Signore, è un dubbio che in un momento simile

non si addice a voi, e non soddisfa noi.

ARVIRAGO

Quando sentiranno a due passi il nitrito

dei cavalli romani e vedranno i fuochi degli accampamenti,

avranno occhi ed orecchie tanto occupati

che è improbabile perdano tempo a cercare

di sapere di dove noi veniamo.

BELARIO

Sono conosciuto da molti nell’esercito,

e tanti anni non hanno, come avete visto,

cancellato Cloten dalla mia memoria,

anche se all’epoca era giovanissimo.

Il re non ha meritato poi né i miei servizi

né il vostro amore: a causa del mio esilio

vi trovate infatti privi di istruzione,

costretti a una vita dura, senza speranza

di avere gli onori promessi dalla vostra nascita,

obbligati ad essere per sempre come virgulti

bruciati dell’estate e schiavi tremanti dell’inverno.

GUIDERIO

Morire è meglio che essere così.

Vi prego, signore, uniamoci all’esercito:

io e mio fratello non siamo conosciuti,

e voi, lontano dal pensiero di tutti,

invecchiato così, non desterete sospetti.

ARVIRAGO

Per il sole splendente, ci andrò. Che vergogna

che io non abbia mai visto morire un uomo,

né conosciuto sangue se non quello

di lepri impaurite, capre in calore e selvaggina!

Mai montato un cavallo da cavaliere, ma solo

senza speroni e ferro ai miei talloni!

Mi vergogno di guardare il sacro sole

e godere dei suoi raggi benedetti, restando

un povero sconosciuto così a lungo.

GUIDERIO

Per il cielo, andrò anch’io.

Avrò protezione migliore, se vorrete darmi,

signore, il vostro permesso e la benedizione.

Se non volete, il rischio che corro per questo

cada su di me per mano dei Romani.

ARVIRAGO

E così sia.

BELARIO

Nessuna ragione ho io, visto che voi

date così poco valore alla vostra vita,

di aver cura della mia, ormai incrinata.

Verrò con voi, ragazzi!

Se a difesa del vostro paese dovete morire,

là sarà il mio letto, là voglio giacere.

Avanti, avanti! A loro il tempo pare lento,

sui volti, impaziente, il sangue ora sale,

vuol provare, sgorgando, che sono stirpe regale. [Escono.]

Cimbelino
(“Cymbelyne”  1609/1610)
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Atto II
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