(“Hamlet” – 1600 – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
AMLETO, Principe di Danimarca.
CLAUDIO, Re di Danimarca, zio di Amleto.
IL FANTASMA del re morto, padre di Amleto.
GERTRUDE, la Regina, madre di Amleto, ora moglie di Claudio.
POLONIO, consigliere di stato.
LAERTE, figlio di Polonio.
OFELIA, figlia di Polonio.
ORAZIO, amico e uomo di fiducia di Amleto.
ROSENCRANTZ, GUILDENSTERN: cortigiani, già compagni di scuola di Amleto.
FORTEBRACCIO, Principe di Norvegia.
VOLTEMAND, CORNELIO: consiglieri danesi, ambasciatori in Norvegia.
MARCELLO, BERNARDO, FRANCISCO: Guardie del Re.
OSRIC, cortigiano lezioso.
REYNALDO, servo di Polonio.
Attori.
Un gentiluomo della corte.
Un prete.
Un becchino.
Il compagno del becchino.
Un capitano dell’esercito di Fortebraccio.
Ambasciatori inglesi.
Gentiluomini, gentildonne, soldati, marinai, messaggeri e gente del seguito.
SCENA. Elsinore: la Corte e i suoi paraggi.
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano due sentinelle, Bernardo e Francisco.
BERNARDO
Chi è là?
FRANCISCO
No, parla tu. Fermati.
Chi sei?
BERNARDO
Lunga vita al re!
FRANCISCO
Bernardo?
BERNARDO
Sì.
FRANCISCO
Arrivi
molto puntuale.
BERNARDO
È mezzanotte!
Va’ a letto, Francisco.
FRANCISCO
Grazie per il cambio. È un freddo cane,
e ho la morte nel cuore.
BERNARDO
Tutto quieto?
FRANCISCO
Non s’è mosso un topo.
BERNARDO
Bene, buonanotte.
Se incontri
i miei compagni di guardia
Orazio e Marcello, fagli fretta.
FRANCISCO
Li sento arrivare, credo.
Entrano Orazio e Marcello.
Fermi, oh! Chi è là?
ORAZIO
Amici di questa terra.
MARCELLO
E sudditi del Danese.
FRANCISCO
Dio vi dia la buona notte.
MARCELLO
Anche a te, soldato. Chi t’ha dato il cambio?
FRANCISCO
Bernardo è al mio posto. Buona notte. Esce.
MARCELLO
Oh! Bernardo!
BERNARDO
Oh! Ma di’, c’è Orazio?
ORAZIO
Ce n’è un pezzo.
BERNARDO
Benvenuto, Orazio! Benvenuto, amico Marcello.
ORAZIO
Allora, è ricomparsa la cosa stanotte?
BERNARDO
Io non l’ho vista.
MARCELLO
Orazio dice che stravediamo,
e si rifiuta di credere
in questo spavento
che abbiamo visto due volte.
Perciò l’ho pregato di vedere con noi
scorrere i minuti di questa notte,
e se l’apparizione torna, potrà rendere
giustizia ai nostri occhi, e le potrà parlare.
ORAZIO
Via, via, non torna.
BERNARDO
Siediti un momento, e noi,
col tuo permesso, riassalteremo i tuoi orecchi,
così fortificati contro la nostra storia,
con ciò che abbiamo visto due notti.
ORAZIO
Bene,
sediamoci. Sentiamo
che ne dice Bernardo.
BERNARDO
Proprio ieri notte,
la stella laggiù che viaggia a ponente del polo
era andata ad accendere la parte del cielo
dove ora brucia. Marcello ed io,
mentre batteva l’una…
Entra il fantasma.
MARCELLO
Fermati, oh! Eccolo che torna.
BERNARDO
È sempre come lui, il re morto.
MARCELLO
Orazio, tu che hai studiato, parlagli.
BERNARDO
Non sembra il re? Guardalo, Orazio.
ORAZIO
È come lui. Mi riempie
di spavento e stupore.
BERNARDO
Vuole che gli si parli.
MARCELLO
Pàrlagli, Orazio.
ORAZIO
Cosa sei tu che usurpi questo tempo della notte
e la nobile forma di uomo di guerra
nella quale incedeva la maestà
del re sepolto? In nome di Dio, parla!
MARCELLO
L’abbiamo offeso.
BERNARDO
Guardate, se ne va.
ORAZIO
Fermati, parla, parla, ti ordino di parlare.
Il Fantasma esce.
MARCELLO
È andato. Non parlerà mai.
BERNARDO
E allora, Orazio? Tremi e sei pallido.
Non è, quella cosa, più che allucinazione?
Che ne pensi?
ORAZIO
In nome di Dio
non l’avrei mai creduto
senza la prova fondata e sicura
dei miei occhi.
MARCELLO
Non somiglia al re?
ORAZIO
Come tu a te stesso.
Quell’armatura la portava
in battaglia con l’avido Norvegese.
E quell’occhio grifagno l’aveva nell’urto
coi polacchi, quando rovesciò
uomini e slitte sul ghiaccio. È incredibile.
MARCELLO
Così, due volte, proprio in quest’ora morta,
ci è passato davanti con quel piglio marziale.
ORAZIO
Non so che pensarne di preciso, però
la mia impressione è che questo annunzia
chissà che malanno al nostro stato.
MARCELLO
Ebbene vi prego, sediamoci. E chi lo sa, mi dica
perché mai questa guardia severissima ogni notte
affatica i sudditi di questa terra,
e perché ogni giorno si fondono cannoni di bronzo
e si comprano fuori strumenti di guerra,
e perché si forzano i carpentieri a un lavoro
duro per settimane senza domeniche.
Cos’è che preparano con tanto sudore e fretta
da aggiogare la notte alla fatica del giorno,
chi può spiegarmelo?
ORAZIO
Io. O almeno
sento dire questo: il nostro ultimo re
la sua immagine è apparsa un minuto fa –
fu sfidato a duello, come sapete, da Fortebraccio
di Norvegia, spinto da orgoglio e
invidia; e il valoroso Amleto
valoroso lo stimava tutto il nostro emisfero –
ammazzò Fortebraccio. Costui, in forza d’un patto
ratificato dalla legge e dagli usi cavallereschi
con la vita perdette a favore di chi lo vinse
tutte le terre di conquista; e a sua volta
il nostro re aveva scommesso
una porzione equivalente, che sarebbe andata
in possesso dell’avversario
se avesse vinto lui; ma il patto
e la clausola relativa e le conseguenze
gettarono la sua parte su Amleto. Bene, ora il figlio
Fortebraccio, un tipo di fuoco, un tipo sfrenato,
qua e là nelle marche norrène ti rastrella
una truppa di disperati, cibo e
dieta d’un impresa
che ha stomaco grande: niente di meno
qui da noi sembra chiaro – che riprendersi
con la forza e la prepotenza le terre perdute,
come ho detto, dal padre. Questo a mio avviso
è il primo movente dei nostri preparativi,
causa di questa veglia e vera fonte
di tanto agitarsi e armeggiare.
BERNARDO
Questo e nient’altro, ne sono certo. E ciò spiega
perché questa figura portentosa tagli
armata la nostra veglia, e somigli tanto al re
che fu ed è motivo di queste guerre.
ORAZIO
È un pruno che molesta l’occhio della mente!
Quando Roma fiorì come un alto palmizio,
poco prima che cadesse il grande Giulio,
le tombe si svuotarono e i morti nei sudari
invasero le vie stridendo e farfugliando,
e stelle con code di fuoco, rugiade di sangue,
disastri nel sole; e la stella acquosa
che influenza l’impero di Nettuno
patì un’eclissi che fu quasi
un finimondo. E ora è come allora: segni
di avvenimenti terribili, come
araldi che precedono i fati
e prologhi alla sventura che arriva
cielo e terra insieme hanno mostrato
ai nostri climi e alla nostra gente.
Entra il fantasma.
Ma guardate lì, sta tornando!
Gli taglio la strada, dovesse costarmi la vita.
Lo spettro apre le braccia.
Fermati, illusione.
Se hai voce e puoi usarla
parlami.
Se opera buona può farsi
che a te dia pace e a me salute
parlami.
Se conosci il destino del regno
e saperlo può farlo evitare
parla!
O se nella vita hai nascosto
tesori estorti nel ventre della terra,
per cui voi spiriti, come dicono, vagate
spesso nella morte, parlamene,
fermati e parla. Il gallo canta.
Fermalo, Marcello.
MARCELLO
Gli do un colpo di lancia?
ORAZIO
Sì, se non si ferma.
BERNARDO
Eccolo.
ORAZIO
È qui. Il fantasma esce.
MARCELLO
È sparito.
Gli facciamo torto, è così nobile,
a minacciarlo di violenza
perché è come l’aria, invulnerabile,
e i nostri colpi burattinate
inutili e cattive.
BERNARDO
Stava per parlare
quando il gallo ha cantato.
ORAZIO
E allora ha trasalito come cosa colpevole
a un appello terribile. Ho sentito
che il gallo, trombettiere del mattino,
con la sua gola alta e squillante sveglia
il dio del giorno, e a quel segno
ogni spirito erratico, si trovi
in acqua o fuoco, in terra o in aria, torna
subito al suo confino. Questa cosa
ci ha dimostrato che è vero.
MARCELLO
È sparito al canto del gallo.
Pare che ogni anno quando arriva il tempo
che celebra la nascita del nostro Redentore
quest’uccello dell’alba canti tutta la notte:
e allora gli spettri non osano vagare,
le notti sono salubri e le stelle
non maligne, non fanno sortilegi
le fate, né affatturano le streghe,
tanto benigno e tanto sacro è il tempo.
ORAZIO
Così ho inteso e credo, in parte. Ma guardate,
il mattino nel suo manto di ruggine
passa sulla rugiada di quell’alta collina.
Smontiamo questa guardia, e a mio avviso
quello che abbiamo visto riferiamolo
al giovane Amleto, perché, sulla mia vita
questo spirito muto con noi a lui parlerà.
Siete d’accordo? Ce lo impone il nostro
dovere, lo richiede il nostro affetto.
MARCELLO
Bisogna farlo, sì. E io so dove incontrarlo,
stamattina, nel modo più opportuno. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Squillo di trombe. Entrano Claudio Re di Danimarca, la Regina Gertrude, il Consiglio con Voltemand, Cornelio, Polonio e suo figlio Laerte, Amleto (vestito di nero) e altri.
RE
Sebbene ancora sia verde la memoria della morte
del caro fratello Amleto, ed a noi si convenga
portare in cuore questa pena, e a tutto il regno
contrarsi in una sola fronte di dolore,
pure tanto la ragione in noi ha lottato
contro la natura
che con saggio cordoglio siamo memori
di lui e insieme non immemori di noi stessi.
Pertanto la nostra già sorella e ora
regina, coerede di questo forte regno,
noi abbiamo, quasi con gioia senza gioia,
con un occhio aperto alla speranza e uno
che dispera, con letizia alle esequie e canti
funebri alle nozze, e in modo uguale
dosando diletto e dolore,
presa in moglie. E la scelta
non ha escluso i vostri eccellenti consigli,
che hanno accompagnato, liberi, questa vicenda.
Vi ringraziamo, per tutto.
E ora dobbiamo informarvi che il giovane Fortebraccio
il quale ci stima ben poco o ritiene
che per la morte del nostro caro fratello
lo stato sia scardinato e sconvolto
e aggancia a queste idee un sogno di dominio,
non ci risparmia il tedio d’un messaggio
che comporta la resa dei territori
ceduti dal padre con tutti i crismi della legge
al nostro prode fratello. Ma di lui basti.
Veniamo a noi, e al presente consiglio.
Eccone motivo: qui abbiamo scritto
al re di Norvegia, zio del giovane Fortebraccio,
che invalido e obbligato a letto conosce
ben poco dei progetti di suo nipote,
chiedendo che impedisca ogni altro passo,
dacché quelle leve, quelle truppe,
quei suoi effettivi sono tratti tutti
da mezzo ai suoi sudditi; e ora inviamo
voi, mio buon Cornelio, e voi Voltemand
con questo mio messaggio amichevole
al vecchio re – ma senza autorizzarvi
a trattar di persona con lui al di là
dei limiti qui ben circostanziati. Addio,
e la rapidità provi lo zelo.
CORNELIO e VOLTEMAND
Ve ne daremo prova, in questo e in tutto.
RE
Non ne dubitiamo. Il nostro cordiale addio.
Escono Voltemand e Cornelio.
E ora, Laerte, cosa c’è di nuovo?
Ci parlavi d’una richiesta: qual è, Laerte?
Non parlerai con senno al re danese
sprecando il fiato. Cosa vorresti, Laerte,
che non sia tua richiesta ma mia offerta?
La testa non è più consona al cuore,
né la mano al servizio della bocca
di quanto sia, a tuo padre, questo trono.
Cosa ci chiedi, Laerte?
LAERTE
Mio temuto signore,
un benevolo consenso per tornare in Francia.
Sono venuto in Danimarca ben volentieri
per rendervi il mio omaggio all’incoronazione.
Ora, compiuto quel dovere, debbo confessare
che i pensieri e i desideri tornano alla Francia
e chiedono, umilmente, un consenso e un perdono.
RE
Hai avuto il permesso di tuo padre? Che ne dice Polonio?
POLONIO
Signore, mi ha strappato un riluttante assenso
a furia d’insistenze, e alla fine
ho impresso sul suo volere il mio nolente sigillo.
Vi prego, concedetegli di partire.
RE
Cogli la tua bella ora, Laerte. Il tempo è tuo,
spendilo con le tue doti migliori.
Ma ora, Amleto, mio caro congiunto e figlio…
AMLETO
Un po’ più che congiunto, e men che caro.
RE
Come mai ancora queste nuvole su di te?
AMLETO
No signor mio, sono fin troppo al sole.
REGINA
Mio buon Amleto, togliti quel colore notturno
e guarda il re danese con occhio amico.
Non cercare per sempre a ciglia basse
il tuo nobile padre nella polvere.
Lo sai, è comune a tutti: chi vive deve morire,
la natura è un passaggio verso l’eternità.
AMLETO
Sì, signora, è comune.
REGINA
Ma se lo è
perché ti sembra una cosa che succede a te solo?
AMLETO
Sembra, signora? No, è. Non c’è nessun “sembra”.
Non sarà questo manto d’inchiostro, madre,
né il nero solenne imposto ai miei vestiti,
né il sospirare a raffica o buriana,
no, e nemmeno un gran fiume negli occhi,
o l’aspetto depresso della facciata
e in più tutte le forme e i modi del dolore
a mostrarmi nella mia verità. Queste cose
davvero sembrano, perché un uomo può fingerle.
Ma io dentro ho qualcosa che non si può mostrare,
e questi, del dolore, sono gli orpelli, le gabbane.
RE
Amleto, è dolce e lodevole nella tua natura
che tu dia a tuo padre questo tributo di lutto.
Ma, non scordarlo, tuo padre perdette un padre,
e quel padre perduto, il suo – e l’orfano è tenuto
in obbligo filiale, per un tempo,
a dare un omaggio di tristezza. Ma perseverare
in un cordoglio ostinato è condursi
con testardaggine empia, non è dolore da uomo,
mostra una volontà assai indocile al cielo,
un cuore senza tempra, un animo intollerante,
un intelletto ingenuo e ineducato;
ciò che sappiamo dev’essere, ed è comune
come la più ordinaria esperienza dei sensi,
perché dovremmo con opposizione
perversa, prenderlo tanto a cuore? Via,
questa è una colpa contro il cielo, i morti,
la natura, e perversa soprattutto
per la ragione, il cui luogo comune
è la morte dei padri, e che ha gridato sempre
fin dal primo cadavere all’uomo che è morto oggi
“così dev’essere”. Ti preghiamo, getta via
questa pena inutile, e pensa a noi
come a un padre. Perché, lo sappia il mondo,
tu sei erede diretto a questo trono
e io mi porto verso te con amore
non meno forte di quello che il più tenero padre
porta al figlio. Quanto alla tua intenzione
di tornartene a scuola a Wittemberg
essa è contro ogni nostro desiderio,
perciò ti scongiuriamo, convinciti a restare
qui, gioia e conforto dei nostri occhi,
primo a corte, nipote e figlio nostro.
REGINA
Non far sprecare preghiere a tua madre, Amleto.
Resta con noi ti prego, non andare a Wittemberg.
AMLETO
Per quanto posso vi obbedirò, signora.
RE
Ah, questa è una risposta amorevole e bella.
Sii in Danimarca come noi stessi. Signora, andiamo.
Questo gentile e spontaneo consenso di Amleto
è un sorriso al mio cuore; e per festeggiarlo
ogni brindisi che oggi farà il re
il cannone più grande
l’annuncerà alle nuvole, e il cielo
rimbomberà del giubilo danese
ripetendo il tuonare della terra. Andiamo.
Fanfara. Escono tutti tranne Amleto.
AMLETO
Ah se questa carne troppo troppo sordida
si potesse sciogliere e risolvere in rugiada,
ah se l’Eterno non avesse fissata
la sua condanna del suicidio. O Dio! Dio!
Come mi sembrano pesanti, vecchie, noiose
e inutili tutte le occasioni del mondo!
Che nausea, ah che nausea. È un giardino abbandonato
che va in seme: vi regna solo una natura
fetida e volgare. Che si dovesse
arrivare a questo!
Morto appena da due mesi – no, non da tanto, non due –
un re così eccellente, un Iperione
di fronte a questo satiro, così innamorato di mia madre
che non avrebbe permesso ai venti del cielo
di toccarle il volto troppo rudi. Cielo e terra,
debbo ricordarlo? Pendeva da lui
come se l’appetito s’alimentasse di ciò
che lo saziava; eppure, nel giro d’un mese –
non devo pensarci – fragilità, il tuo nome
è femmina – appena un mese
o prima che invecchiassero le scarpe
con cui seguiva il corpo del mio povero padre
tutta in lacrime come Niobe – lei, lei stessa –
o Dio, una bestia priva di raziocinio
terrebbe il lutto più a lungo – sposata a mio zio
fratello di mio padre ma simile a mio padre
come io a Ercole. Nel giro d’un mese
prima ancora che il sale di lacrime disoneste
avesse smesso di bruciarle gli occhi
trovò marito. Ah fretta ignobile, correre
con tanta impazienza a lenzuola incestuose!
Non è bene e non può venirne bene.
Ma il cuore mi si spezzi, devo chiudere la bocca.
Entrano Orazio, Marcello e Bernardo.
ORAZIO
Salute a vostra signoria!
AMLETO
Lieto di vedervi bene.
Orazio, o stravedo?
ORAZIO
Proprio io, monsignore, sempre il vostro umile servo.
AMLETO
Buon amico, vuoi dire. È il nome da scambiarci.
E che fai lontano da Wittemberg, Orazio?
Marcello.
MARCELLO
Monsignore.
AMLETO
Assai lieto di vedervi. (A Bernardo) Buondì, signore.
Ma davvero, che fai lontano da Wittemberg?
ORAZIO
Voglia di far niente, monsignore.
AMLETO
Non lo vorrei sentire dal tuo nemico,
e non farai al mio orecchio la violenza
di fargli credere ciò che dici
contro te stesso. So che non hai quella voglia.
E allora cos’è che ti porta a Elsinore?
T’insegneremo a bere forte, prima
che te ne torni via.
ORAZIO
Monsignore, sono venuto per i funerali di vostro padre.
AMLETO
Ti prego non sfottermi, compagno di studi.
Sei venuto piuttosto alle nozze di mia madre.
ORAZIO
A dire il vero, monsignore, sono venute subito dopo.
AMLETO
Risparmio, risparmio, Orazio. Le carni cotte per il funerale
hanno fornito, fredde, le tavole nuziali.
Avessi incontrato in cielo il mio peggior nemico
prima di vedere quel giorno, Orazio.
Mio padre – mi pare di vederlo…
ORAZIO
Dove, monsignore?
AMLETO
Con l’occhio dell’anima, Orazio.
ORAZIO
L’ho visto una volta. Un vero re.
AMLETO
Un uomo, in tutto e per tutto.
Non ne vedrò l’uguale.
ORAZIO
Monsignore, credo di averlo visto iernotte.
AMLETO
Visto? Chi?
ORAZIO
Monsignore, il re vostro padre.
AMLETO
Il re mio padre?
ORAZIO
Contenete un momento il vostro stupore
e state solo a sentire cosa vi dirò
d’incredibile, con la testimonianza
di questi signori.
AMLETO
Parla, per amor di Dio!
ORAZIO
Questi signori, Marcello qui e Bernardo,
per due notti di fila mentr’erano di guardia
nello squallore morto di mezzanotte
hanno visto qualcosa: una figura
simile a vostro padre,
tutta coperta d’armi, cap-à-pié,
gli si alza incontro e con passo maestoso
li sfiora, lentamente; appare per
tre volte ai loro occhi sbigottiti,
alla distanza della sua mazza, e loro
quasi gelati di spavento, restano
muti e non gli parlano. A me solo
in gran segreto dicono tutto, e la terza
notte io stesso monto di guardia con loro,
ed ecco come avevano detto alla stessa ora
e con lo stesso aspetto, confermando
ogni loro parola
l’apparizione è tornata. Conoscevo vostro padre:
queste mani non s’assomigliano di più.
AMLETO
Ma dov’è stato?
MARCELLO
Signore, sul terrazzo dove siamo di guardia.
AMLETO
Non gli avete parlato?
ORAZIO
Io sì, monsignore,
ma non ha risposto. Ad un punto, m’è parso,
ha alzato la testa, ha accennato un movimento
come a parlare. Ma proprio allora
il gallo del mattino cantò forte
e al grido l’ombra si ritrasse rapida
e sparì.
AMLETO
Molto strano.
ORAZIO
È vero, mio
venerato signore, com’è vero che io vivo.
E dirvelo, pensammo, era nostro dovere.
AMLETO
Certo, certo, signori. Questa cosa
mi frastorna. Siete di guardia stanotte?
TUTTI
Sì, monsignore.
AMLETO
Armato, avete detto?
TUTTI
Armato, signore.
AMLETO
Da capo a piedi?
TUTTI
Sissignore, dalla testa ai piedi.
AMLETO
Allora non l’avete visto in faccia?
ORAZIO
Oh sì, signore, portava alzata la visiera.
AMLETO
E il volto? Era in collera?
ORAZIO
Mostrava più dolore che collera.
AMLETO
Pallido, o acceso?
ORAZIO
No, molto pallido.
AMLETO
E fissava gli occhi su di voi?
ORAZIO
Sì, continuamente.
AMLETO
Avrei voluto esserci.
ORAZIO
Vi avrebbe turbato molto.
AMLETO
Certo, certo.
È rimasto a lungo?
ORAZIO
Il tempo di contare fino a cento, senza fretta.
MARCELLO e BERNARDO
Di più, di più.
ORAZIO
Non quando c’ero io.
AMLETO
La barba era brizzolata, no?
ORAZIO
Come gliel’ho vista da vivo,
un nero argentato.
AMLETO
Sarò di guardia stanotte.
Forse tornerà.
ORAZIO
Ne sono sicuro.
AMLETO
Se assume l’aspetto del mio nobile padre
gli parlerò, dovesse aprirsi e zittirmi
l’inferno stesso. Vi prego tutti
se avete tenuto segreto ciò che avete visto
copritelo ancora col vostro silenzio;
e quanto d’altro può accadere stanotte
affidatelo alla mente non alla lingua.
Vi sarò grato per l’affetto. E ora
addio. Verrò a trovarvi sulle mura
tra le undici e le dodici.
TUTTI
Servi di vostro onore.
AMLETO
Amici, come io per voi. Addio.
Escono (Orazio, Marcello e Bernardo).
Lo spirito di mio padre – armato! Qualcosa non va.
C’è del marcio sotto. Fosse già notte!
Pazienza, anima mia. Tutta la terra non basterà
a seppellire un delitto. Alla fine, lo si scoprirà.
Esce.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Entrano Laerte e la sorella Ofelia.
LAERTE
Il mio bagaglio è a bordo. Addio.
E, sorella, se i venti sono propizi
e il trasporto possibile, non dormire
ma dammi tue notizie.
OFELIA
Ne dubiti?
LAERTE
Per Amleto e il suo ronzarti attorno,
bada, è galanteria, estro del sangue,
violetta che spunta a primavera,
precoce e momentanea, bella e labile,
profumo e diversivo d’un minuto,
non di più.
OFELIA
Non più di questo?
LAERTE
No, non crederlo
più di questo. Perché il corpo, crescendo,
non cresce solo di muscoli e mole,
ma cresce questo tempio, e, dentro, cresce
la funzione del senno e dello spirito.
Forse, adesso, ti ama, e non ci sono
sozzure o furbizie a insudiciare
la sua intenzione onesta. Ma sta attenta,
dato il suo rango, egli non ha volontà.
È soggetto lui stesso alla sua nascita,
e non può far da sé, come la gente
senza valore: dal suo fare scende
la salute di tutto questo regno
e perciò la sua scelta è assoggettata
alla voce e al consenso di quel corpo
di cui è il capo. Dunque, se ti dice che ti ama,
credilo, saggiamente, fino al punto
in cui, dato l’ufficio e il rango, può
rendere fatto il detto; cioè, non oltre
l’assenso di ogni voce in Danimarca.
Pesa ora il danno che ne avrà l’onore
se ascolti credula le sue canzoni
o dai via il cuore o apri il tuo tesoro
di castità ai suoi ardori smodati.
Attenta, Ofelia, attenta, sorellina,
tieniti a retroguardia del tuo affetto
fuori del tiro e rischio del desiderio.
La ragazza più schiva è troppo prodiga
già se svela la sua beltà alla luna.
Persino la virtù non sfugge alla calunnia.
Il verme rode i nati dell’aprile
prim’ancora che sia schiusa la gemma,
e nella brina giovane dell’alba
l’assalto del contagio è più temibile.
Cauta dunque: paura è sicurezza,
la tentazione, i giovani, la trovano in se stessi.
OFELIA
Questa buona lezione la terrò
a guardia del mio cuore. Ma, fratello,
non fare come certi pastori senza grazia
che ci mostrano l’erta spinosa del cielo
e intanto, libertini impudenti e sfrenati,
calpestano le primule sulla via del piacere,
sordi alle proprie prediche.
LAERTE
Oh, non aver paura.
Ho fatto tardi.
Entra Polonio.
Ecco arriva mio padre.
Doppia benedizione, doppia grazia.
Il caso mi regala un nuovo addio.
POLONIO
Ancora qui, Laerte? A bordo, a bordo, via!
Il vento è sulla spalla alla tua vela
e ti si aspetta. Qua, ti benedico!
E cerca di stamparti nella mente
questi pochi consigli. Ai pensieri
non dar voce, né corpo a quelli smoderati.
Sii affabile, volgare mai. Coloro
dei tuoi amici che hai messo bene a prova
tienili stretti all’anima con cerchioni d’acciaio,
però non t’incallire la palma a dar manate
a ogni smargiasso appena sgusciato e spennato.
Guardati dalle brighe, ma quando ci sei dentro
a guardarsi da te fa’ che sia l’altro.
Presta l’orecchio a tutti, la tua voce a qualcuno,
senti le idee di tutti ma pensa a modo tuo.
Vesti bene, nei limiti della tua borsa, ma
senza stranezze, ricco, non chiassoso,
perché spesso il vestito mostra l’uomo,
e in Francia quelli che hanno e che possono
in questo soprattutto si mostrano signori.
Non domandare soldi e non prestarne:
chi presta perde i quattrini e l’amico,
chi chiede smussa il filo della frugalità.
Questo su tutto: fedeltà a te stesso;
ne seguirà, come la notte al giorno,
che non sarai mai falso con nessuno.
Addio, ti renda saggio la mia benedizione.
LAERTE
Molto umilmente mi congedo, padre.
POLONIO
Il tempo stringe. Va’, che i servi aspettano.
LAERTE
Ofelia, addio. Ricorda bene
quanto t’ho detto.
OFELIA
È chiuso nella mia memoria,
tu stesso ne terrai la chiave.
LAERTE
Addio. Esce.
POLONIO
Che cos’è che t’ha detto, Ofelia?
OFELIA
Qualcosa, non vi spiaccia, che riguarda il principe Amleto.
POLONIO
Buona idea, per la Vergine.
Sento che molto spesso ultimamente
ti ha concesso il suo tempo, e pure tu
gli hai dato udienza larga e generosa.
Se è così – come mi si fa capire
per mettermi in guardia – devo dirti
che ancora non hai idee chiare su ciò
che conviene a mia figlia e al tuo onore.
Cosa c’è tra voi? La verità! Sentiamo.
OFELIA
Signore, ultimamente m’ha fatto assai profferte
del suo affetto per me.
POLONIO
Affetto? Bah! Parli come una ragazzetta
inesperta di simili frangenti.
Me le chiama profferte. E tu ci credi?
OFELIA
Signore mio, non so cosa pensarne.
POLONIO
Per la Madonna, te l’insegno. Pensati
una bimbetta, dacché prendi quelle
profferte false per oro colato.
Piuttosto cerca di non profferirti
a un prezzo troppo basso, se no – per non sfiatare
questa povera frase in un galoppo
troppo sfrenato – ti profferirai
come una sciocca.
OFELIA
Signore, egli mi ha sollecitata
col suo amore in modo onorevole.
POLONIO
Sì, dici pure: moda. Andiamo, andiamo.
OFELIA
E ha sostenuto il suo dire, signore,
con quasi tutti i giuramenti sacri.
POLONIO
Trappole per beccacce, sì! So bene
che quando il sangue bolle si fa presto
a dar voti alla lingua. Focherelli,
figlia mia. Dan più luce che calore,
e tutt’e due si spengono
già nel farsi promesse. Non scambiarli
per fuoco. D’ora in poi sii un po’ più avara
di te, ragazza come sei, e i tuoi
conversari valutali più cari
d’un suo comando a parlamento.
Quanto al principe Amleto, di lui credi
che è giovane, e gli si dà più corda
che non si possa a te. In breve, Ofelia,
non credere a promesse: son mezzane
d’altra tinta che quella dei loro vestimenti,
solo avvocati di cattive cause,
sospiri di ruffiane insantocchiate
per meglio accalappiare. Per riassumere:
chiaro e tondo, non voglio, d’ora in poi,
che tu abusi dei tuoi momenti liberi
per dar chiacchiera al principe o parlargli.
Bada, è un comando. E ora vai.
OFELIA
Obbedirò, signore. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA QUARTA
Entrano Amleto, Orazio e Marcello.
AMLETO
L’aria ha i denti aguzzi, il freddo è forte.
ORAZIO
Sì, azzanna e taglia.
AMLETO
Che ora è?
ORAZIO
Quasi mezzanotte, credo.
MARCELLO
No, è già sonata.
ORAZIO
Sì? Non l’ho sentita.
Allora è quasi il momento
in cui appare lo spirito.
Squillo di trombe, salve di due cannoni.
E questo che vuol dire, monsignore?
AMLETO
Il re veglia stanotte, fa baldoria,
alza il gomito e pesta nella giga,
e ogni volta che ingolla vin del Reno
tamburo e tromba sbràitano così
le sue vittorie ai brindisi.
ORAZIO
È un’usanza?
AMLETO
Sì perdio, ma a mio avviso
benché sia nato qui e con tutto questo
nel sangue, è usanza tale che fa onore
più a romperla che ad osservarla.
Questa bisboccia ottusa ci squalifica
a est, a ovest, nelle altre nazioni –
ci chiamano beoni, e ci insozzano il nome
con allusioni ai porci. E ciò davvero
toglie alle nostre imprese più superbe
il midollo e l’essenza della stima.
E lo stesso succede agli individui: spesso
per qualche brutto neo nella loro natura,
qualche tara per cui non hanno colpa
perché nessuno sceglie la sua origine
o per il traboccare d’un umore
che abbatte cinte e torri alla ragione,
o qualche assuefazione che corrode
troppo il decoro – succede che questi uomini,
dico, marchiati da un solo difetto,
livrea della natura e stella della sorte,
anche se hanno virtù pure come la grazia
e infinite nei limiti dell’uomo,
s’impestano nel biasimo di tutti
per quel solo difetto. Una goccia di male
spesso annerisce tutto ciò che è nobile
e ne fa un’onta.
Entra il fantasma.
ORAZIO
Guardate, monsignore, arriva!
AMLETO
Angeli e ministri di grazia difendeteci!
Che tu sia uno spirito del bene o un lémure,
porti brezze dal cielo o raffiche dall’inferno,
venga a farci del male o a darci aiuto,
tu vieni in tale forma da strappare domande
che ti parlerò. Ti chiamerò Amleto,
re, padre, nobile Danese. Rispondimi!
Non farmi schiattare nell’ignoranza, dimmi
perché le tue ossa benedette nella bara
hanno strappato il sudario, perché la tomba
in cui ti ho visto riposare in pace
ha aperto le sue fauci di marmo
per rigettarti qui? Che può voler dire
che tu, morto, di nuovo tutto armato
rivisiti così il lume della luna
e rendi orrida la notte, e a noi gonzi della natura
così terribilmente sconquassi la ragione
con pensieri che vanno oltre l’umano?
Dimmi, perché? A che fine? Cosa dobbiamo fare?
Lo spettro fa un cenno.
ORAZIO
Vi fa segno di andargli dietro
come volesse dire qualcosa
a voi solo.
MARCELLO
Guardate con che gesto cortese
vi invita verso un posto più lontano.
Ma non andate.
ORAZIO
No, assolutamente.
AMLETO
Non vuole parlare. Dunque lo seguo.
ORAZIO
Non fatelo, monsignore!
AMLETO
Perché, cosa dovrei temere?
La vita non la stimo un soldo, e in quanto
all’anima, cosa potrebbe farle
se è immortale come lui?
Mi fa cenno di andare. Lo seguirò.
ORAZIO
Signore, e se vi attira verso i gorghi
o in cima a quella roccia spaventosa
che dalla base si sporge sul mare
e lì si cambia in qualche cosa orribile
che vi toglie il controllo della ragione
e vi trascina alla pazzia? Pensateci.
Il posto stesso suscita impulsi disperati
senz’altra causa, in mente a chi s’affaccia
così alto su quelle ondate, e ne sente
il ruggito lì sotto.
AMLETO
Mi fa segno di nuovo.
Vai, ti seguo.
MARCELLO
Non andate, monsignore.
AMLETO
Lasciatemi.
ORAZIO
Dateci retta
non dovete andarci.
AMLETO
Il destino mi chiama
e fa ogni misera fibra di questo corpo
forte come i muscoli del leone di Nemea.
Ancora un segno. Via le mani, signori.
Perdio, farò un fantasma
di chi mi trattiene. Via, dico. Va’ avanti,
ti seguo.
Escono il fantasma e Amleto.
ORAZIO
Il suo cervello già delira.
MARCELLO
Andiamogli
dietro, non è giusto obbedirgli.
ORAZIO
Andiamo. Come finirà tutto questo?
MARCELLO
C’è qualcosa di marcio in Danimarca.
ORAZIO
Penserà Dio.
MARCELLO
Però andiamogli dietro.
Escono.
ATTO PRIMO – SCENA QUINTA
Entrano il fantasma e Amleto.
AMLETO
Dove vuoi condurmi? Parla, non vado oltre.
FANTASMA
Ascoltami.
AMLETO
Sì.
FANTASMA
È quasi ora
di restituirmi
al fuoco sulfureo e al tormento.
AMLETO
Ahimè povera anima.
FANTASMA
Non mi compiangere. Stai bene attento
a ciò che ti dirò.
AMLETO
Parla, devo ascoltarti.
FANTASMA
E devi anche vendicarmi
quando avrai ascoltato.
AMLETO
Che cosa?
FANTASMA
Io sono lo spirito di tuo padre
condannato di notte a vagare
per un dato tempo, e di giorno
a digiunare nel fuoco
finché i sozzi delitti compiuti sulla terra
siano arsi e consumati. Se non mi fosse proibito
raccontare i segreti del mio carcere
potrei rivelarti una storia la cui parola più leggera
ti strazierebbe l’anima, gelerebbe il tuo giovane sangue,
farebbe schizzare i tuoi occhi come stelle dalle orbite,
scompiglierebbe quelle tue trecce e quei tuoi riccioli, farebbe
rizzarsi uno per uno i tuoi capelli come gli aghi di un istrice irritato.
Ma questo emblema eterno non è fatto per orecchie
di carne e sangue. Ascoltami, ascoltami,
oh ascoltami! Se davvero
hai amato tuo padre…
AMLETO
Oh Dio!
FANTASMA
Vendica il suo assassinio orribile, mostruoso.
AMLETO
Assassinio!
FANTASMA
Assassinio orribile com’è sempre, ma questo
ributtante, inaudito, mostruoso.
AMLETO
Presto, dimmelo, che io possa con ali veloci
come il pensiero o i sogni d’amore
correre a vendicarmi.
FANTASMA
Sei pronto, vedo.
E davvero saresti più ottuso dell’erba grassa
e pigra che s’abbarbica all’imbarco del Lete
se non fossi spinto ad agire questa volta. Sentimi
ora, Amleto. Han detto che mentre dormivo nel giardino
mi morse un serpe – così l’orecchio di tutti
è ingannato vilmente da una falsa storia
della mia morte – ma sappi, nobile giovane,
il serpente che morse la vita di tuo padre
ne porta la corona.
AMLETO
O anima presaga! Mio zio!
FANTASMA
Sì, quella bestia incestuosa e adultera
con scaltrezza di mago, doni di traditore –
oh scaltrezza maligna e doni che hanno tanta forza
di sedurre! – vinse alla sua sporca libidine
le voghe della mia regina che pareva tanto virtuosa.
O Amleto, che caduta!
Dal mio amore che valeva tanto
da andare mano in mano con i giuramenti
che le feci sposandola, abbassarsi sino a uno sciagurato
al quale la natura fece doni così indegni
rispetto ai miei.
Ma come la virtù non si lascia smuovere
anche se il vizio la corteggia in forma d’angelo,
così la lussuria, fosse pure legata
a un angelo di fuoco
si stancherà del suo letto celeste
e si getterà su un letamaio.
Ma aspetta, mi par di fiutare l’aria del mattino:
devo far presto. Dormivo nel giardino
come sempre nel pomeriggio. Tuo zio
violò la mia ora di pace. Aveva una fiala
di succo del maledetto giusquiamo, e versò
nella conca dei miei orecchi quell’essenza lebbrosa,
il cui effetto è tanto avverso al sangue umano,
che corre rapido come l’argento vivo per le porte
e i sentieri del corpo, e con rabbia furiosa apprende
e caglia, come le gocce d’acido nel latte,
il sangue lieve e sano. Così fece dentro di me,
e una scabbia improvvisa rivesti
di croste turpi e immonde come a Lazzaro
tutto il mio corpo liscio.
Così, nel sonno, per mano d’un fratello
persi di colpo vita, corona, regina,
fui falciato nel fiore dei peccati
senz’ostia, senza unzione, senza viatico
né esame di coscienza, fui mandato al giudizio
con tutti i vizi addosso. Oh orribile,
orribile, più che orribile! Se in te
c’è natura, non sopportarlo,
non lasciare che il letto del re di Danimarca
sia un covile d’incesto e di lascivia.
Ma comunque deciderai di agire
non ti macchiare l’anima, non tramare
nulla contro tua madre. Lasciala al cielo, lei,
e a quelle spine che le stanno in cuore
e pungono e tormentano. Ora addio:
già la lucciola annuncia l’arrivo del mattino
sbiancando il fuoco suo vano. Addio,
addio, addio. Ricordati di me. Esce.
AMLETO
Voi tutte schiere del cielo! Terra! Che altro?
Invocherò l’inferno? Infamia! Resisti, cuore,
e voi muscoli non invecchiate di colpo
ma tenetemi saldo. Ricordarti?
Sì, povero spirito, finché la memoria ha un posto
in questo globo sconvolto. Ricordarti?
Sì, dalla tavola della mia mente
cancellerò ogni nota sciocca e trita,
le massime dei libri, le impressioni, le immagini
che vi hanno registrato
gioventù ed esperienza
e il tuo comando vivrà tutto solo
nel volume del mio cervello
purgato da ogni scoria. Sì, perdio!
O donna malefica!
O cane, cane, cane maledetto che sorridi!
Il mio taccuino. È giusto che vi scriva
che un uomo può sorridere, e sorridere,
ed essere una canaglia –
o almeno, sono certo, è così in Danimarca. (Scrive.)
Ecco, zio, sei servito. Ora il mio motto.
È “Addio, addio, ricordati di me.”
L’ho giurato.
Entrano Orazio e Marcello (chiamando)
ORAZIO
Monsignore, monsignore.
MARCELLO
Principe Amleto.
ORAZIO
Dio lo protegga.
AMLETO (a parte)
Così sia.
MARCELLO
Ehi oh, oh, monsignore!
AMLETO
Ehi oh ragazzo! Qui falchetto, qui!
MARCELLO
Come state, mio nobile signore?
ORAZIO
Che è successo, monsignore?
AMLETO
Oh, meraviglie!
ORAZIO
Ditecele, signore.
AMLETO
No, le andreste a raccontare.
ORAZIO
Io no, signore, perdio.
MARCELLO
Neanch’io signore.
AMLETO
Allora che ne dite, poteva mai immaginarsi… ma
terrete il segreto?
ORAZIO e MARCELLO
Sì, perdio!
AMLETO
Non c’è un furfante in tutta la Danimarca
che non sia un cane bastardo.
ORAZIO
Per dirci questo, monsignore, non c’era bisogno che
un fantasma uscisse dalla tomba.
AMLETO
Giusto, sì. Proprio giusto.
E perciò a farla corta
credo sia meglio una stretta di mano
e via, voi per i fatti vostri e a vostro
piacere, ché a ciascuno infatti capita
d’aver cose da fare e piaceri – e io da parte mia,
povero me, andrò a pregare.
ORAZIO
Queste sono parole assurde e sconnesse, monsignore.
AMLETO
Mi spiace che ti offendano, davvero,
me ne spiace davvero…
ORAZIO
Non c’è offesa, monsignore.
AMLETO
Ma sì per san Patrizio, c’è offesa e come,
Orazio, e offesa grave. Quanto all’apparizione,
è un fantasma onesto, posso dirvelo.
E per la vostra voglia di sapere
che c’è stato tra noi, dominatela
come potete. E ora, amici miei,
miei compagni di studio e d’armi, fatemi
un piccolo favore.
ORAZIO
Quale, signore? Certamente.
AMLETO
Non fate mai parola di ciò che avete visto stanotte.
ORAZIO e MARCELLO
Non lo faremo, signore.
AMLETO
Sì, ma giuratelo.
ORAZIO
Sul mio onore, monsignore.
MARCELLO
E sul mio, Monsignore.
AMLETO
Sulla mia spada.
MARCELLO
Signore, abbiamo giurato.
AMLETO
Sì, sì, ma sulla spada!
FANTASMA (grida sotto la scena)
Giurate!
AMLETO
Ah lo dici anche tu, birba? Sei lì, brav’uomo?
Via, sentite l’amico giù in cantina.
Giurate dunque.
ORAZIO
Diteci come, signore.
AMLETO
Mai parlare di ciò che avete visto.
Giurate sulla spada.
FANTASMA
Giurate! (Giurano)
AMLETO
Hic et ubique? Beh, cambiamo posto.
Venite qui, signori,
e di nuovo le mani sulla spada.
Su questa spada giurate
di non parlare mai di ciò che avete udito.
FANTASMA
Giurate sulla spada! (Giurano)
AMLETO
Ben detto, vecchia talpa. Sai operare
sottoterra così svelto? Ma che bravo geniere!
Spostiamoci di nuovo, amici.
ORAZIO
Dio, che strano prodigio!
AMLETO
E allora dagli il benvenuto, come si fa con gli stranieri.
Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante non ne sogni la tua filosofia.
Ma avanti,
qui, come prima: che mai, così Iddio
abbia pietà di voi, per quanto io possa
comportarmi in maniera un po’ strana o bizzarra –
visto che d’ora in poi forse potrà sembrarmi
opportuno di fare il matto – allora
voi, vedendomi, mai, così a braccia conserte
o scuotendo la testa così, o pronunciando
frasi dubbie, come “beh beh sappiamo”,
o “potremmo volendo” o “volessimo dire”
o “ce n’è che potendo” o altre simili
ambiguità, lascerete capire
che la sapete lunga su me – giurate questo
e così nel bisogno più grave vi soccorrano
la grazia e la pietà.
FANTASMA
Giurate! (Giurano)
AMLETO
Pace, pace, spirito inquieto. Così, signori,
mi affido a voi con ogni devozione;
e ciò che un pover’uomo come Amleto
può fare per esprimervi il suo affetto
e la sua amicizia, a Dio piacendo,
non mancherà. Rientriamo assieme.
E sempre il dito sulle labbra, prego.
Il tempo è scardinato. O sorte maledetta
che proprio io sia nato per rimetterlo in sesto.
Ma avanti, andiamo assieme. Escono.
Amleto
(“Hamlet” – 1600-1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V