(“Hamlet” – 1600 – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
Entrano (incontro alla Regina) il Re, Rosencrantz e Guildenstern.
RE
Questi sospiri, questo affanno, hanno un senso
che devi spiegarci. Capirlo ci è necessario.
Dov’è tuo figlio?
REGINA
Lasciateci soli un momento.
(Escono Rosencrantz e Guildenstern.)
Mio signore, che cosa non ho visto stanotte!
RE
Perché, Gertrude, come sta Amleto?
REGINA
È pazzo come il mare e il vento che gareggiano
a chi è il più forte. In uno dei suoi accessi
sente, dietro l’arazzo, che qualcosa si muove,
sguaina la spada, grida “Un topo, un topo”
e in quella sua allucinazione uccide
alla cieca il buon vecchio.
RE
Ah che delitto!
Toccava a noi, s’è c’eravamo.
Libero è una minaccia per tutti
per te stessa, per noi, per ognuno.
Come risponderemo di questo sangue?
Daranno la colpa a noi
che avremmo dovuto prevederlo
sorvegliando quel giovane pazzo, o segregandolo
o tenendolo via da qui. Ma l’affetto
non ci ha fatto capire la cosa più opportuna,
come succede ad uno che è ammalato
di qualche male orribile, e per non farlo sapere
lascia che gli divori la vita. Dov’è andato?
REGINA
Si porta via il corpo che ha ucciso,
e su di esso – perché, pazzo, rimane
puro, come oro in mezzo a una miniera
di metallo volgare – adesso piange
per ciò che è fatto.
RE
Vieni via, Gertrude!
Appena il sole tocca le montagne
lo imbarchiamo. Di questa turpe azione
bisognerà dare atto e dare conto
con ogni nostra autorità e destrezza.
Oh, Guildenstern!
Entrano Rosencrantz e Guildenstern.
Amici, tutti e due, cercatevi un aiuto.
Amleto, nella sua pazzia, ha ammazzato Polonio
e ne ha trascinato il corpo
via dalla stanza di sua madre.
Andate, rintracciatelo,
parlategli con garbo, e trasportate il morto
nella cappella. Fate presto, vi prego.
Escono Rosencrantz e Guildenstern.
Su, Gertrude, riuniamo
gli amici più giudiziosi,
diciamo loro ciò che si vuol fare
e ciò che è fatto purtroppo.
(Così la calunnia invidiosa)
che porta sussurrando la sua carica di veleno,
dritta come un cannone alla sua mira
dappertutto nel mondo, forse potrà mancare
il nostro nome, e colpire
l’aria impassibile. Vieni,
la mia anima è piena di dubbio e smarrimento.
Escono.
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
Entra Amleto.
AMLETO
Ora è al sicuro. (Chiamano da dentro.)
Oh, chi strepita? Chi chiama Amleto? Ah, eccoli che arrivano.
Entrano Rosencrantz, Guildenstern e altri.
ROSENCRANTZ
Monsignore, che ne avete fatto del morto?
AMLETO
L’ho ricongiunto alla polvere sua congiunta.
ROSENCRANTZ
Diteci dov’è, che lo togliamo di lì e lo portiamo nella cappella.
AMLETO
Non vi fate illusioni.
ROSENCRANTZ
Che illusioni, monsignore?
AMLETO
Che io tenga il vostro segreto e non il mio. E poi, a sentirsi interrogato da una spugna – cosa dovrebbe rispondere un figlio di re?
ROSENCRANTZ
Mi prendete per una spugna, monsignore?
AMLETO
Sissignore, una spugna che assorbe i favori del re, le sue prebende e le sue prerogative. Ma codesti aiutanti, al re, l’aiuto migliore lo danno alla fine: se li tiene in un cantuccio della bocca, lui, come fa la scimmia, prima li assapora e alla fine li inghiotte. Quando avrà bisogno di ciò che avete assorbito, una bella strizzata e la spugna ti ritorna asciutta.
ROSENCRANTZ
Monsignore, non vi capisco.
AMLETO
Mi fa piacere sentirlo. Parlar furbo allo sciocco è come parlare al muro.
ROSENCRANTZ
Signore, dovete dirci dove si trova il corpo e venire con noi dal re.
AMLETO
Il corpo è col re, ma il re non è col corpo. Il re è una cosa…
GUILDENSTERN
Una cosa, monsignore?
AMLETO
Una cosa da nulla. Su, portatemi da lui.
ATTO QUARTO – SCENA TERZA
Entrano il Re e due o tre (nobili).
RE
Ho mandato gente a cercarlo, e a trovare il corpo.
È ben pericoloso che costui vada libero!
Ma gravargli addosso con la legge, non possiamo:
il popolo lo ama, il popolo insensato
che non sceglie col senno ma con gli occhi,
e in questi casi vàluta il castigo assegnato
e non la colpa. Se tutto ha da andare liscio
la sua partenza improvvisa deve sembrare
il risultato di un’attenta delibera. A mali estremi
rimedi estremi, o niente.
Entrano Rosencrantz, (Guildenstern) e altri.
Allora, che è successo?
ROSENCRANTZ
Dov’è nascosto il corpo, mio signore,
non vuole proprio dircelo.
RE
Ma lui dov’è?
ROSENCRANTZ
Qui fuori,
scortato, signore, ai vostri ordini.
RE
Portatelo qui.
ROSENCRANTZ
Oh, fate entrare il principe!
Entra Amleto sotto scorta.
RE
Allora, Amleto, dov’è Polonio?
AMLETO
A cena.
RE
A cena? Dove?
AMLETO
Non dove mangia ma dove è mangiato. Un’assemblea di vermi politici è alle prese con lui. Il verme è l’unico che più ci guadagna in una dieta: noi ingrassiamo ogni altra creatura per ingrassarci, e c’ingrassiamo per i vermi. Un re grasso e un pezzente magro non sono altro che un menù variato – due piatti a una tavola sola. Ed è tutto.
RE
Ahimè, ahimè.
AMLETO
Uno può pescare col verme che ha pappato un re, e papparsi il pesce che ha pappato il verme.
RE
Che vuoi dire con questo?
AMLETO
Niente, solo mostrarvi che un re può fare un viaggio di stato per le budella d’un pezzente.
RE
Dov’è Polonio?
AMLETO
In cielo. Mandate lassù a cercarlo. Se il vostro incaricato non ce lo trova, cercatelo voi stesso dalla parte opposta. Ma se poi non lo trovate entro questo mese, lo annuserete salendo le scale del loggiato.
RE (A qualcuno del seguito)
Cercatelo lì.
(Escono gli incaricati.)
AMLETO
Vi aspetterà, vi aspetterà!
RE
Amleto, quanto è accaduto, per la tua sicurezza
che ci preme molto, come molto ci affligge
quello che hai fatto – deve farti sparire
rapido come un lampo. Quindi, prepàrati.
La nave è pronta, il vento propizio,
i compagni t’aspettano, e tutto è disposto
per il viaggio in Inghilterra.
AMLETO
In Inghilterra?
RE
Sì, Amleto.
AMLETO
Bene.
RE
Proprio così, se conoscessi la mia intenzione.
AMLETO
Vedo un cherubino che la conosce. Ma via, in Inghilterra! Addio, cara madre.
RE
Tuo padre che ti ama, Amleto.
AMLETO
No, madre. Padre e madre son marito e moglie, moglie e marito sono una sola carne; quindi, madre. Via, in Inghilterra! Esce.
RE
Stategli alle calcagna, attiratelo subito a bordo,
non perdete tempo – lo voglio via da qui
stanotte. Andate, quanto riguarda questa storia
è sigillato e pronto. Fate presto!
Escono tutti tranne il Re.
E tu, re inglese, se tieni alla mia amicizia –
te lo consiglia la mia grande potenza,
perché ancora è fresca e rossa la cicatrice
della spada danese, e anche se libero paghi
un tributo di paura – tu non puoi trascurare
il mandato regale che t’impone
con istruzioni adeguate la morte
immediata di Amleto. Uccidilo, re inglese.
Egli m’infuria nel sangue come il mal sottile
e tu devi curarmi. Finché ciò non sia stato
non avrò mai una gioia, anche se fortunato. Esce.
ATTO QUARTO – SCENA QUARTA
Entrano Fortebraccio e il suo esercito (che marcia) sulla scena.
FORTEBRACCIO
Capitano, porta i miei saluti
al re danese. Digli che chiedo,
col suo beneplacito, una scorta
per attraversare il suo regno
secondo l’accordo. Tu sai dove raggiungerci.
Se sua maestà vuole parlarci,
gli renderemo omaggio di persona.
Diglielo.
CAPITANO
Lo farò, signore.
FORTEBRACCIO
Avanti, adagio.
Escono tutti (tranne il Capitano).
Entrano Amleto, Rosencrantz, (Guildenstern) e altri.
AMLETO
Mio buon signore, di chi sono queste truppe?
CAPITANO
Del re di Norvegia, signore.
AMLETO
Dove vanno, vi prego?
CAPITANO
Vanno a combattere in Polonia.
AMLETO
Chi le comanda, signore?
CAPITANO
Il nipote del re, Fortebraccio.
AMLETO
Mirano al cuore della Polonia
o a qualche fortezza di frontiera?
CAPITANO
A essere sincero, e senza forzature,
andiamo a conquistare un pezzetto di terra
che non frutta altro che gloria. Per cinque
ducati, cinque, non lo vorrei in affitto.
Né frutterebbe al Norvegese o all’altro
un quattrino di più, se lo vendessero.
AMLETO
Allora non sarà difeso.
CAPITANO
Al contrario, c’è già un presidio.
AMLETO
Dunque duemila anime e ventimila ducati
non basteranno a decider la sorte
di un fuscello! Questo è un ascesso che nasce
da troppa pace e abbondanza, si spacca
internamente, e fuori non si vede
perché il malato muore. Vi ringrazio
umilmente.
CAPITANO
Dio sia con voi, signore. (Esce.)
ROSENCRANTZ
Vogliamo andare, monsignore?
AMLETO
Vi raggiungo subito. Avviatevi.
(Escono tutti tranne Amleto.)
Come mi accusa ogni occasione, e sprona
la mia vendetta troppo lenta! Cos’è un uomo
se tutto ciò che cava dal suo tempo
non è che dormire e nutrirsi? Una bestia,
nient’altro. Certo colui che ci fece
con una mente così vasta, e capace
di guardare indietro e in avanti,
non ci dette questa virtù, questa ragione divina
perché ammuffisse inusata. Ora, che sia
oblio bestiale, o qualche vile scrupolo
di pensare troppo minutamente all’esito –
un’ansia che, spaccata, mostra una parte saggia
e tre vili, non so perché continui
a vivere per dire, ho da far questo,
quando ho motivo, e forza, e volontà,
e mezzi per farlo. Mi esortano esempi
tangibili come la terra. Ecco un esercito
grande e costoso, guidato da un principe
giovane, sensibile, il cui spirito
gonfio di un’ambizione divina si fa beffa
del caso imprevedibile, ed espone
ciò che è mortale e malsicuro a quanto
possono fare la morte, la fortuna,
e il rischio, solo per un guscio d’uovo!
La vera grandezza non è nell’aspettare
grandi cause per muoversi, ma nel trovare
degno motivo di contesa in un fuscello
quand’è in gioco l’onore. E io, allora,
che ho un padre ucciso, una madre insozzata
a incitare il mio sangue e la mia mente,
e lascio tutto dormire, e a mia vergogna
vedo la morte imminente di ventimila uomini
che per un sogno, un’ubbìa dell’onore
vanno alla tomba come a letto, e combattono
per un palmo di terra che non gli basta
ad azzuffarcisi sopra tutti quanti
e non è sufficiente a far da copertura
e dar fossa ai morti? Ah da questo momento
il mio pensiero sia “sangue!”, o non varrà niente.
Esce.
ATTO QUARTO – SCENA QUINTA
Entrano la Regina, Orazio e un gentiluomo.
REGINA
Non le voglio parlare.
GENTILUOMO
Ma lei insiste,
è fuori di sé davvero. In uno stato
da far pietà.
REGINA
Ma che cosa vuole?
GENTILUOMO
Parla molto del padre. Sente dire,
afferma, che il mondo è pieno d’inganni,
e fa suoni in gola, e si batte il petto, e s’adombra
per nulla, e dice cose vaghe che hanno
senso a metà. Parla di niente, eppure
il suo parlare sconnesso convince
chi l’ascolta a trovarvi un senso. Cercano
d’indovinare, e aggiustano le parole
a ciò che credono di capire. E quelle parole
che lei accompagna d’ammicchi, di cenni
e gesti, in verità fanno pensare
che ci sia un senso in esse, niente affatto
chiaro, e comunque molto triste.
ORAZIO
Sarà bene parlarle. Può diffondere
sospetti pericolosi nelle menti
mal disposte.
REGINA
Sì, fatela entrare. (Il gentiluomo esce.)
(A parte) Alla mia anima malata, come succede
a chi è in colpa, ogni inezia pare
il preludio a un disastro. La colpa
è così piena di ansie incontrollate
che si distrugge da sé, per paura
di essere distrutta.
Entra Ofelia.
OFELIA
Dov’è la bella maestà di Danimarca?
REGINA
Che vuoi da me, Ofelia?
OFELIA (canta)
Come farei a conoscere
da un altro il tuo vero amore?
Dalla conchiglia al cappello,
dai sandali, dal bordone.
REGINA
Ahimè, cara, che significa questa canzone?
OFELIA
Dite? Ma no, state attenta vi prego.
(canta) È bell’e andato, signora,
è bell’e andato.
Al capo una zolla verde,
ai piedi un sasso.
O oh!
REGINA
Ascoltami, Ofelia…
OFELIA
Vi prego, sentite questa:
(canta) Bianco il sudario come neve ai monti…
Entra il Re.
REGINA
Ahimè guardatela, monsignore.
OFELIA (canta)
e guarnito di fiori
che pianto sottoterra non andò
con piogge d’amore.
RE
Come state, mia bella?
OFELIA
Bene, Dio ve ne renda merito. Dicono che
l’allocco era figlia di un fornaio. Signore Iddio,
sappiamo ciò che siamo non ciò che saremo. Iddio sia
al vostro desco!
RE
Fantastica su suo padre.
OFELIA
Vi prego non parliamone più, ma quando vi chiedono che vuol dire, rispondete così.
(canta) Domani è San Valentino,
su tutti di buon mattino,
io picchio alla tua finestra
per esser la tua Valentina.
E lui si levò si vestì
e il suo usciolo le aprì,
entrò ragazza e mai più ragazza
da quell’usciolo sortì.
RE
Mia graziosa Ofelia…
OFELIA
Bene, senza brutte parole, finisco subito.
Per Ges e santa Càrita
ahinoi quale disdoro,
i ragazzi lo fan se cápita –
pen di Dio, è colpa loro.
Lei dice, prima di sbattermi,
mi sposavi, hai promesso.
E lui risponde,
E l’avrei fatto, giùrolo,
se non venivi a letto.
RE
Da quanto tempo è in questo stato?
OFELIA
Spero tutto andrà bene. Pazienza ci vuole. Ma non riesco a non piangere se penso che l’han messo nella terra fredda. Mio fratello lo saprà! E così grazie per il buon consiglio. Oh, la mia carrozza! Buonanotte, signore, buonanotte. Dolci signore buonanotte,buonanotte. Esce.
RE
Seguitela da vicino. Non perdetela d’occhio, ve ne prego.
(Esce Orazio.)
Ah è il dolore che l’avvelena. Viene
tutto dal padre morto. E ora guardala…
O Gertrude, Gertrude,
i dispiaceri non vengono come esploratori isolati
ma a battaglioni. Prima, l’assassinio di suo padre,
poi la partenza di tuo figlio, artefice forsennato
del suo giusto esilio; il popolo in fermento,
cupo e maligno nei pensieri e nelle voci
per il buon Polonio; e noi maldestri a interrarlo
così in fretta in segreto; la povera Ofelia
che smarrisce se stessa e il suo bel senno
senza cui siamo meri simulacri e bestie;
e come ultimo guaio che li assomma tutti
ora il fratello torna in segreto di Francia,
rùmina questo disastro, si tiene fra le nuvole,
e non mancano mosconi a infettargli le orecchie
con storie velenose sulla morte del padre
che per forza, mancando di sostanza,
non trovano ritegno ad accusare noi
in persona, con questo e quello. O mia cara Gertrude,
è una mitraglia, questa, che m’investe
e mi dà mille morti.(Rumore all’interno.)
Oh, dove sono
i miei svizzeri? Sbàrrino la porta!
Entra un messaggero.
Che succede?
MESSAGGERO
Salvatevi, maestà!
L’oceano che trabocca alle sue sponde
non divora la piana con più impeto
del giovane Laerte che aizzata una rivolta
ha sopraffatto le guardie. La marmaglia lo acclama
re, e come se il mondo fosse appena creato,
dimenticato l’antico, ignorate le usanze
che danno valore e senso a ogni parola,
gridano “Decidiamo noi! Sarà re Laerte!”
E i berretti e le mani e le lingue lo esaltano
alle nubi: “Laerte sia re, Laerte è il re! ”
REGINA
Con quale gioia abbaiano sulla pista sbagliata!
Correte all’incontrario, falsi cani danesi!
Rumore dentro.
RE
Hanno sfondato le porte.
Entrano Laerte e seguaci.
LAERTE
Il re dov’è? Amici, restate tutti fuori.
SEGUACI
No, entriamo!
LAERTE
Ve ne prego! Permettetemi.
SEGUACI
Va bene, va bene.
LAERTE
Vi ringrazio. Sorvegliate la porta (I suoi escono.)
Tu, re ignobile, ridammi mio padre.
REGINA (Lo trattiene)
Calma, buon Laerte.
LAERTE
Quella goccia di sangue che è calma
mi proclama bastardo, urla “cornuto”
a mio padre, e stampa il marchio della puttana
qui sulla fronte casta e immacolata
di mia madre.
RE
Laerte, per quale motivo
questa ribellione da giganti? –
lascialo andare, Gertrude. Non temere
per la nostra persona.
C’è una tale siepe divina attorno a un re
che il tradimento può solo sbirciare
a ciò che si propone, e ne attua
ben poco. Dimmi, Laerte,
perché mai tanta furia? Via, lascialo Gertrude.
Parla, ragazzo.
LAERTE
Dov’è mio padre?
RE
È morto.
REGINA
Ma non per sua colpa.
RE
Lasciagli chiedere ciò che vuole.
LAERTE
E come mai è morto? Non mi farò imbrogliare.
All’inferno la lealtà! Al diavolo
più nero i giuramenti! La coscienza
e la grazia nel pozzo più profondo!
Sfido la dannazione. Sono giunto a tal punto
che non m’importa nulla di questo mondo o dell’altro,
succeda quel che dovrà, voglio solo vendetta
per mio padre, e a fondo.
RE
E chi ti tratterrà?
LAERTE
La mia volontà, non quella del mondo intero.
I miei mezzi vedrò di usarli così bene
che con poco andranno lontano.
RE
Buon Laerte,
tu vuoi sapere tutta la verità
su tuo padre. Ma è scritto nella vendetta
che debba fare un fascio dei suoi amici e nemici,
di chi ha vinto e chi ha perso?
LAERTE
No, solo dei nemici.
RE
Allora, vuoi sapere chi sono?
LAERTE
Ai suoi amici
spalancherò le braccia così. Come il pellicano
che dà la vita, li nutrirò col mio sangue.
RE
Bene, ora parli
da buon figlio e da vero gentiluomo.
Che io sia innocente
della morte di tuo padre, anzi assai afflitto
per lui, ti apparirà lampante
come la luce del giorno.
Rumore dentro. (Si sente Ofelia che canta.)
Lasciatela entrare.
LAERTE
Che c’è? Chi canta?
Entra Ofelia.
Rabbia, sèccami il cervello. Lacrime sette volte amare
bruciate il senso e la virtù degli occhi.
Perdio, la tua pazzia sarà pagata
a peso tale, che la bilancia
traboccherà per noi. Rosa di maggio,
cara, buona sorella, dolce Ofelia…
O Dio, ma può la ragione d’una ragazza
essere fragile come la vita d’un vecchio?
La natura umana, nell’amore,
è così sensibile, che manda
un pegno prezioso di se stessa
dietro quelli che ama.
OFELIA (canta)
Lo portarono a viso scoperto nella bara,
e nella sua fossa piovvero lacrime…
Addio, mia colomba.
LAERTE
Se tu avessi giudizio e chiedessi vendetta non sapresti commuovermi tanto.
OFELIA
Voi dovete cantare “E giù, e giù”, e voialtri “E lui va giù”. Che bel ritornello! È il falso maggiordomo che rubò la figlia al padrone.
LAERTE
Non dice niente, e dice tutto.
OFELIA
Ecco del rosmarino, per il ricordo… ti prego, amore, ricorda. E qui le viole, per il pensiero.
LAERTE
Che lezione dalla pazzia! Pensieri e ricordo, in buon punto!
OFELIA
Ecco per voi la nigella, e l’aquilegia. Per voi della ruta. E un poco per me. Erbagrazia, possiamo chiamarla, di domenica. Ma voi la ruta dovete portarla in modo diverso da me. Qui, una margherita. Volevo darvi delle violette, ma son tutte appassite quando morì mio padre. Dicono che ha fatto una buona fine.
(canta) Il bel Robin è tutta la mia gioia.
LAERTE
Pensieri, pene, passioni, l’inferno stesso
li rende incantevoli.
OFELIA (canta)
E non verrà mai più?
E non verrà mai più?
No no è morto.
Va’ al tuo letto di morte,
non tornerà mai più.
La barba è neve, il capo
della stoppa ha il colore.
È andato, è andato,
e il pianto è sprecato.
Lo protegga il Signore.
E tutte le anime cristiane. Dio sia con voi. Esce.
LAERTE
La vedi, signore Iddio?
RE
Laerte, il tuo dolore
dev’essere anche mio, o mi fai torto.
Va’, pensaci, scegli chi vuoi
dei tuoi amici più saggi, e loro
sentiranno, e tra te e noi, giudicheranno.
Se in qualche modo, diretto o indiretto,
ci trovano implicati, ti cederemo il regno,
la corona, la vita, e tutto ciò che è nostro,
come riparazione. Ma altrimenti
accetta di accordarci la tua pazienza,
e noi uniremo i nostri sforzi a quelli
della tua anima, per darle
giusta pace.
LAERTE
E sia così. Ma il modo
in cui è morto, i funerali oscuri –
né trofeo, né spada, né blasone
sulle ossa, né rito nobiliare,
né cerimonia solenne – ciò reclama
come una voce dal cielo
che io debba chiederne conto.
RE
Lo farai.
E dove sta la colpa scenderà la mannaia.
Vieni con me, ti prego. Escono.
ATTO QUARTO – SCENA SESTA
Entrano Orazio e un servitore.
ORAZIO
Chi vuole parlarmi?
SERVITORE
Gente di mare, signore. Hanno lettere per voi, dicono.
ORAZIO
Falli entrare. (Esce il servitore.)
Non so da che parte del mondo possa arrivarmi una lettera, se non dal principe Amleto.
Entrano dei marinai.
I MARINAIO
Dio vi benedica, monsignore.
ORAZIO
E benedica anche te.
I MARINAIO
Se è sua volontà, monsignore. Una lettera per voi, monsignore. Da parte dell’ambasciatore che andava in Inghilterra – se vi chiamate Orazio come mi è detto.
ORAZIO (legge la lettera)
Orazio, quando avrai scorso questa, fa’ in modo che questa gente arrivi dal re. Hanno lettere per lui. Non eravamo in mare da due giorni che un corsaro in pieno assetto di guerra ci dette la caccia. Scarsi di vela, sfoderammo un coraggio forzoso, e nell’arrembaggio saltai sul loro legno. Ma subito si sganciarono, e restai il loro unico prigioniero. Mi hanno trattato da ladroni di cuore. Ma sapevano quel che facevano: gli debbo restituire il favore. Fa’ arrivare al re le lettere che ho mandato, e corri da me veloce come se fuggissi la morte. Ho parole da dirti all’orecchio che ti renderanno muto. Ma son piume rispetto al calibro della faccenda. Questa brava gente ti condurrà dove sono. Rosencrantz e Guildenstern proseguono per l’Inghilterra. Di loro ho molto da dirti.
Addio.
Il tuo, come sai,
Amleto.
Venite, vi faccio strada per queste lettere.
Sbrigatevi al più presto, per guidarmi
da chi ve l’ha date. Escono.
ATTO QUARTO – SCENA SETTIMA
Entrano il re e Laerte.
RE
Ora la tua coscienza mi assolverà del tutto,
e mi accoglierai nel cuore come un amico,
visto che hai udito, e il tuo orecchio è sagace,
che chi t’ha ucciso il nobile padre, a me
insidiava la vita.
LAERTE
Tutto è chiaro. Ma dite,
come mai, contro fatti così gravi e capitali,
non avete agito come vi spingevano a fare
la sicurezza, l’accortezza, tutto.
RE
Oh, per due motivi
precisi, che forse ti sembreranno troppo deboli,
ma per me son forti. La regina sua madre
non vive quasi che per i suoi occhi, ed io
come che sia, virtù o maledizione –
le sono troppo unito, anima e vita.
Come la stella volge solo nella sua sfera
così io nella sua. L’altro motivo
per cui ho evitato una pubblica accusa
è il grande affetto che ha per lui la gente comune,
che immerge nel suo amore tutti i suoi difetti
e fa come la fonte
che muta il legno in pietra; e muterebbero
i ceppi in braccialetti. Le mie frecce
troppo leggere per un vento così forte
tornerebbero all’arco, invece di volare
contro il bersaglio.
LAERTE
E così mi rimane un padre morto,
e ridotta a uno stato pietoso una sorella
così perfetta, che a lodare ciò che è stato,
sfidava la nostra età a trovarne
una eguale. Ma saprò vendicarmi.
RE
Per questo dormi tranquillo. Non penserai
che siam fatti di stoffa così flaccida e inerte
da lasciarci tirare la barba, e pensare
l’insulto un passatempo. Sentirai novità
presto. Io amavo tuo padre, e noi amiamo noi stessi,
e questo, spero, ti convincerà…
Entra un messaggero con delle lettere.
MESSAGGERO
Questa per Vostra Grazia. Questa per la Regina.
RE
Da Amleto! Chi le ha portate?
MESSAGGERO
Marinai, signore, dicono. Io non li ho visti.
L’ho avute da Claudio. A lui le ha consegnate
l’uomo che le ha portate.
RE
Laerte, devi sentirle.
Andate. Esce il messaggero.
(Legge) Alto e possente, dovete sapere che mi ritrovo nudo sul vostro regno. Domani chiederò il permesso di vedere i vostri occhi regali, e allora, con vostra licenza, narrerovvi le circostanze del mio improvviso e ancor più imprevisto ritorno.
Amleto.
Ma che vuol dire? Son tornati tutti?
Oppure è un trucco, e non è vero niente?
LAERTE
Riconoscete la mano?
RE
Sì, è la sua scrittura.
“Nudo”…
E qui in un poscritto aggiunge, “Solo”.
Ne capisci qualcosa?
LAERTE
Non ci capisco niente, signore. Ma che venga.
Il mio cuore malato si ravviva all’idea
che gli potrò gridare in faccia, “Muori!”
RE
Se è così,
Laerte, – ma è possibile? e se no che pensarne? –
ti lascerai guidare da me?
LAERTE
Sì, monsignore,
purché non mi forziate a far pace.
RE
A trovare
pace! Se è tornato perché si sottrae al viaggio
e non vuole più andare, lo spingerò a un’impresa
che ho già matura in mente, e nella quale
non potrà che cadere. E nessun fiato spirerà
a condannare la sua morte. Anzi sua madre stessa
non sospetterà affatto il trucco, e lo chiamerà
una disgrazia.
LAERTE
Monsignore, mi lascio guidare,
e tanto più se trovate il modo di farmi
l’esecutore del tutto.
RE
Questo cade a proposito.
Dopo la tua partenza, qui, si è parlato molto
di te, presente Amleto, per una qualità
in cui si dice che eccelli. E tutte le tue doti
assieme, non l’accesero tanto d’invidia, quanto
quella sola – e un’invidia, a mio giudizio,
delle più basse.
LAERTE
Che qualità, signore?
RE
Un fiocco sul cappello d’un giovane! – ma anch’esso
non fuori posto, se alla gioventù
stanno bene i vestiti allegri, trasandati,
come ai più vecchi gli abiti severi e le pellicce
che denotano stabilità, rigore. Due mesi fa
era qui un gentiluomo normanno – io stesso ho visto
i francesi, ed ho pure militato
contro di loro, ed essi ci sanno proprio fare
a cavallo – ma questo gagliardo
pareva un mago in sella, vi metteva radici,
e spingeva il cavallo a evoluzioni
così stupende, che pareva fossero
un corpo solo, e che avesse per metà
la natura di quella nobile bestia.
Superava di tanto la mia attesa, che
per quanto io provi a immaginare figure
e passi d’ingegno, resto ben lontano
da ciò che fece.
LAERTE
Normanno avete detto?
RE
Normanno.
LAERTE
Per la mia vita, Lamord!
RE
Sì, proprio lui.
LAERTE
Lo conosco bene. È davvero la gemma,
la vera perla della nazione.
RE
Egli ti riconobbe grandi meriti, e riferì di te
cose tanto lodevoli nell’arte e nella pratica
del tirare di stocco, soprattutto, da esclamare
che sarebbe davvero uno spettacolo
opporti un avversario degno. Da loro, giurò,
gli schermitori non avevano attacco né guardia
né occhio al tuo confronto. Ebbene, questo giudizio
invelenì moltissimo la gelosia di Amleto,
e non faceva altro che augurarsi, e sperare
che tu tornassi presto
per potersi subito misurare con te.
Ora, su questo…
LAERTE
Su questo, cosa?
RE
Laerte, ti era caro
tuo padre, no? O sei solo l’immagine
dipinta del lutto, un volto senza cuore?
LAERTE
Perché mi chiedete questo?
RE
Non perché pensi che tu non amassi tuo padre,
ma perché so che l’amore nasce dall’occasione,
e i fatti provano che il tempo
ne riduce il fuoco e la scintilla. Dentro
la fiamma stessa dell’amore c’è come
uno stoppino, e la sua cenere lo spegne;
e nulla poi dura sempre alto e uguale
perché la bontà, quando diventa plétora
muore del proprio eccesso. Quel che vorremmo fare
dovremmo farlo mentre lo vogliamo,
perché questo “vogliamo” muta ed ha smorzature
e rimandi, per quante sono le lingue
e le mani e gli eventi, e quel “dovremmo”,
allora, è come il sospiro prodigo
che alleviando fa male. Veniamo
al vivo dell’ulcera: Amleto è qui. Che sei pronto a fare
per mostrarti, nei fatti più che nelle parole,
il figlio di tuo padre?
LAERTE
A tagliargli la gola in chiesa.
RE
Infatti, non dovrebbero esserci santuari
per un assassino. Né confine per la vendetta.
Ma buon Laerte, se sei pronto a questo,
devi startene chiuso nella tua stanza.
Amleto, dacché è qui, saprà che sei tornato.
Gli metteremo attorno qualcuno
che magnifichi la tua bravura, e passi una seconda mano
di vernice sulla reputazione
che t’ha dato il francese. Alla fine
vi faremo incontrare, e faremo scommessa
su voi due. Lui, senza sospetti,
generoso com’è, e incapace di avere
trucchi in testa, non controllerà le spade,
sicché ti sarà facile, o con qualche rimescolata,
di sceglierti la lama non spuntata, e un colpo mancino
lo ricompenserà per tuo padre.
LAERTE
Va bene.
Anzi, per questo scopo, ungerò la mia spada.
Ho comprato da un ambulante un unguento così mortale,
che basta una lama appena intinta, e dove cava sangue
non c’è impiastro che valga, anche se tratto
da tutte le erbe che hanno una virtù
sotto la luna, a salvare dalla morte
chi ne è scalfito. Ungerò la mia punta
con quella peste, e se appena lo tocco
sarà morto.
RE
Ripensiamoci, allora, soppesiamo il tempo
e i mezzi che meglio si prestano ai nostri ruoli.
Se ci andasse male, e un passo falso
rivelasse il piano, meglio valeva non tentarlo.
Quindi il progetto dovrebbe rinforzarsi
con uno di riserva, che funzioni se il primo
ci salta tra le mani. Aspetta, vediamo.
Faremo una scommessa solenne sul più bravo.
Ci sono. Quando, in azione,
avrete caldo e sete, – e perciò tu attacca
con più violenza – e lui chiede da bere,
gli farò preparare per l’occasione un calice
di cui basterà un sorso, se per caso
sfuggisse alla stoccata, e il nostro affare
è fatto. Aspetta, che c’è ora?
Entra la Regina.
REGINA
Una sventura pesta le calcagna dell’altra,
così fitte vengono. Tua sorella è annegata, Laerte.
LAERTE
Annegata? Dove?
REGINA
C’è un salice che cresce di sghembo sul ruscello
e specchia le sue foglie canute nel fluido vetro.
Con esse ella intrecciava ghirlande fantastiche
di ortiche, di violacciocche, di margherite, e lunghe
orchidee rosse a cui i pastori sboccati
danno un nome più basso, ma le nostre
fredde vergini chiamano dita di morto. Lì
mentre s’arrampicava per appendere ai rami
penduli i serti d’erba, un ramoscello maligno
si spezzò, e giù i trofei verdi e lei stessa
caddero nel ruscello querulo. Le vesti
le si gonfiarono intorno, e come una sirena
la sorressero un poco, che cantava
brani di laudi antiche, come una che non sa
quale rischio la tenga, o come una creatura
nata e formata per quell’elemento.
Ma non poté durare molto: le vesti
pesanti ora dal bere
trassero l’infelice dalle sue melodie
a una morte fangosa.
LAERTE
Ahimè, dunque è annegata.
REGINA
Annegata, annegata.
LAERTE
Povera Ofelia, hai avuto già troppa acqua
e mi vieto di piangere. Ma ecco
come siamo: la natura
segue il suo corso, sia vergogna o meno.(Piange)
Quando queste saranno passate, in me
la donna finirà. Addio, monsignore. Ho parole
di fuoco che vorrebbero avvampare
ma questo pianto stupido le spegne. Esce.
RE
Seguiamolo, Gertrude!
Ho penato molto a calmare la sua rabbia
e ora questo, temo, la risveglierà.
Perciò stiamogli accanto. Escono.
Amleto
(“Hamlet” – 1600-1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V