(“Hamlet” – 1600 – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUINTO – SCENA PRIMA
Entrano due rustici (il becchino e un altro).
BECCHINO
E avrà sepoltura cristiana, una che di proposito attenta alla propria morte?
ALTRO
Ti dico di sì, per cui scava la fossa e spìcciati. Il giudice ha fatto seduta su lei e trova sepoltura cristiana.
BECCHINO
Ma come può essere, a meno che non s’è affogata per legittima difesa?
ALTRO
Eh! Così ha trovato.
BECCHINO
Dev’essere “se offendendo”, non può essere altro. Perché qui sta il punto: se io m’affogo di proposito, ciò prova un atto, e un atto ha tre branche: agire, fare ed eseguire; erga, s’è affogata di proposito.
ALTRO
Ma no, stammi a sentire, compare…
BECCHINO
Permetti. Qui c’è l’acqua – bene. E qui c’è l’uomo – bene. Se l’uomo va all’acqua e s’affoga, fatto è, volere o volare, che ci va, mi segui? Ma se l’acqua va a lui e l’affoga, non è lui che affoga lui stesso. Erga, chi non ha colpa della sua morte non accorcia la sua vita.
ALTRO
Ma è questa, la legge?
BECCHINO
Corpo! Legge dell’inchiesta del giudice.
ALTRO
Vuoi sapere la verità? Se non era una signora, la sbattevano fuori dal camposanto.
BECCHINO
Orca! Adesso l’hai capita! Tanto più fa rabbia che i pezzi grossi debbano avere concessione a questo mondo di affogarsi o impiccarsi più dei semplici cristiani. Pàssami quella vanga. Non c’è gentilomini antichi come i giardinieri, gli sterratori e i becchini – tengon su il mestiere d’Adamo.(Scava.)
ALTRO
Ma perché, era nobile Adamo?
BECCHINO
Fu il primo ad avere impresa e campo!
ALTRO
Ma no che non ce l’aveva!
BECCHINO
E che, sei turco? Come cavolo leggi la Scrittura? La Scrittura dice che Adamo zappava, no? Poteva far quell’impresa senza campo? Ti faccio un’altra domanda. E se non azzecchi questa, va’ a farti…
ALTRO
Forza!
BECCHINO
Chi è che fabbrica più forte del muratore, del carpentiere o del falegname?
ALTRO
Quello che fa le forche: la sua fabbrica vive più di mille inquilini.
BECCHINO
Beh come battuta va bene, non c’è che dire. La forca va bene. Ma per chi va bene? Va bene per quei che fan male. Ora tu fai male a dire che la forca è costruita più salda della chiesa. Erga, la forca può andar bene per te. Su, prova daccapo.
ALTRO
Chi fabbrica più forte del muratore, del carpentiere o del falegname?
BECCHINO
Appunto, dillo e stacca.
ALTRO
Madonna, adesso lo so.
BECCHINO
Sputalo.
ALTRO
Ostia, me lo son scordato.
BECCHINO
Non frastornarti le cervella, dài, ché il somaro poltrone non trotta col bastone. E un’altra volta che ti fan la domanda rispondi, il becchino. Le case che fa lui durano fino al Giudizio. Su, va’ da Yaughan e portami una pinta.
(L’altro rustico esce. Il becchino continua a scavare.)
(Canta) In gioventù quando amavo, amavo,
lo trovavo bello assai
per far correre… oh! il tempo… ah… mio vantaggio,
Oh, niente… ah… trovai meglio… ah… mai.
(Mentre canta) entrano Amleto e Orazio.
AMLETO
Ma costui non ha nessun senso di quel che fa, che canta mentre scava fosse?
ORAZIO
L’abitudine gliela fa sembrare una cosa naturale.
AMLETO
Proprio così. La mano che è meno usata ha il tatto più schizzinoso.
BECCHINO (canta)
Ma la vecchiaia dal passo ladro
nell’artiglio m’ha preso,
e come non fossi mai stato ragazzo
in terra m’ha steso.
Fa saltare fuori un cranio.
AMLETO
Quel cranio aveva dentro la lingua, una volta, e sapeva cantare. E guarda come il birbante lo scaraventa a terra, come fosse la mandibola di Caino che fece il primo assassinio. Potrebb’essere la zucca d’un politico che ora quel somaro strapazza, la zucca di uno che sapeva fregarti anche il padreterno, non potrebbe essere?
ORAZIO
Potrebbe essere, monsignore.
AMLETO
O d’un cortigiano che sapeva dire, “Buondì mio signore, come sta il mio dolce signore?” Potrebb’essere monsignor Tizio che lodava il cavallo di monsignor Sempronio perché voleva farselo regalare, potrebbe essere, no?
ORAZIO
Perché no, monsignore.
AMLETO
Sì perdio, e ora è di Madama Vermìna, sganasciato e picchiato sulle corna dalla vanga del beccamorto. Questo sì che è un bel giro di ruota a saperlo vedere. Costarono così poco a crescerle queste ossa, che ora ci si gioca ai birilli? Le mie mi dolgono a pensarci.
BECCHINO (canta)
Un piccone e una vanga, una vanga,
e poi pure un sudario,
oh è giusto farlo a tal ospite
un bel buco di fango.
(Getta in aria un altro cranio.)
AMLETO
Un altro. E non potrebbe essere il cranio d’un avvocato? Dove sono ora le sue quiddità, le sue quisquilie, e le querele e le quote e i garbugli? Perché ora si lascia picchiare sulla pelata da quel tanghero pazzo, con un badile lurido, e non lo minaccia di denunciarlo per lesioni? Mali, forse quell’uomo è stato a suo tempo un gran compratore di terre, con le sue obbligazioni e cambiali e concessioni, e doppie garanzie e riscatti. Ed è questa la fine delle finezze e il riscatto dei riscatti, d’aver la sua fine zucca ricolma di terra finissima? E le sue garanzie semplici e doppie non gli garantiranno neanche il possesso d’uno spazio che sia lungo e largo come un paio dei suoi contratti? I suoi stessi titoli di proprietà entrerebbero a stento in quella buca. E il proprietario in persona non avrà più spazio di quello lì, eh?
ORAZIO
Non un dito di più, monsignore.
AMLETO
Di’, la pergamena non è pelle di pecora?
ORAZIO
Sì monsignore, e anche di vitello.
AMLETO
Pecore e vitelli son quelli che cercano garanzia in queste cose. Voglio parlare a quel tanghero. Di chi è questa tomba, amico?
BECCHINO
Mia, signore.
(canta) Oh è d’uopo farlo… un bel buco…
AMLETO
Credo bene che sia tua. Ti cimenti lì dentro.
BECCHINO
Il vostro cimento è fuori, per cui non è vostra. Per me, io non mi cimento qui dentro, però è mia.
AMLETO
No, tu ci menti dentro, se dici che è tua perché ci sei. È per i morti non per i vivi. Dunque, ci menti.
BECCHINO
Mento perché son vivo, signore. E così vi smento.
AMLETO
Chi è l’uomo per cui la scavi?
BECCHINO
Non è un uomo, signore.
AMLETO
La donna, allora.
BECCHINO
Neanche.
AMLETO
Chi dev’esserci seppellito?
BECCHINO
Una che fu donna, signore, ma ora, pace all’anima sua, è morta.
AMLETO
Quant’è preciso questo furfante. Dobbiamo parlare a puntino o ci batte sull’equivoco. Perdio, Orazio, è da tre anni che me ne accorgo, quest’epoca ha fatto tanto progresso nei cavilli, che ora l’alluce del villano incalza il tallone del cortigiano e gli graffia i geloni. Da quanto tempo fai questo mestiere?
BECCHINO
Di tutti i giorni dell’anno attaccai quel giorno che il nostro re Amleto, buonanima, sconfisse Fortebraccio.
AMLETO
E quand’è stato di preciso?
BECCHINO
Come, non lo sapete? Ogni deficiente lo sa. Fu il giorno preciso che nacque il giovane Amleto, quello che è pazzo e l’hanno spedito in Inghilterra.
AMLETO
Ma sicuro! E perché l’hanno spedito in Inghilterra?
BECCHINO
Ma perché è pazzo. Laggiù ritrova la ragione, o se no, lì non fa differenza.
AMLETO
Perché?
BECCHINO
Perché lì non si nota. Son tutti pazzi come lui.
AMLETO
E com’è che è impazzito?
BECCHINO
Beh, roba da pazzi, dicono.
AMLETO
Come sarebbe a dire?
BECCHINO
Beh, perdendo la ragione.
AMLETO
Su quale base?
BECCHINO
Beh, qui in Danimarca. Io qui ci ho fatto lo scaccino, da uomo e da ragazzo, trent’anni.
AMLETO
Quanto tempo resiste un uomo sottoterra prima di marcire?
BECCHINO
Beh se non è marcio prima di schiattare come oggi che c’è tanti cadaveri fracidi che quasi si sfanno a interrarli – ci mette un otto nov’anni. Un conciapelli dura nov’anni.
AMLETO
Perché lui più degli altri?
BECCHINO
Beh signore, la pelle conciata dal mestiere tien fuori l’acqua per un pezzo, ed è l’acqua che ti sconcia quel bastardo di cadavere. Ecco qua un cranio che è stato sottoterra ventitré anni
AMLETO
Di chi era?
BECCHINO
D’un figlio di puttana di un pazzo, era. Di chi credete che era?
AMLETO
Ma non lo so.
BECCHINO
Peste a quel pazzo e figlio di puttana! Mi versò una fiasca di vino sul coperchio, una volta. Questo cranio qui, signore, era il cranio di Yorick, il buffone del re.
AMLETO
Questo qui? (Raccoglie il cranio.)
BECCHINO
Eh, sì.
AMLETO
Ahi, povero Yorick. L’ho conosciuto, Orazio, un uomo d’un brio inesauribile, d’una fantasia senza pari. M’ha portato in spalla mille volte, e adesso… è repellente a pensarci. Lo stomaco mi si rivolta. Qui erano appese le labbra che ho baciato non so quante volte. Dove sono adesso i tuoi lazzi, le tue capriole, i tuoi canti, i tuoi lampi d’allegria che a tavola alzavano scrosci di risate? Non c’è nessuno ora che si metta a sfottere il tuo ghigno? Ti sono cascate le ganasce? Va adesso in camera di Madama e dille, si dia pure un palmo di fardo, a questo deve ridursi. Falla ridere con questa battuta! Orazio, ti prego, dimmi una cosa.
ORAZIO
Che cosa, monsignore?
AMLETO
Tu credi che Alessandro sotterra avesse anche lui quest’aspetto?
ORAZIO
Sì, questo.
AMLETO
E quest’odore? Uh! (Ripone il cranio in terra.)
ORAZIO
Proprio così, monsignore.
AMLETO
A quali usi ignobili possiamo servire, Orazio! E non potremmo forse seguire con la fantasia la nobile polvere di Alessandro, fino a vederla usata per tappare un barile?
ORAZIO
Sarebbe troppa fantasia, monsignore.
AMLETO
No, perché? Anzi, sarebbe accompagnarlo fin lì con moderazione, e guidati dalla verosimiglianza. Alessandro morì, Alessandro fu seppellito, Alessandro tornò polvere, la polvere è terra, con la terra si fa la calcina, e perché con quella calcina in cui lui si mutò non potrebbero aver tappato un barile di birra? L’onnipotente Cesare, defunto e convertito
in calce, tappa un buco per tener fuori il vento.
Ahi, la terra che il mondo universo ha atterrito
rattoppa un muro ed argina gli sbuffi del maltempo.
Ma zitti, zitti adesso! Arriva il re,
la regina, la corte!
Entrano (portatori con) una bara, un prete, il Re, la Regina, Laerte e signori al seguito.
Chi accompagnano?
E con un rito così monco? Questo vuol dire
che quel morto che seguono si è tolto la vita
con le sue mani. Ed è persona elevata.
Nascondiamoci un momento, e guardiamo.
LAERTE
Che altro si deve fare?
AMLETO
Quello è Laerte, giovane nobilissimo. Ascolta.
LAERTE
Che altro si deve fare?
PRETE
Per queste esequie abbiamo largheggiato
fino al lecito. La sua morte lascia dei dubbi.
E se non fosse che l’ordine dei grandi
prevale sulle regole, ella sarebbe posta
in terra non consacrata, fino all’ultima tromba.
Invece di pregare per lei, avremmo dovuto gettarle
addosso dei sassi, dei ciottoli, dei cocci.
Mentre qui le è concessa la corona di vergine,
il rito dei fiori, l’accompagnamento con le campane,
e una degna sepoltura.
LAERTE
Allora non può farsi nient’altro?
PRETE
No, nient’altro.
Sarebbe profanare l’ufficio dei defunti
se le cantassimo il requiem solenne e le preci
come per chi parte in pace.
LAERTE
Mettetela nella terra,
e dalla sua carne bella e incontaminata
spuntino viole. Ti dico, prete da trivio,
mia sorella sarà un angelo officiante
quando tu ululerai all’inferno.
AMLETO
Come, la bella Ofelia?
REGINA (Sparge fiori)
Fiori su questo fiore. Addio.
Ti avevo immaginato la moglie del mio Amleto.
Li vedevo, i miei fiori, sul tuo letto di sposa,
cara, non su una fossa.
LAERTE
Oh la sventura
tremila volte peggio sul capo maledetto
di chi rubò il tuo nobile senno. Aspettate un poco
per gettarle la terra addosso.
Voglio abbracciarla per un’ultima volta.
Salta nella fossa.
Ammucchiate la polvere sul vivo e sulla morta,
e di questa pianura fate un monte
più alto dell’antico Pelio, o la cima
azzurra dell’Olimpo.
AMLETO
Chi è costui che sbràita
con tanto sfoggio e per dire un dolore
chiama le stelle erranti, anzi le blocca
e le lascia di stucco? Sono io,
Amleto il Danese.
LAERTE (gli si getta addosso)
Il diavolo ti pigli l’anima!
AMLETO
Questo non è pregare.
Ti prego, via le dita dalla mia gola.
Non sono splenetico né impulsivo, ma dentro
ho qualcosa di pericoloso.
Se sei prudente, sta in guardia. Togli
questa mano.
RE
Separateli.
REGINA
Amleto! Amleto!
ALTRI
Signori!
ORAZIO
Monsignore, calmatevi.
AMLETO
No, su quel tema lotterò con lui
finché le ciglia mi battono.
REGINA
Su quale tema, figlio?
AMLETO
Amavo Ofelia. Quarantamila fratelli
con tutto il loro amore non potranno toccare
il mio totale. Che vuoi fare per lei?
RE
Ah, è pazzo, Laerte.
REGINA
Per amore di Dio, lascialo andare!
AMLETO
Sanguediddio, dimmelo ciò che sei pronto a fare.
Vuoi piangere, vuoi batterti, vuoi digiunare,
vuoi farti a pezzi da te, vuoi bere aceto, vuoi
mangiare un coccodrillo? Lo farò anch’io. Sei qui
per far la lagna e sfidarmi saltando
in quella fossa? Fatti seppellire
vivo con lei, lo farò anch’io. E se blàteri
di montagne, che gettino milioni d’ettari
su noi due, finché la terra sopra
si brucerà le corna con la sfera del fuoco
e l’Ossa parrà un porro. E se vuoi sbraitare
urlerò forte anch’io.
REGINA
Questa è pura follia,
e l’accesso agirà su lui, per poco.
Presto, paziente come la colomba
quando spuntano i due piccoli d’oro
resterà zitto e triste.
AMLETO
Stammi a sentire, tu.
Perché mi tratti così? Io ti ho voluto
sempre bene. Ma lasciamo stare.
Anche se Ercole stesso farà l’ercole, il gatto
miagolerà, e il cane avrà infine il suo spasso.
Esce.
RE
Ti prego, buon Orazio, stagli accanto.
Orazio esce.
(A Laerte)
Rafforza la pazienza ricordando il discorso
di iersera: sistemeremo subito la faccenda…
Mia buona Gertrude, fallo sorvegliare
tuo figlio.
Questa tomba avrà un monumento perenne.
Presto avremo qualche ora di pace. Per ora
lasciamoci guidare dalla pazienza. Escono.
ATTO QUINTO – SCENA SECONDA
Entrano Amleto e Orazio.
AMLETO
Di questo basta, Orazio. Veniamo al resto.
Ricordi la situazione?
ORAZIO
Se la ricordo, monsignore!
AMLETO
Bene, avevo nel cuore come una lotta
che non mi lasciava dormire. Mi pareva
di star peggio d’un ammutinato in ceppi. D’impulso –
e sia lodato l’impulso, perché, diciamolo,
l’irruenza talvolta serve, quando i calcoli profondi
vacillano, e ciò dovrebbe insegnarci
che una divinità dà forma ai nostri piani
comunque noi li abbozziamo.
ORAZIO
Questo è più che sicuro.
AMLETO
Uscito di cabina,
la giubba arrotolata sulle spalle, nel buio
li cercai a tastoni, li trovai,
frugai nel plico, ritornai in cabina,
e, i sospetti vincendo l’etichetta, mi feci tanto ardito
da rompere i sigilli del mandato. E vi trovai, Orazio
cane rognoso d’un re! – un ordine preciso,
infarcito di molte ragioni d’ogni sorta
circa la sicurezza del re di qua, e di quello di là,
tu non immagini con quale mio ritratto,
di lupo mannaro e diavolo, che a lettura finita,
subito, senza indugio, no,
neanche per rifare il filo alla mannaia,
mi si tagliasse la testa.
ORAZIO
Ma è possibile?
AMLETO
Ecco qui la lettera, leggila con comodo.
Ma vuoi sentire che cosa ho fatto dopo?
ORAZIO
Sì, ve ne prego.
AMLETO
Così avvolto com’ero dalle furfanterie,
già prima di pensare al prologo, il cervello
incominciò la recita – sedetti,
pensai un’altra lettera, la scrissi in bella mano
pensare che una volta credevo,
come i nostri statisti, che la calligrafia
fosse arte da scrivani, e m’affannavo a dimenticarla,
ma ora, caro mio, m’ha fatto un buon servizio.
Vuoi sapere in due parole ciò che scrissi?
ORAZIO
Certo, monsignore.
AMLETO
Una pressante ingiunzione dal re,
perché l’inglese è suo fedele tributario,
perché l’amore tra loro cresca come una palma,
perché la pace porti il suo serto di grano
e stia tra loro due come una virgola,
e molti altri “perché” di uguale soma,
a che, letti e recetti codesti contenuti,
senza altro indugio, senza più né meno,
desse ai latori morte immediata,
senza dargli tempo di confessarsi.
ORAZIO
E come avete fatto a sigillarla?
AMLETO
Beh, anche a questo provvide il cielo.
Avevo nella borsa il sigillo di mio padre,
che è l’originale di quello usato dal Danese.
Ripiegai il foglio proprio come l’altro,
lo firmai, gli impressi il sigillo,
rimisi tutto al suo posto,
e nessuno s’accorse del bambino scambiato.
Il giorno dopo ci fu quella battaglia in mare,
e il resto già lo sai.
ORAZIO
E così Rosencrantz e Guildenstern
ci vanno difilati.
AMLETO
Amico mio, s’erano innamorati dell’incarico!
Non li ho sulla coscienza. Il loro guaio
fu d’intrufolarsi. È pericoloso
per le nature basse andarsi a mettere
tra gli affondi e le stoccate furiose
di avversari potenti.
ORAZIO
Però, che re è questo!
AMLETO
E allora non credi che sia mio dovere
lui che uccise il mio re e disonorò mia madre,
che saltò tra le mie speranze e il trono,
e ha gettato la lenza alla mia stessa vita,
e con che imbrogli – non è perfettamente giusto
ripagarlo con questa spada? E non sarebbe colpa mortale
permettere che questo cancro della natura
faccia altro danno?
ORAZIO
Sarà informato presto, dal re inglese,
sull’esito laggiù.
AMLETO
Sì, presto. L’intervallo è mio.
E la vita d’un uomo è come dire: “E una! ”
Ma mi dispiace assai, mio buon Orazio,
di essermi lasciato andare con Laerte.
Perché nell’immagine della mia causa
vedo il ritratto della sua.
Cercherò di rifarmelo amico. Certo
l’ostentazione del suo dolore
m’aveva imbestialito.
ORAZIO
Zitti ora, chi arriva?
Entra il cortigiano Osric.
OSRIC
Bentornato qui a Vossignoria!
AMLETO
Grazie umilmente, signore. – Conosci questa libellula?
ORAZIO
No monsignore.
AMLETO
Ci guadagni in stato di grazia, perché conoscerlo è un vizio. Costui ha molta terra, e fertile. Basta che una bestia sia padrona di bestie e avrà la mangiatoia alla tavola del re. È un cafone ma, come dico, possiede fango in quantità.
OSRIC
Squisito signore, se vostra signoria ne avesse l’agio, dovrei trasmetterle qualcosa da parte di sua maestà.
AMLETO
Signore, l’accoglierò con ogni tensione del mio spirito. Ma il vostro cappello all’uso giusto: è per la testa.
OSRIC
Ringrazio vossignoria, fa molto caldo.
AMLETO
No, credetemi, fa molto freddo, il vento è dal nord.
OSRIC
Difatto, monsignore, fa piuttosto freddo.
AMLETO
E ciondimeno parmi non poco afoso e caldo per la mia costituzione.
OSRIC
Una calura eccessiva, monsignore, e di molto greve come se… non so dir come. Monsignore, sua maestà m’ha ordinato di significarvi che ha fatto una grossa scommessa su di voi. Ecco di che si tratta, monsignore…
AMLETO (gli fa cenno di mettersi il cappello in testa)
Vi prego, ricordate…
OSRIC
Oh no, monsignore, sto più comodo così, onestamente… Monsignore, qui a corte è arrivato da poco Laerte – un gentiluomo perfetto, credetemi, delle più eccellenti distinzioni, di squisita compagnia e gran figura. Invero, per parlar di lui col cuore, egli è il mappamondo e il calendario della cortesia, dacché troverete in lui il continente di tutte quelle regioni che un gentiluomo vorrebbe ben vedere.
AMLETO
Sère, il suo definimento non soffre in voi perdizione, sebben io sappia che il farne l’inventario darebbe le traveggole all’aritmetica della memoria, e ancor non sarebbe che scarrocciare al confronto della sua ratta vela. Ma a farne laude veridica io lo stimo animo di gran pregio, e il suo infuso di tal preziosità e rarità che, per ritrarlo al vero, il suo unico pari è il suo specchio, e chi mai potrebbe seguirne le orme? Solo la sua ombra, nessun altro.
OSRIC
Vossignoria ne dice davvero infallantemente.
AMLETO
La concernenza, signore? Perché mai avvoltoliamo il gentiluomo del nostro ben più umile fiato?
OSRIC
Come, signore?
ORAZIO
Ma non è possibile capirsi in altra lingua? Son certo che ce la fareste, monsignore.
AMLETO
Che cosa implicita la nominazione del gentiluomo?
OSRIC
Di Laerte?
ORAZIO
La borsa è già vuota, ha speso tutte le sue parole d’oro.
AMLETO
Di lui, signore.
OSRIC
So che non siete ignorante…
AMLETO
Lo spero bene, signore. Quantunque, a dire il vero, il fatto che lo sappiate non sia molto lusinghiero per me. Ma dicevate, signore?
OSRIC
Non siete ignorante di quale eccellenza sia Laerte…
AMLETO
Non oso confessarlo per non confrontarmi con lui nell’eccellenza, visto che un uomo applica agli altri la sua propria misura.
OSRIC
Voglio dire nella sua arma, signore. Secondo l’imputazione che gli vien fatta da quelli alla sua mercede, è senza rivali.
AMLETO
Qual è la sua arma?
OSRIC
Stocco e pugnale.
AMLETO
Son due armi, allora. Ma andiamo avanti.
OSRIC
Il re, monsignore, ha scommesso con lui sei cavalli bèrberi, contro i quali lui ha messo in palio, mi credo, sei spade e pugnali francesi coi loro accessori, cinture, ganci e così via. Tre di questi affusti invero son proprio belli a vedersi, molto ben intonati alle else, affusti finissimi e di prodigo concetto.
AMLETO
Cos’è che chiamate affusti?
ORAZIO
Sapevo che prima di finire avreste avuto bisogno di una nota in margine.
OSRIC
Gli affusti, signore, sono i ganci.
AMLETO
Il termine sarebbe più conveniente alla cosa se potessimo portarci un cannone sulla fiancata – sino a quel momento preferirei dire ganci. Ma avanti. Sei cavalli di Barberia contro sei spade francesi con gli accessori, e tre affusti di prodigo concetto – questa è la scommessa francese contro la danese. Ma perché tutto ciò è messo in palio, come voi dite?
OSRIC
Il re, signore, ha scommesso, signor mio, che in una dozzina di assalti fra lui e voi, egli non vi supererà di tre stoccate. Dodici a nove, ha scommesso. E si verrebbe subito alla prova se vossignoria si degnasse di rispondere.
AMLETO
E se dicessi di no?
OSRIC
Monsignore, voglio dire rispondere alla sfida!
AMLETO
Signore, io farò quattro passi qui nella sala. Con licenza di sua maestà è l’ora del giorno in cui faccio ricreazione. Se si portano le spade, e il gentiluomo è disposto, e il re mantiene la sua scommessa, accetto di vincere per lui se ci riesco. Se no, avrò la vergogna e tre stoccate in più.
OSRIC
Posso riportarvi in questi termini?
AMLETO
Riportate la sostanza, signore, con tutti gli svolazzi che garbano alla vostra natura.
OSRIC
Raccomando il mio servizio a vostra signoria.
AMLETO
Servo vostro. (Osric esce.)
Fa bene a raccomandarsi da sé, non troverebbe altra lingua disposta a farlo.
ORAZIO
La pavoncella se ne vola via col guscio sulla capoccia.
AMLETO
Faceva i complimenti alla mammella prima di succhiarla. Costui, e molti altri della sua covata che vedo coccolati da quest’età di merda, non han fatto altro che imparare il blabla di moda, e per l’abitudine di bazzicarsi, una specie d’amalgama schiumoso che li fa barcamenarsi fra opinioni più vagliate e spulate. Ma prova a soffiarci sopra, le bolle si sgonfiano.
Entra un gentiluomo.
GENTILUOMO
Monsignore, sua maestà v’aveva mandato i suoi complimenti col giovane Osric, il quale è tornato a riferirgli che lo aspettate qui in sala. Mi manda a chiedervi se è ancora vostro piacere battervi subito con Laerte o se volete più tempo.
AMLETO
Sono fermo nei miei propositi, a disposizione del re. Se lui è pronto lo sono anch’io. Ora o quando che sia, purché mi senta in forze come ora.
GENTILUOMO
Il re, la regina e tutti stanno scendendo.
AMLETO
In buon punto.
GENTILUOMO
La regina vi chiede di mostrarvi gentile con Laerte prima d’incominciare.
AMLETO
È un buon avvertimento.
(Il gentiluomo esce.)
ORAZIO
Perderete, monsignore.
AMLETO
Non credo. Da quando lui è in Francia mi sono esercitato di continuo. Vincerò col vantaggio che mi dà. Tu non puoi immaginare che peso abbia qui tutt’attorno al cuore. Ma non importa.
ORAZIO
Come no, monsignore!
AMLETO
Sciocchezze. È una di quelle apprensioni che forse farebbero paura a una donna.
ORAZIO
Se l’animo è avverso a qualcosa, obbeditegli. Vado a dire che non scendano, che non vi sentite bene.
AMLETO
Niente affatto. Sfidiamo i presagi. Anche nella caduta di un passero c’è la mano della provvidenza. Se è ora non è dopo; se non è dopo sarà ora; se non è ora dovrà pure succedere. Essere pronti è tutto. Visto che nessuno, di ciò che lascia, sa nulla che importa andarsene un po’ prima? Non parliamo ne più.
Si prepara una tavola. Trombettieri, tamburini, e ufficiali che portano dei cuscini. Entrano il Re, la Regina, Laerte, (Osric) e tutta la corte. Altri del seguito con gli stocchi e i pugnali.
RE
Vieni, Amleto, vieni a prendere da me questa mano.
(Mette la mano di Laerte in quella di Amleto.)
AMLETO
Perdonatemi, signore. Vi ho fatto torto.
Da quel gentiluomo che siete, perdonatemelo.
I sovrani e tutti i presenti lo sanno, e anche voi
l’avrete certo saputo: sono punito
con una penosa malattia di mente.
Qualunque cosa abbia fatto, che possa aver dato
una rude sveglia alla vostra natura, al vostro onore
e al risentimento, io lo dichiaro qui, fu pazzia.
È stato Amleto a far torto a Laerte? Non è stato Amleto.
Se Amleto è tolto a se stesso, e mentre non è se stesso
fa torto a Laerte, allora non è Amleto a far torto,
Amleto lo nega. Chi è dunque a farlo?
La sua pazzia. E se è così
Amleto è dalla parte che riceve il torto,
la sua pazzia è nemica del povero Amleto.
Signore, dinanzi a questi testimoni,
fate che la sconfessione di una volontà di male
mi assolva tanto nella vostra mente generosa,
da persuadervi che ho tirato una freccia
sul tetto della mia casa
ed ho ferito mio fratello.
LAERTE
Io mi dichiaro soddisfatto
nel sentimento filiale, che in questo caso
dovrebbe incitarmi più di tutto alla vendetta.
Ma sul punto dell’onore no, mantengo una riserva,
e non voglio riconciliarmi
finché qualched’uno degli anziani, maestri della materia,
m’abbia dato un parere e un precedente di pace
che lasci il mio nome senza macchia.
Però, fino ad allora, accetto l’amicizia che mi si offre
e non le farò torto.
AMLETO
Io l’accetto senza riserve
e mi batterò lealmente in questa gara fraterna.
Dateci le spade.
LAERTE
Voi! Una per me.
AMLETO
Ti servirò da contrasto, Laerte.
Contro la mia inesperienza la tua maestria
risalterà luminosa come una stella
in una notte oscurissima.
LAERTE
Volete prendermi in giro?
AMLETO
No, ve lo giuro.
RE
Dà loro le spade, Osric. Nipote Amleto,
conosci la scommessa?
AMLETO
Come no, signore,
vostra grazia ha puntato sul più debole.
RE
Non lo credo. Vi ho visti tutti e due.
Ma lui è ritenuto il migliore. Perciò ha lo svantaggio.
LAERTE
Questa pesa troppo. Ne provo un’altra.
AMLETO
Questa qui va bene. Sono tutte d’una misura?
OSRIC
Certamente, signor mio.
Si preparano allo scontro.
(Entrano servi con) caraffe di vino.
RE
Il vino qui, sulla tavola.
Se Amleto tocca al primo o al secondo assalto
o pareggia al terzo, sparino i cannoni
da tutti gli spalti.
Il re berrà alla forza ritrovata di Amleto
e nella coppa getterà una perla più ricca
di quella che gli ultimi quattro re hanno portato
sulla corona danese. Datemi le coppe.
E il tamburo annuncerà alla tromba,
la tromba al cannoniere là fuori, i cannoni al cielo
e il cielo al mondo: “Il re brinda ad Amleto.”
Avanti, cominciate. E i giudici
tengano gli occhi aperti.
AMLETO
Avanti, signore.
LAERTE
Avanti! Si battono.
AMLETO
E una!
LAERTE
No.
AMLETO
Giudici?
OSRIC
Toccato, nettamente toccato.
LAERTE
Va bene. Avanti!
RE
Un momento. Datemi da bere. Amleto, questa perla è tua.
Bevo alla tua salute.
Tamburi, trombe, una salva di cannone.
Dategli la coppa.
AMLETO
Quest’assalto, prima. Tenetela da parte.
Forza. Si battono di nuovo.
E due! Che ne dici?
LAERTE
Sì, toccato.
RE
Nostro figlio vincerà.
REGINA
Suda, ha il fiato grosso.
Amleto, prendi il mio fazzoletto, asciugati la fronte.
La regina brinda al tuo successo, Amleto.
AMLETO
Grazie, signora.
RE
Gertrude, non bere!
REGINA
Berrò, signor mio, perdonatemi.
Beve (e offre la coppa ad Amleto).
RE (a parte)
La coppa avvelenata! Troppo tardi.
AMLETO
Non adesso, signora – tra un momento.
REGINA
Vieni, ti asciugo il viso.
LAERTE
Monsignore, adesso lo colpisco.
RE
Non ci credo.
LAERTE (a parte)
Ma è quasi contro la mia coscienza.
AMLETO
Su al terzo, Laerte. Che fai, stai scherzando?
Attaccami a fondo, te ne prego.
Temo che mi tratti da bambino.
LAERTE
Davvero? Avanti! Si battono.
OSRIC
Niente da nessuna parte.
LAERTE
A te! (Laerte ferisce Amleto, poi)
nel corpo a corpo si scambiano le spade.
RE
Separateli, sono infuriati.
AMLETO
No, difenditi! (Ferisce Laerte.) La regina cade.
OSRIC
Aiutate la regina, oh!
ORAZIO
Pérdono sangue tutti e due. Come state, monsignore?
OSRIC
Come va, Laerte?
LAERTE
Ah, preso al laccio, Osric, come una beccaccia.
La mia trappola mi uccide ed è giusto.
AMLETO
Come sta la regina?
RE
È svenuta a vedere il sangue.
REGINA
No, no, è questo che ho bevuto. Amleto, figlio!
È il vino, il vino! Mi hanno avvelenata. Muore.
AMLETO
Infami! Oh, chiudete le porte!
C’è un traditore! Cercatelo! (Osric esce.)
LAERTE
È qui, Amleto. Amleto, sei morto.
Non c’è medicina che ti può aiutare.
Non ti resta mezz’ora di vita.
L’arma del tradimento l’hai tu in mano,
la spada non spuntata e avvelenata. L’inganno
schifoso si è ritorto su di me.
Sono qui a terra,
non mi alzerò più. Tua madre è avvelenata.
Non ho più forza. Il re… è stato il re.
AMLETO
Anche la punta avvelenata!
Allora, veleno, finisci l’opera. Colpisce il re.
TUTTI
Tradimento! Tradimento!
RE
Amici, difendetemi. Sono solo ferito.
AMLETO
Qui, re incestuoso, assassino, demonio,
finisci questo vino. È qui la tua perla?
Segui mia madre. Il re muore.
LAERTE
L’ha meritato. La mistura
l’ha preparata lui. Scambiamoci il perdono,
nobile Amleto. La morte mia e di mio padre
non cada su di te. Né la tua
su di me. Muore.
AMLETO
Il cielo te ne assolva. Io ti seguo.
Sto per morire, Orazio. Regina sfortunata, addio.
Voi che assistete pallidi e tremanti a questo evento,
e siete solo comparse e spettatori del dramma,
se avessi tempo… ma la morte è uno sbirro
inesorabile se ci agguanta… potrei dirvi…
Ma basta. Orazio, sto morendo.
Tu vivi. Racconta la verità su di me
e sulla mia causa, a chi non sa.
ORAZIO
Non contateci.
Sono più un romano antico che un danese,
e qui è rimasto da bere.
AMLETO
Per il tuo onore,
dammi quella coppa. Lasciala, perdio! L’avrò!
Oh Dio, Orazio, che nome ferito
mi lascio dietro, se tutto resta ignorato.
Se mai mi hai tenuto nel cuore
assentati per un poco dalla felicità,
e in questo mondo feroce respira soffrendo
per raccontare la mia storia.
Fanfara lontana, spari all’interno.
Che sono questi rumori di guerra?
Entra Osric.
OSRIC
Il giovane Fortebraccio torna vincitore dalla Polonia, e saluta con queste salve gli ambasciatori inglesi.
AMLETO
Muoio, Orazio.
Il veleno potente artiglia la mia anima.
Non potrò sentire le notizie dall’Inghilterra,
ma predico che il re eletto
sarà Fortebraccio. Morendo gli do il mio voto.
Diglielo, e digli i fatti gravi e minori
che mi hanno spinto… Il resto è silenzio.
Muore.
ORAZIO
Si spezza un nobile cuore. Buona notte, dolce principe,
e canti e voli d’angeli ti accompagnino al tuo riposo.
[Marcia all’interno.]
Perché si avvicinano quei tamburi?
Entrano Fortebraccio, gli ambasciatori inglesi, e soldati con tamburi e bandiere.
FORTEBRACCIO
Dov’è questa scena incredibile?
ORAZIO
Cosa cercate?
Dolore e sciagura? Li avete trovati.
FORTEBRACCIO
È un carnaio, una strage. O morte superba
quale festa prepari nella tua casa eterna,
che, di colpo, hai abbattuto nel sangue
tanti principi?
I AMBASCIATORE
Uno spettacolo atroce.
E le nostre notizie arrivano troppo tardi.
Gli orecchi che dovevano ascoltarci
non hanno più udito per sentire che i comandi
sono stati eseguiti,
e Rosencrantz e Guildenstern sono morti.
Chi ci ringrazierà adesso?
ORAZIO
Non la sua bocca
anche se fosse viva per farlo.
Lui non dette mai l’ordine di ucciderli.
Ma poiché siete giunti al momento del sangue,
voi dalle guerre polacche, e voi dall’Inghilterra,
ordinate che questi corpi siano esposti
in alto su un palco
e lasciatemi dire al mondo che non sa
che cosa è avvenuto.
Sentirete di colpe carnali,
di atti sanguinosi e snaturati,
di disgrazie volute dal cielo, di uccisioni
provocate dal caso, di morti preparate
con astuzia e inganno, e in questo epilogo
di calcoli sbagliati che ricadono
sulla testa di chi li ha fatti. E su tutto
posso dirvi la verità.
FORTEBRACCIO
Sentiamola subito, e chiamiamo ad ascoltarla
i maggiorenti. Io, con rincrescimento, abbraccio
la mia buona sorte. Su questo regno
ho dei diritti che non ho mai dimenticato.
Ora la sorte mi invita a rivendicarli.
ORAZIO
Anche di questo devo parlarvi, e a nome di uno
il cui voto ne chiamerà altri.
Ma parliamone subito. Gli animi sono sconvolti
e altri guai potrebbero aggiungersi
a tante trame ed errori.
FORTEBRACCIO
Quattro capitani
portino Amleto su un palco, da soldato.
Perché certo, messo alla prova, sarebbe stato
un vero re. E per il suo trapasso
musica da soldati e riti militari
parlino forte in suo onore.
Sollevate i corpi. Questo spettacolo di morte
si addice a un campo di battaglia, ma disdice a una corte.
Ordinate le salve.
Escono in marcia (portando i corpi) e subito i cannoni sparano a salve.
Amleto
(“Hamlet” – 1600-1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V