(“Hamlet” – 1600 – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano il vecchio Polonio e il suo servo Reynaldo.
POLONIO
Dagli questi soldi e questa lettera, Reynaldo.
REYNALDO
Bene, signore.
POLONIO
Faresti cosa molto sennata, caro,
se prima d’andarlo a trovare t’informassi
su come vive.
REYNALDO
Volevo farlo, signore.
POLONIO
Perdio ben detto, assai ben detto. Sta’ a sentire:
anzitutto, cercami che danesi ci sono
a Parigi, e chi e come e con che e dove stanno
chi vedono e cosa spendono; e se trovi
così chiedendo accorto e torno torno
che conoscono mio figlio, fatti sotto,
lascia star le domande sulle minuzie.
Pretendi di conoscerlo, diciamo, da lontano,
per esempio: “Conosco suo padre, i suoi amici,
e un po’ anche lui.” Mi segui, Reynaldo?
REYNALDO
Perfettamente, signore.
POLONIO
“E un po’ anche lui. Ma,” puoi dire, “non bene.”
“Ma se è l’uomo che io intendo, è un vero matto,
sfrenato in questo e quello” – e qui addossagli
le menzogne che vuoi – dico, niente di indegno
da fargli disonore – stai bene attento in questo –
le solite magagne (sfrenato, donnaiolo)
che son compagne note ed arcinote
di chi è giovane e libero.
REYNALDO
Il gioco, monsignore?
POLONIO
Appunto, o la bottiglia, il duello, il tirar moccoli,
l’attaccar briga, il frequentar donnacce –
puoi arrivare fin lì.
REYNALDO
Ma così addio onore!
POLONIO
No, perché? Se mi dosi un po’ l’accusa.
Non devi mica calunniarlo d’essere
un vero e proprio puttaniere!
Non è questo che voglio dire: devi
fiatare queste colpe con tale arte
che paian nei di libertà, vampate
e sfoghi di un carattere focoso,
ribollire d’un sangue non domato,
malattia di ragazzi.
REYNALDO
Ma, signore…
POLONIO
Perché far tutto questo?
REYNALDO
Sì, è ciò che vorrei…
POLONIO
Perdio, mio caro,
ecco l’idea, e la credo ben legittima.
Gettando su di lui queste leggere macchie
come di cosa un po’ sporca dall’uso,
attenzione,
l’altro, quello che tu stai lì a sondare,
se mai ha sorpreso nelle dette colpe
il giovanotto su cui insinui, certo
ne converrà con te così: “Signore mio”,
o che so, “amico”, o “monsignore”, secondo
il modo di parlare o l’etichetta
del tipo e del paese.
REYNALDO
Certo, certo.
POLONIO
Poi, caro mio, fa… fa… cosa stavo dicendo?
Per la messa, stavo per dire qualcosa. A che punto
ero?
REYNALDO
“Ne converrà così… ”
POLONIO
“Ne converrà così… ” Ma si, perdio!
Ne converrà con te così: “Conosco il gentiluomo,
l’ho visto ieri”, oppure “l’altro giorno”,
o prima o poi, col tale o col tal altro,
“e, come dite voi, gioca alla grande”,
“s’era sborniato”, “faceva baruffa
al tennis”, o “l’ho visto entrare in una
casa di smercio” – cioè a dire un casino,
e via di questo passo. Vedi ora,
l’esca della menzogna prende questa
carpa di verità, e così noialtri,
gente di senno, gente di vedute
vaste, con giri larghi e colpi a effetto
per vie indirette andiamo dritti al dunque.
E così, grazie a questa lezione e ai miei consigli
farai tu con mio figlio. Hai ben capito, no?
REYNALDO
Ho capito, signore.
POLONIO
Allora vai con Dio.
REYNALDO
Signore.
POLONIO
Tu assecondalo!
REYNALDO
Va bene.
POLONIO
E lasciagli suonare la sua musica.
REYNALDO
Bene, signore. Esce.
Entra Ofelia.
POLONIO
Addio! Ebbene, Ofelia, che succede?
OFELIA
O signore, signore, che paura!
POLONIO
Di che, in nome di Dio?
OFELIA
Signore, mentre cucivo nella mia stanza,
il principe Amleto, il farsetto tutto slacciato,
senza cappello, le calze sporche e
senza legacci avvoltolate giù
a ingombrargli le caviglie, pallido
come la sua camicia, i ginocchi
che battevano l’uno con l’altro, e un viso
che faceva pietà a vedersi, che pareva
un uomo appena rilasciato dall’inferno
per dire dei suoi orrori, così
me lo vedo davanti.
POLONIO
Pazzo d’amore per te?
OFELIA
Signore, non lo so,
ma davvero lo temo.
POLONIO
E che ti disse?
OFELIA
Mi prese per un polso e mi stringeva.
Poi si scostò di quant’è lungo il braccio
e con l’altra mano sulla fronte, così,
si mette a fissarmi in faccia, che pareva
volesse farmi il ritratto. E non smetteva più.
Alla fine, scuotendomi un po’ il braccio
e annuendo così tre volte su e giù
tirò un sospiro così profondo e triste
che davvero sembrò schiantarlo tutto
e farlo morire. Poi mi lasciò andare
e col capo voltato sulla spalla
parve trovare la via senza gli occhi,
varcò la porta senza il loro aiuto,
fissò sempre su me la loro luce.
POLONIO
Su vieni. Andrò dal re.
Queste sono traveggole d’amore,
violente e distruttive, che spingono
la volontà ad azioni disperate
come altre passioni che quaggiù
affliggono gli uomini. Mi dispiace…
Di’, gli hai risposto male, di recente?
OFELIA
No, signor mio. Soltanto, come avete ordinato,
ho respinto le lettere, ho rifiutato di vederlo.
POLONIO
Ecco perché è impazzito.
Mi duole non averlo giudicato
con più discernimento. Ma temevo
che scherzasse, e volesse rovinarti.
Al diavolo i sospetti! Perdio, i ragazzi mancano
spesso di tatto, ma altrettante volte
i vecchi eccedono nella diffidenza.
Su, andiamo dal re. Deve sapere tutto.
Quest’amore, nascosto, farebbe assai più danno
dell’odio che si rischia rivelandolo.
Vieni. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Squillo di trombe. Entrano il Re e la Regina, Rosencrantz e Guildenstern, e altri del seguito.
RE
Benvenuti, cari Rosencrantz e Guildenstern!
Moltissimo desideravamo rivedervi
ma è il bisogno del vostro aiuto che ci ha spinto
a chiamarvi così in fretta. Avrete sentito
della metamorfosi di Amleto – la chiamo
così perché né fuori né dentro
egli è più quello che era. Che cosa può essere,
più che la morte del padre, che gli abbia
fatto smarrire a tal punto la coscienza
di se stesso, non riesco a immaginarlo. Prego
voi due che dai primi anni siete stati
educati con lui e poi così vicini
a lui e al suo modo di vivere,
di fermarvi qui un po’ di tempo
alla nostra corte. La vostra compagnia
può indurlo a trovar distrazioni,
e voi potrete capire
da quanto avrete occasione di spigolare
se c’è qualcosa a noi sconosciuto che l’affligge
e che, conosciuto, possa trovare rimedio.
REGINA
Miei buoni signori, egli parla molto di voi,
e certo non esistono al mondo due persone
alle quali sia più legato. Se vorrete
mostrarci tanta cortesia e benvolere
da passare un po’ di tempo con noi
così che la nostra speranza aumenti e si realizzi,
la vostra visita avrà gratitudine degna
della memoria d’un re.
ROSENCRANTZ
Le vostre maestà
hanno tanto potere su di noi, che i vostri
riveriti desideri potrebbero suonare
come ordini e non preghiere.
GUILDENSTERN
Ma noi due obbediamo
con la massima dedizione piegandoci
liberamente a porvi ai piedi
i nostri servizi: comandateli.
RE
Grazie, Rosencrantz e gentile Guildenstern.
REGINA
Grazie, Guildenstern e gentile Rosencrantz.
E ora vi prego, andate a trovare
subito il mio figlio troppo mutato.
Qualcuno accompagni questi signori da Amleto.
GUILDENSTERN
Dio voglia che noi e il nostro servizio
gli siamo utili e graditi.
REGINA
Sì, amen.
Escono Rosencrantz e Guildenstern (e un cortigiano).
Entra Polonio.
POLONIO
Maestà, gli ambasciatori sono tornati felicemente
dalla Norvegia.
RE
Sei sempre stato il padre delle buone novelle.
POLONIO
Davvero, signor mio? Vi assicuro, signore,
io curo i miei doveri come ho cura dell’anima
per risponderne al mio dio come al mio sovrano.
E a dire il vero, penso – o se no il mio cervello
non fiuta più le péste politiche nel modo
abituale – penso di aver scoperto
la vera causa della pazzia di Amleto.
RE
E qual è? Parla, è cosa che mi preme.
POLONIO
Signore, prima
ricevete gli ambasciatori. La mia scoperta
sarà il dessert d’un gran banchetto.
RE
Bene, fa’ tu gli onori, falli entrare.
(Esce Polonio).
Dice, cara Gertrude, che ha scoperto
l’origine dei mali di tuo figlio.
REGINA
Temo che sia una sola,
la morte di suo padre, seguita troppo presto
dal nostro matrimonio.
RE
Bene, lo vaglieremo.
Entrano Polonio, Voltemand e Cornelio.
Bentornati, miei amici! Di’ allora, Voltemand,
che notizie dal nostro fratello di Norvegia?
VOLTEMAND
Lealissimo ricambio di omaggi e auguri.
Non appena informatone, ordinò di sospendere
le leve del nipote, che lui credeva
preparativi contro i polacchi. Ma a un esame più attento
le riconobbe rivolte, in realtà,
contro vostra altezza; e allora, addolorato
che la sua vecchiaia, i suoi mali, i suoi impedimenti
fossero ingannati così, ordinò di bloccare
Fortebraccio; che, in breve, obbedisce,
riceve rimproveri dal re, e infine
giura davanti allo zio di non scendere
mai più in armi contro vostra maestà.
E allora il vecchio re, pieno di gioia,
gli dà un fondo annuo di tremila corone
e il permesso di impiegare i soldati
reclutati come sappiamo, contro i polacchi,
e perciò vi richiede, come qui è precisato,
(porge una lettera)
di concedergli un transito pacifico
sui vostri territori, ai fini dell’impresa,
con garanzie di sicurezza e limiti
qui indicati.
RE
Questo ci soddisfa.
Appena avremo il tempo leggeremo,
penseremo alla cosa, daremo una risposta.
Intanto, grazie per il vostro impegno
giunto così a buon fine. Andate a riposarvi.
Stasera festeggiamo assieme. Bentornati
in patria.
Escono Voltemand e Cornelio.
POLONIO
Questa faccenda si è risolta bene.
Mio re e mia signora, domandarsi
che cosa sia la maestà, o il dovere,
perché il giorno è giorno, la notte
notte, il tempo tempo,
non sarebbe che perdere la notte, il giorno e il tempo.
Dacché la brevità è l’anima del’ingegno,
la lunghezza le membra e gli ammennicoli,
sarò breve. Il vostro nobile figlio è pazzo.
Dico pazzo, perché, per definire
la pazzia, che cos’è? Solo esser pazzi.
Ma passiamo.
REGINA
Più succo e meno arte.
POLONIO
Signora, giuro, nessuna arte.
Che egli sia pazzo è vero, e vero è
che è un peccato, ed è peccato che
sia vero: che figura strampalata!
Ma basta, non ci voglio mettere arte.
Diciamo pure: è pazzo. E ora resta
da scoprire la causa dell’effetto,
O, piuttosto, la causa del difetto,
dacché dev’esserci pure una causa
di quest’effetto difettivo. Questo
è il punto, e ne consegue questo:
ponderate,
io ho una figlia – l’ho finché è mia –
che per dovere e obbedienza, ecco,
mi ha dato questa. Ascoltate e tirate
le vostre conclusioni.
(Legge)Alla celestiale e idolo di quest’anima, la molto favolosa Ofelia – che brutta espressione, che espressione volgare, “favolosa” è proprio volgare. Ma sentite qua: questa lettera… nel suo bel seno candido… questa eccetera eccetera.
REGINA
E queste cose gliel’ha scritte Amleto?
POLONIO
Gentile signora, un attimo di pazienza. Sarò fedele.
Dubita che di fuoco sian le stelle,
o che si muova il sole,
o che la verità sia una storiella
ma giammai del mio amore.
O cara Ofelia, non son buono a far versi, mi manca l’arte
di scandire le lagne. Ma che io ti ami più di tutto, oh
Più di tutto!, credilo. Addio.
Il tuo per sempre, dilettissima, finché è suo
questo meccanismo, Amleto.
Questa, per obbedienza, mi ha mostrato mia figlia,
e in più mi ha confidato
tutte le sue insistenze, come e quando
e dove ebbero luogo.
RE
E lei come l’ha accolto?
POLONIO
Che pensate di me?
RE
Che sei un uomo fedele e onesto.
POLONIO
E tale mi vorrei dimostrare. Ma che cosa
avreste pensato di me, se nel vedere
questo calore nel suo primo slancio
e me ne accorsi, devo proprio dirvelo,
prima che lei me lo dicesse – cosa
avreste pensato, voi o la mia cara regina,
se avessi fatto da scrittoio, da lettera,
se avessi muto e sordo fatto ammiccare il cuore,
oppure riguardato quest’amore con occhio
assente, che avreste pensato?
No, io son corso subito ai ripari
e alla signorinella ho detto questo:
“Il Lord Amleto è un principe fuori dalla tua sfera,
e non si ha da far nulla”. Poi le impartii istruzioni:
di chiudere la porta alle sue visite,
non accettare suoi messaggi o doni.
Al che lei colse i frutti dei miei avvisi
e lui, respinto, a dirla in breve, cadde
nella malinconia, da cui l’inedia,
da cui l’insonnia, da cui l’anemia,
da cui lo smarrimento, e così declinando
la pazzia nella quale adesso infuria
e attrista tutti.
RE
Pensi che sia questo?
REGINA
Può essere, può essere.
POLONIO
C’è stata mai una volta – vorrei proprio saperlo –
che io abbia detto, deciso: “È così”
e poi sia risultato diverso?
RE
Non ch’io sappia.
POLONIO
Spiccate questa da questo se sbaglio.
(Indica la propria testa e il busto.)
Se l’occasione m’aiuta, vi stano
la verità, anche se si nasconde
giù al centro.
RE
Ma come esserne certi?
POLONIO
Voi sapete che a volte egli passeggia
in questa galleria, per quattr’ore di fila.
REGINA
È vero.
POLONIO
Allora gli sguinzaglio incontro mia figlia. Voi
e io ci nascondiamo dietro uno degli arazzi
e osserviamo l’incontro. Se non l’ama
e non ha perso il senno per questo, non sarò
più ministro di stato, ma farò
il fattore, governerò i carrettieri.
RE
Facciamo questa prova.
Entra Amleto leggendo un libro.
REGINA
Ma guardate con che tristezza vien leggendo quel
povero infelice!
POLONIO
Andate, vi prego ambedue, andate.
Lo abbordo subito. Oh, permettetemi!
Escono il re e la regina (e il seguito)
Come sta il mio buon signore Amleto?
AMLETO
Bene, grazie a Dio.
POLONIO
Mi riconoscete, monsignore?
AMLETO
Benissimo. Siete un pesciaiolo.
POLONIO
Oh no, monsignore.
AMLETO
Allora vorrei che foste altrettanto onesto.
POLONIO
Onesto, signor mio?
AMLETO
Certo, signore. Di onesti, coi tempi che
corrono, se ne trovano uno su diecimila.
POLONIO
Questo è verissimo, monsignore.
AMLETO
Perché, se il sole genera vermi in un cane morto – ottima carne da baciare!… Avete una figlia?
POLONIO
Ce l’ho, mio signore.
AMLETO
Attento che non passeggi al sole. Concepire è una benedizione, ma come potrebbe concepire vostra figlia… attento, amico mio.
POLONIO (a parte)
Che ne dite, eh? Batte sempre su mia figlia. Eppure dapprima non m’ha riconosciuto, ha detto che ero un pesciaiolo. È proprio andato. E anch’io da giovanotto a dire il vero tribolai e come per le donne, quasi fino a quel punto. Gli parlo di nuovo – Che cosa state leggendo, monsignore?
AMLETO
Parole, parole, parole.
POLONIO
E qual è il nesso, monsignore?
AMLETO
Tra chi?
POLONIO
Voglio dire, che cosa dicono le parole che leggete, monsignore.
AMLETO
Calunnie, signore. Questa birba satirica so stiene che i vecchi hanno barbe grige, facce grinzose, occhi che spurgano ambra densa e gomma di susino, e gran deficienza di senno assieme a natiche debolissime – tutte cose, signore, che anch’io credo fortissimamente e in profondo, ma non mi pare decente metterle giù in questo modo. Anche voi signor mio difatti invecchierete come me – se poteste rinculare come i granchi.
POLONIO (a parte)
Sarà pazzia ma non manca di logica. Volete mettervi a riparo dall’aria, monsignore?
AMLETO
Nella tomba?
POLONIO
Eh già, lassotto non c’è corrente d’aria, (A parte) Azzecca certe risposte, a volte! È una felicità che tocca spesso alla pazzia, la ragione e la salute non sempre han dei parti così felici. Ora lo lascio e cerco di combinare in fretta l’incontro con mia figlia. Monsignore, prendo congedo da voi.
AMLETO
Signore, non potreste prendermi cosa da cui mi stacchi più volentieri – fuorché la vita, fuorché la vita, fuorché la vita.
POLONIO
Statevi bene, monsignore.
AMLETO
Questi vecchi idioti, che fastidio!
Entrano Rosencrantz e Guildenstern.
POLONIO
Cercate il principe? Eccolo lì.
ROSENCRANTZ
Dio vi salvi, monsignore.
(Polonio) esce.
GUILDENSTERN
Mio onorato signore!
ROSENCRANTZ
Mio carissimo signore!
AMLETO
Miei ottimi e cari amici! Come stai Guildenstern? E tu, Rosencrantz? Come vi va, ragazzi?
ROSENCRANTZ
Come ai comuni mortali.
GUILDENSTERN
Fortunati di non essere troppo fortunati. Sul cappellino della Fortuna non siamo proprio l’asprì.
AMLETO
E neppure le suole delle scarpine?
ROSENCRANTZ
Neppure, monsignore.
AMLETO
Ma allora le state al vitino, o proprio in mezzo alle grazie.
GUILDENSTERN
Sicuro, siamo in intimità.
AMLETO
Nelle intimità della Fortuna? Ma già, è una puttana. E dite, quali novità?
ROSENCRANTZ
Nessuna, monsignore. Tranne che il mondo è diventato onesto.
AMLETO
Allora è vicino il giorno del giudizio. Ma siete male informati. Permettetemi una domanda più precisa. Che male avete fatto alla Fortuna, amici miei, che vi manda in questa galera?
GUILDENSTERN
Galera, monsignore?
AMLETO
La Danimarca è una galera.
ROSENCRANTZ
Allora lo è tutto il mondo.
AMLETO
Certo, una gran bella galera con tante celle e bracci e segrete. E la Danimarca è una delle peggiori.
ROSENCRANTZ
Noi non la pensiamo così, monsignore.
AMLETO
Beh allora non lo sarà per voi. Infatti non c’è nulla di buono o cattivo al mondo se il pensiero non lo fa tale . Per me è una galera.
ROSENCRANTZ
Ma sarà la vostra ambizione a farla tale: è troppo stretta per la vostra anima.
AMLETO
Oh Dio, potrei star chiuso in un guscio di noce e credermi re dell’infinito… ma faccio brutti sogni.
GUILDENSTERN
Appunto, questi sogni sono l’ambizione: la sostanza stessa dell’ambizioso non è che l’ombra d’un sogno.
AMLETO
Ma il sogno stesso è un’ombra.
ROSENCRANTZ
Esatto, e io dico che l’ambizione è così vana e inconsistente che è solo l’ombra d’un’ombra.
AMLETO
Allora soltanto gli accattoni sono dei corpi. Monarchi o eroi stiracchiati non sono che l’ombra degli accattoni. Ma vogliamo andare a corte? In fede mia, oggi non so ragionare.
ROSENCRANTZ e GUILDENSTERN
Siamo al vostro servizio.
AMLETO
Ma no, ma no, non voglio mettervi con gli altri miei servi. A parlarvi sinceramente, il servizio è atroce. Ma a parlar chiaro, da vecchi amici, che cosa ci fate a Elsinore?
ROSENCRANTZ
Siamo qui per vedervi, monsignore, nient’altro.
AMLETO
Pezzente che sono, mi mancano persino i ringraziamenti, ma grazie. E certo, amici miei, c’è qualche soldino di troppo in questo “grazie”. Non vi hanno per caso mandati a chiamare? L’idea è stata vostra? Una visita spontanea? Andiamo, andiamo, siate sinceri con me. Su, su, parlate.
GUILDENSTERN
Per dire che cosa, monsignore?
AMLETO
Tutto tranne la verità. Vi han mandati a chiamare, nelle vostre facce c’è una sorta di confessione che il vostro pudore non sa ben mascherare. Lo so, il buon re e la regina vi han mandati a chiamare.
ROSENCRANTZ
A quale scopo, monsignore?
AMLETO
Questo dovete spiegarmelo voi. Ma vi scongiuro per la vostra amicizia, per l’armonia che c’era tra noi ragazzi, per l’obbligo del nostro affetto costante e per le cose più gravi che potrebbe scaricarvi addosso un esortatore più abile di me, siate franchi e leali nel dirmi: vi han mandati a chiamare sì o no?
ROSENCRANTZ (a parte a Guildenstern)
Cosa dici?
AMLETO
Attenti, vi tengo d’occhio. Se mi amate, nessuna reticenza.
GUILDENSTERN
Monsignore, ci han mandati a chiamare.
AMLETO
Vi dirò io perché. Così vi farò risparmiare una confessione, e il vostro impegno col re e la regina non muterà penna. Da qualche tempo, non so perché, ho perso tutto il mio buonumore, ho abbandonato ogni esercizio. E in realtà son così giù d’umore che questo bell’edificio, la terra, mi sembra un promontorio sterile, questa volta d’aria stupenda, non è vero?, quello straordinario firmamento lassù, quel tetto maestoso trapunto di fuochi d’oro, ebbene a me non pare che una massa lurida e pestifera di vapori. Che opera d’arte è l’uomo, com’è nobile nella sua ragione, infinito nelle sue capacità, nella forma e nel muoversi esatto e ammirevole, come somiglia a un angelo nell’agire, a un dio nell’intendere: la beltà del mondo, la perfezione tra gli animali – eppure, per me, cos’è questa quintessenza di polvere? L’uomo non ha incanto per me – no e neanche la donna, anche se mostri di crederlo col tuo sorriso.
ROSENCRANTZ
Monsignore, non c’era niente di simile nel mio pensiero.
AMLETO
Allora perché hai sorriso quando ho detto: l’uomo non ha incanto per me?
ROSENCRANTZ
Pensavo, signore, che se l’uomo non v’incanta, gli attori troveranno qui una gran bella quaresima. Li abbiamo sorpassati per strada, vengono a offrirvi i loro servizi.
AMLETO
Quello che fa il re sarà il benvenuto – pagherò tributo a sua maestà, il cavalier d’avventura potrà usare stocco e brocchiere, l’amoroso non sospirerà per niente, il bizzarro finirà la sua parte in pace, il buffone farà ridere i polmoni dal grilletto facile, e la primadonna potrà dire tutto ciò che pensa, o ne soffrirà il verso sciolto. Chi sono questi attori?
ROSENCRANTZ
Quelli che una volta vi piacevano tanto, i tragici della città.
AMLETO
Come mai si sono messi a viaggiare? Era meglio star fermi, ci avrebbero guadagnato in prestigio e in profitto.
ROSENCRANTZ
Credo che a scacciarli sia stata la nuova moda.
AMLETO
Perché, non sono apprezzati come quando c’ero io? Non sono sempre popolari?
ROSENCRANTZ
No, appunto, no.
AMLETO
Come mai? Si sono arrugginiti?
ROSENCRANTZ
No, lavorano sempre con lo stesso impegno. Ma ora c’è, monsignore, una nidiata di ragazzini, piccoli falchetti che strillano a più non posso e per questo sono strepitosamente applauditi. Sono loro la moda, adesso, e attaccano con tanta violenza i teatri comuni – così li chiamano – che molti di quelli che portano spada han paura delle penne d’oca e non osano più andarci.
AMLETO
Ma sono davvero ragazzini? E chi è che li mantiene? Chi paga le spese? Faranno il mestiere soltanto finché gli si abbuia la voce? E dopo, se loro stessi diventano attori comuni – com’è probabile se non hanno altri mezzi – dopo non diranno che i loro autori gli han fatto torto a farli inveire contro il loro stesso futuro?
ROSENCRANTZ
A dire il vero c’è stato gran chiasso dalle due parti, e la gente non si fa scrupolo ad aizzarli alla zuffa. Per un bel pezzo non s’è riusciti a collocare un copione se il poeta e l’attore non vi venivano alle mani per questa storia.
AMLETO
Ma davvero?
GUILDENSTERN
Oh c’è stata una gran battaglia di cervelli!
AMLETO
E i ragazzini la spuntano?
ROSENCRANTZ
Proprio così monsignore. Anche su Ercole col suo mappamondo.
AMLETO
Non è poi così strano. Perché ora mio zio è re di Danimarca, e quelli che gli facevan boccacce quando mio padre era vivo, ora pagano venti, quaranta, cinquanta, cento ducati per la sua miniatura. Perdio, c’è come un progetto soprannaturale in questo, se solo la filosofia sapesse scoprirlo. Squillo di trombe.
GUILDENSTERN
Ecco gli attori.
AMLETO
Intanto, amici miei, benvenuti a Elsinore. Qua la mano, andiamo! Le belle maniere e le cerimonie sono appannaggio di una buona accoglienza. E dunque lasciate che m’adegui con voi a questi garbi, se no l’accoglienza che farò agli attori – e che sarà assai cordiale ve lo anticipo – potrebbe apparire migliore di quella che faccio a voi. Benvenuti dunque! Però il mio babbo-zio e la mia mamma-zia si sbagliano.
GUILDENSTERN
In che cosa, caro signore?
AMLETO
Sono pazzo solo fra tramontana e maestrale. Quando soffia da scirocco distinguo un falco da un falcetto.
Entra Polonio.
POLONIO
Salute a voi, signori miei!
AMLETO
Fa’ attenzione, Guildenstern, e anche tu, un orecchio per ciascuno. Quel bambolone che vedete lì non è ancora uscito dalle fasce.
ROSENCRANTZ
O c’è rientrato, dacché si dice che un vecchio rimbambisce.
AMLETO
Profetizzo che viene a dirmi degli attori, vedrete – Sissignore, avete ragione, fu proprio lunedì mattina.
POLONIO
Monsignore, ho notizie per voi!
AMLETO
Monsignore, ho notizie per voi! Quando Roscio era attore in Roma…
POLONIO
Sono arrivati gli attori, monsignore.
AMLETO
Bla, bla.
POLONIO
Sul mio onore…
AMLETO
Ognuno sull’asino, allora…
POLONIO
I più bravi attori del mondo per la tragedia, la commedia, il dramma storico, il dramma pastorale, il comico-pastorale, lo storico-pastorale, il tragico storico, il tragico-comico-storico-pastorale, il teatro indefinibile o il poema pigliatutto. Seneca non è troppo grave né Plauto leggero per questa gente. Fren di regole o totale licenza, sono imbattibili.
AMLETO
O Jefte giudice d’Israele, che tesoro avevi!
POLONIO
Che tesoro aveva, monsignore?
AMLETO
Ma come,
Una bella figlia, una sola,
che amava tanto.
POLONIO (a parte)
Batte sempre su mia figlia.
AMLETO
Non ho ragione vecchio Jefte?
POLONIO
Monsignore, se chiamate me Jefte, ho una figlia che amo tanto.
AMLETO
No, non è così che continua.
POLONIO
E com’è che continua, monsignore?
AMLETO
Ma via,
E per caso, Iddio sa,
e poi naturalmente,
avvenne, com’era da attendersi…
la prima stanza della pia chanson vi dirà ciò che avvenne, perché ecco arrivare chi mi accorcia.
Entrano gli attori.
Benvenuti, maestri miei. Benvenuti tutti quanti. Son contento di trovarti bene. Benvenuti, amici. Oh, vecchio mio, ma come, la tua faccia s’è messa la frangia da quando t’ho visto. Non sarai venuto in Danimarca per farmela in barba? Ed ecco la mia damigella e signora! Per Nostra Signora, vossignoria da quando ci siam visti s’è avvicinata al cielo d’un buon tacco veneziano. Speriamo che la voce non sia bucata nel cordone come uno zecchino fuoricorso… Maestri miei, siete tutti benvenuti! E attacchiamo subito, come i falconieri francesi, addosso a tutto ciò che appare. Una bella tirata seduta stante. Forza, dateci un assaggio della vostra bravura. Un bel pezzo appassionato!
I ATTORE
Che pezzo, monsignore?
AMLETO
T’ho sentito una volta recitarne uno, ma non fu mai rappresentato, o se lo fu non più d’una volta perché il dramma, ricordo, non piacque ai più, era caviale per quei palati ordinari. Ma a parer mio e d’altri il cui giudizio in queste cose vale più del mio, era un lavoro eccellente, ben diviso nelle scene, steso con proprietà e finezza. Qualcuno disse, ricordo, che i versi non avevan quel pepe che insaporisce la materia, e non c’era nulla nello stile che esponesse l’autore all’accusa di affettazione, e questo lo definì un metodo onesto, sano, dolce e pieno di spontanee beltà assai più che d’artifizi. Un passo mi piacque soprattutto, il racconto di Enea a Didone, e specialmente dove parla dell’assassinio di Priamo. Se te lo ricordi incomincia da quel punto, aspetta, aspetta…
L’orrido Pirro come belva ircana
No, non è così ma comincia con Pirro…
L’orrido Pirro, il cui funereo usbergo,
nero come il suo intento, rammentava
la notte che si strinse nell’infausto cavallo,
ora ha insozzato il suo truce sembiante
di più sinistra araldica. Da capo
a piedi è tutto rosso, orrendamente
del sangue adorno di padri, di madri,
e figli e figlie, cotto ed impastato
dalle torride strade, che dan luce
maledetta e spietata all’assassinio
del loro sire. Arrostito di rabbia
e fuoco, ed imbottito di coagulato sangue,
con occhi di carbonchio ora quel démone
ricerca il vecchio Priamo.
Ora continua tu.
POLONIO
Giuraddio monsignore, ben detto, con buon accento e buon discernimento.
I ATTORE
Ecco lo vede
menare ai Greci colpi troppo corti.
Ribelle al braccio, la sua spada antica
dove s’abbatte resta, sorda agli ordini.
Nell’impari duello Pirro tira
un fendente, fallisce per la rabbia,
ma alla folata del ferro feroce
il padre esausto cade. E allora Ilio,
pur senza sensi, par sentire il colpo,
torce al suolo la cima in fiamme, e il croscio
ferma l’orecchio a Pirro. Ve’ la spada
già declinante sulla bianca chioma
del venerando Priamo, par s’incolli
all’aria. E come tiranno dipinto
Pirro, svagato quasi dal suo scopo,
non fa niente.
Ma come, prima della tempesta, spesso
c’è silenzio nei cieli, sono immobili
i nembi, muti i venti, e l’orbe sotto
zitto come la morte, all’improvviso
un tuono orrendo squarcia l’aria, dopo
la pausa, similmente, la vendetta
rispinge Pirro all’opera,
e mai il martello dei Ciclopi cadde
sull’armatura di Marte, forgiata
per durar sempre, con meno rimorso
di come scende su Priamo la spada
sanguinosa di Pirro.
Via, via, puttana Fortuna! E voi Dei
tutti, adunatevi in concilio, e a lei
togliete ogni potere, alla sua ruota
spezzate raggi e cerchio, e il tondo mozzo
giù dal colle del cielo subissàtelo
fino ai demòni.
POLONIO
Troppo lungo.
AMLETO
Andrà dal barbiere con la vostra barba. – Continua, ti prego. Lui preferisce le farse e le storielle sconce, se no s’addormenta. Va’ avanti, arriva a Ecuba.
I ATTORE
Ma chi, oh pena, avesse visto
la regina imbacuccata…
AMLETO
“Imbacuccata!”
POLONIO
Mi piace!
I ATTORE
…scalza, correre
di qua di là minacciando le fiamme
con lacrime accecanti, un cencio al capo
che già resse il diadema, e come veste
attorno ai lombi sparuti e spremuti
dai parti, solo una coltre afferrata
nel terrore improvviso – chi l’avesse vista
avrebbe urlato tradimento contro
la Fortuna, con lingua avvelenata.
Ma se gli dèi l’avessero sentita
quand’ella vide Pirro con maligno piacere
trinciare con la spada le membra del marito,
l’urlo improvviso in cui proruppe, a meno
che mai pietà li muova per le cose mortali,
avrebbe fatto piangere gli ardenti occhi del cielo
e sconvolto i celesti.
POLONIO
Guardate se non ha cambiato colore, e ha le lacrime agli occhi! Basta, per favore.
AMLETO
Bravo. Ti farò recitare il resto fra non molto. – Monsignore, volete pensare voi a far bene ospitare gli attori? Non gli manchi nulla mi raccomando, perché essi sono il sunto, le cronache essenziali del tempo. Meglio per voi un brutto epitaffio da morto che una loro cattiva segnalazione da vivo.
POLONIO
Monsignore, avranno il trattamento che meritano.
AMLETO
No amico, per l’Ostia Santa, trattali molto meglio! Se tratti ognuno come si merita chi eviterà la frusta? Trattateli piuttosto come s’addice al vostro onore e alla vostra dignità: meno essi meritano, e più ne meriterà la larghezza vostra. Fate loro strada.
POLONIO
Venite, signori.
AMLETO
Amici miei, seguitelo. Domani vi ascolteremo. (Al primo attore) Ascolta, vecchio mio, puoi farci sentire L’assassinio di Gonzago?
I ATTORE
Sì, monsignore.
AMLETO
Domani sera. E all’occorrenza potresti, non è vero? studiare una tirata di dodici o sedici versi che butterei giù e inserirei nel testo?
I ATTORE
Certo, monsignore.
AMLETO
Molto bene. (A tutti gli attori) Seguite quel signore e attenti a non sfotterlo. Escono Polonio e gli attori.
(A Rosencrantz e Guildenstern) Amici, vi lascio fino a stasera. Siate benvenuti a Elsinore.
ROSENCRANTZ
Monsignore.
Escono (Rosencrantz e Guildenstern).
AMLETO
Addio, addio a voi. Ora sono solo.
Oh il furfante, il bifolco che sono!
Non è mostruoso che quell’attore lì
solo fingendo, sognando la sua passione
possa forzare l’anima a un’immagine
tanto da averne il viso tutto scolorato,
le lacrime agli occhi, la pazzia nell’aspetto,
la voce rotta, e ogni funzione tesa
a dare forma a un’idea? E tutto ciò per niente!
Per Ecuba!
Ma chi è Ecuba per lui, o lui per Ecuba
da piangere per lei? E che farebbe
se avesse il motivo e lo sprone della sofferenza
che ho io? Inonderebbe la scena di lacrime,
spaccherebbe gli orecchi a tutti con parole
tremende, farebbe impazzire i colpevoli,
tremare gli innocenti, sbalordirebbe
chi non sa niente, davvero, sconvolgerebbe
le stesse funzioni degli occhi e degli orecchi.
Ed io
canaglia fatta di pietra e di fango
sto qui a perdere tempo
come un qualsiasi grullo trasognato
e non penso alla mia causa, e non so dire
niente, niente, nemmeno per un re
che ebbe distrutti da un diavolo
gli averi e la vita preziosa. Dunque
sono un vile? Chi mi chiama furfante?
Chi mi spacca il cranio? Chi mi strappa la barba
e me la butta in faccia, chi mi tira il naso
e mi sbugiarda, e mi caccia l’accusa in gola
fino ai polmoni? Chi mi fa questo?
Ah sangue di Dio!
Dovrei incassare tutto, perché è vero,
ho il fegato d’una colomba, senza il fiele
che rende amara l’oppressione,
o altrimenti da un pezzo avrei ingrassato
con la carogna di quel cane
tutti gli avvoltoi dell’aria. Farabutto
sanguinario e osceno! Farabutto incallito,
traditore, disumano, porco!
Ah che somaro sono!
Bel coraggio davvero
per il figlio d’un caro padre assassinato
spinto alla vendetta dalla terra e dal cielo
sgravarsi il petto di parole come una
baldracca, darsi a bestemmiare come una troia,
come una sguattera! Ah che vergogna! Oh!
Cervello mio, all’opera.
Ho sentito che certi criminali
che ascoltavano un dramma
sono stati colpiti fin dentro all’anima
dall’arte astuta della rappresentazione
e subito hanno confessato i loro delitti.
Perché l’assassinio parla, anche senza aver lingua,
attraverso una bocca miracolosa.
Ora io farò recitare a questi attori
davanti a mio zio, qualcosa di simile
al massacro di mio padre. E starò a guardarlo.
Lo sonderò fin dentro l’anima. Se ha un sussulto,
so cosa fare. Il fantasma che ho visto
può anche essere un diavolo, e il diavolo
può prendere un aspetto gradevole, sì, e forse,
vista la mia debolezza la mia malinconia
lui che è così potente su chi ne soffre, mi inganna
per dannarmi. Mi serve una qualche base
più consistente. Questo spettacolo è
la trappola che acchiappa la coscienza del re. Esce.
Amleto
(“Hamlet” – 1600-1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V