(“Antony and Cleopatra” – 1607)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
(Messina. Casa di Pompeo.)
Entrano POMPEO, MENECRATE e MENAS in assetto di guerra.
POMPEO
Se gli dei sono giusti, seconderanno
le azioni degli uomini più giusti.
MENECRATE
Sappi, nobile Pompeo, che gli dei
non negano ciò che magari ritardano.
POMPEO
Mentre restiamo supplici al loro trono
perde valore ciò che noi imploriamo.
MENECRATE
Spesso, ignorando noi stessi, invochiamo
il nostro male, che le sagge potenze ci negano
per il nostro bene; così ci è di vantaggio
che le nostre preghiere non siano esaudite.
POMPEO
Andrà tutto bene. Il popolo mi ama
ed io ho il controllo del mare.
La mia forza è in fase crescente,
e la mia presàga speranza dice
che arriverà al culmine. Marcantonio
sta a banchetto in Egitto, e fuor di casa
non farà guerra. Cesare spilla soldi
perdendo i cuori; Lepido adula entrambi,
viene adulato da entrambi, ma non ama
né l’uno né l’altro, e nessun dei due
lo tiene in considerazione.
MENAS
Cesare e Lepido
son scesi in campo, e con gran forze.
POMPEO
Da chi l’hai saputo? È falso.
MENAS
Da Silvio, signore.
POMPEO
Sogna. So che sono entrambi a Roma
in attesa d’Antonio. Che tutte le malie
dell’amore, lasciva Cleopatra, addolciscano
le tue labbra spente! Malia e bellezza,
e con entrambe libidine, leghino
il libertino in un campo di delizie,
gli annebbino la mente; cuochi epicurei
stimolino con salse che non stancano
il suo appetito, così che sonno e crapula
gli faccian trascurare il proprio onore
sprofondandolo in oblioso torpore…
Entra VARRIO.
Che novità, Varrio?
VARRIO
Quel che riferisco è sicuro: Marcantonio
da un momento all’altro è atteso a Roma;
dacché lasciò l’Egitto c’è stato tempo
per una traversata anche più lunga.
POMPEO
A cosa di minor conto avrei prestato
miglior orecchio. Menas, non credevo
che questo libertino scioperato
avrebbe indossato l’elmo per una guerra
come questa. Come soldato vale
il doppio degli altri due. Teniamo alta,
perciò, la stima di noi stessi, se
le nostre mosse han potuto strappare
dal grembo della vedova d’Egitto
Antonio mai stanco di lussurie.
MENAS
Non mi figuro che Cesare ed Antonio
possano andar d’accordo. Sua moglie,
che è morta, ha trasgredito a Cesare,
e suo fratello gli mosse guerra,
anche se non credo istigato da Antonio.
POMPEO
Non so, Menas, se da piccole liti
ne possano nascere di maggiori.
Se noi non fossimo coalizzati contro di loro,
è assai probabile che litigherebbero: han
motivi sufficienti per sguainare le spade.
Ma come la paura che hanno di noi
possa cementare le loro divisioni
e far risolvere le loro divergenze,
ancora non sappiamo. Sia come piace agli dei!
Vita o morte dipende dall’uso che faremo
della nostra forza. Vieni, Menas. (Escono.)
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
(Roma. Casa di Lepido.)
Entrano ENOBARBO e LEPIDO.
LEPIDO
Buon Enobarbo, sarebbe meritevole
e degno di voi invitare il vostro capitano
ad un colloquio calmo e pacato.
ENOBARBO
Lo inviterò a parlare da par suo:
se Cesare lo provoca, che Antonio
guardi al di sopra del capo di Cesare,
e gli parli tuonando come Marte.
Per Giove, se fossi barbuto come Antonio,
oggi non mi raderei la barba.
LEPIDO
Non è momento
per risentimenti personali.
ENOBARBO
Ogni momento
è buono per ciò che in esso matura.
LEPIDO
Ma le piccole cose alle grandi
devono pur cedere il passo.
ENOBARBO
No,
non se vengono prima.
LEPIDO
Parlate per ira:
ma, vi prego, non soffiate sulla brace.
Ecco che viene il nobile Antonio.
Entrano ANTONIO e VENTIDIO.
ENOBARBO
È di là Cesare.
Entrano CESARE, MECENATE e AGRIPPA.
ANTONIO
Se qui troviamo un accordo, addosso ai Parti.
Ascolta, Ventidio.
CESARE
Non so, Mecenate;
chiedi ad Agrippa.
LEPIDO
Nobili amici,
importanti motivi ci hanno qui riuniti
e non ci dividano cose di poco conto.
Ciò che non va, lo si ascolti pazienti:
se alziamo la voce per banali dissensi,
cercando di sanare le ferite
diamo la morte. Quindi, nobili triumviri,
tanto più ardentemente vi scongiuro,
toccate con delicatezza i punti più dolenti
e il malanimo non s’aggiunga alle parole.
ANTONIO
Ben detto. Fossimo in testa alle truppe,
pronti alla battaglia, farei così. (Squilli di tromba.)
CESARE
Benvenuto a Roma.
ANTONIO
Grazie.
CESARE
Siedi.
ANTONIO
Dopo di te.
CESARE
Su, avanti.
ANTONIO
Sento dire
che prendi a male cose che non son male,
o se lo fossero, non ti riguardano.
CESARE
Mi farei rider dietro se per nulla
o per poco mi reputassi offeso
e soprattutto da te al mondo;
e ancor più, se facessi il tuo nome
anche una sola volta con disprezzo,
quando farlo non fosse affar mio.
ANTONIO
Che io stessi in Egitto, Cesare,
che ti importava?
CESARE
Quanto il mio star qui,
a Roma, poteva importare a te in Egitto.
Ma se tu lì tramavi contro il mio potere,
che tu stessi in Egitto mi riguardava, eccome.
ANTONIO
Che intendi, “tramavo”?
CESARE
Ti prego, cogli il senso
delle mie parole da ciò che avvenne qui.
Tua moglie e tuo fratello sono scesi
in guerra contro di me, e in nome tuo:
tu eri l’istigatore di quella guerra.
ANTONIO
Ti sbagli. Mai in essa mio fratello
ha accampato il mio nome; ho fatto
indagini, lo so da gente fidata,
militante al tuo fianco. Piuttosto, con la tua,
non ha screditato la mia autorità,
facendo guerra dal pari contro il mio volere,
essendo la mia causa anche la tua?
Di ciò ti ho ragguagliato nelle mie lettere.
Se vuoi imbastirci su un litigio,
questo non basta, ti occorre panno intero.
CESARE
Ti elogi da solo, attribuendo a me
errori di giudizio: tu hai imbastito le tue scuse.
ANTONIO
No, non è così. Devi ammettere,
ne sono certo, la logica del mio pensiero:
io, tuo socio nella causa che egli osteggiava,
non potevo guardare con occhio benevolo
a quelle guerre che compromettevano
la mia stessa pace. Quanto a mia moglie,
ti auguro di trovarne una col suo temperamento;
un terzo del mondo è tuo, e con un morso lento
lo puoi governare – ma non una donna così!
ENOBARBO
Avessimo tutti mogli come questa,
per poter guerreggiare con le donne!
ANTONIO
Ingovernabile com’era, Cesare,
mi duole ammettere che i suoi intrighi,
frutto della sua irrequietudine,
e non privi di abilità politica,
ti han procurato notevoli fastidi.
Ma al riguardo devi riconoscere
che io non potevo farci nulla.
CESARE
Ti ho scritto,
e tu, immerso nei bagordi ad Alessandria,
hai intascato le mie lettere, sbeffeggiato
e cacciato il mio messo dal tuo cospetto.
ANTONIO
Mi è piombato addosso, signore, prima
di essere ammesso; avevo appena
intrattenuto a banchetto tre re,
e non ero più com’ero al mattino.
Ma il giorno dopo glielo spiegai io stesso,
e fu come avergli chiesto scusa.
Costui non c’entri come motivo di contesa;
se dobbiamo discutere, ne resti fuori.
CESARE
Hai mancato ai termini del tuo giuramento,
cosa di cui non potrai mai accusar me.
LEPIDO
Piano, Cesare!
ANTONIO
No, Lepido, lascialo dire:
il punto d’onore di cui parla ora,
anche posto che io vi sia venuto meno,
è sacro. Avanti, Cesare, i termini
del mio giuramento.
CESARE
Di prestarmi
armi ed aiuto quando li chiedessi:
cose che entrambe hai rifiutato.
ANTONIO
Trascurato,
piuttosto. E quando ore avvelenate
mi avevano irretito, fino a farmi
perdere conoscenza di me stesso.
Ne farò penitenza come posso.
Ma la mia lealtà non sminuirà
la mia grandezza, né senza di essa
agirà la mia potenza. Il fatto è
che Fulvia, per allontanarmi dall’Egitto,
ha scatenato queste guerre, ed io,
causa inconsapevole, ne chiedo venia,
secondo quanto l’onore mi permette
di piegarmi in tal caso.
LEPIDO
Nobili parole!
MECENATE
Compiacetevi di non insistere più
sui risentimenti. Dimenticarli del tutto
sarebbe ricordare che l’esigenza del momento
reclama la vostra riconciliazione.
LEPIDO
Belle parole, Mecenate.
ENOBARBO
Ossia, se per ora volete prestarvi reciprocamente affetto, quando non sentirete più parlare di Pompeo potrete restituirvelo di nuovo. Avrete tempo di attaccar briga quando non avrete altro da fare.
ANTONIO
Tu sei solo un soldato, sta’ zitto.
ENOBARBO
M’ero quasi scordato che la verità deve tacere.
ANTONIO
Fai torto a questo consesso, smetti di ciarlare.
ENOBARBO
E va bene, sarò una pietra pensante.
CESARE
Non mi dispiace la sostanza, quanto
la forma del suo discorso. Come si fa
a restare amici, se poi in pratica
tanto divergono i nostri intendimenti.
Ma se sapessi quale cerchio potesse
tenerci strettamente vincolati,
da un capo all’altro del mondo andrei a cercarlo.
AGRIPPA
Permettimi, Cesare…
CESARE
Parla, Agrippa.
AGRIPPA
Da parte di madre
hai una sorella, la mirabile Ottavia.
Il grande Marcantonio ora è vedovo.
CESARE
Non dir così, Agrippa: se ti sente Cleopatra
ti meriteresti la taccia d’avventato.
ANTONIO
Non sono sposato, Cesare: sentiamo
quel che ha da dire Agrippa.
AGRIPPA
Per tenervi in perpetua amicizia,
rendervi fratelli, legare i vostri cuori
con nodo indissolubile, Antonio
prenda Ottavia per moglie, la cui beltà
esige quanto meno come sposo
il migliore degli uomini, la cui virtù
e le cui altre grazie parlano da sole
meglio di chiunque altro. Con queste nozze
i piccoli sospetti che ora sembrano grandi,
e i grandi timori che comportano pericoli,
non sarebbero più nulla: le verità
parrebbero parole, mentre ora mezze parole
paiono verità; amandovi entrambi
ella vi attirerebbe l’uno verso l’altro,
e l’amore di tutti seguirebbe il suo.
Perdonate quello che ho detto, è
un’idea meditata, non del momento,
ispirata al senso del dovere.
ANTONIO
Cesare parlerà?
CESARE
Non prima di sentire come Antonio
reagisce a quel che è stato detto.
ANTONIO
Che potere
ha Agrippa di mandarlo a compimento
se io dicessi, “Agrippa, sia così”?
CESARE
Il potere di Cesare, e il suo potere
su Ottavia.
ANTONIO
Che io non mi sogni mai
d’ostacolare quest’ottimo proposito,
così propizio! Dammi la mano, a ratificare
quest’atto di grazia, e d’ora in poi
cuor di fratelli governi il nostro amore
e guidi le nostre grandi imprese.
CESARE
Ecco la mia mano. Ti concedo mia sorella,
che mai fratello amò di tanto amore.
Viva per riunire i nostri regni e i nostri cuori,
e mai più s’estranei il nostro affetto.
LEPIDO
Amen!
ANTONIO
Non pensavo di sfoderare la spada
contro Pompeo, perché recentemente
mi ha reso grandi e insoliti favori.
Ora devo limitarmi a ringraziarlo,
per non essere tacciato d’ingratitudine,
e subito dopo gli lancerò la sfida.
LEPIDO
Il tempo stringe. Bisogna senza indugio
mettersi a dar la caccia a Pompeo,
o altrimenti sarà lui a cercarci.
ANTONIO
Dove si trova?
CESARE
Verso Capo Miseno.
ANTONIO
Quali sono le sue forze?
CESARE
Per terra
grandi e crescenti; ma sul mare
è padrone incontrastato.
ANTONIO
Così si dice.
Vorrei essermi già scontrato con lui!
Affrettiamoci a farlo; ma prima di armarci,
sbrighiamo la faccenda di cui si è parlato.
CESARE
Con gran piacere, e ti invito a vedere
mia sorella, da cui ti porto subito.
ANTONIO
Non ci manchi, Lepido, la tua compagnia.
LEPIDO
Nobile Antonio, neanche una malattia
potrebbe tenermi lontano.
(Squilli di tromba. Escono tutti, tranne Enobarbo, Agrippa e Mecenate.)
MECENATE
Benvenuto dall’Egitto, signore.
ENOBARBO
Amatissimo da Cesare, nobile Mecenate! Illustre amico, Agrippa!
AGRIPPA
Caro Enobarbo!
MECENATE
Abbiamo motivo di rallegrarci, che le cose si siano accomodate così bene. Ve la siete spassata bene in Egitto.
ENOBARBO
Sì, mio caro, a forza di dormire abbiam fatto perdere la faccia al giorno, e reso la notte brillante a furia di bere.
MECENATE
Otto cinghiali interi arrosto a colazione, e per solo dodici persone: è vero?
ENOBARBO
Non è che un moscerino a confronto di un’aquila. Abbiamo avuto banchetti ben più straordinari, proprio degni di nota.
MECENATE
È una donna bellissima, se ciò che si dice corrisponde al vero.
ENOBARBO
Quando incontrò la prima volta Antonio, sul fiume Cidno, si mise in saccoccia il suo cuore.
AGRIPPA
Gli apparve proprio là, a meno che il mio informatore non se la sia inventata.
ENOBARBO
Vi dirò. La galea in cui sedeva,
come trono brunito ardea sull’acqua.
La poppa era d’oro battuto, di porpora
le vele, così profumate che le brezze
ne languivano d’amore; d’argento
i remi, che tenevano il ritmo
al suon dei flauti, e l’acqua smossa
li rincorreva rapida, come innamorata
dei loro colpi. Quanto alla sua persona,
superava ogni descrizione: giaceva
nel baldacchino intessuto d’oro e seta,
più bella di Venere nel dipinto
dove la fantasia sopravanza la natura.
Dai due lati, bimbetti paffuti, come
sorridenti amorini, con flabelli multicolori,
il cui vento pareva infiammare
la guance delicate che rinfrescavano,
e così, insieme, fare e disfare.
AGRIPPA
Impareggiabile visione per Antonio!
ENOBARBO
Le sue ancelle, come le Nereidi,
altrettante sirene, la servivano
standole di fronte, e in pose leggiadre
adornavano la scena. Alla barra
governa una di queste sirene;
sartie di seta vibrano al tocco
di quelle mani morbide come fiori,
agili ad eseguire le manovre.
Dalla galea un profumo sottile e arcano
colpisce i sensi sulle rive vicine.
La città si riversò fuori ad ammirarla
e Antonio, in trono sulla piazza del mercato,
rimase solo, a fischiettare all’aria:
e anche questa, fosse stato possibile,
sarebbe volata a contemplare Cleopatra,
lasciando un vuoto nella natura.
AGRIPPA
Mirabile egiziana!
ENOBARBO
Quando approdò, Antonio mandò
ad invitarla a cena; lei rispose
che era meglio fosse lui suo ospite,
e implorò il favore; il galante Antonio,
che a una donna non disse mai di no,
fattasi rassettare dieci volte la barba,
va al banchetto e, per la sua cena,
paga col cuore, per ciò che soltanto
con gli occhi avea mangiato.
AGRIPPA
Donna da re!
Al grande Cesare fece deporre
la spada a letto; egli la arò,
e lei gli portò frutto.
ENOBARBO
Una volta
l’ho vista saltellare a pie’ zoppo
quaranta passi sulla pubblica via;
rimasta senza fiato, parlò ansando,
trasformando in perfezione quel difetto,
e pur senza respiro, alitava fascino.
MECENATE
Adesso Antonio deve lasciarla per sempre.
ENOBARBO
No, non lo farà mai.
L’età non può farla appassire, né
l’abitudine rendere stantia
la sua infinita varietà. Altre donne
saziano le voglie che appagano,
ma lei rende vogliosi quanto più soddisfa.
Le cose più turpi a lei si addicono,
se i sacerdoti stessi la benedicono
quand’è in fregola.
MECENATE
Se bellezza, saggezza, modestia
possono acquetare il cuore d’Antonio,
Ottavia è per lui una benedizione del cielo.
AGRIPPA
Andiamo. Buon Enobarbo,
finché rimani qui, sii mio ospite.
ENOBARBO
Ve ne ringrazio umilmente, signore. (Escono.)
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
(La stessa. Casa di Cesare.)
Entrano ANTONIO, CESARE, con OTTAVIA fra loro.
ANTONIO
Il mondo e il mio alto ufficio
mi separeranno talvolta dal tuo seno.
OTTAVIA
E per tutto quel tempo, in ginocchio
io pregherò gli dei per te.
ANTONIO
Buona notte,
signore. Mia Ottavia, sui miei difetti
non dare ascolto alla voce del mondo.
Non sono sempre stato in riga, ma
in futuro tutto sarà fatto in regola.
Buona notte, mia cara.
OTTAVIA
Buona notte, signore.
CESARE
Buona notte. (Escono Cesare e Ottavia.)
Entra l’Indovino.
ANTONIO
Ebbene, compare: vorresti essere in Egitto?
INDOVINO
Vorrei non essermi mai allontanato di là, e che tu non ci fossi mai andato!
ANTONIO
E la ragione, se puoi?
INDOVINO
La vedo per intuito, non so esprimerla:
ma affrettati a ritornare in Egitto.
ANTONIO
Dimmi, quale fortuna salirà più in alto,
quella di Cesare o la mia?
INDOVINO
Quella di Cesare.
Perciò, Antonio, non restare al suo fianco.
Il tuo demone, il tuo spirito custode,
è nobile, coraggioso e senza pari,
quando non c’è quello di Cesare. Ma
se c’è quello, il tuo angelo ha paura,
si sente soverchiato: perciò
metti spazio sufficiente fra voi.
ANTONIO
Non parlar più di questo.
INDOVINO
Ne parlo solo a te: non ad altri.
Se entri con lui in qualsiasi lizza,
sei sicuro di perdere; con la sua fortuna,
anche se svantaggiato egli ti vince.
Il tuo lustro si offusca accanto al suo.
Lo ripeto, il tuo spirito ha paura
di guidarti quando lui è vicino,
ma torna nobile quando lui è lontano.
ANTONIO
Vattene.
Di’ a Ventidio che voglio parlargli. (Esce l’Indovino.)
Egli andrà in Partia. Sia arte o caso,
ha detto il vero. I dadi stessi gli obbediscono,
e nel gioco la mia maggior destrezza soccombe
alla sua fortuna. Se tiriamo a sorte,
vince lui, nelle lotte di galli
i suoi han sempre la meglio sui miei,
anche se dati a zero; e le sue quaglie
chiuse nel recinto battono sempre le mie.
Andrò in Egitto: e benché contragga
queste nozze per la mia pace, in Oriente
è il mio piacere. Oh, entra, Ventidio.
Entra VENTIDIO.
Andrai in Partia, la nomina è pronta.
Seguimi, vieni a prenderla. (Escono.)
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
(La stessa. Una strada.)
Entrano LEPIDO, MECENATE e AGRIPPA.
LEPIDO
Non incomodatevi oltre: affrettatevi
a seguire i vostri generali.
AGRIPPA
Marcantonio
darà un bacio a Ottavia, e noi lo seguiremo.
LEPIDO
Finché non vi vedrò vestiti da soldati,
che ben si addice a entrambi, addio.
MECENATE
Secondo il mio computo, saremo
a Capo Miseno prima di voi, Lepido.
LEPIDO
La vostra strada è più breve,
il mio itinerario mi porta in giro,
guadagnerete due giorni su di me.
ENTRAMBI
Buon successo, signore!
LEPIDO
Addio. (Escono.)
ATTO SECONDO – SCENA QUINTA
(Alessandria. Palazzo di Cleopatra.)
Entrano CLEOPATRA, CARMIANA, IRAS e ALESSA.
CLEOPATRA
Un po’ di musica… il cibo malinconico
di noi che traffichiamo in amore.
TUTTI
Musica, musica!
Entra l’eunuco MARDIANO.
CLEOPATRA
No, niente musica. Al biliardo. Vieni, Carmiana.
CARMIANA
Io ho male al braccio, è meglio
che giochiate con Mardiano.
CLEOPATRA
Tanto varrebbe
a una donna giocare con una donna,
che con un eunuco. Giocherai con me, messere?
MARDIANO
Per quel che posso fare, signora.
CLEOPATRA
Se mostra buona volontà, e non ci arriva,
il giocatore può invocare venia.
Ma non adesso, no, datemi la lenza,
andremo giù al fiume, con la mia musica
che suona di lontano. Adescherò
pesci dalle pinne scure, l’amo ricurvo
trapasserà le loro guance viscide,
e tirandoli su, penserò che ognuno
sia un Antonio, e dirò: “Ah, ah, sei preso!”
CARMIANA
Ci fu da ridere, quando scommetteste
su una gara di pesca, e uno dei vostri,
tuffatosi sott’acqua, gli attaccò all’amo
un pesce salato, che egli tirò su in trionfo!
CLEOPATRA
Quella volta? Ah, che bei tempi!
Risi finché egli perse la pazienza,
e la notte risi fino a fargliela tornare,
e al mattino, avanti l’ora prima,
lo feci crollare a letto ubriaco:
poi gli misi le mie acconciature
e il mio manto, mentre io indossavo
la sua spada di Filippi. Oh, dall’Italia.
Entra un messo.
Ficcami le tue fertili notizie
nell’orecchio da lungo tempo sterile.
MESSO
Signora… signora…
CLEOPATRA
Antonio è morto!… Se così dici, marrano,
uccidi la tua padrona. Ma se annunci
che è libero e sta bene, ecco dell’oro,
ed ecco le mie vene più azzurre da baciare:
una mano che re han sfiorato con le labbra
e baciato tremanti.
MESSO
Per prima cosa,
signora, sta bene.
CLEOPATRA
Eccoti altro oro.
Ma attento, messere, da noi si dice
che i morti stan bene: se intendi questo
l’oro che ti do lo colerò fuso
nella tua gola nefanda.
MESSO
Ascoltatemi, signora.
CLEOPATRA
Ebbene, avanti, ascolto.
Ma il tuo volto non dà segni di gioia,
se Antonio è libero e sta bene…
un aspetto così tetro, se hai da proclamare
ai quattro venti notizie così buone?
Se non sta bene, dovresti venire
come una furia coronata di serpi,
e non come un uomo normale.
MESSO
Volete ascoltarmi?
CLEOPATRA
Ho voglia di dartele, prima che tu parli;
ma se dici che Antonio vive, sta bene,
è in buone con Cesare, e non suo prigioniero,
ti metterò sotto una pioggia d’oro,
ed una grandinata di perle.
MESSO
Signora, sta bene.
CLEOPATRA
Ben detto.
MESSO
E in buone con Cesare.
CLEOPATRA
Sei un uomo onesto.
MESSO
Lui e Cesare
son più amici che mai.
CLEOPATRA
Farò la tua fortuna.
MESSO
Però, signora…
CLEOPATRA
Non amo quel “però”,
stempera le buone notizie precedenti,
un accidente al “però”! Il “però”
è come un carceriere che liberi
un mostruoso malfattore. Ti prego, amico,
vuota tutto il sacco nel mio orecchio,
buone e cattive nuove assieme: è amico
di Cesare, in buona salute, dici,
e dici anche, libero.
MESSO
Libero no, signora:
questo non l’ho detto. È legato a Ottavia.
CLEOPATRA
Per quale buon servizio?
MESSO
Il miglior servizio: a letto.
CLEOPATRA
Impallidisco, Carmiana.
MESSO
Signora, è sposato a Ottavia.
CLEOPATRA
Ti prenda la peste peggiore!
(Lo percuote gettandolo a terra.)
MESSO
Calmatevi, buona signora!
CLEOPATRA
Che dici? (Lo percuote.)
Via di qui, lurida canaglia, o ti caverò
gli occhi per prenderli a calci come palle;
ti strapperò i capelli e ti farò frustare (Scuotendolo su e giù.)
con verghe di ferro, mettere in salamoia
a macerare lentamente.
MESSO
Graziosa signora,
non son stato io che vi porto le notizie
a fare il matrimonio.
CLEOPATRA
Di’ che non è vero,
e ti darò un’intera provincia,
rialzerò le tue fortune. Le botte
che hai preso saranno per la collera
che mi hai provocato, e per di più
ti arricchirò di qualsiasi dono
tu possa chiedere in coscienza.
MESSO
È sposato, signora.
CLEOPATRA
Furfante, hai vissuto fin troppo.
(Estrae un pugnale.)
MESSO
Devo scappare;
che volete fare, signora? Non è colpa mia. (Esce.)
CARMIANA
Buona signora, mantenetevi calma,
l’uomo è innocente.
CLEOPATRA
Certi innocenti non sfuggono alla folgore.
Si dissolva l’Egitto nel Nilo! e tutte
le miti creature diventino serpenti!
Richiama lo schiavo, benché sia furiosa
non lo morderò; richiamalo!
CARMIANA
Ha paura di tornare.
CLEOPATRA
Non gli farò del male.
Queste mani perdono di nobiltà,
colpendo uno che mi è così inferiore,
giacché io stessa ne sono responsabile.
Rientra il messo.
Vieni qui, messere. Benché sia onesto,
non è mai bene portar cattive nuove.
A un bel messaggio da’ mille voci,
ma le cattive notizie si annuncino
da sole, al momento di colpire.
MESSO
Ho fatto il mio dovere.
CLEOPATRA
È sposato?
Non potrò detestarti di più,
se dici ancora sì.
MESSO
È sposato, signora.
CLEOPATRA
Gli dei ti distruggano, ancora insisti?
MESSO
Dovrei mentire, signora?
CLEOPATRA
Vorrei di sì,
anche se metà del mio Egitto
fosse sommersa e ridotta a una cisterna
di serpenti squamosi! Vattene di qui,
avessi anche il volto di Narciso,
per me saresti orribile. È sposato?
MESSO
Imploro il perdono di Vostra Altezza.
CLEOPATRA
È sposato?
MESSO
Non offendetevi, io
non vorrei offendervi: non è giusto
punirmi per quel che voi mi fate fare.
È sposato ad Ottavia.
CLEOPATRA
Ah, la sua colpa
ti renda così odioso, tu che pure
non sei ciò di cui sei così sicuro.
Vattene via di qui: le mercanzie
che hai portato da Roma per me
son troppo care: ti restino sul gozzo,
e sian la tua rovina! (Esce il messo.)
CARMIANA
Calmatevi, Altezza.
CLEOPATRA
Lodando Antonio ho disprezzato Cesare.
CARMIANA
Molte volte, signora.
CLEOPATRA
Ecco la mia ricompensa. Portatemi via,
svengo, Iras, Carmiana! No, non è nulla.
Vai da quell’uomo, caro Alessa, digli
di riferire l’aspetto di Ottavia,
la sua età e il suo temperamento,
senza tralasciare il colore dei capelli;
ritorna subito con la sua risposta. (Esce Alessa.)
Che se ne vada per sempre… no, no,
Carmiana: anche se è dipinto da un lato
come la Gorgone, dall’altro è come Marte. (A Mardiano.)
Di’ ad Alessa di riferire quant’è alta.
Compiangimi, Carmiana, ma non parlare.
Conducimi nelle mie stanze. (Escono.)
ATTO SECONDO – SCENA SESTA
(Alessandria. Palazzo di Cleopatra.)
Entrano CLEOPATRA, CARMIANA, IRAS e ALESSA.
CLEOPATRA
Un po’ di musica… il cibo malinconico
di noi che traffichiamo in amore.
TUTTI
Musica, musica!
Entra l’eunuco MARDIANO.
CLEOPATRA
No, niente musica. Al biliardo. Vieni, Carmiana.
CARMIANA
Io ho male al braccio, è meglio
che giochiate con Mardiano.
CLEOPATRA
Tanto varrebbe
a una donna giocare con una donna,
che con un eunuco. Giocherai con me, messere?
MARDIANO
Per quel che posso fare, signora.
CLEOPATRA
Se mostra buona volontà, e non ci arriva,
il giocatore può invocare venia.
Ma non adesso, no, datemi la lenza,
andremo giù al fiume, con la mia musica
che suona di lontano. Adescherò
pesci dalle pinne scure, l’amo ricurvo
trapasserà le loro guance viscide,
e tirandoli su, penserò che ognuno
sia un Antonio, e dirò: “Ah, ah, sei preso!”
CARMIANA
Ci fu da ridere, quando scommetteste
su una gara di pesca, e uno dei vostri,
tuffatosi sott’acqua, gli attaccò all’amo
un pesce salato, che egli tirò su in trionfo!
CLEOPATRA
Quella volta? Ah, che bei tempi!
Risi finché egli perse la pazienza,
e la notte risi fino a fargliela tornare,
e al mattino, avanti l’ora prima,
lo feci crollare a letto ubriaco:
poi gli misi le mie acconciature
e il mio manto, mentre io indossavo
la sua spada di Filippi. Oh, dall’Italia.
Entra un messo.
Ficcami le tue fertili notizie
nell’orecchio da lungo tempo sterile.
MESSO
Signora… signora…
CLEOPATRA
Antonio è morto!… Se così dici, marrano,
uccidi la tua padrona. Ma se annunci
che è libero e sta bene, ecco dell’oro,
ed ecco le mie vene più azzurre da baciare:
una mano che re han sfiorato con le labbra
e baciato tremanti.
MESSO
Per prima cosa,
signora, sta bene.
CLEOPATRA
Eccoti altro oro.
Ma attento, messere, da noi si dice
che i morti stan bene: se intendi questo
l’oro che ti do lo colerò fuso
nella tua gola nefanda.
MESSO
Ascoltatemi, signora.
CLEOPATRA
Ebbene, avanti, ascolto.
Ma il tuo volto non dà segni di gioia,
se Antonio è libero e sta bene…
un aspetto così tetro, se hai da proclamare
ai quattro venti notizie così buone?
Se non sta bene, dovresti venire
come una furia coronata di serpi,
e non come un uomo normale.
MESSO
Volete ascoltarmi?
CLEOPATRA
Ho voglia di dartele, prima che tu parli;
ma se dici che Antonio vive, sta bene,
è in buone con Cesare, e non suo prigioniero,
ti metterò sotto una pioggia d’oro,
ed una grandinata di perle.
MESSO
Signora, sta bene.
CLEOPATRA
Ben detto.
MESSO
E in buone con Cesare.
CLEOPATRA
Sei un uomo onesto.
MESSO
Lui e Cesare
son più amici che mai.
CLEOPATRA
Farò la tua fortuna.
MESSO
Però, signora…
CLEOPATRA
Non amo quel “però”,
stempera le buone notizie precedenti,
un accidente al “però”! Il “però”
è come un carceriere che liberi
un mostruoso malfattore. Ti prego, amico,
vuota tutto il sacco nel mio orecchio,
buone e cattive nuove assieme: è amico
di Cesare, in buona salute, dici,
e dici anche, libero.
MESSO
Libero no, signora:
questo non l’ho detto. È legato a Ottavia.
CLEOPATRA
Per quale buon servizio?
MESSO
Il miglior servizio: a letto.
CLEOPATRA
Impallidisco, Carmiana.
MESSO
Signora, è sposato a Ottavia.
CLEOPATRA
Ti prenda la peste peggiore!
(Lo percuote gettandolo a terra.)
MESSO
Calmatevi, buona signora!
CLEOPATRA
Che dici? (Lo percuote.)
Via di qui, lurida canaglia, o ti caverò
gli occhi per prenderli a calci come palle;
ti strapperò i capelli e ti farò frustare (Scuotendolo su e giù.)
con verghe di ferro, mettere in salamoia
a macerare lentamente.
MESSO
Graziosa signora,
non son stato io che vi porto le notizie
a fare il matrimonio.
CLEOPATRA
Di’ che non è vero,
e ti darò un’intera provincia,
rialzerò le tue fortune. Le botte
che hai preso saranno per la collera
che mi hai provocato, e per di più
ti arricchirò di qualsiasi dono
tu possa chiedere in coscienza.
MESSO
È sposato, signora.
CLEOPATRA
Furfante, hai vissuto fin troppo.
(Estrae un pugnale.)
MESSO
Devo scappare;
che volete fare, signora? Non è colpa mia. (Esce.)
CARMIANA
Buona signora, mantenetevi calma,
l’uomo è innocente.
CLEOPATRA
Certi innocenti non sfuggono alla folgore.
Si dissolva l’Egitto nel Nilo! e tutte
le miti creature diventino serpenti!
Richiama lo schiavo, benché sia furiosa
non lo morderò; richiamalo!
CARMIANA
Ha paura di tornare.
CLEOPATRA
Non gli farò del male.
Queste mani perdono di nobiltà,
colpendo uno che mi è così inferiore,
giacché io stessa ne sono responsabile.
Rientra il messo.
Vieni qui, messere. Benché sia onesto,
non è mai bene portar cattive nuove.
A un bel messaggio da’ mille voci,
ma le cattive notizie si annuncino
da sole, al momento di colpire.
MESSO
Ho fatto il mio dovere.
CLEOPATRA
È sposato?
Non potrò detestarti di più,
se dici ancora sì.
MESSO
È sposato, signora.
CLEOPATRA
Gli dei ti distruggano, ancora insisti?
MESSO
Dovrei mentire, signora?
CLEOPATRA
Vorrei di sì,
anche se metà del mio Egitto
fosse sommersa e ridotta a una cisterna
di serpenti squamosi! Vattene di qui,
avessi anche il volto di Narciso,
per me saresti orribile. È sposato?
MESSO
Imploro il perdono di Vostra Altezza.
CLEOPATRA
È sposato?
MESSO
Non offendetevi, io
non vorrei offendervi: non è giusto
punirmi per quel che voi mi fate fare.
È sposato ad Ottavia.
CLEOPATRA
Ah, la sua colpa
ti renda così odioso, tu che pure
non sei ciò di cui sei così sicuro.
Vattene via di qui: le mercanzie
che hai portato da Roma per me
son troppo care: ti restino sul gozzo,
e sian la tua rovina! (Esce il messo.)
CARMIANA
Calmatevi, Altezza.
CLEOPATRA
Lodando Antonio ho disprezzato Cesare.
CARMIANA
Molte volte, signora.
CLEOPATRA
Ecco la mia ricompensa. Portatemi via,
svengo, Iras, Carmiana! No, non è nulla.
Vai da quell’uomo, caro Alessa, digli
di riferire l’aspetto di Ottavia,
la sua età e il suo temperamento,
senza tralasciare il colore dei capelli;
ritorna subito con la sua risposta. (Esce Alessa.)
Che se ne vada per sempre… no, no,
Carmiana: anche se è dipinto da un lato
come la Gorgone, dall’altro è come Marte. (A Mardiano.)
Di’ ad Alessa di riferire quant’è alta.
Compiangimi, Carmiana, ma non parlare.
Conducimi nelle mie stanze. (Escono.)
(Scena sesta)
(Vicino a Miseno.)
Squilli di tromba. Entrano POMPEO da una porta, con tamburi e trombe; da un’altra CESARE, LEPIDO, ANTONIO, ENOBARBO, MECENATE, AGRIPPA, MENAS e soldati in marcia.
POMPEO
Io ho i vostri ostaggi, e voi i miei;
tratteremo, prima di combattere.
CESARE
È opportuno che prima si discuta:
perciò abbiamo inviato in anticipo
le nostre proposte scritte. Avendole
vagliate, facci sapere se varranno
a fermare la tua spada scontenta,
e a riportare in Sicilia molti giovani gagliardi,
che altrimenti periranno qui.
POMPEO
A voi tre, unici senatori del mondo,
ministri supremi degli dei: non so
perché a mio padre dovrebbe mancare
chi lo vendichi, avendo amici e un figlio.
Giulio Cesare, che a Filippi apparve
in forma di spettro al virtuoso Bruto,
là vi vide al lavoro per lui.
Cosa spinse il pallido Cassio a cospirare?
e che cosa spinse l’onesto romano, Bruto,
da tutti onorato, con gli altri armati,
corteggiatori della bella libertà,
a bagnare di sangue il Campidoglio
– se non il desiderio che un uomo
sia soltanto un uomo? E per questo
ho armato la mia flotta, che col suo peso
fa schiumare di collera l’oceano
e con la quale intendo punire
l’ingratitudine di Roma tracotante
verso il mio nobile padre.
CESARE
Come vuoi.
ANTONIO
Non puoi spaventarci, Pompeo, con le tue vele.
Ti affronteremo sul mare. Per terra,
sai bene di quanto ti soverchiamo.
POMPEO
Già, bella soperchieria, per terra,
mi hai fatto con la casa di mio padre!
Ma giacché il cuculo non costruisce
il nido per se stesso, restaci quanto puoi.
LEPIDO
Dicci, ti prego – il resto non c’entra –
come accogli le proposte da noi inviate.
CESARE
Questo è il punto.
ANTONIO
Non cedere a un invito,
ma soppesa che cosa ti conviene.
CESARE
E quello che può nascere, se tenti
più grande ventura.
POMPEO
Mi avete offerto
Sicilia e Sardegna: io dovrei ripulire
tutto il mare dai pirati; inviare a Roma
misure di grano e, con questo accordo,
ci separeremmo senza intaccare
il filo delle spade, a scudi intonsi.
CESARE LEPIDO ANTONIO
Questa è la nostra offerta.
POMPEO
Sappiate, allora, che son venuto qui
pronto ad accettare l’offerta. Ma
Marcantonio mi ha fatto spazientire.
Anche se dirlo me ne toglie il merito,
sappi che quando Cesare e tuo fratello
erano in guerra, tua madre venne in Sicilia,
e vi trovò amichevole accoglienza.
ANTONIO
L’ho appreso, Pompeo, e sono ben disposto
a porgerti l’ampio ringraziamento
che ti devo.
POMPEO
Stringiamoci la mano:
non pensavo di incontrarti qui.
ANTONIO
I letti sono molli, in Oriente, e ti ringrazio
d’avermi fatto venire prima del previsto.
Ci ho guadagnato.
CESARE
Dall’ultima volta,
noto in te un cambiamento.
POMPEO
Beh, non so
che segni sul volto m’abbia lasciato
la dura sorte, ma non mi entrerà
nell’animo per renderlo vassallo.
LEPIDO
Ben ritrovato!
POMPEO
Lo spero, Lepido. Dunque, d’accordo:
ma desidero che la nostra intesa
sia messa per iscritto e sigillata.
CESARE
È la prima cosa da fare.
POMPEO
Ci inviteremo a banchetto, prima
di separarci, quindi tiriamo a sorte
chi comincerà.
ANTONIO
Tocca a me, Pompeo.
POMPEO
No, Antonio, tirerai a sorte; comunque,
primo o ultimo, la palma andrà
alla tua squisita cucina egiziana.
Ho udito che laggiù Giulio Cesare
s’è ingrassato a forza di banchetti.
ANTONIO
Quante ne hai sentite…
POMPEO
Dicevo in senso buono.
ANTONIO
E con belle parole.
POMPEO
Dunque, ho sentito questo, e poi che
Apollodoro portò…
ENOBARBO
Meglio non continuare: la portò.
POMPEO
Che cosa?
ENOBARBO
Una certa regina, a Giulio Cesare,
dentro un materasso.
POMPEO
Ora ti riconosco:
come stai, soldato?
ENOBARBO
Bene, e presto
ancor meglio, vedendo che ci aspettano
quattro banchetti.
POMPEO
Voglio stringerti la mano,
non ti ho mai odiato: ti ho visto combattere,
e invidiato il tuo valore.
ENOBARBO
Io, signore,
non vi ho mai molto amato; ma vi ho
lodato, e voi meritavate dieci volte
di più delle mie lodi.
POMPEO
Indulgi pure
alla tua franchezza, che ti si addice.
Vi invito tutti sulla mia galea.
Vi prego di precedermi, signori.
CESARE ANTONIO LEPIDO
Facci strada.
POMPEO
Di qui. (Escono tutti, tranne Menas e Enobarbo.)
MENAS (A parte.)
Tuo padre, Pompeo, non avrebbe mai fatto questo patto. – Noi ci siamo conosciuti, signore.
ENOBARBO
Sul mare, credo.
MENAS
Sì, signore.
ENOBARBO
E sul mare ve la siete cavata bene.
MENAS
E così voi per terra.
ENOBARBO
Loderò chiunque mi loda, benché non si possa negare quel che ho fatto per terra.
MENAS
Né quel che io ho fatto per mare.
ENOBARBO
Sì, una cosa puoi negare nel tuo interesse: per mare sei stato un gran ladro.
MENAS
E tu per terra.
ENOBARBO
Qui sconfesso il mio servizio di terra. Ma dammi la mano, Menas. Se i nostri occhi fossero due gendarmi, qui potrebbero sorprendere due ladri che si baciano.
MENAS
Gli uomini son tutti onesti in volto, checché siano le loro mani.
ENOBARBO
Ma non c’è bella donna che abbia il volto onesto.
MENAS
Non è una calunnia: rubano i cuori.
ENOBARBO
Eravamo venuti per farvi guerra.
MENAS
A me dispiace che sia finita in una gran bevuta. Quest’oggi Pompeo butta via ridendo la sua fortuna.
ENOBARBO
Se lo fa, non riuscirà certo a riprendersela piangendo.
MENAS
L’hai detto. Non ci aspettavamo qui Antonio. Di grazia, è sposato a Cleopatra?
ENOBARBO
La sorella di Cesare si chiama Ottavia.
MENAS
È vero: era la moglie di Caio Marcello.
ENOBARBO
E adesso è la moglie di Marcantonio.
MENAS
Come?
ENOBARBO
È vero.
MENAS
Allora lui e Cesare sono per sempre legati.
ENOBARBO
Se dovessi azzardare una predizione su quel legame, direi di no.
MENAS
Ritengo che la convenienza politica contò di più in queste nozze che non l’amore.
ENOBARBO
Lo ritengo anch’io. Ma vedrai che il nodo che sembra tener assieme la loro amicizia, sarà proprio quello che la strozzerà: Ottavia è d’indole austera, fredda e riservata.
MENAS
Chi non vorrebbe avere una moglie così?
ENOBARBO
Non uno che è tutt’altro – ossia Antonio. Ritornerà al suo piatto egiziano; e allora i sospiri di Ottavia faranno infiammare Cesare e (come ho detto prima) ciò che era la forza della loro amicizia si dimostrerà causa diretta della loro discordia. Antonio si abbandonerà alla passione là dov’è. Qui ha sposato soltanto la sua convenienza.
MENAS
Può ben darsi. Vuoi salire a bordo, signore? Ho un brindisi per te.
ENOBARBO
Lo accetterò, signore. In Egitto non abbiamo tenuto le gole a secco.
MENAS
Su, andiamo. (Escono.)
ATTO SECONDO – SCENA SETTIMA
(A bordo della galea di Pompeo, al largo di Capo Miseno.)
Suon di musica. Entrano due o tre servi con un rinfresco.
I SERVO
Eccoli che arrivano, marinaio. Le piante di qualcuno sono già mal piantate, il minimo soffio di vento le butterà a terra.
II SERVO
Lepido è già paonazzo.
I SERVO
Gli han fatto dar fondo alle bottiglie.
II SERVO
Quando si stuzzicano sul punto debole, egli grida “Basta”; riconcilia gli altri a quell’invito, e se stesso al bere.
I SERVO
Ma sollevando gran guerra fra lui e il buon senso.
II SERVO
Ebbene, càpita, ad avere un nome fra i grandi. Io preferirei avere una canna che non mi serve a nulla, piuttosto d’una partigiana che non potessi sollevare.
I SERVO
Esser chiamati in un’alta sfera, e non mostrare di sapercisi muovere, è come avere vuote orbite al posto degli occhi: sfigura miseramente il viso.
Suon di musica. Entrano CESARE, ANTONIO, POMPEO, LEPIDO, AGRIPPA, MECENATE, ENOBARBO, MENAS, e altri capitani.
ANTONIO (A Cesare.)
Fanno così: misurano il livello del Nilo
da certe tacche graduate sulla piramide,
e se è alto, basso o medio, sanno
se seguirà abbondanza o carestia.
Più gonfia il Nilo, e più promette;
quand’esso si ritrae, il seminatore
sparge sul limo e sulla melma la semente,
e in breve tempo si ha il raccolto.
LEPIDO
Laggiù avete strani serpenti?
ANTONIO
Sì, Lepido.
LEPIDO
Il vostro serpente d’Egitto nasce dal vostro fango per opera del vostro sole: e così il vostro coccodrillo.
ANTONIO
Proprio così.
POMPEO
Sedete – e del vino! Alla salute di Lepido!
LEPIDO
Non mi sento bene come dovrei: ma non mi tiro indietro.
ENOBARBO
Non finché non ci avrete dormito su: fino allora non ci passerà la sbornia.
LEPIDO
Eh già. Ho sentito che le piramidi dei Tolomei son cose bellissime: l’ho sentito senza tema di smentita.
MENAS (A parte a Pompeo.)
Pompeo, una parola.
POMPEO (A parte a Menas.)
Dimmela in un orecchio. Che c’è?
MENAS (A parte a Pompeo.)
Lascia il sedile, per un momento, ti prego, capitano, e ascoltami.
POMPEO (A parte a Menas.)
Aspetta un momento. Brindo a Lepido!
LEPIDO
Che specie di bestia è il vostro coccodrillo?
ANTONIO
Ha una forma uguale alla sua, signore, ed è grande quanto la sua grandezza; è alto proprio quant’è alto, e si muove coi suoi organi. Vive di ciò che lo nutre, e quando non ha più gli elementi vitali, trasmigra.
LEPIDO
Di che colore è?
ANTONIO
Del suo colore.
LEPIDO
È un rettile straordinario.
ANTONIO
Già, e le sue lacrime sono bagnate.
CESARE
Gli basterà questa descrizione?
ANTONIO
Con tutti i brindisi che gli fa Pompeo… se no è un vero epicureo.
POMPEO (A parte a Menas.)
Va’ sulla forca, va’! Parlarmi di questo? Via!
Fa’ come ti dico. – Dov’è la coppa che ho chiesto?
MENAS (A parte a Pompeo.)
Se per i miei meriti vorrai ascoltarmi, alzati dal sedile.
POMPEO (A parte a Menas.)
Credo tu sia ammattito. Che cosa c’è?
(S’alza e va da parte.)
MENAS
Alle tue fortune ho sempre fatto tanto di cappello.
POMPEO
Mi hai sempre servito fedelmente.
Che altro hai da dire? Allegri, signori.
ANTONIO
Da queste sabbie mobili, Lepido,
tienti alla larga, o ci affonderai.
MENAS
Vuoi essere padrone del mondo intero?
POMPEO
Che dici?
MENAS
Per la seconda volta,
vuoi essere padrone del mondo intero?
POMPEO
E come?
MENAS
Accogli solo l’idea,
e benché tu mi creda povero, sarò io
a darti il mondo intero.
POMPEO
Hai bevuto?
MENAS
No, Pompeo, mi sono astenuto dal bere.
Se solo osi, sarai Giove in terra.
Tutto ciò che l’oceano circonda
o il cielo abbraccia, se vuoi sarà tuo.
POMPEO
Mostrami come.
MENAS
Questi triumviri, tuoi soci,
sono sulla nave. Io taglio gli ormeggi,
e al largo, saltiamogli alla gola;
e tutto sarà tuo.
POMPEO
Dovevi farlo,
e non parlarmene! È un’infamia,
per me, mentre per te sarebbe stato
rendermi un buon servigio. Devi sapere
che non è il mio profitto a guidare
il mio onore, ma il contrario. Pentiti
che la tua lingua così abbia tradito
la tua azione. Se fatta senza dirmelo,
dopo l’avrei trovata ben fatta; ma ora
devo condannarla. Desisti, e bevi.
MENAS (A parte.)
E allora io più non seguirò
la tua fortuna indebolita. Chi cerca
e non la prende, quand’abbia l’occasione,
non la ritroverà mai più.
POMPEO
Brindo a Lepido!
ANTONIO
Portalo a terra. Brinderò io per lui, Pompeo.
ENOBARBO
E quest’è per te, Menas.
MENAS
Benvenuto, Enobarbo.
POMPEO
Riempite le coppe fino a traboccare!
ENOBARBO
Ecco un uomo robusto, Menas.
(Indica il servo che porta via Lepido.)
MENAS
Perché?
ENOBARBO
Porta un terzo del mondo: non vedi?
MENAS
Allora un terzo del mondo è ubriaco:
lo fosse interamente, tutto filerebbe liscio!
ENOBARBO
Bevi; aumentiamo la baldoria.
MENAS
Avanti.
POMPEO
Non è ancora una festa alessandrina.
ANTONIO
Ma vi si avvicina. Spillate i barili!
Alla salute di Cesare!
CESARE
Ne farei a meno.
È gran fatica, lavarsi il cervello,
e quello ti si intorbida.
ANTONIO
Adèguati
alle circostanze.
CESARE
Dòminale, io dico.
Ma meglio digiunar per quattro giorni,
che bere tanto in uno solo.
ENOBARBO (Ad Antonio.)
Ah, valoroso generale,
vogliamo ballare il baccanale egiziano,
per celebrare le nostre libagioni?
POMPEO
Ma sì, certo, buon soldato!
ANTONIO
Prendiamoci tutti per mano, finché
il vino vincitore sprofondi i nostri sensi
in un morbido e dolcissimo lete.
ENOBARBO
Tutti per mano. Bombardateci
con musica fragorosa le orecchie;
intanto io vi metto ai vostri posti,
e poi faremo cantare il ragazzo.
E ciascuno a gran voce il ritornello
sosterrà con quanto fiato ha in corpo.
(Musica. Enobarbo li mette per mano.)
CANZONE
Vieni, tu, signore del vino,
Bacco paffuto, con l’occhiolino!
Nei tuoi tini le cure affoghiamo
Dei tuoi pampini ci incoroniamo.
Versa, fin che il mondo giri!
Versa, fin che il mondo giri!
CESARE
Che volete di più? Buona notte, Pompeo.
Caro fratello, prendiamo congedo:
i nostri gravi impegni aggrottano le ciglia
a questa leggerezza. Separiamoci,
gentili signori: come vedete,
abbiamo fatto avvampare le gote.
Il forte Enobarbo è più debole del vino,
e la mia lingua farfuglia quando parla.
Questa sfrenata ebbrezza ci ha quasi
resi tutti buffoni. Perché altre parole?
Buona notte. Antonio, dammi la mano.
POMPEO
Vi metterò alla prova sulla riva.
ANTONIO
D’accordo. Stringiamoci la mano.
POMPEO
Ah, Antonio,
tu hai la casa di mio padre. Ma…
non siamo amici? Caliamoci nella scialuppa.
ENOBARBO
Attenti a non cadere. Menas,
(Escono tutti tranne Enobarbo e Menas.)
io non scendo a terra.
MENAS
No, nella mia cabina.
Quei tamburi, quelle trombe e flauti! Su!
Che Nettuno senta che fragoroso addio
diamo a questi grandi amici! Sonate,
che vi venga un accidente, sonate!
(Squilli di tromba e tamburi.)
ENOBARBO
Ohè, dice lui! Ecco il mio berretto.
MENAS
Oho! Vieni, nobile capitano. (Escono.)
Antonio e Cleopatra
(“Antony and Cleopatra” – 1607)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V