Cimbelino – Atto I

(“Cymbelyne”  1609/1610)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Cimbelino - Atto I

Personaggi
CIMBELINO, re di Britannia
CLOTEN, figlio della regina (da marito precedente)
POSTUMO LEONATO, gentiluomo, marito di Imogene
BELARIO, nobile esiliato, sotto il nome di Morgan
GUIDERIO, ARVIRAGO: figli di Cimbelino, sotto i nomi di Polidoro e Cadwal, presunti figli di Morgan
FILARIO, amico di Postumo. Italiano
IACHIMO, amico di Filario. Italiano
CAIO LUCIO, generale dell’esercito romano
PISANIO, servo di Postumo
CORNELIO, medico
FILARMONIO, indovino
Un capitano romano
Due capitani britanni
Un francese, amico di Filario
Due signori della corte di Cimbelino
Due gentiluomini della stessa
Due carcerieri
LA REGINA, moglie di Cimbelino
IMOGENE, figlia di Cimbelino (da una regina precedente)
ELENA, dama di compagnia di Imogene
Nobili, dame, senatori romani, tribuni, un olandese, uno spagnolo, musici, ufficiali, capitani, soldati, messaggeri ed altri del seguito
SPIRITI

ATTO PRIMO – SCENA PRIMA

Entrano due gentiluomini.

PRIMO GENTILUOMO

S’incontrano solo volti accigliati:

le nostre passioni non obbediscono al cielo,

proprio come nell’aspetto i cortigiani

non si accordano ai sentimenti del re.

SECONDO GENTILUOMO

Ma che accade?

PRIMO GENTILUOMO

Sua figlia, l’erede al trono, da lui

destinata all’unico figlio di sua moglie

– una vedova che ha sposato da poco –

s’è data a un gentiluomo povero, ma degno.

L’ha sposato. Il marito ora è esiliato,

lei imprigionata, e ovunque si vede solo dolore.

Il re però è ferito al cuore.

SECONDO GENTILUOMO

Solamente il re?

PRIMO GENTILUOMO

Anche colui che l’ha persa. E poi

la regina, che più di tutti voleva

quelle nozze. Ma non c’è uomo a corte

che, per quanto imiti nel volto

l’atteggiamento del re, non sia lieto in cuore

di ciò che deplora in apparenza.

SECONDO GENTILUOMO

E perché?

PRIMO GENTILUOMO

Colui che non è riuscito

ad avere la principessa è cosa troppo vile

perfino per dirne male. E colui

che invece c’è riuscito – voglio dire,

che l’ha sposata e perciò, poveretto, è bandito –

è creatura che a trovarne una simile

su tutta la terra, pur sempre mancherebbe

di qualcosa al suo confronto.

Nessuno, credo, è dotato quanto lui

di bellezza nell’aspetto e di virtù nell’animo.

SECONDO GENTILUOMO

Ne fate lodi assai estese.

PRIMO GENTILUOMO

Ampie, signore, ma entro i limiti

dei meriti suoi; non li ingrandisco

di certo, anzi sminuisco lui.

SECONDO GENTILUOMO

Come si chiama, e qual è la sua famiglia?

PRIMO GENTILUOMO

Non so scavare nel suo passato

fino alle radici; suo padre si chiamava Sicilio

e combatté con Cassibellano contro i Romani,

ma i titoli gli vennero da Tenanzio,  che servì

con gloria e con successo ammirato da tutti;

e così si guadagnò il soprannome di Leonato.

Oltre al gentiluomo in questione costui ebbe

altri due figli che nelle guerre di quel tempo

morirono brandendo la spada. Legato com’era

alla prole, e vecchio ormai, il padre

n’ebbe tale dolore che cessò di vivere;

e la nobile sposa, incinta di questo gentiluomo,

morì l’istante in cui egli nacque.

Il re prende allora il bambino

sotto la sua protezione, gli dà nome

Postumo Leonato, l’alleva, lo tiene

fra i suoi paggi di camera, gli offre

tutta la scienza che alla sua età

è in grado di ricevere; e lui, come gli viene

insegnata, con facilità e rapidità l’assorbe

quasi fosse l’aria per noi,

e a primavera della vita sua miete il raccolto.

A corte è lodato ed amato – cosa assai rara;

insomma, per i più giovani un esempio,

uno specchio per i più maturi

che li obbliga a seguire le regole, per i più saggi

un ragazzo capace di guidare i vecchi.

Quanto a sua moglie – a causa della quale

ora è esiliato – il valore stesso di lei

indica quanto lo stimi; e la sua scelta prova

la virtù di lui e qual uomo egli sia.

SECONDO GENTILUOMO

Gli rendo onore per le vostre parole.

Ma vi prego, dite: lei è l’unica figlia del re?

PRIMO GENTILUOMO

La sola. Aveva – ma forse non vale

neppure la pena di saperlo – anche

due figli; furono rapiti dalla culla,

il maggiore a tre anni, l’altro ancora

in fasce; e a tutt’oggi non si sa

dove siano andati a finire.

SECONDO GENTILUOMO

Quanto tempo è passato da allora?

PRIMO GENTILUOMO

Circa vent’anni.

SECONDO GENTILUOMO

Figli di un re, e rapiti in questo modo!

Così mal sorvegliati! E ricercati con lentezza

tale da non esser mai ritrovati!

PRIMO GENTILUOMO

Per quanto strano sia e si possa

ridere di tanta negligenza, questa,

signore, è la verità.

SECONDO GENTILUOMO

Vi credo senz’altro.

PRIMO GENTILUOMO

Dobbiamo allontanarci. Ecco che arrivano

il gentiluomo, la regina, e la principessa. [Escono.]

ATTO PRIMO – SCENA SECONDA

Entrano la Regina, Postumo e Imogene.

REGINA

No, figlia, stai sicura che non ti sarò ostile

come pretendono le calunnie sulle matrigne.

Sei mia prigioniera, ma il carceriere

ti rilascerà le chiavi della tua prigione.

Quanto a voi, Postumo, appena sarò

riuscita a portare dalla mia parte il re

incollerito, diverrò vostro avvocato:

in verità il fuoco della rabbia

brucia ancora in lui, e sarebbe bene

che vi piegaste al suo decreto con la pazienza

che la vostra saggezza saprà consigliarvi.

POSTUMO

Se piace a Vostra Altezza, partirò di qui

oggi stesso.

REGINA

Conoscete il pericolo.

Compatisco le sofferenze d’un amore ostacolato:

passeggerò un poco in giardino, anche se il re

ha ordinato che non vi parliate. [Esce.]

IMOGENE

Oh, falsa cortesia!

Sa bene, questa tiranna, fare carezze

proprio dove ferisce! Sposo carissimo,

temo un poco l’ira di mio padre,

ma – senza venir meno al mio sacro dovere –

non ho alcuna paura di quel che la sua collera

può farmi. Tu devi partire, ed io

rimarrò qui a sopportare ad ogni istante

occhiate furibonde; senza altro conforto

nella vita salvo il pensiero che al mondo

c’è questo gioiello che forse potrò rivedere.

POSTUMO

Mia regina, mia amata, non piangere più, signora,

o a ragione mi sospetteranno di maggiore tenerezza

che non s’addica a un uomo. Resterò il marito

più fedele che mai abbia giurato alle sue nozze.

Vivrò a Roma, presso un certo Filario

che era amico di mio padre e che io conosco

solo per lettera; scrivimi lì, mia regina,

e con i miei occhi berrò le parole che mi invii,

fosse l’inchiostro fatto anche di fiele.

Rientra la Regina.

REGINA

Vi prego, siate brevi: se venisse il re,

chissà quanta collera dovrei sopportare.

[A parte] Invece lo convincerò a passare di qui:

se gli faccio un torto, per rimanermi amico

ne sborsa anche il prezzo: paga care le mie offese. [Esce.]

POSTUMO

Se prendere congedo durasse tutto il tempo

che ci resta da vivere, l’amarezza

di separarci crescerebbe sempre. Addio!

IMOGENE

No, rimani ancora un poco: fosse soltanto

per andare a cavallo a prender aria,

un addio così sarebbe troppo meschino.

Guarda, amore, qui: questo diamante

era di mia madre; prendilo, mio cuore;

e tienilo finché non sposi un’altra moglie,

quando Imogene sarà morta.

POSTUMO

Come? Come, un’altra? O dèi clementi,

datemi soltanto questa che ho,

e con catene di morte suggellate

i miei abbracci a un’altra. Rimani qui, rimani,

[mettendosi l’anello]

finché ti possono tenere i sensi miei.

E, mia dolcissima, mia bella, se ho scambiato con te

la mia povera persona e tu ne hai avuto

perdita infinita, fra noi due io guadagno

anche in affari da nulla.

Porta, per amor mio, questo bracciale:

[mettendole un braccialetto al polso]

manette d’amore metto così

alla più bella delle prigioniere.

IMOGENE

Oh dèi! Quando ci rivedremo?

Entrano Cimbelino e Signori.

POSTUMO

Ahimè, il re!

CIMBELINO

Via di qui, essere vilissimo. Lontano dal mio sguardo!

Se dopo quest’ordine ancora sulla corte

fai gravare il peso della tua presenza indegna,

morirai. Via! Sei veleno al mio sangue.

POSTUMO

Vi proteggano gli dèi, e benedicano i buoni

che restano a corte! Me ne vado. [Esce.]

IMOGENE

Neppure la morte ha morsi così atroci.

CIMBELINO

Creatura senza lealtà, che dovresti

ridarmi la giovinezza, e invece

accumuli gli anni su di me!

IMOGENE

Vi supplico, sire, non vi fate da solo

del male con la rabbia. All’ira vostra sono

insensibile. Un sentimento più raro

vince in me ogni dolore, ogni paura.

CIMBELINO

Senza più alcuna grazia! Non hai più obbedienza!

IMOGENE

Senza speranza, disperata, e perciò senza grazia.

CIMBELINO

Tu che potresti aver avuto

l’unico figlio della mia regina!

IMOGENE

Una benedizione, non aver potuto!

Ho scelto un’aquila, ed evitato un nibbio.

CIMBELINO

Hai preso un mendicante, e del mio trono

avresti fatto cattedra d’ignominia.

IMOGENE

Anzi, vi avrei aggiunto splendore.

CIMBELINO

Tu, vile!

IMOGENE

Sire, vostra è la colpa

se mi sono innamorata di Postumo:

lo avete allevato mio compagno di gioco,

ed è uomo degno di qualunque donna:

vale più del prezzo che paga per me.

CIMBELINO

Cosa? Sei pazza?

IMOGENE

Quasi, sire. Mi guarisca il cielo!

Ah, fossi la figlia di un bovaro, e il mio

Leonato figlio d’un pastore nostro vicino!

CIMBELINO

Folle che sei!…

Rientra la Regina.

Li ho trovati ancora insieme;

non avete eseguito i nostri ordini.

Portatela via e chiudetela a chiave.

REGINA

Pazienza, vi supplico. Silenzio, figlia,

silenzio! – Amato sovrano, lasciateci sole,

e trovate conforto riflettendo.

CIMBELINO

No! Che languisca perdendo ogni giorno

una goccia di sangue, e invecchi,

e muoia di questa sua follia.

[Escono Cimbelino e Signori.]

REGINA

Vergogna! Dovrete cedere. Ecco

Entra Pisanio.

il vostro servitore. Ebbene, signore, che notizie?

PISANIO

Vostro figlio ha sguainato la spada

contro il mio padrone.

REGINA

Che? Non si son fatti male, spero.

PISANIO

Avrebbero potuto, se il mio padrone

avesse combattuto sul serio. Invece,

ha giocato, e non era certo spinto

dall’ira. Sono stati separati

da due gentiluomini che erano lì.

REGINA

Ne sono felice.

IMOGENE

Vostro figlio è amico di mio padre,

e perciò prende le sue parti sguainando

contro un esule la spada. Ma che valoroso!

Come vorrei che duellassero in mezzo all’Africa!

Con una spilla, lì, io pungerei

quello che dei due indietreggiasse!

Perché avete lasciato il vostro padrone?

PISANIO

Ordini suoi: non voleva che l’accompagnassi

al porto. Ha lasciato queste istruzioni

su quello che dovrò fare quando

vi piacerà di servirvi di me.

REGINA

Costui è stato sempre vostro servitore

fedele, e sul mio onore giurerei

che rimarrà tale.

PISANIO

Ringrazio umilmente Vostra Altezza.

REGINA

Passeggiamo un poco, vi prego.

IMOGENE

Fra mezz’ora venite a colloquio da me.

Intanto andate almeno a vedere imbarcarsi

il mio signore. Per ora, lasciatemi. [Escono.]

ATTO PRIMO – SCENA TERZA

Entrano Cloten e due Signori.

PRIMO SIGNORE

Signore, vi consiglierei di cambiare camicia; la violenza del duello vi ha fatto fumare come un sacrificio sull’altare. Dove c’è aria che esce, c’è aria che entra, e qui attorno non c’è aria più salubre di quella che esalate voi.

CLOTEN

Se la mia camicia fosse intrisa di sangue, allora la cambierei. L’ho ferito?

SECONDO SIGNORE [a parte]

No davvero. E neppure la sua pazienza.

PRIMO SIGNORE

Ferito? Se non è ferito, allora il suo corpo è una carcassa che si può trafiggere a piacimento. È una via maestra per la lama, se non è ferito.

SECONDO SIGNORE [a parte]

Lama che è scappata via, come un debitore che svicola sul retro per sfuggire ai creditori.

CLOTEN

Non è riuscito a farmi fronte, il vigliacco.

SECONDO SIGNORE [a parte]

No, fuggiva sempre in avanti, verso il tuo viso.

PRIMO SIGNORE

Farvi fronte? Avete già abbastanza terre: ma lui ve n’ha date dell’altre cedendovi terreno.

SECONDO SIGNORE [a parte]

Sì, un’isola di un centimetro per ogni oceano che possiedi. Buffoni!

CLOTEN

Vorrei che non ci avessero separato.

SECONDO SIGNORE [a parte]

Anch’io. Così, disteso a terra, avresti misurato l’ampiezza della tua idiozia.

CLOTEN

Che lei debba amare quel tipo e rifiutare me!

SECONDO SIGNORE [a parte]

Se sceglier bene è peccato, allora è dannata.

PRIMO SIGNORE

Come vi ho sempre detto, signore, la sua bellezza e il suo cervello non vanno di pari passo. Ha un bel viso, ma l’intelligenza vi si riflette poco.

SECONDO SIGNORE [a parte]

Non splende sugli sciocchi, perché ha paura che il riflesso le farebbe male.

CLOTEN

Bene, torno nella mia camera. Come vorrei che ci fossimo fatti male!

SECONDO SIGNORE [a parte]

Non io. A meno che non fosse caduto un asino, che non è poi un gran male.

CLOTEN

Venite con noi?

PRIMO SIGNORE

Accompagnerò Vostra Signoria.

CLOTEN

Venite, andiamo assieme.

SECONDO SIGNORE

Bene, signore. [Escono.]

ATTO PRIMO – SCENA QUARTA

Entrano Imogene e Pisanio.

IMOGENE

Vorrei che tu andassi al porto e ci restassi

a chiedere notizie ad ogni vela.

Se mi scrive ma io non ricevo

le sue lettere, è carta al vento,

come un decreto di grazia mai arrivato.

Quali sono le ultime parole che ti ha detto?

PISANIO

Diceva: “Mia regina, mia regina!”.

IMOGENE

E poi ha sventolato il fazzoletto?

PISANIO

E lo baciava, signora.

IMOGENE

O tessuto insensibile, tanto

più felice di me! E questo è tutto?

PISANIO

No, signora. È rimasto sul ponte

sin quando ha potuto farsi distinguere

tra gli altri dalla mia vista e dal mio udito,

sempre sventolando un guanto, il cappello, il fazzoletto,

come se i moti e gli impulsi del suo cuore

dicessero così con che lentezza

l’anima sua prendeva il largo,

e quanto veloce invece la sua nave.

IMOGENE

Non avresti dovuto lasciarlo con lo sguardo

finché non fosse divenuto piccolo

come un corvo – e ancora più minuscolo.

PISANIO

Signora, è quel che ho fatto.

IMOGENE

Io avrei spezzato i nervi dei miei occhi,

li avrei fatti spaccare per guardarlo,

finché la distanza non l’assottigliasse come un ago:

anzi, l’avrei seguito sino a quando,

ridotto a moscerino, non si dissolvesse in aria.

Allora avrei distolto gli occhi, e pianto.

Ma, buon Pisanio, quando avremo sue notizie?

PISANIO

Appena potrà mandarle, signora, di sicuro.

IMOGENE

Non ho potuto salutarlo, eppure avevo

tante cose affettuose da dirgli.

Prima che gli potessi dire quanto

lo penserò a certe ore del giorno,

e con quali pensieri; prima

di potergli far giurare che le donne d’Italia

non gli faranno tradire il mio amore e il suo onore;

prima di ordinargli che s’unisca alle mie preghiere

alle sei, a mezzogiorno e a mezzanotte

– ché allora per lui io sarei in cielo –

prima che gli potessi dare il bacio dell’addio

incastonandolo fra parole magiche di auguri:

ecco, giunge mio padre e, come il soffio

prepotente del vento del nord, spazza via

i nostri germogli in boccio.

Entra una dama.

DAMA

Signora, la regina desidera

la compagnia di Vostra Altezza.

IMOGENE

Esegui gli ordini che ti ho dato.

Io vado dalla regina.

PISANIO

Signora, sarà fatto. [Escono.]

ATTO PRIMO – SCENA QUINTA

Entrano Filario, Iachimo, un francese, un olandese e uno spagnolo.

IACHIMO

Signore, credetemi, l’ho visto in Britannia; cresceva, allora, la sua reputazione, e ci si attendeva che egli si provasse pienamente degno della fama che poi ha avuto. Ma a quel tempo avrei ancora potuto guardarlo senza stupire, anche se il catalogo delle sue virtù gli fosse stato dispiegato accanto e io l’avessi studiato voce per voce.

FILARIO

Parlate delle sue doti quando erano minori di adesso sia nell’animo che nell’aspetto.

FRANCESE

Io l’ho visto in Francia: ne abbiamo parecchi lì che, al modo delle aquile, riescono come lui a guardare il sole ad occhi nudi.

IACHIMO

L’avere sposato la figlia del re, per cui, quando lo si stima, il suo peso dipende dal valore di lei piuttosto che da quello personale, certamente gli dà una reputazione assai maggiore dei suoi meriti.

FRANCESE

E poi c’è il suo esilio.

IACHIMO

Già, e la simpatia di coloro che seguono la bandiera di lei e piangono per questa triste separazione non fa che aumentare straordinariamente la sua fama. Se non altro, per difendere il criterio, del resto facile da attaccare e demolire, che l’ha portata a scegliere come marito un poveraccio senza alcuna qualità. Ma come mai verrà a stare da voi? Come si è insinuato fra le vostre conoscenze?

FILARIO

Suo padre ed io siamo stati soldati assieme, e gli devo la vita per più di un’occasione. Ecco, il britanno arriva. Accoglietelo fra di voi come si conviene a gentiluomini della vostra esperienza nei confronti di uno straniero di rango.

Entra Postumo.

Prego voi tutti di fare miglior conoscenza di questo gentiluomo, che vi raccomando come mio nobile amico. Piuttosto che celebrarlo in sua presenza, lascerò che il suo valore si mostri da solo col tempo.

FRANCESE

Signore, ci siamo conosciuti ad Orleans.

POSTUMO

E da allora vi sono debitore di cortesie per le quali vi dovrò per sempre pagare e ripagare.

FRANCESE

Date, signore, troppo valore ad un favore assai modesto. Fui lieto di rappacificarvi con quel mio connazionale: sarebbe stato un vero peccato se vi foste scontrati con le intenzioni funeste che avevate allora per un motivo così insignificante.

POSTUMO

Perdonatemi, signore, io non ero a quell’epoca che un giovane in giro per il mondo: mi rifiutavo di dare ascolto a quel che sentivo, e ancor più di essere guidato nelle mie azioni dall’esperienza altrui. Ma anche nel più maturo giudizio di ora – se non è offesa proclamarlo tale – i miei motivi nel litigio non erano poi così insignificanti.

FRANCESE

Anche troppo, veramente, perché ne fossero arbitre le spade. E per di più per mano di due che con ogni probabilità sarebbero caduti entrambi, oppure l’uno avrebbe eliminato l’altro.

IACHIMO

Possiamo, senza essere indiscreti, chiedere quale fosse il motivo del contendere?

FRANCESE

Sicuro. Era una discussione pubblica, della quale si può perciò riferire senza timore d’essere contraddetti. Un dibattito simile a quello di ieri sera, in cui ciascuno di noi si mise a lodare le donne del suo paese. Questo gentiluomo sosteneva allora – ed era pronto a pagare l’affermazione col sangue – che la sua donna era più bella, più virtuosa, più saggia, più casta, più costante e meno facile da conquistare di una qualsiasi fra le donne migliori di Francia.

IACHIMO

Quella donna, ora, non è più in vita. Oppure l’opinione di questo gentiluomo è per forza cambiata.

POSTUMO

Ella mantiene tutta la sua virtù, ed io la mia opinione.

IACHIMO

Ma non dovete celebrarla così, mettendola innanzi alle nostre donne italiane.

POSTUMO

Fossi provocato come in Francia, non la rinnegherei in nulla, anche se mi considero suo adoratore e non suo amante.

IACHIMO

Bella e buona in pari misura! Una specie di paragone fra eguali! Sarebbe troppo bello e troppo buono per qualsiasi donna di Britannia. Superasse pure altre che ho conosciuto, come il vostro diamante offusca parecchi di quelli che ho visto, non sarei però convinto che sia superiore a molte. Del resto, io non ho ancora veduto il diamante più prezioso, né voi la donna migliore.

POSTUMO

L’ho lodata secondo la stima che ne ho; e così faccio con la mia pietra.

IACHIMO

E quanto la valutate?

POSTUMO

Più di qualsiasi possedimento al mondo.

IACHIMO

O la vostra donna senza pari è morta, oppure è battuta in valore da un gingillo.

POSTUMO

Siete in errore: l’uno potrebbe essere venduto o regalato se vi fosse denaro sufficiente a comperarlo o merito abbastanza da ricompensare con un regalo. L’altra non è roba da vendere: è un dono degli dèi.

IACHIMO

Che gli dèi hanno fatto a voi?

POSTUMO

Che per grazia degli dèi io mi terrò.

IACHIMO

Potete ritenerla vostra di nome: ma sapete bene che uccelli stranieri si posano spesso sugli stagni di casa. Anche l’anello vi può essere rubato: e così dei due inestimabili vostri tesori, uno è fragile e l’altro accidentale. Un ladro astuto o un cortigiano esperto a perfezione in queste cose potrebbero tentare d’impadronirsi dell’uno e dell’altro.

POSTUMO

Non c’è, in questa vostra Italia, un cortigiano così perfetto da vincere l’onore della mia donna, se dal suo mantenerlo o perderlo dipende il nome di “fragile” che le attribuite. Non dubito che abbiate abbondanza di ladri in Italia: però non ho paura per il mio anello.

FILARIO

Fermiamoci qui, signori.

POSTUMO

Con tutto il cuore, signore. Questo nobile gentiluomo – e lo ringrazio per questo – non mi tratta certo da straniero: anzi, fin da principio abbiamo ben legato.

IACHIMO

Mi basterebbe una conversazione soltanto cinque volte più lunga di questa per guadagnare terreno sulla vostra donna: per farla arretrare, e infine arrendere, l’ammissione alla sua presenza e un’occasione favorevole.

POSTUMO

No, no.

IACHIMO

Sarei disposto a impegnare metà dei miei averi contro il vostro anello, che comunque ritengo valga di meno. Ma scommetto più contro la vostra fiducia che sulla reputazione di lei. Per impedire che vi offendiate per questo, dichiaro che farei il tentativo con qualsiasi donna al mondo.

POSTUMO

Con questa arrogante convinzione commettete un grosso errore, e non ho dubbi che dovrete sopportare ciò che meritate per il vostro tentativo.

IACHIMO

E cioè?

POSTUMO

Un rifiuto, anche se il tentativo – come lo chiamate – meriterebbe ben di più: una punizione.

FILARIO

Signori, basta con questa discussione: è scoppiata troppo d’impulso. Lasciatela morire come è nata e, vi prego, cercate di conoscervi meglio.

IACHIMO

Vorrei avere scommesso tutti i miei averi e quelli del mio vicino a prova di quel che ho detto.

POSTUMO

E quale donna vorreste attaccare?

IACHIMO

La vostra, quella che voi credete così al sicuro nella sua costanza. Scommetto diecimila ducati contro il vostro anello che, se mi procurate una presentazione presso la corte della vostra donna, col solo vantaggio di un secondo colloquio mi porterò via quel suo onore che voi immaginate così ben difeso.

POSTUMO

Sono pronto a scommettere oro contro il vostro oro, ma l’anello mi è caro quanto il dito e fa parte di me stesso.

IACHIMO

Siete suo amico, e perciò più prudente. Potete anche comprare carne di donna a un milione il grammo: non riuscirete comunque a prevenirne la corruzione. Ma vedo che avete un po’ di timor sacro.

POSTUMO

Usate la lingua soltanto per abitudine. Spero che abbiate animo più serio.

IACHIMO

Sono padrone delle mie parole, e giuro che farò quello che ho detto.

POSTUMO

Davvero? Ebbene, impegnerò il mio anello fino al vostro ritorno. Stiliamo accordi precisi fra di noi. La virtù della mia donna supera l’enorme rozzezza dei vostri indegni pensieri. Vi sfido alla prova: ecco il mio anello.

FILARIO

Non voglio che questa scommessa si faccia.

IACHIMO

Per gli dèi, ormai è fatta. Se non vi porto prova sufficiente che ho goduto delle parti più preziose della vostra donna, i miei diecimila ducati sono vostri, e anche il vostro diamante. Se ritorno lasciandole l’onore in cui riponete tanta fiducia, lei che è il vostro gioiello, e questo gioiello che è vostro, e il mio oro, sono vostri. A patto che io abbia da voi una presentazione che mi consenta di vederla liberamente.

POSTUMO

Accetto queste condizioni. Stabiliamo gli articoli del patto. Dovrete rispondere a quanto segue: se su di lei riuscite a compiere la vostra incursione e mi fate sapere con certezza che avete vinto, io non sono più vostro nemico. Ella non vale una contesa fra di noi. Se invece lei non si lascia sedurre e voi non potete provare il contrario, mi risponderete con la spada dell’opinione offensiva che avete e dell’attacco che avrete portato alla sua castità.

IACHIMO

Qua la mano, l’accordo è fatto. Lo faremo redigere dai legali. E poi, dritto in Britannia, che il patto non si raffreddi e muoia d’inedia. Vado a prendere l’oro e a far registrare le nostre scommesse.

POSTUMO

D’accordo. [Escono Postumo e Iachimo.]

FRANCESE

Credete che la cosa andrà avanti?

FILARIO

Il signor Iachimo non è uomo da tornare indietro. Seguiamoli, vi prego. [Escono.]

ATTO PRIMO – SCENA SESTA

Entrano la Regina, Dame e Cornelio.

REGINA

Cogliete quei fiori mentre la rugiada

ricopre ancora la terra. Presto.

Chi ne ha la lista?

PRIMA DAMA

Io, Signora.

REGINA

Andate. [Le dame escono.]

Allora, dottore, avete portato quelle droghe?

CORNELIO

Sì, se piace a Vostra Altezza: eccole qui, signora.

[Porgendo una scatoletta.]

Ma supplico Vostra Grazia, senza offesa –

la mia coscienza m’obbliga a chiedere perché

m’avete ordinato questi velenosissimi composti,

che con il tempo causano la morte:

lenta, ma certa.

REGINA

Mi meraviglio, dottore,

che tu mi faccia simile domanda.

Non sono forse stata a lungo tua allieva?

Non mi hai insegnato come far profumi?

E a distillare, a preparare conserve? Tanto

che il grande re in persona spesso

mi supplica di dargli le mie pozioni?

Ora che ho imparato tutto questo, non è giusto

– a meno che tu non mi consideri un demonio –

che io aumenti le mie conoscenze

con altri esperimenti? Proverò la potenza

di questi tuoi composti su creature

che non vale neppure la pena d’impiccare

– non esseri umani – per saggiarne

la forza ed applicare rimedi alla loro azione,

e così conoscerne le virtù e gli effetti.

CORNELIO

Con queste pratiche Vostra Altezza

non farà che indurire il proprio cuore:

e inoltre, osservare tali effetti produrrà

ribrezzo e pericolo d’infezione.

REGINA

Oh, sta’ tranquillo.

Entra Pisanio.

[A parte] Ecco un furfante adulatore. Su di lui

per primo farò l’esperimento.

Sta dalla parte del padrone suo,

contro mio figlio. – Allora, Pisanio!

Dottore, l’ufficio vostro per ora è terminato.

Andate pure.

CORNELIO [a parte]

Su di voi, signora, ho i miei sospetti.

Ma non riuscirete a fare danni.

REGINA [a Pisanio]

Ascolta: una parola.

CORNELIO [a parte]

Costei non mi piace. Pensa d’essere

in possesso di veleni strani e lenti.

Conosco il suo animo, e non affiderò mai

droghe di natura tanto infernale

ad una della sua malvagità.

Quelle che le ho dato stordiscono

e intorpidiscono i sensi per un poco.

Prima, forse, le proverà su cani e gatti,

poi sempre più in alto. Ma soltanto

un’apparenza di morte esse producono:

nessun pericolo se non quello

di soffocare gli spiriti per un breve tempo

e farli poi rivivere più freschi.

Lei sarà ingannata da questo falso effetto,

e io più onesto per averla ingannata.

REGINA

Quando avrò bisogno dei tuoi servizi,

dottore, ti manderò a chiamare.

CORNELIO

Prendo umilmente congedo. [Esce.]

REGINA

Piange ancora, dici? Non pensi

che col tempo si calmerà e lascerà

che la ragione entri dove la pazzia

regna ora sovrana? Mettiti al lavoro:

quando mi riferirai che lei ama mio figlio,

allora, ti dico, sarai grande quanto

il tuo padrone; anzi, più grande,

perché la sua fortuna è muta ormai

e la sua fama esala l’ultimo respiro.

Ritornare non può, e neppure rimanere dove

sta: spostarsi significa per lui

scambiare una miseria con un’altra,

ed ogni giorno che viene, viene

a corrodere in lui l’opera d’un giorno.

Cosa t’aspetti se t’appoggi

ad uno che è sul punto di cadere,

non può essere rimesso a nuovo

e non ha amici per tenerlo in piedi?

[La Regina lascia cadere una scatoletta. Pisanio la raccoglie.]

Non sai quello che raccogli.

Ma prendila pure per le tue fatiche:

l’ho preparata io stessa, e cinque volte

ha salvato il re dalla morte. Non conosco

cordiale migliore. No, prendila, ti prego:

è un pegno dei favori più grandi

che ho in animo per te. Di’ alla tua padrona

in quale posizione ella si trova;

e fallo come fosse iniziativa tua.

Considera il vantaggio che il cambio ti darebbe.

Pensa che conserveresti pur sempre la tua padrona

e avresti in più mio figlio, che si curerà

di te. Convincerò il re a concederti

qualunque promozione potrai desiderare.

E poi io stessa, io in primo luogo,

che ti ho avviato su questa strada, prendo l’impegno

di ricompensare riccamente i tuoi meriti. Chiama

le mie dame. Pensa a quel che ho detto. [Pisanio esce.]

Furbo e fedele furfante.

Non si farà smuovere. È l’agente

del suo padrone, ed è qui per ricordarle

di mantenere fede a suo marito.

Ma gli ho dato qualcosa che, se la prende,

priverà lei del suo messaggero d’amore,

e che lei stessa poi dovrà assaggiare

se l’umore suo non si piega.

Rientra Pisanio con le dame.

Bene, sì, ben fatto.

Violette, auricole, primule: portatele

nella mia stanza. Addio, Pisanio,

e pensa alle mie parole. [Escono la Regina e le dame.]

PISANIO

Certo. Ma il giorno che sarò infedele

al mio padrone, da solo mi strangolerò.

È tutto quello che per voi farò. [Esce.]

ATTO PRIMO – SCENA SETTIMA

Entra Imogene sola.

IMOGENE

Un padre crudele, una matrigna infida,

e un idiota che corteggia una donna sposata,

il cui marito è in esilio! – Ah, quel marito,

suprema corona del dolore mio!

E quei tormenti sempre ripetuti!

Fossi stata rapita come i miei fratelli,

sarei stata felice! Somma miseria invece

il desiderio che aspira in alto.

Beati coloro che, per quanto poveri,

possono appagare le loro voglie modeste

e trovano in questo contentezza. – Chi sarà mai? Ahimè!

Entrano Pisanio e Iachimo.

PISANIO

Signora, è giunto da Roma un gentiluomo

con una lettera del mio padrone.

IACHIMO

Rincuoratevi, signora!

Il nobile Leonato sta bene e saluta

Vostra Altezza con affetto. [Le porge una lettera.]

IMOGENE

Vi ringrazio, signore. Di cuore, benvenuto.

IACHIMO [a parte]

Tutto quello che di lei si vede è bello!

Se possiede un animo altrettanto buono,

è unica come l’araba fenice, ed io

ho perso la scommessa. Soccorrimi, ardire!

Audacia, armami da capo a piedi,

o come i Parti combatterò fuggendo

– anzi, fuggirò e basta.

IMOGENE [legge]

È uomo d’alto rango, e alla sua cortesia sono infinitamente obbligato. Trattatelo perciò di conseguenza, con la fiducia che avete di voi stessa.

LEONATO.

Fin qui posso leggere ad alta voce.

Il resto tocca nel profondo, e scalda,

il mio cuore, che l’accoglie con riconoscenza.

Nobile signore, siete benvenuto

più di quanto non vi possano dire le mie parole,

e ne avrete la prova in tutto ciò

che potrò fare per voi.

IACHIMO

Grazie, bellissima signora.

Sono dunque pazzi gli uomini? A loro

la natura ha dato occhi per guardare

questa volta del cielo e i campi fertili

del mare e della terra, per discernere

tra le sfere di fuoco là in alto

e le pietre tutte eguali di spiagge senza numero

– e non riusciamo, noi, a fare distinzione,

con lenti tanto perfette, fra il bello e il brutto?

IMOGENE

Cosa provoca in voi questo stupore?

IACHIMO

Non possono essere gli occhi. Perché

anche le scimmie e i babbuini, fra due donne così,

con i loro versi indicherebbero questa

e disprezzerebbero l’altra con le smorfie.

E neppure la ragione: anche gli idioti,

in una scelta simile, mostrerebbero la certezza

dei sani di mente. Né il desiderio,

perché la bruttezza, opposta a bellezza così chiara,

lo farebbe vomitare a stomaco vuoto

invece di indurlo all’appetito.

IMOGENE

Cosa vi spinge a dire questo?

IACHIMO

La voglia ormai satura –

quel desiderio sazio eppure insoddisfatto,

quella botte piena che continua a svuotarsi –

prima sbrana l’agnello, poi cerca cibo

perfino nell’immondizia.

IMOGENE

Caro signore, cosa vi assorbe tanto?

State bene?

IACHIMO

Sì, signora, bene, grazie.

[A Pisanio] Vi prego, signore, dite al mio servo

che rimanga dove l’ho lasciato.

È straniero, qui, e confuso.

PISANIO

Stavo appunto andando a dargli il benvenuto. [Esce.]

IMOGENE

Vi prego: sta ancora bene mio marito?

La sua salute?

IACHIMO

Sta bene, signora.

IMOGENE

È di buon umore? Spero di sì.

IACHIMO

Allegro oltre misura. Non c’è straniero

a Roma gaio e gioviale come lui.

Lo chiamano il Britanno gaudente.

IMOGENE

Qui si mostrava incline alla tristezza, spesso

senza sapere perché.

IACHIMO

Non l’ho mai visto triste.

Ha per compagno un francese, un homme

de qualité, che pare sia innamorato pazzo

d’una ragazza di casa sua, di Gallia.

Costui sospira forte come un mantice,

e l’allegro Britanno – vostro marito, dico –

se la ride a perdifiato, e grida: “Oh, come

non sbellicarsi dalle risa quando si vede

un uomo, che sa dalla storia, dalla fama,

o per esperienza cosa sia una donna – anzi,

cosa una donna non possa che essere –

quando lo si vede languire per ore

appresso a sicura schiavitù di propria scelta?”

IMOGENE

È questo che dice mio marito?

IACHIMO

Sì, signora, e con le lacrime agli occhi

dal gran ridere. È un divertimento

stargli vicino a sentirlo prendere in giro

il francese. Ma, lo sa il cielo,

certi uomini sono ben da biasimare.

IMOGENE

Non lui, spero.

IACHIMO

Non lui. Però la grazia che egli ha dal cielo

potrebbe essere usata con più riconoscenza.

In lui, è grande; ma in voi,

che io credo sua, oltre ogni còmputo.

Se per l’una posso soltanto nutrire ammirazione,

verso l’altra sono costretto ad aver pietà.

IMOGENE

Di che cosa avete pietà, signore?

IACHIMO

Di due creature, con tutto il cuore.

IMOGENE

E una sono io, signore? Mi guardate

e mi vedete tanto devastata

da meritare la vostra pietà?

IACHIMO

Oh, me infelice! Doversi nascondere

dal sole radioso e cercar conforto

in prigione dal lucignolo spento d’una candela.

IMOGENE

Signore, vi prego, rispondete più chiaramente

alle mie domande. Perché mi compiangete?

IACHIMO

Perché altre si godono il vostro…

stavo per dirlo. Ma è compito degli dèi

farne vendetta, non mio parlarne.

IMOGENE

Pare che sappiate qualcosa di me,

che mi riguarda. Vi prego, poiché

il timore che le cose vadano male

spesso ferisce più della certezza

– e questa non ha rimedio, oppure,

conosciuta a tempo, permette di trovare

un rimedio – rivelatemi ciò che

vi spinge e insieme trattiene dal parlare.

IACHIMO

Se avessi queste guance per bagnarvi le mie labbra;

questa mano, che solo a toccarla

costringerebbe l’anima a fare voto di fedeltà;

questo essere che, infiammandoli,

immobilizza il folle moto dei miei occhi;

e invece mi dessi – dannato, sì, allora –

a sbavare i miei baci su labbra di pubblico dominio

come i gradini del Campidoglio;

e stringessi mani che la continua slealtà

ha incallito come fa il lavoro;

e poi posassi lo sguardo di traverso

su occhi vili e spenti quanto la fumosa

luce nutrita dal sego puzzolente –

allora sarebbe giusto che le pene

dell’inferno tutte ad un tempo

venissero a punire tale perversione.

IMOGENE

Mio marito, ho paura, ha dimenticato la Britannia.

IACHIMO

E se stesso. Non sono certo io che di mia volontà,

compiaciuto delle mie notizie, vi rivelo

questo suo miserabile cambiamento.

È la vostra bellezza che, col suo incanto,

a forza spinge queste informazioni sulla lingua

dalla mia coscienza muta.

IMOGENE

Non voglio sentire altro.

IACHIMO

Anima cara! La vostra causa mi ferisce il cuore

d’una tale pietà che vengo meno.

Una donna tanto bella che raddoppierebbe,

unita a un impero, la potenza del più grande re,

essere divisa con sgualdrine pagate

proprio col denaro uscito dai suoi

forzieri   Con donne d’avventura,

piene d’infezioni, che per dell’oro

si giocano ogni malattia che la corruzione

può regalare alla Natura! Roba ribollita,

che avvelenerebbe il veleno stesso!

Vendicatevi! O chi v’ha messo al mondo

non era una regina, e voi degenerate

dalla vostra nobile stirpe.

IMOGENE

Vendicarmi!

E come vendicarmi? Se questo è vero

– il mio cuore non deve però lasciarsi

così in fretta ingannare dalle orecchie –

se questo è vero, come potrei vendicarmi?

IACHIMO

Se facesse vivere me come

un sacerdote di Diana, fra lenzuola fredde,

mentre lui salta su baldracche mutevoli

scornandovi col vostro stesso denaro…

Vendicatevi! Al vostro dolce piacere

consacro qui la mia persona, più nobile

certo di quel disertore del vostro letto,

e manterrò fede al vostro amore

nella costanza e nel segreto.

IMOGENE

Corri qui, Pisanio!

IACHIMO

Lasciate che deponga i miei servigi

sulle vostre labbra.

IMOGENE

Via! Condanno le mie orecchie per averti

ascoltato così a lungo. Se tu fossi

onesto, questa storia avresti raccontato

a intento di virtù, non per il fine

ignobile e pazzo che persegui.

Fai torto a un gentiluomo che è lontano

da quanto dici di lui come sei tu

dall’onore. E insidii una donna che disprezza

te e il diavolo in egual misura.

– Pisanio, aiuto! Il re mio padre

verrà informato di questo tuo assalto:

se troverà giusto che uno straniero insolente

faccia mercato nella sua corte come

in un bordello di Roma, e davanti a noi dispieghi

tutta la sua bestialità, allora

mio padre ha una corte di cui si cura poco,

e una figlia per la quale non ha rispetto alcuno.

– Pisanio, presto!

IACHIMO

Felice te, Leonato! Posso ben dirlo:

la stima che la tua donna ha di te

merita tutta la tua fiducia, e

la tua perfetta virtù la sicurezza

della stima sua. Vivete a lungo felici,

signora dell’uomo più degno

che mai paese abbia reclamato suo;

e voi, sua moglie, adatta solo al più degno!

Datemi il vostro perdono. Tutto questo

l’ho detto per vedere se la vostra fedeltà

avesse radici profonde. E adesso

di nuovo vi farò il ritratto di vostro marito,

quale è veramente: un uomo leale

sino in fondo, un mago tanto buono

che con i suoi incantesimi attrae a sé

tutta la gente. Ognuno ha dato a lui

metà del suo cuore.

IMOGENE

Vedo che fate ammenda.

IACHIMO

Tra gli uomini si erge come un dio

sceso dai cieli. Spicca per un’aura d’onore

che lo fa parere più che un mortale.

Non v’adirate, potente principessa, se ho osato

mettervi alla prova con un racconto falso.

La vostra saggezza nella scelta d’un uomo

tanto raro – e voi sapete che non può sbagliare –

è onorata, così, da una conferma.

L’affetto che ho per lui mi ha condotto

a vagliarvi in questo modo, ma gli dèi

v’hanno fatta senza loglio:

al contrario delle altre, grano puro.

Vi prego, perdonatemi.

IMOGENE

Va bene, signore,

disponete pure del mio potere a corte.

IACHIMO

Vi ringrazio umilmente. Ah, dimenticavo

di pregare Vostra Grazia di un favore

piccolo, ma non senza importanza,

perché riguarda vostro marito, e me,

e altri nobili amici associati nell’affare.

IMOGENE

Di che si tratta? Dite.

IACHIMO

Una dozzina di Romani come me, più

il vostro sposo – l’ala migliore, invero,

al nostro volo – abbiamo raccolto del denaro

per comperare un dono all’imperatore:

cosa che io, per incarico degli altri,

ho fatto in Francia. Vasellame di fattura rara, e gioielli

di forma ricca e squisita e di gran valore.

Io, che qui sono straniero, ho ansia

di metterli al sicuro. Vorreste, di grazia,

prenderli in custodia?

IMOGENE

Volentieri.

E sulla loro sicurezza impegno il mio onore.

Rivestono interesse anche per mio marito,

e quindi li terrò nella mia stanza.

IACHIMO

Sono in un baule custodito dai

miei uomini: mi prenderò la libertà

di mandarveli, soltanto per questa notte.

Domani devo ripartire.

IMOGENE

Oh no, no.

IACHIMO

Sì, perdonatemi. O, ritardando il ritorno,

mancherò di parola. Ho attraversato

il mare dalla Gallia al solo scopo

e per promessa soltanto di vedere Vostra Grazia.

IMOGENE

Vi ringrazio delle pene che vi siete preso.

Ma non partite domani!

IACHIMO

Devo, signora.

Perciò vi prego, se volete scrivere

a vostro marito, fatelo stanotte.

Sono già rimasto oltre il tempo fissato

per la consegna del nostro dono.

IMOGENE

Scriverò. Mandatemi il baule.

Sarà tenuto al sicuro, e puntualmente a voi

restituito. Ancora una volta, benvenuto. [Escono]

Cimbelino
(“Cymbelyne”  1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

 Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

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