(“Cymbelyne” 1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUINTO – SCENA PRIMA
Entra Postumo solo.
POSTUMO
Sì, ti terrò, panno insanguinato,
perché io stesso ti volli di questo colore.
O mariti, se ciascuno di voi agisse così,
quanti dovrebbero uccidere mogli
assai migliori di loro, soltanto
perché hanno deviato appena un poco!
O Pisanio, nessun servo buono
esegue tutti gli ordini che riceve.
È vincolato solo a quelli giusti.
O dèi, se aveste fatto vendetta
dei miei delitti, non sarei vissuto tanto
da istigare questo; e voi avreste salvato
Imogene perché si pentisse, e colpito me,
disgraziato, più degno del vostro castigo.
Ma, ahimè, voi strappate alcuni alla vita
per piccole colpe: per amore,
perché non cadano più; e ad altri
permettete di aggiungere delitti a delitti,
uno peggiore dell’altro, finché l’orrore
non li prende per condurli a salvezza.
Imogene è vostra, ormai: sia fatta la vostra volontà,
e date a me la grazia di obbedire.
Sono venuto qui, tra i nobili d’Italia,
per combattere contro il regno di mia moglie.
Già basta, Britannia, che abbia ucciso la tua signora.
Pace, ora: non ti darò altra ferita.
Perciò, o cieli, ascoltate con pazienza
i miei propositi. Mi toglierò queste vesti italiane,
e indosserò i panni di un contadino britanno,
combattendo contro coloro con i quali sono venuto.
Così morirò per te, Imogene, che muti
in morte ogni respiro della mia vita.
E così, ignoto, non rimpianto né odiato,
mi dedicherò tutto ad affrontare il pericolo.
Che gli uomini riconoscano in me più valore
di quanto non mostrino i miei abiti!
O dèi, infondete in me la forza dei Leonati!
A svergognare l’uso del mondo, inizierò
moda meno esteriore, e più interiore la farò. [Esce.]
ATTO QUINTO – SCENA SECONDA
Entrano Lucio, Iachimo, e l’esercito romano da una parte; dall’altra, quello britanno, con Postumo Leonato al seguito, in veste di soldato semplice. Marciano attraverso la scena ed escono. Rientrano poi combattendo Iachimo e Postumo. Quest’ultimo vince e disarma Iachimo, poi lo lascia.
IACHIMO
Il peso della colpa che grava sul mio animo
mi toglie il valore. Ho calunniato
una signora, la principessa di questo paese;
e, per vendicarsi, l’aria m’infiacchisce.
Altrimenti, come avrebbe potuto questo bifolco,
questo schiavo di natura, battermi
nel mio mestiere? Il nome e gli onori
di cavaliere, portati come faccio io,
non sono che titoli di scherno.
Se la tua nobiltà, Britannia, supera
questo villano quanto lui i nostri patrizi,
è che noi a malapena siamo uomini; voi, dèi. [Esce.]
La battaglia continua, i Britanni fuggono e Cimbelino viene catturato Poi entrano a liberarlo Belario, Guiderio e Arvirago.
BELARIO
Fermi, fermi! Il vantaggio del terreno è nostro.
La via è presidiata, e nulla può sconfiggerci
se non la vigliaccheria della nostra paura.
GUIDERIO e ARVIRAGO
Fermi! Fermi! Combattete!
Rientra Postumo e aiuta i Britanni. Liberano Cimbelino ed escono. Quindi rientrano Lucio, Iachimo, e Imogene.
LUCIO
Lascia i soldati, ragazzo, e salvati.
Qui gli amici uccidono gli amici, e il disordine
è tale che la guerra sembra cieca.
IACHIMO
Sono i loro rinforzi, truppe fresche.
LUCIO
La giornata è cambiata in modo strano.
O contrattacchiamo a tempo, o diamoci alla fuga.
[Escono.]
ATTO QUINTO – SCENA TERZA
Entrano Postumo e un Signore britanno.
SIGNORE
Vieni da dove i nostri hanno fatto resistenza?
POSTUMO
Voi invece pare veniate dalla parte dei fuggiaschi.
SIGNORE
Sì.
POSTUMO
Non ho biasimo alcuno per voi, signore.
Tutto era perduto, se il cielo stesso
non avesse preso le armi per noi.
Il re privato delle ali, l’esercito in rotta –
non si vedevano che le schiene dei Britanni,
tutti in fuga per una gola stretta.
Il nemico invece, pieno di coraggio,
con la lingua di fuori dal gran massacrare,
aveva più lavoro che braccia per compierlo.
Falciava a morte alcuni, altri
colpiva appena. Altri cadevano
solo per paura. Così lo stretto passo
era bloccato da morti presi alle spalle,
e da vigliacchi che vivono soltanto per morire
di una vergogna lenta.
SIGNORE
Dov’era questa gola?
POSTUMO
Vicina al campo di battaglia, infossata
e chiusa da pareti erbose: se ne avvantaggiò
un vecchio soldato (uomo onesto, v’assicuro),
che nel far questo per il suo paese
si meritò d’essere mantenuto tanti anni
quanti ne mostra la sua barba bianca.
Questi, con due adolescenti (ragazzi
più adatti a giocare ai quattro cantoni
che a compiere simile strage, dal volto
tanto delicato da prestarsi ad una maschera,
anzi più bello di quelli femminili
così coperti per protezione o per pudore),
mantennero la posizione attraverso la gola,
gridando ai fuggiaschi: “I cervi di Britannia
muoiono fuggendo, non i nostri uomini.
Nelle tenebre vanno le anime di chi scappa.
Fermi! O diverremo Romani, e vi daremo
quella morte da bestie che da bestie fuggite,
mentre potreste salvarvi se solo vi voltaste,
con fierezza. Fermi. Fermi!”. Questi tre,
tremila nel coraggio e tremila nell’agire,
perché tre che combattono sono un esercito
quando tutti gli altri non fanno niente,
con quel grido di “Fermi, fermi!”,
favoriti dal luogo e ancor più dalla magia
del loro coraggio, che avrebbe potuto
trasformare una conocchia in una lancia e ridare
colore ai volti impalliditi, risvegliarono
in chi la vergogna, in chi l’ardire,
sicché alcuni, resi vili dall’esempio di altri
(un peccato, in guerra, da condannare
in coloro che per primi lo commettono),
cominciarono a voltarsi e, come i leoni,
a mostrare i denti contro le picche dei cacciatori.
Allora fra gli inseguitori s’ebbe un arresto,
poi una ritirata, presto la rotta,
in piena confusione. Ed eccoli che scappano
come polli per la via che avevano disceso
da aquile: da schiavi, ora, rifanno
la strada percorsa in marcia da vincitori.
E i nostri vigliacchi, adesso, come gli avanzi
in un duro viaggio, diventano le briciole
che salvano la vita nel momento del bisogno.
Trovando via libera verso gente indifesa,
oh, cielo! che colpi menano ora!
Attaccano alcuni uccisi di già,
e altri che stanno morendo, e degli amici
travolti nella prima ondata; di dieci
che erano cacciati da uno, ognuno
massacra adesso venti nemici.
Quelli che avrebbero preferito morire
piuttosto che resistere, sono divenuti
il terrore mortale del campo di battaglia.
SIGNORE
Strano caso:
una gola stretta, un vecchio, e due ragazzi.
POSTUMO
No, non stupitevi: sembrate fatto
più per stupirvi delle cose che udite
che non per compierne. Volete farne una rima
da recitare a gabbo? Eccone una:
Due ragazzi, una gola, un vecchio due volte bambinello,
han protetto i Britanni, e dei Romani son stati flagello.
SIGNORE
Non vi adirate, signore.
POSTUMO
Ma no, e perché?
Chi non osa affrontare il nemico,
per sempre sarò suo intimo amico:
perché se fa ciò che è nato per fare,
presto, lo so, anche la mia amicizia vorrà scansare.
Vedete, mi fate parlare in rima.
SIGNORE
Addio, siete in collera.
[Esce.]
POSTUMO
Ancora in fuga? E questo è un nobile!
Che nobile miseria, stare sul campo
e chiedere “che novità?” a me!
Quanti, oggi, non avrebbero dato
il loro onore per salvarsi la carcassa?
Hanno alzato i tacchi per farlo,
e son morti lo stesso! Io, stregato dal mio dolore,
non sono riuscito a trovare la morte
dove l’udivo gemere, né a sentirla
dove colpiva. È strano: essendo
un mostro così orrendo, si nasconde
nelle coppe di vino fresco, nei letti soffici,
nelle parole dolci, o vi trova più ministri
di noi che sguainiamo i suoi coltelli
per la guerra. Bene, la troverò.
Poiché adesso favorisce i Britanni,
io non sarò più britanno e tornerò
dalla parte di coloro con cui sono venuto.
Combattere, non voglio più, e m’arrenderò
al primo villano che mi tocchi la spalla.
Grande è il massacro fatto dai Romani.
Grande sia la vendetta compiuta dai Britanni.
Quanto a me, il mio riscatto è la morte.
Per l’una o l’altra parte spenderò
l’ultimo respiro della mia vita.
Non voglio conservarla qui né riportarla indietro,
ma terminarla, in qualche modo, per Imogene.
Entrano due Capitani britanni e Soldati.
PRIMO CAPITANO
Sia resa lode al grande Giove:
Lucio è stato catturato. Si dice
che il vecchio e i suoi figli fossero angeli.
SECONDO CAPITANO
C’era un quarto, vestito da bifolco,
che andava all’attacco con loro.
PRIMO CAPITANO
Così dicono: ma non si riesce a trovarne
nessuno. Fermo! Chi va là?
POSTUMO
Un romano,
che non sarebbe qui, sfinito, se altri
l’avessero aiutato nell’azione.
SECONDO CAPITANO
Prendetelo, il cane.
Neppure una gamba romana deve tornare
a dire quali corvi li hanno beccati qui.
Vanta i suoi servizi come se fosse
un personaggio di rango. Portatelo dal re.
Entrano Cimbelino, Belario, Guiderio, Arvirago, Pisanio, e prigionieri romani. I Capitani presentano Postumo a Cimbelino, che lo consegna ad un carceriere.
[Escono.]
ATTO QUINTO – SCENA QUARTA
Entrano Postumo e due carcerieri.
PRIMO CARCERIERE
Nessuno più vi ruberà, ora che avete addosso i lucchetti.
Mangiate pure, se trovate dell’erba.
SECONDO CARCERIERE
Sì, o l’appetito
[Escono i carcerieri.]
POSTUMO
Sii benvenuta, schiavitù, perché credo
che tu sia la strada per la libertà.
Eppure sto meglio di uno che è malato di gotta,
che vorrebbe piuttosto gemere per sempre
che farsi curare da quel medico infallibile,
la morte, che è la chiave per aprirmi queste sbarre.
Coscienza mia, sei anche tu in ceppi,
più delle mie caviglie e dei miei polsi.
Voi, dèi benigni, datemi lo strumento
della penitenza per forzare quella serratura,
e poi essere libero per sempre.
Basta che io sia pentito? Così i bambini
riescono a placare il loro padre terreno.
Gli dèi hanno misericordia più grande.
Se devo pentirmi, non ho modo migliore di farlo
che in ceppi desiderati più che imposti.
Se espiare è il tributo da pagare per la libertà,
non esigete, o dèi, nulla di meno che la mia vita.
Vi so più clementi dei miserevoli esseri umani,
che dai debitori falliti prendono un terzo,
un sesto, un decimo, per lasciarli prosperare
su quanto resta loro. Non voglio questo.
Per la cara vita di Imogene, prendete la mia:
non è così preziosa, ma è pur sempre
una vita. L’avete coniata voi stessi.
Negli scambi fra gli uomini, non si dà valore
soltanto al peso della moneta; anche se leggera,
la si prende per l’effigie che porta:
così dovreste fare voi con la mia,
che ha stampata la vostra immagine. E così,
potenze celesti, se accettate questo conteggio,
prendetevi la mia vita e annientate questi freddi ceppi.
O Imogene, ti parlerò in silenzio. [Si addormenta.]
Musica solenne. Entrano, come in un’apparizione, Sicilio Leonato, padre di Postumo, in figura di vecchio vestito da guerriero, che conduce per mano una vecchia matrona (sua moglie, e madre di Postumo), preceduti da musica. Poi, dopo altra musica, seguono i due giovani Leonati (fratelli di Postumo), con le ferite per le quali morirono in guerra. Formano un cerchio attorno a Postumo, che giace addormentato.
SICILIO
Più non scagliare, signore del tuono,
sulle mosche mortali le tue ire furenti;
bisticcia con Marte, rampogna Giunone,
che contro i tuoi tradimenti
grida vendetta e minacce veementi.
Ha mai fatto alcun male il mio povero figlio,
il cui volto mai vedere ho potuto?
Morii mentre egli era ancora nel grembo materno
in attesa del tempo da natura voluto.
Fargli da padre dovevi in quell’ora
(ché padre degli orfani l’uomo t’onora):
difenderlo contro i duri tormenti
di questa terrena dimora.
MADRE
Aiuto alcuno non mi diede Lucina,
nel travaglio mi colse gemendo:
Postumo fu dal mio grembo strappato,
tra i suoi nemici venne gridando,
misera, pietosa cosa.
SICILIO
La grande Natura come ai suoi avi
a lui stampo sì nobile diede
che meritò le lodi del mondo,
del grande Sicilio l’erede.
PRIMO FRATELLO
Quando poi fu uomo maturo,
chi in Britannia poté mai stare
contro di lui a paragone,
o frutto migliore agli occhi brillare
di Imogene, che seppe
di lui il perfetto valore stimare?
MADRE
Perché allora fu beffato di nozze,
in esilio cacciato,
privato del seggio dei Leonati,
dalla carissima sposa allontanato,
la dolce Imogene?
SICILIO
Perché permetteste che Iachimo,
vile insetto di terra italiana,
macchiasse il suo nobile cuore e la mente
di gelosia del tutto vana,
e ch’egli fosse oggetto di scherno
da parte di un’anima tanto villana?
SECONDO FRATELLO
Per questo i suoi genitori e noi due suoi fratelli
da più tranquilli luoghi venimmo,
che combattendo per il nostro paese
coraggiosi cademmo, uccisi restammo
per conservar con onore il nostro retaggio,
e di Tenanzio il diritto salvammo.
PRIMO FRATELLO
Postumo ha con eguale ardimento
per Cimbelino combattuto:
dunque, Giove, re degli dèi,
perché tanto a dargli hai tardato
la ricompensa dovuta ai suoi meriti,
e tutto in dolori gli hai trasformato?
SICILIO
Apri la finestra di cristallo, guarda:
i tuoi colpi aspri e possenti
non volere infliggere più
su una schiatta d’uomini valenti.
MADRE
Poiché, o Giove, nostro figlio è buono,
portagli via i suoi tormenti.
SICILIO
Guarda dal tuo palazzo marmoreo, aiutaci,
o noi, poveri fantasmi, grida leveremo
al sinodo degli dèi splendente
contro il tuo potere supremo.
FRATELLI
Aiutaci, Giove, o contro di te faremo appello
e dalla tua giustizia fuggiremo.
Giove discende fra tuoni e lampi a cavallo di un’aquila. Scaglia un fulmine. Gli Spiriti cadono in ginocchio.
GIOVE
Non offendete più il nostro udito,
spiriti vili di basse regioni.
Silenzio! Come osate accusare
il Tonante che i fulmini scaglia
dal cielo, e abbatte le terre ribelli?
Via di qui, povere ombre d’Elisio,
abbiate pace sulle vostre rive
di fiori che non appassiscono mai.
Non v’angustiate di pene mortali:
non ne è vostra, ma nostra la cura.
Chi più amo, più metto alla prova,
per far che i miei doni, più attesi,
siano ancor più graditi. Tranquilli,
la nostra grande divina potenza
solleverà vostro figlio umiliato:
le sue pene sono finite, per lui
tornano i giorni della prosperità.
La stella di Giove brillò quando nacque,
nel nostro tempio celebrò le sue nozze.
Alzatevi, ora, e svanite: sarà
per sempre il signore di Imogene,
e più felice per le pene sofferte.
Mettetegli sul cuore questo foglio,
nel quale il nostro volere iscrive
tutt’intera la sua sorte felice.
Andate, dunque: non date più voce
con questo chiasso alla vostra impazienza,
se non volete scatenare la mia.
Sali, aquila, al mio palazzo di cristallo. [Sale.]
SICILIO
Discese col tuono, il suo fiato celeste
odorava di zolfo L’aquila santa
calò quasi a ghermirci. La sua ascesa
è più dolce dei nostri campi felici:
l’uccello regale si liscia le ali immortali
e con gli artigli gratta il suo becco,
come quando il suo dio è compiaciuto.
TUTTI
Grazie, Giove!
SICILIO
Il pavimento marmoreo si chiude: è entrato
nella sua dimora radiosa. Via! Per esser benedetti,
obbediamo con cura ai suoi grandi precetti.
[Gli Spiriti svaniscono.]
POSTUMO [svegliandosi]
Sonno, sei stato mio progenitore,
mi hai generato un padre e creato
una madre e due fratelli. Ma, oh beffa!
sono svaniti: spariti appena nati!
E così sono sveglio. I poveri infelici
che dipendono dal favore dei grandi
fanno sogni come i miei. Si risvegliano,
e non trovano nulla. Ahimè, mi sbaglio.
Molti non sognano neppure di trovare,
né si meritano, i favori che hanno in abbondanza.
Così anch’io, che ho quest’occasione
d’oro, e non so neppure perché.
Quali fate aleggiano in questo luogo?
Un libro? O libro prezioso, non essere,
come il nostro mondo fatuo e capriccioso,
una veste più bella di quello che ricopri.
Che il tuo aspetto, diversamente dai nostri cortigiani,
mantenga tutto quello che promette.
[Legge] Quando il figlio di un leone senza saperlo troverà non cercandola un’aria dolce che tutto lo abbraccerà; quando i rami di un cedro maestoso saranno tagliati e, morti da molti anni, rivivranno per essere riuniti al vecchio tronco e germogliare di nuovo: allora saranno terminate le miserie di Postumo, la Britannia sarà felice e fiorirà in pace ed abbondanza.
È ancora un sogno, oppure una cosa
come quelle cui danno voce i pazzi,
senza cervello: o tutte e due, o nulla,
o parole senza senso, o parole
che il senso comune non sa decifrare.
Qualunque cosa siano, il corso della mia vita
è simile ad esse, e perciò le conserverò,
se non altro per la somiglianza.
Rientrano i carcerieri
PRIMO CARCERIERE
Allora, signore, siete pronto per morire?
POSTUMO
Pronto da tempo: stracotto.
PRIMO CARCERIERE
È la forca, signore. Se siete pronto per quella, siete ben cotto di certo.
POSTUMO
E così, se riuscirò buon pasto per gli spettatori, il piatto sarà valso la spesa.
PRIMO CARCERIERE
Un conto salato per voi, signore. Ma potrete consolarvi pensando che dopo non avrete più nulla da pagare, né dovrete temere i conti delle taverne, che procurano allegria, ma danno tristezza quando le si lascia. Ci si entra quasi svenuti dalla fame, e se ne esce barcollando per aver bevuto troppo: dolenti per aver pagato troppo e ricevuto troppo. Borsa e cervello, vuoti ambedue: il cervello appesantito dalla sua stessa leggerezza, la borsa alleggerita di tutto il suo peso. Da queste contraddizioni voi adesso sarete libero. Ah, la carità di una corda da una lira! In un attimo vi libera da mille obbligazioni, non avrete più debiti né crediti se non verso di lei, scaricherete il passato, il presente e il futuro. Il vostro collo, signore, è penna, registro e palline per fare il conto. E poi segue la quietanza.
POSTUMO
Sono più felice io di morire che tu di vivere.
PRIMO CARCERIERE
In effetti, signore, chi dorme non sente il mal di denti. Ma uno che dovesse dormire il vostro sonno e fosse messo a letto dal boia, credo che scambierebbe volentieri il suo posto con il carnefice: perché vedete, signore, non sapete quale via vi toccherà prendere.
POSTUMO
Ma io lo so qual è la via, amico.
PRIMO CARCERIERE
Allora per voi la morte ha gli occhi in testa. Non l’ho mai vista ritratta così. Dovete essere guidato da qualcuno che pretende di sapere, o pretendere voi stesso di sapere qualcosa che sono sicuro non sapete; oppure, a vostro rischio e pericolo, dovete non fare domande sul dopo. E come il vostro viaggio andrà a finire, credo che non tornerete mai a raccontarlo.
POSTUMO
E io ti dico, amico mio, che nessuno si avvia senza occhi che lo guidino per la strada che sto prendendo io, se non coloro che gli occhi li chiudono per non usarli.
PRIMO CARCERIERE
Che enorme beffa, questa: che si abbia occhi aguzzi per vedere la via che conduce alla completa cecità! La forca, certo è il modo giusto di chiudere gli occhi.
Entra un messaggero
MESSAGGERO
Toglietegli le manette e recate il prigioniero dal re.
POSTUMO
Porti buone notizie. Vengo chiamato per essere liberato.
PRIMO CARCERIERE
Allora sarò impiccato io.
POSTUMO
E a quel punto sarai più libero che non da carceriere Non ci sono chiavistelli per i morti.
[Escono tutti meno il Primo Carceriere.]
PRIMO CARCERIERE
A meno che non volesse sposarsi la forca e procreare piccoli patiboli, non ho mai visto uno così impaziente di morire. Eppure, anche se è romano, ci sono mascalzoni peggiori di lui che desiderano vivere; e anche fra i Romani ce ne sono di quelli che muoiono controvoglia: se fossi uno di loro, anch’io sarei così. Vorrei che tutti la pensassero allo stesso modo, e cioè nel modo giusto. Sarebbe la rovina, certo, per i carcerieri e per le forche! Parlo contro il mio tornaconto immediato, ma quel che desidero potrebbe procurarmi un posto migliore. [Esce.]
ATTO QUINTO – SCENA QUINTA
Entrano Cimbelino, Belario, Guiderio, Arvirago, Pisanio, Signori, Ufficiali, e seguito.
CIMBELINO
Statemi al fianco, voi che gli dèi
hanno eletto a salvatori del mio trono.
Il mio cuore è addolorato perché quel povero
soldato che combatté con tanto valore,
i cui stracci svergognavano le armature dorate,
che a petto nudo marciava davanti
a chi era dotato di scudo impenetrabile,
non si riesce a trovare Felice chi lo ritroverà,
ché tale lo renderà la nostra grazia.
BELARIO
Non ho mai visto tanto nobile furore
in una creatura così misera, gesta
così valorose in uno che nulla prometteva
se non d’essere un povero mendicante.
CIMBELINO
Notizie di lui?
PISANIO
Lo hanno cercato fra i morti e fra i vivi,
ma non ve n’è traccia.
CIMBELINO
Con mio dolore,
Sono erede della sua ricompensa:
[a Belario, Guiderio e Arvirago]
l’aggiungerò alla vostra, voi che siete
fegato, cuore e cervello della Britannia.
Essa è ancora viva, lo riconosco, soltanto
per merito vostro. È tempo di chiedervi
da dove venite Ditelo.
BELARIO
Sire,
siamo nati in Cambria, e gentiluomini.
Vantare di più non sarebbe
né giusto né modesto, a meno di aggiungere
che siamo onesti.
CIMBELINO
Inginocchiatevi.
Ora alzatevi: cavalieri sul campo
vi creo, compagni della nostra persona;
vi darò tutti gli onori che spettano
al vostro rango.
Entrano Cornelio e Dame.
I vostri visi sono turbati
Perché salutate la nostra vittoria
con tanta tristezza? Sembrate Romani,
non membri della corte di Britannia.
CORNELIO
Salve, grande re! A rendere amara
la vostra felicità, devo annunziarvi
che la regina è morta.
CIMBELINO
A chi,
peggio che a un medico, si converrebbe
tale annuncio? Ma penso che se la vita
può essere prolungata dalla medicina,
la morte coglierà anche il medico. Come è morta?
CORNELIO
In modo orrendo, in un’agonia furiosa
come la sua vita. Crudele al mondo,
ha concluso la propria esistenza crudele
a se stessa. Con il vostro permesso,
vi riferirò quello che ha confessato.
Queste sue dame, che erano lì in lagrime
quando è morta, possono correggermi
se sbaglio.
CIMBELINO
Ti prego, parla.
CORNELIO
Per primo, ha confessato di non avervi amato mai.
Amava la maestà che le conferivate, non voi.
Ha sposato il re, è stata moglie del trono:
aborriva la vostra persona.
CIMBELINO
Solo lei lo sapeva. E se non l’avesse detto
in punto di morte, non crederei alle labbra
che l’hanno rivelato Continua.
CORNELIO
Vostra figlia, che fingeva di amare
con tanta dedizione, ha confessato
che era ai suoi occhi uno scorpione
e, se la sua fuga non l’avesse impedito,
l’avrebbe uccisa avvelenandola.
CIMBELINO
Ah, raffinatissimo demonio! Chi mai potrà
leggere dentro una donna? C’è dell’altro?
CORNELIO
Dell’altro, sire, e di peggio. Ha confessato
che aveva per voi un preparato mortale
che, una volta preso, avrebbe divorato
la vostra vita minuto per minuto
e vi avrebbe consumato a poco a poco.
Nel frattempo intendeva dominarvi con le sue finte,
con veglie, pianti, cure e baci,
e avendovi ben lavorato con la sua arte,
convincervi col tempo ad adottare suo figlio
come erede al trono. Ma la strana assenza
di lui fece fallire i suoi piani,
e colta da una vergogna senza speranza,
rivelò, a dispetto degli dèi e degli uomini,
i suoi propositi, rimpianse che i mali
da lei covati non sortissero effetto,
e morì in preda alla disperazione.
CIMBELINO
E voi, sue donne,
avete udito tutto questo?
DAME
Sì, piaccia a Vostra Altezza.
CIMBELINO
Non furono colpevoli i miei occhi,
perché era bella; né le mie orecchie,
che diedero ascolto alle sue adulazioni;
né il mio cuore, che la credeva simile
al suo aspetto. Sarebbe stato colpevole
non fidarsi di lei. Eppure, figlia mia,
tu avresti ben potuto dire
che la follia era in me, e provarlo
con le tue sofferenze. Il cielo vi ponga riparo.
Entrano Lucio, Iachimo, l’Indovino e altri prigionieri romani sotto scorta; dietro di essi Postumo e Imogene
Adesso, Caio, non vieni più per il tributo:
quello, i Britanni l’hanno cancellato,
sebbene perdendo molti valorosi.
I loro parenti mi hanno chiesto
di placare le loro anime buone
con il sacrificio di voi prigionieri,
e noi l’abbiamo concesso Pensate, dunque,
al vostro destino.
LUCIO
Considerate, sire, le fortune della guerra.
La giornata fu vostra per caso.
Se fosse stata nostra, non avremmo
a sangue freddo minacciato con la spada
i nostri prigionieri. Ma se è volontà degli dèi
che nulla se non le nostre vite
siano riscatto sufficiente, allora sia.
Che un romano sappia soffrire da romano
è quanto basta. Augusto vive, e provvederà.
Questo è tutto per quel che mi riguarda
Una cosa sola imploro, che il mio ragazzo,
britanno di nascita, possa essere riscattato:
mai un padrone ebbe paggio così gentile,
devoto, diligente, attento alle sue necessità,
abile, fedele e premuroso. Le sue virtù
appoggino la mia richiesta, che oso sperare
Vostra Altezza non vorrà rifiutare.
Non ha fatto del male a nessun britanno,
sebbene abbia servito un romano.
Salvate lui, sire: e non risparmiate altro sangue.
CIMBELINO
L’ho visto prima, di sicuro. Il suo viso
mi è familiare. Ragazzo, il tuo aspetto
si è guadagnato il mio favore, e ora
sei mio. Non so cosa mi spinga a dire,
“Vivi, ragazzo”. Non ringraziare
il tuo padrone: vivi. E chiedi a Cimbelino
il dono che vuoi. Se si confà alla mia munificenza
e al tuo stato, te lo concederò. Sì,
anche se chiedi un prigioniero, anche il più nobile.
IMOGENE
Ringrazio umilmente Vostra Altezza.
LUCIO
Non ti chiedo di domandare la mia vita, ragazzo,
ma so che lo farai.
IMOGENE
No, ahimè, no. C’è altro da fare.
Vedo una cosa amara per me come la morte.
La vostra vita, buon padrone, dovrà
cavarsela da sola.
LUCIO
Il ragazzo
mi disprezza, mi sdegna, mi abbandona.
Muoiono presto le gioie di chi le ripone
nella fedeltà delle fanciulle e dei ragazzi.
Perché si mostra così perplesso?
CIMBELINO
Cosa desideri, ragazzo? Mi piaci
sempre di più. Pensa bene a ciò
che è meglio chiedermi. Conosci
quell’uomo che stai fissando? Parla:
vuoi che viva? È tuo parente? Tuo amico?
IMOGENE
È un romano, non più parente a me
di quanto io lo sia a Vostra Altezza:
essendo nato vostro suddito, vi sono
un po’ più vicino.
CIMBELINO
Perché lo guardi così?
IMOGENE
Ve lo dirò, sire, in privato,
se vi piacerà di darmi ascolto.
CIMBELINO
Con tutto il cuore, sì. Ti presterò
tutta la mia attenzione. Come ti chiami?
IMOGENE
Fedele, sire.
CIMBELINO
Sei il mio caro ragazzo, il mio paggio.
Sarò il tuo padrone. Vieni; con me, parla liberamente.
[Cimbelino e Imogene si avviano da una parte.]
BELARIO
Quel ragazzo non è il nostro, resuscitato?
ARVIRAGO
Come un granello di sabbia somiglia all’altro,
così questo ragazzo dolce e roseo
a Fedele, che è morto. Che ne pensate?
GUIDERIO
La stessa persona, prima morta e ora viva.
BELARIO
Calma, calma. Stiamo a vedere.
Non ci ha guardato. Due persone possono
assomigliarsi. Se fosse lui, sono sicuro
che ci avrebbe parlato.
GUIDERIO
Ma l’abbiamo visto morto.
BELARIO
Zitti. Stiamo a vedere.
PISANIO [a parte]
È la mia padrona. È viva.
E allora che il tempo scorra pure,
volgendo le cose in bene o in male.
[Cimbelino e Imogene vengono avanti.]
CIMBELINO
Vieni, mettiti al mio fianco. Fai
la tua richiesta ad alta voce.
[A Iachimo] Signore, venite avanti e rispondete
a questo ragazzo, e fatelo con sincerità,
o per la nostra maestà e la nostra grazia,
che sono il nostro onore, una tortura aspra
vaglierà il vero dal falso. Su, parlagli.
IMOGENE
La grazia che chiedo è che questo signore
dichiari da chi ha avuto questo anello.
POSTUMO [a parte]
Ma che interesse ha per lui?
CIMBELINO
Dite, quel diamante che avete al dito,
come ne siete venuto in possesso?
IACHIMO
Sarebbe una tortura per me non dire quello
che, se lo dico, sarà una tortura per te.
CIMBELINO
Come, per me?
IACHIMO
Sono contento di essere costretto a rivelare
ciò che mi tormenta tenere nascosto.
Con la frode ho avuto questo anello.
Era il gioiello di quel Leonato che tu esiliasti:
un uomo tanto nobile – questo farà
soffrire te più di me – non visse mai
fra cielo e terra. Vuoi sentir altro, sire?
CIMBELINO
Tutto quello che riguarda questa storia.
IACHIMO
Quel paragone di virtù, tua figlia,
per la quale il mio cuore stilla sangue
e che il mio animo ignobile trema a ricordare…
Perdonami, mi sento mancare.
CIMBELINO
Mia figlia? Che hai da dire, di lei?
Ritrova la tua forza. Preferirei che tu vivessi
quanto vorrà la natura piuttosto che vederti
morto prima di avere ascoltato il resto.
Su, sforzati, parla.
IACHIMO
Una volta… infausto fu l’orologio
che batteva l’ora! Fu a Roma,
maledetta la casa dove… Ad una festa…
Ah, fossero state avvelenate le vivande,
almeno quelle che portai alla bocca!
Il buon Postumo – che dire? Era
troppo buono per trovarsi fra furfanti,
era il migliore di tutti, l’ottimo
tra i buoni – stava seduto tristemente
e ci ascoltava lodare le nostre amanti italiane
per la loro bellezza in modo tale
che il gonfio vanto del miglior oratore
al confronto si sarebbe rivelato vuoto.
I loro tratti avrebbero fatto sfigurare
la statua di Venere e l’alta, eretta Minerva.
Le forme superavano i limiti della natura.
Il carattere era la vetrina di tutte le qualità
che l’uomo ama nella donna. E poi,
quella bellezza che colpisce gli occhi
e fa da esca al matrimonio.
CIMBELINO
Sono sulle spine. Vieni al dunque.
IACHIMO
Ci arriverò anche troppo presto,
a meno che tu non abbia fretta di soffrire.
Postumo, dunque, da nobile innamorato,
da signore che aveva sposa regale,
colse al volo l’occasione, e senza
disprezzare quelle che noi lodavamo
– calmo, in questo, come la virtù –
iniziò a fare il ritratto della sua sposa.
Disegnato dalla sua lingua e dal suo cuore,
questo fu tale che, o noi avevamo
vantato delle semplici sguattere di cucina,
o la sua descrizione ci aveva ridotti
a idioti senza parole.
CIMBELINO
Su, su, vieni al fatto.
IACHIMO
La castità di vostra figlia – ecco il fatto.
Ne parlò come se Diana avesse sogni bollenti
di lussuria, e lei sola fosse fredda.
A questo io, disgraziato, misi in dubbio
la sua lode, e scommisi delle monete d’oro
contro questo anello, che allora egli portava
al dito, di riuscire, corteggiando lei,
a prendere il posto di lui nel suo letto,
e vincere l’anello con l’adulterio mio
e della sua donna. Egli, da vero cavaliere,
e sicuro della sua fedeltà, che infatti
io stesso riscontrai, mise in posta
questo anello, e l’avrebbe fatto
anche se fosse stato un rubino della ruota
del carro di Febo: avrebbe anzi potuto
farlo con sicurezza se anche si fosse
trattato del valore dell’intero carro.
Io, con questo intento, partii per la Britannia.
Forse mi ricorderete, sire, a corte,
dove la vostra casta figlia m’insegnò
la differenza che c’è fra l’amore e la lussuria.
Si spense così la speranza, ma non il desiderio
di vittoria, e il mio cervello italiano cominciò
ad operare con bassezza sulla vostra britanna
ingenuità: eccellente, questa, per il mio vantaggio.
E per farla breve, il mio trucco funzionò così bene
che ritornai con prove simulate, tali
da far impazzire il nobile Leonato,
colpendo la sua fiducia nella lealtà di lei:
prove d’ogni sorta, descrizioni fedeli
degli arazzi della sua stanza e delle scene
lì rappresentate, e questo braccialetto (ah, l’astuzia
con cui l’ottenni!); e addirittura dei segni
segreti sul suo corpo; così che lui non poté
non concludere che il vincolo della castità era stato
infranto, ed io ne avessi il pegno.
E allora… mi sembra di vederlo…
POSTUMO [facendosi avanti]
E mi vedi davvero, demonio d’un italiano!
Ahimè sì, che sciocco credulone,
emerito assassino, ladro; a me
sono dovuti tutti gli epiteti che spettano
alle canaglie passate presenti e future.
Datemi una corda, un coltello, del veleno,
un giudice giusto! Tu, re, manda a chiamare
qualcuno che inventi torture ingegnose.
Io, io, redimo tutte le infamie
più orrende della terra, perché sono
peggiore di loro. Io sono Postumo,
che ho ucciso tua figlia. No, mento,
vile che sono! Che l’ho fatta uccidere
da una canaglia meno vile di me,
un ladro sacrilego. Era il tempio
della virtù, lei: la virtù stessa.
Sputatemi addosso, scagliatemi pietre,
copritemi di fango, lanciate contro di me
a latrare i cani della strada. Ogni canaglia
si chiami Postumo Leonato, ogni
scelleratezza sia minore, ora, di prima.
O Imogene, mia regina, mia sposa, mia vita!
O Imogene, Imogene, Imogene!
IMOGENE
Calma, mio signore. Sentite, sentite…
POSTUMO
Vuoi farti gioco di questo? Paggio
insolente, ecco quello che ti meriti. [La colpisce: lei cade.]
PISANIO
Aiuto, signori! La signora mia, e vostra.
Ah, mio signore, Postumo! Soltanto ora
avete ucciso Imogene. Aiuto, aiuto!
La mia padrona onorata!
CIMBELINO
Mi gira attorno, il mondo.
POSTUMO
Queste vertigini, da dove vengono?
PISANIO
Svegliatevi, padrona!
CIMBELINO
Se è così, gli dèi vogliono colpirmi a morte,
con una gioia che uccide.
PISANIO
Come sta la mia padrona?
IMOGENE
Lontano dai miei occhi! Mi hai dato tu
il veleno. Via, servitore infedele!
Non respirare dove ci sono dei prìncipi.
CIMBELINO
La voce di Imogene!
PISANIO
Signora, gli dèi scaglino su di me
fulmini di zolfo, se non è vero che credevo
fosse una medicina preziosa la pozione
che vi diedi. Me l’aveva data la regina.
CIMBELINO
Altre novità!
IMOGENE
Mi ha avvelenata.
CORNELIO
O dèi!
Ho tralasciato una cosa che la regina
confessò e che prova la tua innocenza.
“Se Pisanio”, disse,”ha dato alla sua padrona
quella pozione che gli spacciai per un cordiale,
è stata servita come un sorcio”.
CIMBELINO
Che vuol dire, Cornelio?
CORNELIO
La regina, sire, mi importunava spesso
perché le approntassi dei veleni, sotto
pretesto di voler soddisfare la sua conoscenza
uccidendo soltanto creature inferiori,
di poca importanza, come cani e gatti.
Io, temendo che le sue intenzioni fossero
più pericolose, preparai per lei
un composto che, se preso, avrebbe fatto
cessare sul momento le funzioni vitali,
ma dopo poco consentito alle facoltà naturali
di riprendere la loro azione. Ne avete preso?
IMOGENE
Probabilmente sì, perché rimasi come morta.
BELARIO
Ragazzi, ecco il nostro errore.
GUIDERIO
Di sicuro, è Fedele.
IMOGENE
Perché gettasti via la tua sposa?
Immagina d’essere sopra una roccia,
e cerca di gettarmi giù di nuovo. [Lo abbraccia.]
POSTUMO
Rimani appesa qui come un frutto,
anima mia, finché l’albero non muoia.
CIMBELINO
Ma come, figlia mia, mia carne,
in questa scena mi fai fare lo sciocco?
Non mi parli?
IMOGENE [inginocchiandosi]
La vostra benedizione, sire.
BELARIO [a Guiderio e Arvirago]
Se avete amato questo giovane,
non posso biasimarvi: c’era un buon motivo.
CIMBELINO
Le mie lagrime, cadendo su di te,
divengano acqua benedetta. Imogene,
tua madre è morta.
IMOGENE
Me ne dispiace, sire.
CIMBELINO
Oh, era malvagia. È per causa mia
che ci ritroviamo in modo così strano.
E suo figlio è scomparso, non si sa come né dove.
PISANIO
Mio signore, ora che la paura
mi ha abbandonato, dirò la verità.
Quando la mia padrona scomparve,
il principe Cloten venne da me,
spada sguainata e schiuma alla bocca,
giurando che se non rivelavo dove
fosse fuggita, sarei morto all’istante.
Per caso, avevo in tasca una falsa
lettera del mio padrone, che lo indusse
a cercarla sulle montagne presso Milford.
Per là partì allora infuriato,
indossando gli abiti del mio padrone
che mi aveva estorto, con un disegno infame
in mente e giurando di violare l’onore
della mia padrona. Cosa successe dopo, non so.
GUIDERIO
Finisco io la storia. L’ho ucciso.
CIMBELINO
Che gli dèi te ne guardino! Non vorrei
che le tue degne imprese strappassero
alle mie labbra una sentenza dura. Ti prego,
giovane valoroso, nega quel che hai detto.
GUIDERIO
L’ho detto e l’ho fatto.
CIMBELINO
Era un principe
GUIDERIO
Assai incivile. Gli oltraggi che mi fece
non erano certo da principe. Mi provocò
con un linguaggio tale che mi farebbe affrontare
il mare stesso, se mi ruggisse in faccia così.
Gli tagliai la testa, e sono contento
che non sia qui a raccontare questa storia.
CIMBELINO
Mi dispiace per te. La tua stessa lingua
ti condanna, e devi subire la nostra legge.
Sei un uomo morto.
IMOGENE
Quel corpo senza testa!
Lo credetti del mio signore.
CIMBELINO
Legate il colpevole e portatelo via.
BELARIO
Fermatevi, maestà. Quest’uomo
è migliore di colui che ha ucciso,
di stirpe nobile quanto la tua,
e ha più meriti nei tuoi confronti
di quanti un’intera banda di Cloten
si sia mai guadagnata con le sue cicatrici.
[Alle guardie] Lasciategli libere le braccia: non son fatte
per le catene.
CIMBELINO
Come, vecchio soldato? Vuoi annullare
i meriti per i quali non sei stato ancora
ricompensato, e provare la nostra ira?
Che vuol dire, di stirpe nobile quanto la nostra?
ARVIRAGO
In questo, ha esagerato.
CIMBELINO
E per questo, morirai.
BELARIO
Moriremo tutti e tre, ma proverò
che due di noi sono nobili
come gli ho detto. Figli miei,
devo fare un discorso pericoloso per me,
ma forse vantaggioso per voi.
ARVIRAGO
Il vostro pericolo è anche nostro.
GUIDERIO
E il nostro vantaggio anche il suo.
BELARIO
Ecco, allora, con il tuo permesso:
tu avevi, grande re, un suddito
di nome Belario…
CIMBELINO
Ebbene, che c’entra lui?
È un traditore che è stato esiliato.
BELARIO
È lui che ha assunto questo aspetto
di vecchio: esiliato sì, ma non so
perché traditore.
CIMBELINO
Portatelo via.
Il mondo intero non riuscirà a salvarlo.
BELARIO
Piano, meno furia. Prima pagami
per avere allevato i tuoi figli;
poi, tutto quello che ne ricevo
sia pure confiscato.
CIMBELINO
Allevato i miei figli?
BELARIO
Sono troppo brusco e sfacciato. In ginocchio.
Prima di rialzarmi, voglio ottenere
per i miei figli rango più alto.
Non risparmiare, poi, il vecchio padre.
Potente sovrano, questi due giovani gentiluomini
che mi chiamano padre e si credono miei figli,
non sono affatto miei: sono progenie
dei vostri lombi, mio signore, carne
della vostra carne.
CIMBELINO
Come, mia progenie?
BELARIO
Quanto lo siete voi di vostro padre.
Io, il vecchio Morgan, sono quel Belario
che voi un tempo esiliaste. Il vostro arbitrio
fu tutta la mia colpa, la mia punizione,
e il mio tradimento. Quel che ho sofferto
è tutto il male che ho fatto. Questi
nobili prìncipi – ché tali sono – per vent’anni
li ho istruiti, e quel che sanno
l’hanno appreso da me. Vostra Altezza
sa quale fosse la mia educazione.
La loro nutrice, Eurifile, rapì i bambini
quando fui bandito, e perciò la sposai.
Io stesso la spinsi a farlo, avendo ricevuto
prima la punizione per ciò che feci dopo.
Punito per la mia lealtà, fui mosso al tradimento.
Più l’averli presi vi faceva soffrire,
più ciò rispondeva al mio scopo nel rapirli.
Ma, grazioso signore, ecco a voi i vostri figli:
io perdo due dei più dolci compagni del mondo.
La benedizione dei cieli che ci sovrastano
discenda come rugiada su di loro.
Meritano d’intarsiare il cielo di stelle.
CIMBELINO
Tu parli e piangi. I servigi che voi tre
mi avete reso sono più incredibili
di quel che racconti. Persi i miei bambini:
se sono questi, non saprei augurarmi figli più degni.
BELARIO
Attendete ancora. Questo gentiluomo
che io chiamo Polidoro, nobilissimo principe,
è in realtà il vostro Guiderio.
Quest’altro, il mio Cadwal, è il vostro
principe più giovane, Arvirago. Sire,
egli era avvolto in un mantello ornato,
ricamato dalle mani di sua madre la regina.
Lo posso produrre come ulteriore prova.
CIMBELINO
Guiderio aveva sul collo una voglia,
una stella rosso sangue: un segno portentoso.
BELARIO
Questi è lui infatti, che conserva
ancora su di sé quel marchio naturale.
La natura stessa, nella sua saggezza,
glielo donò al fine di farne ora prova
della sua identità.
CIMBELINO
Sono allora
come una madre che dà alla luce tre figli?
Mai nessuna gioì più del parto.
Siate benedetti e regnate nelle vostre sfere
dopo tanto strano errare da esse.
Imogene, così hai perso un regno.
IMOGENE
No, mio signore. Ho guadagnato due mondi.
Miei dolci fratelli, ci siamo dunque incontrati.
D’ora in poi, non dite che io non fossi
la più veritiera. Voi mi chiamavate fratello,
ed io non ero che vostra sorella.
Io vi chiamavo fratelli, e voi
lo eravate veramente.
CIMBELINO
Vi siete già incontrati?
ARVIRAGO
Sì, buon signore.
GUIDERIO
E al primo incontro ci siamo amati,
fin quando lo credemmo morto.
CORNELIO
Per effetto della pozione della regina.
CIMBELINO
O raro istinto! Quando verrò a sapere
tutto? Da questo riassunto disordinato
si diramano molte branche di eventi
che bisognerebbe distinguere e poi esaminare.
Dove e come hai vissuto? Quando sei passata
al servizio del nostro prigioniero romano?
Come ti sei separata dai tuoi fratelli?
E come li hai incontrati la prima volta?
Perché hai lasciato la corte? E per dove?
Tutto questo, e i motivi che spinsero
voi tre alla battaglia, e non so quant’altro,
dovrei chiedervi, e tutte le circostanze
collaterali, fatto per fatto.
Ma né il tempo né il luogo sono adatti
a lunghi interrogatori. Guardate: Postumo
si è ancorato a Imogene, e lei
lampeggia il suo sguardo innocente su di lui;
i suoi fratelli si volgono a me,
e il suo signore getta una luce di gioia
su ogni cosa. Fra ciascuno, fra tutti
c’è come uno scambio reciproco.
Lasciamo questo luogo, e il fumo
dei nostri sacrifici si sparga per il tempio.
[A Belario] Tu sei mio fratello: tale ti avrò per sempre.
IMOGENE
E io mio padre: mi salvaste per farmi
vedere questo momento di felicità.
CIMBELINO
Siamo tutti ricolmi di gioia,
meno questi in catene. Siano felici
anche loro, e godano della nostra letizia.
IMOGENE
Mio buon padrone, vi servo
ancora una volta.
LUCIO
Siate felice!
CIMBELINO
Quel povero soldato che combatté con valore
così grande, starebbe bene qui,
e riceverebbe tutta la gratitudine del re.
POSTUMO
Sono io, sire, quel soldato
che, in stracci, agì con questi tre:
era la veste adatta allo scopo
che allora perseguivo. Ditelo, Iachimo,
che ero io: vi avevo atterrato.
e avrei potuto finirvi.
IACHIMO [inginocchiandosi]
Sono di nuovo a terra. Allora fu
la vostra forza a farmi piegare le ginocchia:
ora è il peso della mia coscienza.
Vi scongiuro, prendete la mia vita, che vi devo
tante volte: ma prima, il vostro anello,
e il braccialetto della principessa più fedele
che mai abbia giurato la sua fede.
POSTUMO
Non vi inginocchiate dinanzi a me.
Il potere che ho su di voi è
di risparmiarvi. La mia vendetta, perdonarvi.
Vivete, e agite meglio con gli altri.
CIMBELINO
Nobile giudizio! Impareremo la generosità
da nostro genero. Perdono è la parola
per tutti.
ARVIRAGO
Ci avete aiutato, signore,
come se foste nostro fratello.
Siamo contenti che lo siate veramente.
POSTUMO
Servo vostro, prìncipi. Mio buon signore
di Roma, chiamate il vostro indovino.
Mentre dormivo, mi apparve il grande Giove,
assiso sulla sua aquila, con gli spiriti
dei miei congiunti. Quando mi svegliai,
trovai questo foglio sul mio petto.
Il suo contenuto è così privo di senso
che non riesco a trarne alcuna conclusione.
Ci mostri la sua abilità nell’interpretarlo.
LUCIO
Filarmonio!
INDOVINO
Eccomi, mio buon signore.
LUCIO
Leggi, e spiega il significato.
INDOVINO [legge]
Quando il figlio di un leone senza saperlo troverà non cercandola un’aria dolce che tutto lo abbraccerà; quando i rami di un cedro maestoso saranno tagliati e, morti da molti anni, rivivranno per essere riuniti al vecchio tronco e germogliare di nuovo: allora saranno terminate le miserie di Postumo, la Britannia sarà felice e fiorirà in pace ed abbondanza.
Tu, Leonato, sei il figlio del leone,
come insegna l’etimologia del tuo nome, Leo-natus.
[A Cimbelino] La vostra virtuosa figliuola è l’aria dolce:
noi la chiamiamo mollis aer,
e da mollis aer deriviamo mulier,
mulier che interpreto così: questa
moglie costante che proprio ora,
rispondendo al pronunciamento preciso dell’oracolo,
senza essere conosciuta da voi, non cercata,
vi ha abbracciato con quest’aria dolce.
CIMBELINO
Sembra verosimile.
INDOVINO
Il cedro maestoso, regale Cimbelino,
indica te; i rami tagliati
i tuoi figli che, rapiti da Belario,
per molti anni ritenuti morti,
rivivono ora, riuniti al cedro regale.
La loro discendenza promette
pace ed abbondanza alla Britannia.
CIMBELINO
Ebbene, ora promulgo la mia pace.
Caio Lucio, benché vincitori,
ci sottomettiamo a Cesare e all’impero romano.
Promettiamo di pagare il consueto tributo.
Ne fummo dissuasi dalla nostra malvagia regina:
su di lei e i suoi i cieli hanno calato
il pugno pesante della giustizia.
INDOVINO
Le dita delle potenze celesti intonano
l’armonia di questa pace. La visione
che rivelai a Lucio prima che scoppiasse
questo conflitto appena sopito
si adempie appieno in questo momento.
L’aquila romana si levava alta sull’ala
da mezzogiorno ad occidente, poi diveniva
più piccola, e svaniva nei raggi del sole.
E questo adombrava un’unione nuova
fra la nostra aquila imperiale, Cesare,
e il radioso Cimbelino, che splende qui a occidente.
CIMBELINO
Rendiamo dunque lode agli dèi.
Dai nostri altari benedetti salgano
volute di fumo alle loro narici.
Questa pace venga annunciata
a tutti i nostri sudditi. Avanti:
l’insegna romana e quella britanna
ondeggino insieme al vento, amiche.
Marciamo così attraverso la città di Lud:
ratificheremo la nostra pace nel tempio
del grande Giove, e la suggelleremo con feste. Andiamo!
Mai con pace tanto felice guerra fu terminata
prima ancor che si lavasse mano insanguinata.
[Escono.]
Cimbelino
(“Cymbelyne” 1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V