(“Cymbelyne” 1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano Cloten e due Signori.
CLOTEN
C’è mai stato qualcuno con una sfortuna come la mia? Stavo per mettere la boccia accanto al pallino con un tiro, e mi viene sbalzata via! Ci avevo scommesso un centinaio di sterline. E poi arriva uno stupido figlio di puttana a rimproverarmi perché bestemmio, come se dovessi prendere le mie bestemmie a prestito da lui e non potessi spenderle a piacimento.
PRIMO SIGNORE
E cosa ci ha rimediato? Gli avete rotto la zucca con la vostra palla.
SECONDO SIGNORE [a parte]
Se il suo cervello fosse stato d’acqua fresca come quello di chi gli ha rotto la zucca, se ne sarebbe uscito tutto fuori.
CLOTEN
Quando un gentiluomo ha voglia di bestemmiare, non tocca certo ai presenti di tagliargli le bestemmie in bocca, no?
SECONDO SIGNORE
No, mio signore; [a parte] e neppure di tagliar loro le orecchie.
CLOTEN
Cane figlio di cagna! Ah, potergli dare una lezione! Se avesse avuto anche soltanto l’odore del mio rango!
SECONDO SIGNORE [a parte]
Sì, per puzzare come uno scemo.
CLOTEN
Mi fa imbestialire più di qualsiasi altra cosa, maledizione! Preferirei non essere nobile come sono. Nessuno osa combattere contro di me per via di mia madre, la regina. Qualsiasi disgraziato può fare a botte quanto gli pare, e io devo andare su e giù come un gallo che nessuno può toccare.
SECONDO SIGNORE [a parte]
Sei gallo, e pure cappone, e fai chicchirichì, galletto mio, con il berretto del buffone sulla zucca a mo’ di cresta.
CLOTEN
Che dici?
SECONDO SIGNORE
Non è degno di Vostra Signoria misurarsi con qualsiasi cialtrone che offendete.
CLOTEN
Certo, lo so: ma è pur degno che io faccia offesa ai miei inferiori.
SECONDO SIGNORE
Sì, è degno solo di Vostra Signoria.
CLOTEN
Appunto, è quel che dico.
PRIMO SIGNORE
Avete saputo dello straniero che è arrivato a corte questa sera?
CLOTEN
Uno straniero, e io non ne so niente?
SECONDO SIGNORE [a parte]
Il tipo strano è lui, e neppure lo sa.
PRIMO SIGNORE
È arrivato un italiano, un amico di Leonato, dicono.
CLOTEN
Leonato? Un furfante bandito. E questo è un altro furfante, chiunque egli sia. Chi vi ha detto di questo straniero?
PRIMO SIGNORE
Uno dei paggi di Vostra Signoria.
CLOTEN
Sarà degno di me andare a dargli un’occhiata? Derogherei al mio rango nel farlo?
SECONDO SIGNORE
Voi non potete derogare in alcun modo, signore.
CLOTEN
È difficile, lo ammetto.
SECONDO SIGNORE [a parte]
Sei uno scemo patentato, e siccome tutto quello che fai è stupido, non è di deroga proprio a niente.
CLOTEN
Bene, andrò a vedere questo italiano. Mi rifarò su di lui di quello che ho perso prima a bocce. Su, andiamo.
SECONDO SIGNORE
Ai vostri ordini, signore.
[Escono Cloten e il Primo Signore.]
Che un diavolo astuto come sua madre
debba regalare al mondo un asino così!
Una donna che dà i numeri a tutti
col suo cervello, e suo figlio
incapace di tenere a mente che venti
meno due fa diciotto! Ahimè,
povera principessa, divina Imogene,
cosa non soffri tra un padre agli ordini
della tua matrigna, una madre
sempre pronta a fabbricare intrighi,
e un corteggiatore più odioso del vergognoso esilio
del tuo caro sposo, e del divorzio orrendo
che costui t’imporrebbe. Il cielo sorregga
le mura del tuo caro onore, renda
incrollabile quel tempio che è il tuo animo bello,
perché tu resista per goderti tuo marito
e questo gran paese dal quale egli è bandito. [Esce.]
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Compaiono Imogene a letto, e una dama.
IMOGENE
Chi è? Tu, Elena?
DAMA
Signora, per servirvi.
IMOGENE
Che ore sono?
DAMA
Quasi mezzanotte, signora.
IMOGENE
Ho letto per tre ore, allora:
gli occhi sono stanchi, ripiega il foglio
a segno dove mi sono fermata. Poi, a letto.
Non portar via la candela, lasciala accesa;
e se riesci a svegliarti per le quattro,
chiamami, ti prego. Tutta mi prende il sonno.
[La dama esce.]
Alla vostra protezione, o dèi, mi affido:
difendetemi, vi supplico, dagli spiriti
e dai dèmoni che tentano la notte!
[Dorme. Iachimo esce dal baule.]
IACHIMO
I grilli cantano, e il corpo stanco dell’uomo
si ristora nel riposo. Così il nostro
Tarquinio calpestò le stuoie, piano,
prima di risvegliare la castità che ferì a morte.
Oh, Citerea, con che bellezza
adorni il tuo letto! Oh giglio fresco,
più bianco delle lenzuola! Poter toccarla!
Un bacio soltanto, un bacio! Rubini
senza pari, con quale dolcezza bacereste!
È il suo respiro a profumare così la stanza.
La fiamma della candela si piega verso di lei
a spiare sotto le ciglia le luci
che vi sono racchiuse, ora coperte
da quel velo di palpebre bianche
e azzurre, del colore del cielo.
Ma il mio disegno è di osservare la stanza,
tutto annotando per iscritto: queste
pitture, e quest’altre; là, ecco,
la finestra; l’arredo del suo letto; gli arazzi;
quali figure, e l’argomento delle loro storie.
Ah, e poi, qualche particolare fisico,
del corpo, sarebbe prova migliore
di mille miserabili pezzi di mobilio,
a completare questo mio inventario.
Oh sonno, scimmia della morte, distenditi
pesante su di lei! Siano i suoi sensi
come le effigi sepolcrali in una cappella.
Su, presto, vieni. [Sfilando il braccialetto.]
Facile da sfilare, quanto fu duro
a sciogliere il nodo di Gordio. È mio:
e all’apparenza fornirà dimostrazione
valida quanto quelle che la coscienza fabbrica
dentro di noi – per la disperazione di suo marito.
Sul suo seno sinistro un neo con cinque puntini,
come le gocce cremisi sul fondo di una primula.
Ecco un documento più eloquente
di qualunque prova legale. Questo segreto
lo costringerà a credere che ho forzato
la serratura e preso il tesoro del suo onore.
Altro non serve. A che scopo?
Perché poi scrivere tutto? È ormai fissato
come una vite nella mia memoria.
Ha letto fino a tardi la storia di Tereo.
Il foglio ha il segno al punto
dove Filomela s’arrende. Mi basta.
Dentro al baule, di nuovo, e richiudiamolo.
Presto, fate presto, draghi della notte,
perché l’alba venga ad aprire gli occhi
al corvo! Mi prende la paura. Là c’è
un angelo del cielo. Ma qui, è l’inferno. [Suona l’orologio.]
Uno, due, tre; è l’ora, è l’ora!
[Entra nel baule. La scena si chiude.]
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entrano Cloten e Signori.
PRIMO SIGNORE
Vostra Signoria è l’uomo più paziente del mondo quando perde, e il più freddo quando, tirando ai dadi, scopre un asso.
CLOTEN
Chiunque diverrebbe freddo, perdendo.
PRIMO SIGNORE
Ma non tutti avrebbero la pazienza che mostra il nobile temperamento di Vostra Signoria. Siete straordinariamente ardente e appassionato quando vincete.
CLOTEN
Vincere farebbe diventare coraggioso chiunque. Se solo riuscissi ad avere quella sciocca di Imogene, sarei ricco a sufficienza. È quasi giorno, no?
PRIMO SIGNORE
Sì, mio signore, è giorno.
CLOTEN
Vorrei che questa musica arrivasse. Mi hanno consigliato di darle della musica, al mattino: dicono che penetri.
Entrano i musici.
Su, forza, suonate: se riuscirete a penetrarla usando le dita, bene Proveremo anche con la lingua. Se né le une né l’altrace la fanno, la lasceremo stare. Ma io non mi darò mai per vinto. Prima, qualcosa di elegante ed elaborato. Dopo, un’aria dolce a meraviglia, con parole d’incanto. E poi, lasciamola riflettere.
CANZONE
Ascolta, ascolta:
l’allodola canta del cielo all’orizzonte,
e Febo a sorger viene,
i suoi destrieri abbevera alla fonte
che il calice dei fiori in sé contiene;
incerte le calendule socchiudon gli occhi d’oro;
con tutte le cose belle destati dal tuo ristoro;
destati, dunque, destati, dolce mio tesoro.
CLOTEN
E adesso andatevene. Se questa canzone sarà capace di penetrarla, darò migliore compenso alla vostra musica. Se non ci riesce, vuol dire che c’è un difetto nelle sue orecchie al quale non possono rimediare strumenti di crini di cavallo e budella di vitello, e neppure la voce di un eunuco scoglionato. [I musici escono.]
SECONDO SIGNORE
Ecco che arriva il re.
CLOTEN
Sono contento di essere rimasto in piedi fino a tardi, perché così mi sono alzato presto. Il re non potrà che prendere il mio comportamento paternamente.
Entrano Cimbelino e la Regina.
Buon giorno a Vostra Maestà e alla mia graziosa madre.
CIMBELINO
In anticamera davanti alla porta della nostra austera figlia? Non vuole uscire?
CLOTEN
L’ho assalita con la musica, ma non si degna di prestarvi attenzione.
CIMBELINO
Troppo fresco è l’esilio del suo favorito.
Non lo ha dimenticato ancora: ci vorrà
del tempo per cancellare l’immagine di lui
dalla sua memoria. Allora, sarà vostra.
REGINA
Dovete molto al re, che non trascura
alcuna opportunità per mettervi in buona luce
con sua figlia. Preparatevi dunque
a corteggiarla con regolarità, intensamente,
e a cogliere l’occasione favorevole. I suoi dinieghi
devono far aumentare le vostre attenzioni.
Gli omaggi che le fate debbono parere
ispirati dal profondo del cuore. Obbeditele
in tutto, eccetto agli ordini che vi respingono:
su questo siate insensibile.
CLOTEN
Senza senso? No di certo.
Entra un messaggero.
MESSAGGERO
Col vostro permesso, sire, ambasciatori
da Roma. Uno è Caio Lucio.
CIMBELINO
Un uomo di valore, anche se giunge, ora,
con intenzioni minacciose. Ma non è colpa sua.
Dobbiamo riceverlo con gli onori dovuti
a chi lo manda e a lui stesso, per la bontà
che ci ha mostrato in passato –
dobbiamo usargli ogni riguardo.
Voi, diletto figlio, dopo aver dato
il buongiorno a colei che amate,
raggiungerete la regina e noi: avremo bisogno
di servirci di voi con questo romano.
Venite, mia regina. [Escono tutti meno Cloten.]
CLOTEN
Le parlerò, se è in piedi.
Se no, che dorma ancora, e sogni.
Ehi, permesso! [Bussa] Le sue donne, lo so,
le stanno attorno: e se ungessi la mano
di qualcuna? È l’oro ad aprire le porte
– già, spesso – e a far sì che i guardacaccia
di Diana, tradendo i loro compiti,
portino i cervi dove i cacciatori di frodo
sono appostati. È l’oro che ammazza
l’uomo onesto e salva il ladro;
anzi alle volte fa impiccare l’onesto
insieme al ladro. Cosa non può, l’oro,
fare e disfare? Di una delle sue donne
farò il mio avvocato, ché ancora
non capisco il caso io stesso. Permesso? [Bussa.]
Entra una dama.
DAMA
Chi bussa?
CLOTEN
Un gentiluomo.
DAMA
Niente di più?
CLOTEN
Sì: anche figlio di una gentildonna.
DAMA
Questo è più di quanto possano vantare
alcuni di quelli che hanno un sarto caro
come il vostro. Cosa desidera Vostra Signoria?
CLOTEN
La vostra signora. È pronta?
DAMA
Certo: a rimanere nella sua stanza.
CLOTEN
Ecco dell’oro per voi: vendetemi
un po’ di buona reputazione.
DAMA
E cioè il mio buon nome? O di riferire
di voi quel che penso sia buono? – La principessa!
[La dama esce.]
Entra Imogene.
CLOTEN
Buon giorno, bellissima. Sorella, la vostra dolce mano.
IMOGENE
Buon giorno, signore. Vi date pene
infinite per non ottenere che guai.
Vi ringrazio dicendo che sono povera
di ringraziamenti, e non ne posso sprecare.
CLOTEN
Eppure giuro che vi amo.
IMOGENE
Se lo diceste soltanto, sarebbe per me
indifferente. Se lo giurate, la vostra
ricompensa resta sempre che non me n’importa.
CLOTEN
Questa non è una risposta.
IMOGENE
Se non fosse che, stando zitta,
voi direste che cedo, non parlerei.
Vi prego di risparmiarmi. Credetemi:
alle vostre più grandi gentilezze risponderò
con pari scortesia. Uno che ha
sapienza grande come voi, dovrebbe
imparare, dopo tante lezioni, a ritirarsi.
CLOTEN
A lasciarvi nella vostra follia,
commetterei un peccato. Non lo farò.
IMOGENE
I folli non sono pazzi.
CLOTEN
Mi date del folle, dello scemo?
IMOGENE
Scemo quanto io sono pazza:
se sarete paziente, non sarò più
pazza, e saremo ambedue guariti.
Mi dispiace, signore, che il vostro straparlare
mi costringa a smettere i modi d’una signora.
E ora, una volta per tutte, ascoltate
ciò che, conoscendo il mio cuore,
io qui dichiaro in tutta franchezza:
di voi non m’importa. E m’accuso di essere
così povera di carità da odiarvi.
Preferirei che da solo l’aveste capito
piuttosto che farne io proclama.
CLOTEN
Peccate contro l’obbedienza che dovete
a vostro padre. Il preteso vostro contratto
con quel disgraziato miserabile, allevato
per elemosina e nutrito d’avanzi, di rifiuti
della corte, non è un contratto – è niente.
Se poi è permesso a gente volgare
– e chi più volgare di lui? –
di unire le proprie persone a piacimento
con i loro pari – e da qui non nasce
altro che marmocchi e miseria – voi
da questa libertà siete esclusa
per via degli obblighi pertinenti alla corona,
e non dovete macchiare il suo splendore
con uno schiavo miserabile, uno che è nato
per la livrea, un lacchè, un garzone da cucina
– anzi, neppure tanto in alto.
IMOGENE
Blasfemo! Se anche fossi il figlio di Giove,
ma restassi uguale a quello che, per di più,
già sei, saresti troppo miserabile
per fargli da servo. Se i vostri meriti
si paragonassero, ti spetterebbe l’onore – e già,
susciterebbe invidia – l’essere fatto tirapiedi
del boia del suo regno; e odiato, addirittura,
per tanta distinzione.
CLOTEN
Le nebbie del sud lo facciano marcire!
IMOGENE
Non può capitargli sventura peggiore
che essere nominato da te.
Purché abbia toccato il suo corpo,
il suo più misero vestito m’è più caro
di tutti i capelli che ti coprono la testa,
quando anche divenissero uomini tuoi pari.
Pisanio, presto!
Entra Pisanio.
CLOTEN
“Il suo vestito”! Che il diavolo…
IMOGENE
Presto, va’ da Dorotea, la mia ancella.
CLOTEN
“Il suo vestito”!
IMOGENE
Son perseguitata da un folle, impaurita
e infuriata. Corri, di’ alla mia ancella
di cercare un gioiello che per caso deve
essermi caduto dal braccio. Era del tuo padrone.
Ch’io sia maledetta se mai vorrei perderlo
per tutte le ricchezze di qualunque re d’Europa!
Credo d’averlo visto questa mattina.
Sono sicura che l’avevo al braccio
ieri notte. L’ho baciato. Spero
che non sia corso a dire a mio marito
che bacio qualcun altro.
PISANIO
Non può essersi perso.
IMOGENE
Lo spero. Va’ a cercarlo. [Esce Pisanio.]
CLOTEN
Mi avete offeso:
“Il suo più misero vestito!”
IMOGENE
Così dissi, signore. Se volete
farmi causa, chiamate pure i testimoni.
CLOTEN
Informerò vostro padre.
IMOGENE
E vostra madre: è mia protettrice;
e di me, spero, penserà il peggio che può.
Vi lascio, signore, al peggior scontento. [Esce.]
CLOTEN
Mi vendicherò!
“Il suo più misero vestito”! Bene! Bene! [Esce.]
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
Entrano Postumo e Filario.
POSTUMO
Non temete, signore. Vorrei essere
tanto sicuro di persuadere il re quanto
son certo che lei manterrà il suo onore.
FILARIO
Che mezzi userete col re?
POSTUMO
Nessuno. Attendere che il tempo cambi,
tremare in questo inverno freddo,
desiderare che vengano giorni più caldi.
Soltanto con queste speranze incerte
ripago la vostra cortesia. Se falliscono,
morirò vostro debitore.
FILARIO
La vostra bontà e la vostra compagnia
sono pagamento più grande di qualunque cosa
io possa fare. Ormai il vostro re
avrà saputo del grande Augusto.
Caio Lucio compirà la sua missione
fino in fondo, e il re, ritengo,
accederà a pagare il tributo, e gli arretrati,
piuttosto che affrontare i Romani, il cui ricordo
gli sarà tuttora penoso.
POSTUMO
Non sono un politico, e non è probabile
che lo divenga mai, ma credo
che finirà in una guerra. E avremo l’annuncio
che la legione di Gallia è sbarcata nella nostra
intrepida Britannia prima che un solo
centesimo del tributo sia stato versato.
La nostra gente è più preparata
di quando Giulio Cesare sorrideva
della loro inesperienza, anche se trovava
il loro coraggio preoccupante. La disciplina,
unita ora al coraggio, dimostrerà
a chi vuole metterli alla prova
che sono un popolo capace di fare
progressi nel mondo.
Entra Iachimo.
FILARIO
Guardate! Iachimo è già qui.
POSTUMO
V’hanno guidato i cervi più veloci,
e da ogni angolo i vènti hanno baciato
le vostre vele, tanto da far volare la nave!
FILARIO
Benvenuto, signore.
POSTUMO
Spero che la rapidità del vostro ritorno
sia dovuta alla brevità della risposta avuta.
IACHIMO
Vostra moglie è una delle donne
più belle che abbia mai visto…
POSTUMO
E anche la migliore, o la sua bellezza,
affacciata alla finestra, adeschi pure
cuori falsi, e sia falsa con loro.
IACHIMO
Ho lettere per voi.
POSTUMO
Con buone notizie, spero.
IACHIMO
Molto probabile.
POSTUMO
Caio Lucio era
alla corte britanna assieme a voi?
IACHIMO
Era atteso, ma non ancora arrivato.
POSTUMO
Finora tutto bene. Quella pietra
brilla come prima, o è troppo opaca
perché la portiate ad ornamento?
IACHIMO
Se l’avessi perduta, il suo valore in oro
avrei perduto. Farei un viaggio
due volte più lungo per godere
un’altra notte così breve e dolce
come la mia in Britannia: l’anello è vinto.
POSTUMO
La pietra è troppo difficile da togliere così.
IACHIMO
Per nulla: vostra moglie è così facile!
POSTUMO
Non cercate, signore, di volgere in scherzo
la vostra perdita. Spero sappiate
che non dobbiamo per forza rimanere amici.
IACHIMO
Lo dobbiamo, amico mio, se tenete fede
al patto. Se non avessi riportato con me
intima conoscenza della vostra donna, ammetto
che la discussione potrebbe proseguire.
Ma io, ora, mi proclamo vincitore del suo onore,
come del vostro anello. E senza
far torto né a lei né a voi, perché
ho agito secondo il desiderio di entrambi.
POSTUMO
Se potete provare d’averla gustata a letto,
la mia mano e il mio anello sono vostri.
Se no, l’opinione infame che avevate
del suo onore purissimo, a voi o a me
costerà la spada, o ambedue ci priverà
della spada, lasciandola a chi la trova.
IACHIMO
Signore, le prove circostanziali che addurrò
sono così vicine alla verità
che v’indurranno a credere. Poi, confermerò
la forza loro con un giuramento.
Mi darete licenza di ometterlo, non dubito,
quando vedrete che non ce n’è bisogno.
POSTUMO
Continuate.
IACHIMO
Prima la sua camera da letto
– dove confesso di non aver dormito,
ma dove dichiaro d’avere ottenuto
quel che valeva bene una veglia.
Alle pareti arazzi di seta e argento,
con la storia dell’altera Cleopatra che incontra
il suo romano, e il Cidno che si gonfia
oltre le rive per le troppe navi
o per l’orgoglio di portarla. Un lavoro
fatto con arte tale, e così ricco,
da chiedersi se prevalesse in esso la perizia
o il valore. E io mi domandavo
se potesse con tanta bellezza essere eseguito,
e precisione: perché c’era, lì, la vita vera…
POSTUMO
Questo è vero, ma potreste averlo
sentito raccontare qui da me,
o da qualcun altro.
IACHIMO
Altri particolari
devono avvalorare la mia conoscenza.
POSTUMO
Sì, certo; o il vostro onore ne verrà macchiato.
IACHIMO
Il camino guarda a sud, e sulla cappa
è rappresentata Diana, casta, al bagno.
Mai ho visto figure parlanti come quelle.
Una seconda Natura, benché muta,
deve essere stato lo scultore – anzi,
l’ha superata, pur senza il respiro e il movimento.
POSTUMO
Anche questo potete averlo appreso
indirettamente. È cosa di cui si parla molto.
IACHIMO
Il soffitto della stanza è adorno
di cherubini d’oro. Gli alari
– li avevo dimenticati – erano due Cupidi
d’argento, bendati, in equilibrio su un piede
e con grazia appoggiati alle loro torce.
POSTUMO
E questo dunque sarebbe il suo onore!
Ammettiamo che abbiate visto tutto ciò
– e lodiamo quindi la vostra memoria.
La descrizione dei particolari della camera
non basta per vincere la scommessa fatta.
IACHIMO
Allora impallidite, se potete! Chiedo licenza
[gli mostra il braccialetto]
di far prendere aria a questo gioiello: guardate!
Ora lo rimetto via. Va sposato
al vostro diamante, e li terrò entrambi.
POSTUMO
Oh Giove!… Ancora una volta lasciate
che lo guardi: è proprio quello che le avevo dato?
IACHIMO
Quello, signore, grazie a lei stessa!
Se l’è sfilato dal braccio: la vedo ancora
adesso mentre lo fa, quel gesto,
che per la sua grazia superava il valore
del dono, e l’ha reso più prezioso.
Me lo diede dicendo che le era stato caro,
un tempo.
POSTUMO
Forse lo tolse per mandarlo a me.
IACHIMO
Davvero? È questo che scrive nella lettera?
POSTUMO
No. O no, no! È vero. Ecco, [gli dà l’anello]
prendete anche questo. Per i miei occhi
è un basilisco, che uccide a guardarlo.
Non c’è onore, non può esserci,
dove c’è bellezza. Né verità,
dove c’è apparenza. Né amore,
dove c’è un altro uomo. Che i giuramenti
delle donne siano d’impegno
a coloro cui li fanno come esse
sono impegnate alla virtù loro!
Per nulla! Oh, falsa oltre misura!
FILARIO
Signore, siate paziente, e riprendete
il vostro anello. Non è perso, ancora.
Forse l’ha smarrito o, chissà,
una delle sue donne, corrotta, l’ha rubato.
POSTUMO
Verissimo. In questo modo, spero,
l’ha ottenuto. Restituitemi l’anello,
e indicatemi un qualche segno sul suo corpo
che sia più conclusivo. Questo fu rubato.
IACHIMO
Per Giove, l’ho avuto dal suo braccio stesso.
POSTUMO
Attento, sta giurando. Lo giura
su Giove! Allora è vero,
tenete pure l’anello. Sono sicuro
che non avrebbe mai potuto perderlo.
E le sue ancelle sono fidate, tutte,
e oneste. Loro indotte a rubarlo?
E da uno straniero? No! L’ha goduta!
Questo è l’emblema della sua incontinenza.
A questo prezzo s’è comprata il nome
di puttana. Ecco, prendi la tua paga,
e i diavoli dell’inferno si dividan fra voi due!
FILARIO
Siate paziente, signore. Questa non è
prova sufficiente contro una persona
della quale si ha buona opinione.
POSTUMO
Basta parlarne! S’è fatta montare da lui.
IACHIMO
Se chiedete prove più convincenti,
ebbene sotto il suo seno – ben degno,
peraltro, d’essere palpato – c’è un neo,
giustamente orgoglioso della sua posizione
così delicata. Sulla mia vita, l’ho baciato,
e m’ha fatto venir fame di mangiarne ancora.
Ricordate questa macchia che ha?
POSTUMO
Sì. E conferma un’altra macchia che,
anche da sola, è tanto grande
da riempire tutto l’inferno.
IACHIMO
Volete sentire dell’altro?
POSTUMO
Risparmiatevi l’aritmetica. Non contate le volte.
Una vale un milione!
IACHIMO
Giuro…
POSTUMO
Niente giuramenti!
Se giurate che non l’avete fatto, mentite. E
t’ammazzo se neghi d’avermi fatto cornuto.
IACHIMO
Non nego nulla.
POSTUMO
Ah! Averla qui, nelle mie mani,
e farla a pezzi! Ritornerò lassù,
lo farò, lì nella corte, davanti
a suo padre. Farò cose che… [Esce.]
FILARIO
Del tutto fuori di senno e di pazienza!
Avete vinto. Seguiamolo, e cerchiamo
di stornare la rabbia che ha contro se stesso.
IACHIMO
Con tutto il cuore. [Escono.]
Rientra Postumo.
POSTUMO
Non possono nascere, gli uomini, senza
che le donne compiano metà dell’opera?
Siamo tutti bastardi, e quell’uomo
rispettabilissimo che chiamavo mio padre
era chissà dove quando io fui coniato.
Un falsario m’avrà contraffatto coi suoi strumenti.
Eppure mia madre pareva la Diana di quei tempi:
tale mia moglie, adesso, e senza uguali.
Vendetta, vendetta! A me limitava il piacere legittimo.
e spesso mi chiedeva paziente astinenza.
Mi pregava, con un pudore soffuso di rosso
così dolce che a vederlo avrebbe scaldato
il vecchio Saturno, e a me sembrava
casta come neve non toccata dal sole.
Per tutti i diavoli! Iachimo, questo
figuro giallastro, in un’ora – no? –
forse meno, al primo incontro,
magari senza dire una parola, come un cinghiale
– tedesco, per giunta – rimpinzato di ghiande,
ha fatto”O!”, e se l’è montata.
Non ha trovato ostacolo se non quello
che voleva, e che lei avrebbe dovuto
difendere dall’attacco. Ah, poter scoprire
in me la parte dovuta alla donna!
Non c’è impulso verso il vizio nell’uomo
che, dico, non venga dalla donna.
La menzogna, notate, dalla donna. Da lei,
la lusinga, da lei l’inganno. La lussuria,
i pensieri immondi: suoi, suoi!
Sua la vendetta: e ambizioni, cupidigia,
superbia, disprezzo, desideri strani,
calunnie, volubilità – tutti i peccati
che hanno un nome – anzi, che l’inferno
conosce: suoi, in parte o del tutto.
No, del tutto. Ché persino nel vizio
le donne non hanno costanza, ma cambiano sempre:
un vizio d’un minuto con uno nuovo,
di trenta secondi. Scrivere contro
di loro, voglio – detestarle, maledirle.
C’è però una maniera più sottile
per odiarle veramente: augurare loro
che soddisfino le proprie voglie.
Il diavolo stesso non saprebbe tormentarle meglio. [Esce.]
Cimbelino
(“Cymbelyne” 1609/1610)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V