(“As you like it” 1599 – 1600)
Traduzione di Carlo Alberto Corsi e Nemi D’Agostino
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Introduzione
La commedia è la rappresentazione, attraverso i modi di agire e di sentire dei personaggi, del contrasto tra la vita di corte, convulsa, complicata, insidiosa, e la vita di campagna, all’aperto, nella natura; rappresentazione che è condotta dal poeta come un gioco dialettico tra aristocratici e contadini, più tipi che personaggi, in un linguaggio i cui pregi letterari rivelano la raggiunta maturità e perizia drammaturgica dell’autore, che si muove intorno ad una trama piuttosto labile, evanescente, da ridursi quasi a semplice pretesto letterario. L’atmosfera bucolica vi è punteggiata qua e là da canzoni e recitativi in rima che ne accentuano il carattere di “pièce” di letteratura pastorale: un genere di moda all’epoca, come si è detto, ma che Shakespeare non sembra prediligesse troppo, se nello stesso titolo che dà al suo lavoro – e che non è un titolo – sembra dire al suo pubblico: “Io l’ho scritta per gioco e per seguire la moda, e spero che vi piaccia; dategli voi il titolo che volete; quel che piace a voi, può anche non piacere a me”. Questa commedia è, cronologicamente, la terza del gruppo delle cosiddette “commedie romantiche” di Shakespeare, insieme con le altre “Molto rumore per nulla” (“Much Ado about Nothing”), “La dodicesima notte (o quello che volete)” (“Twelfth Night; or, What You Will”) e “Le allegre comari di Windsor” (“The Merry Wives of Windsor”), scritte tutte nello spazio di tre anni e poco più (1598 -1601). Il titolo figura iscritto nello “Stationers’ Register” alla data del 4 agosto 1600; il che fa presumere che la commedia non sia stata scritta molto tempo prima, anche perché essa non figura fra quelle elencate e attribuite a Shakespeare nel “Palladis Tamia” (“Doni di Minerva”) di Francis Meres, una specie di antologia/inventario degli autori inglesi contemporanei, apparso nel 1598. Del manoscritto, com’è di tutti gli altri lavori di Shakespeare, nessuna traccia: il testo corrente è quello apparso nella prima pubblicazione a stampa delle opere di Shakespeare, il cosiddetto “primo in-folio” uscito nel 1623, sette anni dopo la morte del poeta, a cura di due suoi amici e colleghi, gli attori John Heminge e Henry Condell. La commedia ebbe grande fortuna appena uscita, anche perché per stile, fattura e impianto scenico seguiva una moda del tempo, quasi un ritorno al gusto del bucolico e dell’idilliaco nella forma dialogica che aveva avuto notevole espressione in Italia e in Spagna; e i drammaturghi elisabettiani si premuravano di soddisfare questo gusto. Uno dei loro più insigni, Edmund Spenser, amico di Shakespeare, pubblica (1579) anche un poema pastorale di dodici egloghe, “The Shepherd’s Calendar” che rimane il miglior esempio della poesia pastorale inglese. Poi la commedia scomparve dalle scene, e non s’ha più notizia di sue rappresentazioni fino a più d’un secolo dopo, quando – dicembre 1740 – fu rappresentata a Londra al teatro “Drury Lane”; dopo la quale apparizione prenderà un posto stabile nel repertorio di molte compagnie teatrali in Inghilterra e all’estero, fino ai nostri giorni, spesso rappresentata all’aperto, come meglio si conviene al bucolico ambiente della sua vicenda, quasi per intero ubicato in una foresta.
Come vi piace non è certo la più nota delle commedie di Shakespeare. Ma è conosciuta, rappresentata, letta e studiata quel tanto che basta per coglierne il fascino sottile, subdolo, verrebbe da dire: le complessità, i divertiti e bruschi cambiamenti di visione e prospettiva, le trappole farcite di cortesi florilegi accuratamente preparate dal buon William. Ancora efficacissime, pronte a scattare alla minima sollecitazione. Shakespeare ricevette in dono una consapevolezza linguistica che gli consentiva di padroneggiare le parole, versi alati o ruvida prosa, in modo da poter comprendere, nel senso più ampio del termine, il gusto, la capacità ricettiva, lo scandaglio emotivo, la contemplazione estetica (ed estatica) di un pubblico vastissimo. Dal contadinotto venuto a teatro per farsi due risate e guardarsi un paio di dame dagli abiti non esattamente casti, al Professore di Oxford che si mischia alla folla ed elucubra, tra uno schiamazzo e l’altro, individuando assonanze e consonanze, richiami intertestuali e compagnia bella. William aveva cibo a sufficienza per sfamare tutti. Per lasciare ciascuno alla fine, sazio, certo di aver avuto ciò che desiderava.
Come vi piace, opportunamente tradotto da qualcuno anche con Come vi pare, diventa quindi in un certo senso anche una specie di marchio di fabbrica, un motto, uno slogan. Se è questo che volete, sembra dirsi Shakespeare, questo avrete. Per me è lo stesso, l’importante è che siate contenti voi, e che riempiate i teatri, giorno dopo giorno. Questa è, almeno in parte, una potenziale chiave di lettura. Le porte letterarie shakespeariane tuttavia di chiavi ne richiedono numerose per sperare di vederle socchiudere. Il buon William sembra voler assecondare gusti e richieste, pare allinearsi a ciò che furoreggia, ciò che è in voga. Dal canto suo sembra addirittura dire “Io scrivo, così, perché sono drammaturgo, è il mio mestiere. Sono come un sarto, confeziono abiti su misura, a seconda delle esigenze e delle mode”. La frase è falsa, oltre che inventata. Niente di più lontano dalla realtà. Doveva mangiare, William, certo, come ogni padre di famiglia, o forse di famiglie. Ma ciò non gli impediva di fare, in realtà, come pareva a lui. Dando sempre l’impressione di servire la rispettabilissima platea, of course.
La commedia Come vi piace avrebbe potuto, anzi avrebbe dovuto, a regola, uniformarsi ai dettami della letteratura “pastorale”, l’Arcadia che faceva sognare e versare fiumi di inchiostro. L’intreccio avrebbe potuto essere complesso ma prevedibile, ed aprire la strada, anzi, un verde e profumato sentiero, verso l’atteso happy ending. Avrebbe accontentato tutti, o quasi. Di sicuro la maggioranza degli spettatori. Non avrebbe soddisfatto però uno spettatore particolare, il primo e l’ultimo: William Shakespeare da Stratford. Accade così allora che, alla fin fine, il primo e l’ultimo a divertirsi sia proprio l’autore. Anche a spese del suo pubblico. Lo schema di base della commedia pastorale era semplice nella sua intricatezza. Travestimenti, giochi, trucchi innocui e in gran parte giocosi, e poi via, l’agnizione, ognuno si rivela per quello che è, buoni e cattivi, belli e brutti, e finisce a tarallucci e vino, e dentro una mirabolante alcova. Shakespeare scardina il meccanismo. Dando la colpa con un ghigno sarcastico ai propri attori, quasi avessero fatto di testa loro, mostra che la vita, sia nella realtà che nella finzione, è più articolata, più ricca di sfumature. Perché tutto il mondo recita una commedia (e qui l’eco arriva nitida fino a Pirandello ed oltre), e la Fortuna svolge una parte determinante.
La scena è quella della foresta di Arden, luogo deputato, idilliaco per eccellenza. Una sede “ecologica” da contrapporre alla cruda vita sociale e cittadina. Ma anche nell’Arcadia si insinuano, non meno aspre, le contraddizioni, i contrasti, i dissidi. Shakespeare non sopportava l’esaltazione incondizionata del mondo pastorale. A lui, è il caso di dirlo, non pareva plausibile. Finisce allora per minarne le basi dall’interno, in modo velato, indiretto, e, per questo, più efficace. Tramite il linguaggio, arma primaria. Le miti principessine e le fanciulle in fiore, ed anche gli integerrimi eroi, cadono, non di rado, e con un certo gusto, nel linguaggio “osceno”. Mai fine a se stesso, con un verve ed un senso della misura assoluti. Si tratta però pur sempre di un elemento che va al di fuori del cliché. Anche l’esaltazione della campagna come paradiso in terra è sottoposta a occhiate e battute schiettamente ironiche. Meglio lasciare la campagna ai contadini, ci dice Shakespeare. Anzi, lo fa dire ai suoi saggi pazzi, siano essi raffinati ed eccentrici viaggiatori o buffoni di mestiere. Jaques, il personaggio dal nome francesizzante, è il signore che vive e pensa da filosofo. Divertendosi a “ragionare”, il che spesso equivale a camminare in direzione contraria rispetto alla folla. Il buffone invece è Touchstone, Pietra di Paragone. Già la traduzione del suo nome dice molto. Ricerca l’oro. Materiale prezioso e raro. Come la verità. Forse non la troverà mai. Ma già la ricerca lo eleva, di sicuro dal punto di vista morale e intellettuale. I personaggi “malinconici”, afflitti da quella sorta di malattia che li porta al morbo del pensiero, della ragione, erano un mezzo per mostrare l’altro lato della luna, quello oscuro, scomodo, avvolte da dense foschie. Un’altra eco, distante dai tempi e dai climi shakespeariani, ma forse neppure troppo, destinata a giungere fino a Freud, comincia a vibrare nell’aria.
L’ultimo è più gustoso scherzo di Shakespeare, lo specchio deformante più possente e grottesco, appare nel finale della commedia. Il gioco della luce e dell’ombra, del bianco e del nero, viene ribaltato, o, almeno, intessuto in nodi più complessi. Il duca cattivo in un primo momento è al potere, e quello buono in esilio. Situazione standard, si potrebbe dire, comunissima, quasi normale, nell’ambito teatrale e non solo. Accade però in Come vi piace che il cattivo diventi buono, e si faccia addirittura eremita. Lasciando il potere all’altro, che lascia la macchia, senza troppi rimpianti, per tornare a palazzo. La formula si ripete, a chiasmo, nei due figli dei duchi, Oliver e Orlando. Il cattivo Oliver diventa buono e sceglie il bosco. Quando però viene a sapere dell’eredità, si ricrede. Pungente e credibile, sul piano psicologico, anche questo retrofront. Nella parte conclusiva della pièce, le figlie dei duchi, Rosalinda e Celia (nome forse non casuale, quest’ultimo) sposeranno il nuovo buono e l’ex-cattivo. In un matrimonio collettivo stile giapponese, quasi, in grado di mettere in crisi anche il più solerte impiegato dell’Ufficio Anagrafe. Ma proprio dall’ambito che dovrebbe rinsaldare la pace e l’armonia, quello pastorale, emergono, emblematicamente, le prime insidie, le contraddizioni, le complicazioni amorose personificate dall’ulteriore coppia, quella di Silvio e Febe.
Complicata, molto, la trama della commedia, e tuttavia solare, nella sua arguta sequenza di ombre e riflessi. Forse perché il linguaggio, è, come osservò Johnson, tra i più fluidi e vitali del repertorio shakespeariano. Una commedia un po’ fuori luogo e fuori epoca, Come vi piace, ma anche fuori dal tempo, con quella grazia e quel brio, a tratti serenamente taglienti, che ancora racchiude. Divertente, a suo modo. Forse perché l’autore si è divertito in prima persona, a prendere modelli e smontarli, rimettendoli insieme a suo piacimento. Si è anche divertito a giocare a mosca cieca con lo spettatore, e a prenderlo in giro, facendogli credere che il testo fosse stato scritto come piaceva a lui. In realtà è il contrario, si tratta di un esperimento letterario, giocoso e complicato come una partita a dama. Ma a noi, in fondo, piace anche così. Forse perché ci piace pensare che tutto sia come ci pare.
Riassunto
La commedia si svolge in un ducato francese, ma la maggior parte dell’azione si svolge in un luogo chiamato la Foresta di Arden. Federigo ha usurpato il ducato ed esiliato suo fratello maggiore, il Duca legittimo. Alla figlia del duca, Rosalinda, è stato permesso di rimanere a corte perché ella è la migliore amica e cugina dell’unica figlia di Federigo, Celia. Orlando, un giovane gentiluomo del regno che si è innamorato di Rosalinda, è costretto a scappare da casa sua a causa delle persecuzioni di suo fratello maggiore, Oliviero. Federigo si arrabbia con Rosalinda e la bandisce dalla corte. Celia e Rosalinda decidono di scappare insieme, accompagnate dal giullare Pietraccia. Durante la fuga Rosalinda si traveste da uomo, dandosi il nome di Ganimede (“Il paggio di Giove”), mentre Celia si fa chiamare Aliena (la parola latina per “straniera”). I tre arrivano nella idilliaca Foresta di Arden, dove ora vive il Duca esiliato, circondato da alcuni suoi sostenitori, tra i quali c’è il melanconico Jaques, innamorato di Aldrina. “Ganimede” ed “Aliena” non incontrano immediatamente il duca ed i suoi compagni, poiché prima incappano in Corino, un affittuario impoverito, e si offrono di comprare la capanna cadente del suo padrone. Orlando vede Oliviero nella foresta e lo salva da una leonessa, atto che fa pentire Oliviero per aver trattato male Orlando. Oliviero incontra Aliena (che è, in realtà, Celia) innamorandosi di lei, e i due decidono di sposarsi. Orlando e Rosalinda, Oliviero e Celia, Silvio e Febe, e Pietraccia e Aldrina si sposano tutti insieme nella scena finale, e subito dopo scoprono che anche Federigo si è pentito delle sue colpe, decidendo di ridare il trono al fratello ed adottare uno stile di vita religioso. Jaques, sempre melanconico, decide di seguire l’esempio di Federigo e di dedicare la sua vita alla religione. Frattanto, Orlando ed il suo servo Adamo (un ruolo che potrebbe essere stato interpretato da Shakespeare stesso), trovano il Duca ed i suoi uomini e presto decidono di vivere con loro, affiggendo agli alberi semplici poesie d’amore indirizzate a Rosalinda. Quest’ultima, che ricambia l’amore di Orlando, lo incontra travestita da Ganimede e finge di consigliarlo per curarlo dal mal d’amore. Ganimede dice che prenderà il posto di Rosalinda in modo che lui e Orlando possano recitare la loro relazione. Nello stesso momento, Febe, una pastorella della quale è innamorato Silvio, si è innamorata di Ganimede (alias Rosalinda), anche se “Ganimede” le dimostra continuamente di non essere interessato a lei. Inoltre, il cinico Pietraccia si è proposto alla poco arguta Aldrina e cerca di sposarla prima che i suoi piani siano rovinati da Jaques. Infine, Silvio, Febe, Ganimede ed Orlando si ritrovano a litigare su chi sposerà chi. Ganimede dice di poter risolvere il problema, facendo promettere ad Orlando di sposare Rosalinda e a Febe di sposare Silvio se non potrà sposare Ganimede. Il giorno dopo, Ganimede rivela la sua vera identità. Febe, dopo aver scoperto che l’oggetto del suo amore non è ciò che pensava, si lega a Silvio.
Qualcuno ritiene che Shakespeare avesse voluto scrivere un epilogo di questa commedia, nella poesia To the Queen, ritrovata scritta su una busta per lettere.
Come vi piace
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