(“As you like it” 1599 – 1600)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
Entrano Rosalinda, Celia e Jaques.
JAQUES
Bel ragazzo, ti prego, diventiamo più amici.
ROSALINDA
Mi dicono che siete un tipo un po’ depresso.
JAQUES
È così. Preferisco lo spleen alla risata.
ROSALINDA
Sì, però chi eccede nell’uno e l’altro lato, è gente detestabile. Si espone ogni momento agli appunti più squallidi, peggio degli ubriaconi.
JAQUES
Ma no, no, triste è bello, e tenerselo in sé.
ROSALINDA
Allora è bello pure essere un palo.
JAQUES
Nota bene, io non ho la tristezza del dotto, che poi è invidia. Non ho quella del musicista, che è un po’ roba da matti. Né quella del cortigiano, che è pura arroganza. Né del soldato, che è ambizione. Né del magistrato, che è una tristezza diplomatica. Né quella della signora, pura civetteria. E neanche quella dell’innamorato, che è un po’ tutto assieme. La mia è una tristezza solo mia, composta di molti ingredienti estratti da molti dati, ed è per l’esattezza la somma delle riflessioni che ho fatto durante i miei viaggi, nei quali un ruminar ricorrente m’avvoltola in una molto stramba tristezza.
ROSALINDA
Siete un viaggiatore! Sfido che avete titoli ad essere triste! Magari avete venduto le vostre terre per vedere quelle degli altri. E poi, chi molto vede e nulla stringe è come chi ha occhi ricchi e mani vuote.
JAQUES
Beh, mi sono fatto un’esperienza.
Entra Orlando.
ROSALINDA
È quella che vi deprime. Per me, meglio un matto che mi tiene allegra, che un’esperienza che mi rattrista. E con le spese del viaggio, per giunta!
ORLANDO
Felice dì, mia cara Rosalinda.
JAQUES
Ah no! Dio v’assista, m’incominciate a parlare in versi sciolti!
ROSALINDA
Addio messer Viaggiatore. E mi raccomando, attenzione: erre moscia e abiti buffi; poi, screditare tutte le qualità del paese vostro; disamore pel posto dove siete nato; e magari uno scazzo col Padreterno perché v’ha dato la faccia che avete; altrimenti farò fatica a credere che avete navigato in gondola. (Esce Jaques.) Ma dico io, Orlando, dove siete stato tutto questo tempo? Voi innamorato! Fatemi un altro di questi scherzi, e starete alla larga da me.
ORLANDO
Mia bella Rosalinda, son qui con neanche un’ora di ritardo.
ROSALINDA
Mancar d’un’ora di ritardo a una promessa d’amore! Ma chi spaccasse un minuto in mille parti, e poi mancasse d’un bruscolo della millesima parte del minuto in un affare di cuore, beh di lui si può dire che forse Cupido gli ha dato un colpetto alla spalla, ma garantisco che il cuore gli è rimasto illeso.
ORLANDO
Perdonami cara Rosalinda.
ROSALINDA
Oh, se siete così attardato non venitemi più sotto gli occhi. Tanto varrebbe farsi far la corte da una lumaca.
ORLANDO
Una lumaca?
ROSALINDA
Sì una lumaca. Che almeno lei, se va lenta, si porta in testa la casa: che è meglio di quanto voi, mi pare, potete offrire a una donna. Inoltre la lumaca porta con sé il suo destino.
ORLANDO
Sarebbe a dire?
ROSALINDA
Beh, le corna, che tipi come voi possono aspettarsi soltanto come regalo dalla moglie. La lumaca invece viene già armata del proprio destino, e così sgambetta le maldicenze.
ORLANDO
La virtù non fa corna, e la mia Rosalinda è virtuosa.
ROSALINDA
E la vostra Rosalinda, eccola qua.
CELIA
Lui ti chiama così perché gli va, ma la sua Rosalinda è più bella di te.
ROSALINDA
Su fatemi la corte, fatemi la corte: oggi mi sento festosa e propensa a cedere. Cosa mi direste, ora, se fossi davvero davvero la vostra Rosalinda?
ORLANDO
Ti bacerei prima di parlare.
ROSALINDA
Ah no, è meglio parlare prima, e quando sareste a corto di argomenti potreste approfittarne per baciare. I grandi oratori quando sono a secco, sputano, e per gli amanti che abbiano – Dio non voglia! – qualche défaillance, la mossa più pulita è baciare.
ORLANDO
E se il bacio è negato?
ROSALINDA
Allora ti obbliga a supplicare, e l’argomento è bell’e trovato.
ORLANDO
Ma chi può esserne spoglio, quando si trova con l’amata?
ROSALINDA
Voi per esempio, perbacco! Se fossi la vostra amante. O dovrei pensare che in me l’onestà la vince sulla capacità.
ORLANDO
Mi vuoi proprio spogliato?
ROSALINDA
Non dei vestiti ma degli argomenti. Non sono la vostra virtuosa Rosalinda?
ORLANDO
Dire che lo sei mi dà un po’ di gioia, perché è una scusa per parlare di lei.
ROSALINDA
Bene, e allora, nei suoi panni, vi dico che non vi voglio.
ORLANDO
E allora nei miei panni io muoio.
ROSALINDA
No, per carità, morite per procura. Questo povero mondo è vecchio di quasi seimila anni, e in tutto questo tempo nessuno è mai morto nei suoi panni, voglio dire, per causa d’amore. Troilo s’ebbe il cervello spappolato da una clava greca, e dire che aveva fatto di tutto per morire prima, e lui è un modello per gli amanti. Leandro, lui sarebbe vissuto felice e contento chissà quanti anni, anche se Ero si fosse fatta monaca, non fosse stato per colpa d’una calda notte di mezzestate: perché, poverino, andò solo a farsi un bagno nell’Ellesponto, e preso da un crampo annegò, e gli sciocchi cronisti dell’epoca accollarono il fatto a Ero di Sesto. Tutte menzogne! Gli uomini muoiono, di tanto in tanto, e i vermi se li mangiano, ma non muoiono mai per amore.
ORLANDO
Non mi farebbe piacere che la mia Rosalinda, quella vera, la pensasse così, perché lo giuro, mi basterebbe un cipiglio a farmi crepare.
ROSALINDA
Giuro su questa mano che non ammazzerebbe una mosca. Ma vieni qui, voglio fare la tua Rosalinda in vena di concessioni. Chiedimi ciò che vuoi e io t’accontento.
ORLANDO
Allora amami Rosalinda.
ROSALINDA
Ci puoi contare, ti amerò il venerdì, il sabato e sempre.
ORLANDO
E mi vorrai?
ROSALINDA
Ma certo, e altri venti come te.
ORLANDO
Ma cosa dici!
ROSALINDA
Perché, non sei buono?
ORLANDO
Lo spero bene.
ROSALINDA
E allora, di cose buone, se ne può volerne mai troppe? Vieni qua, sorella, devi fare il prete e sposarci. Dammi la mano, Orlando. Cosa dici, sorella?
ORLANDO
Ti prego, sposaci.
CELIA
Ma non so le parole.
ROSALINDA
Comincia così: “Vuoi tu, Orlando…”.
CELIA
Proviamo. Vuoi tu Orlando prendere in moglie la qui presente Rosalinda?
ORLANDO
Sì.
ROSALINDA
Sì, ma quando?
ORLANDO
Subito, adesso, più presto che lei può!
ROSALINDA
Allora devi dire: “Rosalinda ti prendo in moglie”.
ORLANDO
Rosalinda ti prendo in moglie.
ROSALINDA
Ti potrei prendere in parola, ma lasciamo stare, ti prendo per marito, Orlando. Ed ecco qui una ragazza che si sbriga prima del prete, e certo mente di donna precede ogni fatto.
ORLANDO
Così fan tutti i pensieri, che ci hanno le ali.
ROSALINDA
Ma adesso dimmi per quanto tempo la tieni, dopo ch’è stata tua.
ORLANDO
Per sempre e un giorno.
ROSALINDA
Dì pure un giorno senza il sempre. No, no, Orlando, gli uomini sono aprile da innamorati e dicembre da sposati. Le ragazze son maggio da ragazze, ma il cielo cambia da maritate. Io sarò più gelosa di te che un piccione di Barberia della sua piccioncina, strillerò più d’un pappagallo quando viene il temporale, sarò più vanitosa d’una bertuccia, più pazza-capricciosa d’una scimmietta. Piangerò per niente come Diana sulla fonte, e lo farò quando tu sei in vena d’allegria. E quando avrai voglia di dormire riderò come una iena.
ORLANDO
Farà così pure la mia Rosalinda?
ROSALINDA
Puoi contarci, farà come me.
ORLANDO
Oh ma lei è saggia.
ROSALINDA
Difatti, altrimenti non avrebbe lo spirito per farlo. Più saggezza più bizze. Chiudi la porta su ingegno di donna, e quello esce per la finestra. Chiudi la finestra, e quello scappa per il buco della serratura. Tappa questo, e vola col fumo per la cappa del camino.
ORLANDO
Allora uno che avesse una moglie di tanto spirito potrebbe dire: “O spirito, dove spiri?”.
ROSALINDA
Beh, meglio tener da parte la domanda per quando vedrai lo spirito di tua moglie infilarsi nel letto del vicino.
ORLANDO
E con quale presenza di spirito si scuserebbe lo spirito?
ROSALINDA
O Madonna, direbbe ch’era lì per cercarti. Difficile assai trovarla senza risposte pronte, a meno che non sposi una senza lingua. Eh, la donna che d’una sua colpa non sa fare un manico di scopa da dare in testa al marito, non dia mai il suo latte al bambino, crescerebbe un deficiente.
ORLANDO
Rosalinda, ti lascio per un paio d’ore.
ROSALINDA
Amore mio, e come farò per due ore senza di te?
ORLANDO
Debbo andare a pranzo dal duca ma per le due sarò di ritorno.
ROSALINDA
Ma sì, va pure, va pure. Lo sapevo che razza di marito ti dimostravi. Le mie amiche l’avevano detto e io me l’aspettavo. Mi ha messo nel sacco quella linguaccia adulatrice. Ed eccone un’altra che è stata fregata, e allora vieni, morte! Hai detto alle due?
ORLANDO
Sicuro, dolcezza.
ROSALINDA
Per l’anima mia, e non scherzo affatto, e per Iddio che mi perdoni, e per tutti quei moccolini che non fan male a nessuno, se manchi d’un solo soffio alla tua promessa o se arrivi con un minuto di ritardo ti giudicherò il più miserabile traditore, e l’innamorato più falso, e il più indegno di quella che chiami Rosalinda, il più infedele che si possa scegliere dalla massa d’infedeli: evita dunque l’addebito e mantieni la promessa.
ORLANDO
Promessa sacrosanta, come se fossi la mia Rosalinda. Ora ti saluto.
ROSALINDA
Beh, il Tempo è il giudice antico che giudica tutte queste infrazioni. Lasciamo tutto al Tempo. Ti saluto.
Esce (Orlando).
CELIA
L’hai proprio pestato coi piedi il nostro sesso, coi tuoi sproloqui d’amore. Dovremmo tirarti giacca e braghe sulla testa, e far vedere a tutti che scempio ha fatto l’uccella del suo nido.
ROSALINDA
O cugina, cugina cugina, cuginetta mia, se tu sapessi in che profondo m’ha sprofondata l’amore! Non c’è scandaglio che lo sondi. La mia passione ha un fondo ignoto, come la Baia del Portogallo.
CELIA
Direi piuttosto che è senza fondo, dimodoché più ne versi e più svanisce.
ROSALINDA
No, quel bastardaccio di Venere, quel figlio della fantasia, concepito dalla tristezza e nato dalla pazzia, quel farabutto moccioso che inganna gli occhi di tutti perché i suoi sono ciechi, venga lui stesso in persona a giudicare quant’è profondo il mio amore. Credimi, Aliena, lontana da Orlando io non resisto più. Vado a cercare un po’ d’ombra, per tirarvi sospiri finché lui non mi torna.
CELIA
E io nel frattempo schiaccerò un pisolino. Escono.
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
Entrano Jaques e alcuni signori (vestiti da) boscaioli.
JAQUES
Chi è stato a uccidere il cervo?
PRIMO SIGNORE Io, monsignore.
JAQUES
Scortiamolo dal duca come un conquistatore romano; e sulla testa gli mettiamo le corna della bestia, a mo’ di corona trionfale. Boscaiolo, la sai una canzone adatta alla circostanza?
SECONDO SIGNORE Sì monsignore.
JAQUES
Cantala. Non importa se è stonata, purché sia fracassona.
(I signori si danno il la e cantano.)
Cosa avrà chi ha ucciso la bestia?
Pelle di cuoio e corna in testa.
Poi scortatelo a casa col coro,
e il resto canterà
‘sto ritornello.
Per le corna non te la prendere,
segno nobile da sempre,
le portava il padre del padre,
le portò pure tuo padre.
Corno, corno, nobile corno,
non è cosa da averne scorno. Escono.
ATTO QUARTO – SCENA TERZA
Entrano Rosalinda e Celia.
ROSALINDA
E adesso che ne dici? Non son passate le due? Di Orlando nemmeno l’ombra!
CELIA
Con tutto il suo puro amore e il terremoto nel cranio, scommetto che ha preso l’arco e le frecce e se n’è andato a letto. Guarda chi si rivede.
Entra Silvio.
SILVIO
Ho un messaggio per voi, mio bel ragazzo.
La mia gentile Febe disse di darvi questo.
Non so cosa c’è scritto, ma suppongo
dal viso corrucciato e gli scatti di vespa
che aveva nello scrivere, qui dentro ci saranno
cose da turchi. Ve ne chiedo scusa,
io non son che un postino senza colpa.
ROSALINDA
Uh, la pazienza stessa perderebbe
la pazienza scorrendo questa lettera!
Ma è roba da trascendere! È roba insopportabile!
Non sono bello, dice: sono maleducato,
e superbioso, e lei non mi potrebbe amare
mai, nemmeno se i maschi scarseggiassero
come la fenice. Ma per la miseria,
non è costei la lepre di cui sto andando a caccia.
E allora perché scrivermi così? Andiamo, andiamo,
pastore, questa lettera è un trucchetto dei tuoi.
SILVIO
No, ve lo giuro. Io, non so che dice.
È Febe che l’ha scritta.
ROSALINDA
Andiamo, via, l’amore
t’ha proprio rimbambito. Le sue mani, le ho viste.
Sono mani di cuoio, sembran fatte di tufo.
Ti giuro, m’era parso che portasse
qualche paio di guanti stagionati
e invece, erano proprio le sue mani.
Ha le mani da sguattera. Ma via, lasciamo stare.
Dico che questa lettera non l’ha inventata lei.
Questa è parto d’un maschio, e di suo pugno.
SILVIO
Eppure è proprio sua.
ROSALINDA
Ma chi ci crede?
Questo è stile manesco, senza cuore,
uno stile che provoca. Ma come, lei mi sfida
come un turco un cristiano. Una mente gentile
di donna non saprebbe mai eruttare
queste immagini bruto-smargiasse, questi termini
etiopici, più neri nell’effetto
che nell’aspetto. Vuoi che te la legga?
SILVIO
Sì, fatelo, che io non so davvero
che cosa dica. So però che Febe
può essere crudele. Ne ho sentite fin troppe.
ROSALINDA (legge)
Mi febeggia! Ma senti che tiranna:
Sei forse un dio mutato in un pastore,
Tu che d’una ragazza hai messo a fuoco il cuore?
Hai mai sentito un insulto simile da una donna?
SILVIO
E lo chiamate un insulto?
ROSALINDA (legge)
E perché mai, lasciando la tua divinità,
guerreggi col mio cuore senza averne pietà?
Hai mai sentito tale tracotanza?
Quando che occhi umani mi facevan la corte,
io non v’ho mai sentito pericolo di sorta.
Insomma mi scambia per una bestia.
Se l’astio d’una tua fulgida occhiata
è capace di darmi una tale sbandata,
me lassa, ahimè! Quale tremendo effetto
avrebbero i tuoi sguardi in più gentile aspetto?
Mentre che m’insultavi, io t’adorai;
le tue preghiere, dunque, che effetto avrebber mai?
Ma chi ti dà notizia di questo mio tormento,
non sospetta per nulla tutto il mio struggimento.
Affida dunque a lui le tue intenzioni,
dimmi se la tua età e le tue condizioni
accetteranno questa offerta mia fedele
di me stessa e di quanto m’appartiene,
ma se per mezzo suo l’amor tuo non ho in sorte
è meglio che decida come darmi la morte.
SILVIO
E questi li chiamate rimproveri?
CELIA
Ahimè povero pastore!
ROSALINDA
Ma come, me lo compiangi? No, non lo merita. Com’è che puoi amare una donna così? Ma come! Ti vuole ridurre ad uno strumento da cui ricavare note false. È intollerabile! Torna da lei, su, visto che l’amore t’ha fatto una serpe addomesticata, e dille così: se mi ama, le ordino di amarti. Sennò, non la vorrò mai tranne che tu non le faccia da ruffiano. Se veramente la ami, fila e non aggiunger verbo perché qui viene gente. Esce Silvio.
Entra Oliver.
OLIVER
Buon giorno, bella gente. Mi sapreste informare,
dove si trova, ai margini del bosco,
un capanno in un folto d’ulivi?
CELIA
Lì a ponente, nel fondovalle appresso.
C’è un filare di salici che accompagna il torrente
che sentirete brontolare. Tenetelo
sulla destra, e vi porta sul posto. Ma a quest’ora
la casa custodisce se stessa,
non ci sarà nessuno.
OLIVER
Un momento, se l’occhio può lasciarsi guidare
dalla lingua, dovrei pur riconoscervi
dalla descrizione. I vestiti, così,
l’età, la vostra. “Il ragazzo è biondo,
bel viso femminile, e si comporta
che pare una sorella maggiore. La ragazza
bassina, un po’ più scura del fratello”.
Non siete voi per caso i proprietari
della casa di cui v’ho chiesto?
CELIA
L’avete chiesto, e non è vanto dire
che lo siamo.
OLIVER
Orlando vi saluta entrambi,
e al ragazzo che chiama Rosalinda
manda, eccolo qui, un fazzoletto
sporco di sangue. Siete voi il ragazzo?
ROSALINDA
Sì. Ma che significa?
OLIVER
Qualcosa
che torna a mia vergogna, se volete sentire
chi sono, e come, e perché, e dove
quella pezzuola s’è sporcata.
CELIA
Ditelo,
vi prego.
OLIVER
Quando l’ultima volta Orlando v’ha lasciati,
v’ha promesso, nevvero, di tornare entro un’ora.
Ma mentre camminava nel bosco e masticava
il cibo d’un amore dolce e amaro,
ecco, gettò un’occhiata da una parte
e sentite che vede. Sotto una vecchia quercia,
coi rami tappezzati di muschio antico, e la cima
alta, calva per la secca vecchiezza,
si era addormentato a faccia in su
un capelluto, tutto stracci. E al collo
gli s’era attorcigliato un serpe verde e oro,
e il muso lesto e truce penzolava
su quella bocca aperta. Ma di colpo
sbircia Orlando, si snoda e striscia a serpentina
dentro un cespuglio, e lì al buio s’acquattava
testa a terra, le poppe tutte vizze,
una leonessa, e spiava, come un gatto,
la prima mossa del dormiente; infatti
per natura regale quella bestia
non preda nulla che par morto. Orlando
la vede e corre verso l’uomo, e scopre
che è suo fratello, il fratello maggiore.
CELIA
Ah, ne parlava spesso, e ce lo dipingeva
come l’uomo più snaturato.
OLIVER
Aveva ragione.
Lo so bene com’era snaturato.
ROSALINDA
Ma cosa fece Orlando? Lo lasciò lì per pasto
alla bestia succhiata e affamata?
OLIVER
Voleva farlo, e gli voltò le spalle
due volte. La bontà, però, è più nobile
della vendetta, e la natura sua
più forte d’una giusta causa, lo spinse
ad affrontare la leonessa, e subito
l’ebbe ai piedi, stecchita. Quel trambusto
mi svegliò dal mio sonno di straccione.
CELIA
Siete voi suo fratello?
ROSALINDA
Siete voi che ha salvato?
CELIA
Voi che tramaste spesso per ucciderlo?
OLIVER
Ero io. Ma non sono io. Non mi vergogno
di dirvi quel che ero, perché la conversione
sa di dolce, essendo quel che sono.
ROSALINDA
E il fazzoletto insanguinato?
OLIVER
Un momento.
Dopo avere bagnato di dolcissimo pianto
dal principio alla fine, le venture
che ci raccontavamo, l’uno all’altro,
e com’ero arrivato in queste solitudini,
in breve, mi portò dal suo Duca gentile
che mi diede vestiti nuovi, e ospitalità,
e m’affidò all’amore del fratello
che mi guidò alla sua grotta. Lì
si svestì, e proprio qui, sul braccio,
la leonessa gli aveva strappato
un brindello di carne, e aveva sanguinato
tutto il tempo, e adesso mi sveniva,
e mentre che sveniva chiamava Rosalinda.
Insomma, l’ho rianimato, ho bendato
lo strappo, e dopo un po’ mi s’è rimesso
in forza, e m’ha spedito qui, sconosciuto
come sono, a narrarvi questa storia,
per scusarlo d’avere mancato alla promessa,
e per dare la seta macchiata del suo sangue
al pastorello che lui, per giocare,
chiama la sua Rosalinda. (Rosalinda sviene.)
CELIA
Ganimede!
Su, Ganimede, caro!
OLIVER
Molti svengono
alla vista del sangue.
CELIA
Non è solo per questo.
Cugina! Voglio dire, Ganimede!
OLIVER
Guardate, si riprende.
ROSALINDA
Vorrei essere a casa.
CELIA
Ti ci portiamo. Vi prego, volete prenderlo sottobraccio?
OLIVER
Animo, giovanotto! Sennò che uomini siamo? Dov’è il fegataccio d’un uomo?
ROSALINDA
Non c’è e lo confesso. Ma per la miseria, qualcuno direbbe che ho finto a perfezione. Ditelo a vostro fratello, vi prego, come ho recitato bene. Olè.
OLIVER
No che non hai recitato, basta vederti quella faccia di panna: l’hai presa proprio sul serio.
ROSALINDA
No fingevo, lo giuro.
OLIVER
Beh allora coraggio, fingi di essere un uomo.
ROSALINDA
È proprio quello che faccio. Ma a dire il vero avrei il diritto di essere donna.
CELIA
Sbrighiamoci che diventi sempre più pallido. Forza, a casa. Signore vi prego, venite.
OLIVER
Volentieri. Anche perché devo riferire a mio fratello come avete preso le sue scuse, Rosalinda.
ROSALINDA
Vi trovo qualcosa da dirgli. Mi raccomando, però, ditegli come sono stato bravo a fingere. Andiamo?
Escono.
Come vi piace
(“As you like it” 1599 – 1600)
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