(“As you like it” 1599 – 1600)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano il vecchio Duca, Amiens, e due o tre baroni vestiti da boscaioli.
IL VECCHIO DUCA
Ora, compagni miei e fratelli in esilio,
le antiche consuetudini non hanno
forse fatto la nostra vita più dolce
d’una vita di lusso e di belletto?
Non sono questi boschi assai più liberi
da pericoli che una corte invidiosa?
Qui non sentiamo più la condanna d’Adamo,
la stagione che cambia, e la zanna gelata
e il villano rimbrotto del vento dell’inverno,
perché, quand’esso soffia mordente sul mio corpo
da farmi rattrappire per il freddo, io sorrido
e dico: “Questa non è adulazione. Questi
son consiglieri che mi fan sentire
davvero ciò che sono”.
Sono dolci i vantaggi dell’avversità,
son proprio come il rospo, orrendo, velenoso,
che però porta in testa un gioiello prezioso.
E questa nostra vita, via dalla folla, trova
lingue negli alberi, libri nei ruscelli,
prediche nelle pietre, e ovunque il bene.
AMIENS
Io non vorrei cambiarla. Felice Vostra Grazia
che sa tradurre il duro della sorte
in uno stile così soave e quieto.
IL VECCHIO DUCA
Beh, vogliamo ora andare ad ammazzarci
qualche capo di cacciagione? Eppure
mi urta che questi poveri sciocchini variopinti,
cittadini nativi di questa desolata
città, s’abbiano sulle proprie terre
insanguinati i loro tondi fianchi
dalle frecce forcute.
PRIMO BARONE
E infatti, monsignore,
il malinconico Jaques se ne fa un cruccio,
e in questo, giura, voi sareste usurpatore
più del fratello che v’ha messo al bando.
Oggi il Signor d’Amiens qui, e io stesso
siamo riusciti a strisciar quatti quatti
alle sue spalle, mentr’era sdraiato
sotto una quercia, che fa capolino
con la vecchia radice sul ruscello
che fruscia per la selva, e proprio lì
era andato a languire, oramai tutto solo,
un povero cervo ferito dalla mira
del cacciatore; e, signor mio, davvero
quella povera bestia emetteva
gemiti così crudi, che nel cacciarli fuori
gli stiravan la veste di cuoio, fino a scoppiare,
e grosse tonde lacrime si inseguivano
in una caccia pietosa
giù sul muso innocente. E il meschino peloso,
dal quale il triste Jaques non staccava i suoi occhi,
stava proprio sul ciglio del ruscello veloce
e l’ingrossava con il proprio pianto.
IL VECCHIO DUCA
E Jaques cosa diceva? Non trasse una morale
da quella vista?
PRIMO BARONE
Certo, con mille paragoni.
Primo, perché piangeva nel ruscello
che non ne aveva bisogno.”Povero cervo”, dice,
“fai testamento come quelli di questo mondo,
che danno in sovrappiù a chi ha già troppo”.
Poi, perché era tutto solingo e abbandonato
dai suoi compagni vellutati. “È giusto”,
dice, “così dirada la miseria
il flusso degli amici”. Ed in quel punto passa,
a balzi, proprio accanto al morituro,
una mandria pasciuta e spensierata
e nessuno si ferma a dirgli “come stai”.
“E già,” commenta Jaques,”tirate via,
borghesi grassi e ben unti, è così
che va il mondo. E perché mai gettare
un’occhiata a un relitto, a un povero fallito?”
E così in grande vena d’invettiva
ti trapassava al cuore la campagna,
e la città, e la corte, e sì, anche questo nostro
modo di andar vivendo. E spergiurava
che pure noi non siamo che tiranni
e usurpatori, e peggio, a spaventare
gli animali, e ammazzarli in casa loro,
dove son nati e dove li ha posti la natura.
IL VECCHIO DUCA
E l’avete lasciato laggiù, in meditazione?
SECONDO BARONE
Sì, monsignore, a piangere e a chiosare
i singhiozzi del cervo.
IL VECCHIO DUCA
Mostratemi dov’è.
Mi piace conversare con lui in questi accessi
di cupezza, ché allora è pieno di cose.
PRIMO BARONE
Vi ci conduco subito. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Entrano il Duca (Frederick) e alcuni signori.
IL DUCA
Può esser mai che nessuno le ha viste?
No; qualche farabutto qui a corte
è in combutta con loro e chiude un occhio.
PRIMO SIGNORE
Non le ha viste nessuno, mi risulta.
Le dame di servizio in camera di lei
l’aiutarono a letto, e la mattina presto
il letto aveva perso il suo tesoro.
SECONDO SIGNORE
Signore, quel rognoso d’un buffone
di cui così sovente Vostra Grazia rideva,
è sparito anche lui. La dama di compagnia
della principessina, Esperia, ha confessato
che, non vista, ha sentito vostra figlia
e sua cugina fare grandi lodi
delle doti e le grazie di quel tal lottatore
che proprio l’altro giorno ha messo a terra
quel forzuto di Charles, e lei è convinta
che dovunque si trovino, il ragazzo
è di sicuro in loro compagnia.
IL DUCA
Cercate suo fratello. Quel bel tipo
portatemelo qui. Se non si trova,
portatemi il minore. Saprò io
come fargli scovare il nostro. Fate presto.
E non s’allenti, dico, né inchiesta né ricerca
per riportare a casa quelle fuggiasche pazze. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entrano Orlando e Adam (da parti opposte).
ORLANDO
Chi è là?
ADAM
Come, il mio padroncino? O mio gentile padrone,
o mio dolce padrone, o tu memoria
di Sir Rowland! Ma cosa fate qui?
Perché siete così virtuoso? Perché vi ama la gente?
E perché siete gentile, forte e valoroso?
E perché mai così insensato da battere
il gran campione d’un duca balzano?
La vostra fama vi precede rapida.
Non sapete, padrone, che a certuni
le virtù si dimostrano nemiche?
Così è per voi. Mio caro padrone, le vostre virtù
pur sacre e sante, sono traditrici.
Ah quale mondo è questo, dove il giusto
avvelena chi lo porta!
ORLANDO
Ma perché, che è successo?
ADAM
O giovane infelice,
non varcate queste porte. Sotto questo tetto
vive il nemico d’ogni vostra grazia.
Vostro fratello, no, non fratello, eppur figlio –
ma neanche figlio, non voglio dirlo figlio –
di lui che stavo per dire suo padre,
ha sentito lodarvi, e questa notte vuole
dar fuoco alla stanza dove dormite, con voi
dentro. E se in ciò fallisce, avrà altri modi
per togliervi di mezzo. L’ho sentito
tramare contro di voi. Questo posto
non è sicuro: la casa è un macello.
Odiatela, temetela, non metteteci piede.
ORLANDO
Ma, Adam, dove vuoi che me ne vada?
ADAM
Il dove non importa, purché non sia qui dentro.
ORLANDO
E già, vorresti forse che andassi a mendicare,
o a procurarmi a forza, con una spada
minacciosa e vigliacca il profitto d’un ladro
sulle strade? Dovrò farlo, perché
non so che altro fare; ma costi quel che costi
non lo farò. Piuttosto mi assoggetto
alla violenza d’un sangue degenere,
e d’un fratello sanguinario.
ADAM
No,
non fatelo. Io ho cinquecento corone,
risparmi sul salario di vostro padre
messi da parte a servirmi d’aiuto
quando che il mio servizio sarà zoppo
nelle mie membra stanche, e la vecchiaia
sarà buttata da canto, con indifferenza.
Prendetele voi. E Lui che nutre i corvi,
sì, il buon Dio che provvede per il passero,
mi assisterà da vecchio. Ecco qui l’oro,
è tutto vostro. Prendetemi per servo.
Sembro vecchio ma son robusto e forte;
non ho nutrito il sangue, in gioventù,
con liquidi ribelli e caldi, e mai
ho cercato con fronte spudorata
ciò che infiacchisce e abbatte. Per questo
la mia vecchiaia è come un bell’inverno asciutto,
gelido sì, ma sano. Lasciatemi venire
con voi, vi servirò come un uomo più giovane
in tutte le occorrenze e le necessità.
ORLANDO
O mio buon vecchio, come appare in te
la costanza fedele di altri tempi
quando si lavorava con sudore
per dovere, non per guadagno. In questi
tempi tu sei fuori moda, oggi
si sgobba solo per la promozione,
e avutala, l’avere strozza il fare.
Per te non è così. Ma, caro vecchio,
tu vuoi potare un albero già marcio
che non potrà mai darti neanche un fiore
per tutte le tue pene e le tue cure.
Ma vieni pure, ce ne andremo assieme,
e prima d’aver speso il tuo giovane gruzzolo
troveremo un lavoro modesto ma sicuro.
ADAM
Precedimi, padrone, ed io ti seguo
con onestà e lealtà fin quando vivo.
Dai diciassette fino agli ottanta di adesso
sono vissuto qui, ma oramai non ci resto.
A diciassette anni si cerca la fortuna,
ma, ad ottanta, è tardi d’una settimana.
Pure dalla mia sorte non avrò miglior dono
che morir bene, e senza debiti col padrone. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
Entrano Rosalinda nelle vesti di Ganimede, Celia che si finge Aliena, e Touchstone.
ROSALINDA
Ah Giove, come mi sento depressa!
TOUCHSTONE
A me, di essere depresso, non me ne importerebbe, se le gambe non fossero a pezzi.
ROSALINDA
Avrei una gran voglia di sbugiardare il mio vestito da maschio, e piangere come una donnicciola. Ma debbo confortare il vaso più fragile, così come giacca e pantaloni debbono far coraggio alla gonna. Perciò coraggio, cara Aliena.
CELIA
Vi prego, abbiate pazienza con me. Non ce la faccio più a muovere un passo.
TOUCHSTONE
Per quanto mi riguarda, meglio sopportarvi che portarvi. E dire che portar voi non sarebbe portar croce, perché son certo che nel borsello non avete né testa né croce.
ROSALINDA
Beh, eccola qui la foresta di Arden.
TOUCHSTONE
Già, ora che sono nel bosco di Arden, tanto più sono un idiota. Me la passavo meglio a casa! Ma pazienza, chi viaggia s’accontenta.
ROSALINDA
Sì, fallo anche tu, mio caro.
Entrano Corin e Silvio.
Guardate lì, arriva qualcuno,
un giovanotto e un vecchio assorti nel discutere.
CORIN
Ma questo è proprio il modo per farti disprezzare.
SILVIO
Ah Corin, se sapessi quanto l’amo!
CORIN
Lo posso immaginare, un po’: anch’io ho amato.
SILVIO
No, Corin: tu da vecchio non lo puoi più capire,
anche se da ragazzo eri amante fedele
come mai ne gemettero su un guanciale di notte.
Ma se un tuo amore mai fu come questo mio,
ma credo che nessuno amò mai tanto,
a quali e quante azioni ridicole all’estremo
ti trascinò il tuo amore?
CORIN
A mille, e l’ho scordate.
SILVIO
Ah ma allora non hai amato con tutto il cuore.
Se non ricordi pure le minime follie
nelle quali l’amore ti ha gettato,
non hai amato.
Se non ti sei mai messo, come faccio ora io,
a sfiancar chi ti ascolta con le lodi di lei,
non hai amato.
Se non hai mai piantato i tuoi compagni
di colpo, per passione, come farò ora io,
no, non hai amato.
O Febe, Febe, Febe! Esce.
ROSALINDA
Ah povero pastore! Frugo la tua ferita,
e per triste avventura ritrovo quella mia.
TOUCHSTONE
E io pure quella mia. Ricordo una volta, m’ero innamorato, e fracassai il mio brando su un macigno dicendogli che si beccasse la botta per esser andato di notte da Giovannella Ridarella; e mi ricordo i baci dati al suo mestolo da bucato, e alle poppe della vacca appena munta dalle sue manine screpolate; e mi ricordo la corte che feci, al posto di lei, a una pianta di pisello, e i due baccelli che ne cavai e poi li riappesi piangendo e dicendo, “Porta questi per amor mio” Ne facciamo di capitomboli, noi veri amatori! Ma nella natura tutto è mortale, ed ecco perché ogni natura in amore è di una mortale bestialità.
ROSALINDA
Dici cose più sagge di quanto non ti rendi conto.
TOUCHSTONE
Difatti, non mi rendo conto della mia intelligenza finché non mi ci rompo gli stinchi.
ROSALINDA
Oh Giove, oh Giove! Quel pastore! La sua follia
è molto alla maniera mia.
TOUCHSTONE
E anche alla mia, ma la mia ormai sa un po’ di muffa.
CELIA
Vi prego, uno di voi vada a chiedere a quell’uomo se ha da darci a pagamento qualcosa da mangiare. Io muoio quasi di fame.
TOUCHSTONE
Ehi tu, zoticone!
ROSALINDA
Ma zitto, scemo, non è mica tuo parente.
CORIN
Chi è che chiama?
TOUCHSTONE
Gente migliore di te, amico.
CORIN
Eh, sennò sarebbero proprio dei disgraziati.
ROSALINDA
Sta zitto, tu. Buona sera a voi, amico.
CORIN
E a voi, gentile signorino, e a tutti voialtri.
ROSALINDA
Pastore, ti prego, se l’affetto o l’oro
possono dar ristoro in questo deserto,
portaci dove si possa riposare e sfamarci.
Questa ragazza qui è assai sfinita dal viaggio,
senza soccorso sviene.
CORIN
Bel signore, ne ho pena,
e, più per lei che per me, vorrei che la mia sorte
fosse più idonea a soccorrerla; ma io
faccio il pastore al servizio d’un altro,
e non toso la lana che gli pascolo.
Il mio padrone è un tipo taccagno, e non si cura
di trovare la strada che mena al paradiso
con opere ospitali. E poi la sua capanna,
le sue greggi, i suoi pascoli adesso sono in vendita,
e nell’ovile, adesso, dato che lui è assente,
non c’è nulla da metter sotto i denti.
Ma quel che c’è, venitelo a vedere,
e per mio conto siate i benvenuti.
ROSALINDA
E chi è che vuol comprare il suo gregge e il suo pascolo?
CORIN
Quel giovane pastore che avete appena visto,
e che pensa a tutt’altro che all’acquisto.
ROSALINDA
Ti prego, se la cosa non ti par disonesta,
comprali tu la casa, il pascolo ed il gregge,
e i soldi per pagarli te li daremo noi.
CELIA
Ti aumentiamo il salario. Questo posto mi piace,
e passarci il mio tempo non mi spiace.
CORIN
La roba, certamente, ha da esser venduta.
Seguitemi. E se avendo appreso ogni dettaglio
vi piacerà il terreno, e la sua rendita,
e questa sorta di vita, io sarò
il vostro fedelissimo pastore,
e comprerò la roba lì per lì, col vostro oro. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA QUINTA
Entrano Amiens, Jaques e altri.
(Amiens canta.)
Chi sotto verde bosco
ama trovar riposo,
e sfidar con sue note
degli uccelli le gole,
venga qui, venga qui, venga qui.
Qui non vedrà
nemici
che il verno e il cielo fosco.
JAQUES
Ancora, canta ancora, ti prego.
AMIENS
Vi farà malinconico, Monsieur Jaques.
JAQUES
Meglio! Ancora, ti prego, ancora! Io so succhiar la malinconia da una canzone, come fa la faina con le uova. Canta ancora te ne prego.
AMIENS
Ho la voce roca, so che non posso piacervi.
JAQUES
Non voglio che tu mi piaccia, voglio che tu canti. Avanti, attacca, un’altra stanza. Si chiamano stanze?
AMIENS
A piacer vostro, Monsieur Jaques.
JAQUES
Bah, un nome vale l’altro, non sono mica cambiali. Allora, canti?
AMIENS
Più per il piacer vostro che per il mio.
JAQUES
E allora se mai sarò grato a qualcuno lo sarò a te. Ma quel che chiamano far complimenti è come l’incontro di due babbuini. E se qualcuno mi ringrazia di cuore mi pare di avergli dato un quattrino e che lui mi ringrazi come un accattone. Avanti, canta; e gli altri tengano a freno le lingue.
AMIENS
Bene, finirò la canzone. E intanto voi signori apparecchiate: il Duca verrà a rinfrescarsi sotto quest’albero. È tutto il giorno che vi cerca.
JAQUES
E io, è tutto il giorno che cerco di schivarlo. È troppo cavilloso per i miei gusti. Anch’io penso a tante cose, come lui, ma ringrazio il cielo e non me ne vanto. Su, gorgheggia, fa il bravo.
(Amiens canta.)
Chi schiva l’ambizione,
ed ama stare al sole,
e cerca ciò che mangia,
e ciò che trova gli basta,
Venga qui, venga qui, venga qui. Qui tutti assieme
Qui non avrà
avversi
che l’inverno e il maltempo.
JAQUES
Ti voglio dare una strofetta per quest’aria, l’ho fatta ieri a dispetto delle mie doti poetiche.
AMIENS
E io son pronto a cantarla.
JAQUES
Fa così:
Se mai si desse il caso
che uno si fa somaro,
e lascia beni ed agi,
per la sua testardaggine,
ducdamé, ducdamé, ducdamé,
qui troverà suoi pari
dei matti madornali,
se vuol venir da me.
AMIENS
E che vuol dire quel “ducdamé”?
JAQUES
È una parola greca per chiamare gli scemi e far cerchio. Ora vado a dormire se ci riesco, e sennò raglierò contro tutti i primogeniti d’Egitto.
AMIENS
E io vado a cercare il Duca, ché il rinfresco è pronto.
Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SESTA
Entrano Orlando e Adam.
ADAM
Caro padrone, non ce la faccio più. Ah, muoio di fa-me. Mi stendo qui per terra e piglio la misura della mia fossa. Addio mio buon padrone.
ORLANDO
Avanti, Adam, ma come? È questo tutto il tuo coraggio? Resisti ancora un poco, fatti un po’ più di forza, e un po’ d’animo. Se questa dannata foresta produce un qualche animale selvaggio, o lui mangia me o te lo porto da mangiare. La morte ce l’hai più in testa che in corpo. Per amor mio fatti animo: tienila via col braccio, la morte. Io torno da te subito, e se non ti porto qualcosa da mangiare, ti do il permesso di morire; ma se muori prima che torno ti fai gioco della mia fatica. Ottimo! Mi pare che già stai meglio, e io torno in un attimo. Ma sei troppo esposto al freddo. Avanti, ti porto in qualche riparo e vedrai, non muori di fame se in questa landa c’è vita. Coraggio mio caro Adam.
Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SETTIMA
(Una mensa imbandita.)
Entrano il vecchio Duca, Amiens e altri signori in veste di banditi.
IL VECCHIO DUCA
Secondo me, s’è trasformato in bestia,
Perché in sembianze umane non lo trovo.
PRIMO SIGNORE
Signore, se n’è appena andato. Era qui
e ascoltava un canto, tutto allegro.
IL VECCHIO DUCA
Se un tipo come lui, che è un vero impasto
di stonature, mi diventa musico,
ci sarà dissonanza, tra poco, nelle sfere.
Su cercatelo, ditegli che gli voglio parlare.
PRIMO SIGNORE
Mi risparmia fatiche lui stesso, eccolo qui.
Entra Jaques.
IL VECCHIO DUCA
E allora, signor mio? Che vita è questa
se i vostri amici debbono piatire
la vostra compagnia? Ehi, mi sembrate allegro!
JAQUES
Un buffone, un buffone! Ho incontrato un buffone
nella foresta, un buffone vestito
di tutti i colori: o mondo miserabile!
Com’è vero che vivo mangiando, un vero matto
che s’era steso a terra per crogiolarsi al sole,
e insolentiva Madonna Fortuna
con qualche gusto, qualche gusto d’arte,
lui, un matto in livrea da matti. Dico:
“Buon giorno, matto”. “No, signore”, dice,
“Non mi chiamate matto, finché il cielo
non mi mandi fortuna”. Quindi cava
dalla bisaccia un oriolo, e senza
battere ciglio me lo fissa e dice,
da uomo saggio assai: “Sono le dieci.
Dal che si vede”, dice,”come che arranca il mondo:
appena un’ora fa eran le nove,
e saranno le undici fra un’ora;
e così, d’ora in ora, si matura e matura,
e d’ora in ora, poi, si marcisce e marcisce,
dal che pende una coda”. Nel sentire così
quel pazzo variopinto cavare una morale
dal tempo, i miei polmoni incominciarono
a cantar come il gallo della favola
a veder come il matto-pensiero va in profondo;
e mi sono slogato le ossa dalle risa,
un’ora al suo oriolo. O nobile buffone!
Degno matto! Conviene vestirsi come loro.
IL VECCHIO DUCA
E chi è questo matto?
JAQUES
O degno matto! È uno che è stato cortigiano
e, dice, se le donne sono giovani e belle,
almeno lo sanno. Ed in quel suo cervello,
secco come i biscotti avanzati da un viaggio,
ha strani ripostigli zeppi d’osservazioni,
che poi ti manda fuori a brani. Ah fossi un matto!
Non desidero altro che la loro divisa.
IL VECCHIO DUCA
Ne avrai una.
JAQUES
È la cosa che più mi sta a pennello,
purché vi sradichiate dalle zucche
tutte quelle opinioni ormai stantie
per cui io sarei savio. Inoltre debbo avere,
nero su bianco, libertà vastissima,
come il vento, a soffiar su chi mi garba,
cosa che hanno i matti; e tutti quelli
a cui la mia follia graffia i geloni
debbon rider di più. E perché dunque, sire?
Chiaro come la via che porta alla parrocchia!
Colui che un matto becca saggiamente,
è scemo assai, anche se gli fa male,
se non si mostra illeso dalla botta.
Nel caso opposto la follia del saggio
è vivisezionata persino dai casuali
affondi di quel bisturi pazzesco.
A me l’investitura da arlecchino,
e il permesso di dire ciò che penso.
Ed io vi purgo a fondo il corpo lurido
di questo mondo infetto, ammesso che la gente
sia disposta a buttare giù il purgante.
IL VECCHIO DUCA
Smettila! Lo so bene cosa combineresti.
JAQUES
Scommettereste un soldo, che non farei che bene?
IL VECCHIO DUCA
Smascherare i peccati, è un peccato infernale.
E tu stesso, lo sai, sei stato un libertino,
sensuale come l’uzzolo del bruto,
e ora i tuoi bubboni, le ulcere scoppiate
che ti sei procurato a piede libero
vuoi ributtarli sopra il mondo intero.
JAQUES
Ma perché? Chi denunzia l’umana vanità
forse attacca con ciò una data persona?
Forse ch’essa non scorre enorme come il mare
finché le forze sue stesse si fiaccano?
Quale donna in città io nomino, se dico
che le donne in città portano a spasso
su spalle indegne un lusso principesco?
Chi può saltare su, e dire che l’accuso,
quando la sua vicina è tale e quale?
Chi mai, di basso ufficio, pensando che l’accuso,
mi verrà a dire che il suo bel vestito
non l’ho pagato io, senza con ciò abbinare
la sua follia al senso di ciò che dico? E allora!
Ma quando mai! Ma dove mai! Spiegatemi
in che gli ha fatto torto la mia lingua:
se dico il vero, è lui che si fa torto;
e se non c’entra, allora la mia lingua maligna
vola via come un’anitra selvatica
che nessuno dirà sua. Ma chi arriva?
Entra Orlando (con la spada in pugno).
ORLANDO
Fermi, e nessuno tocchi più quei cibi.
JAQUES
Ma se non ho neanche incominciato!
ORLANDO
E non comincerete, se non mangia chi ha fame.
JAQUES
A che razza appartiene questo gallo?
IL VECCHIO DUCA
È la fame, ragazzo, che ti fa così ardito?
O disprezzi talmente ogni buona maniera,
tu che di civiltà appari così privo?
ORLANDO
Quello che avete detto dapprima coglie il segno:
è la punta spinosa della fame
che mi toglie ogni aspetto cortese.
Son cresciuto tra gente civile, e ho ricevuto
una certa istruzione. Ma state fermi, dico,
muore chi tocca un solo frutto, prima
di soddisfare me e i miei bisogni.
JAQUES
Se non vi si soddisfa in tutto, io muoio, giuro.
IL VECCHIO DUCA
Cosa volete? Meglio forzarci con il garbo,
che con la forza spingerci ad essere garbati.
ORLANDO
Muoio quasi di fame, datemi da mangiare.
IL VECCHIO DUCA
Sedetevi e mangiate, e benvenuto
a questa nostra mensa.
ORLANDO
Allora siete
così cortesi? Vi prego, perdonatemi.
Credevo che qui attorno tutto fosse selvaggio,
e per questo mi sono comportato
da prepotente. Io non so chi siete
voi che in questo deserto inaccessibile
sotto l’ombra di questi rami tristi
lasciate scivolare nell’oblio
lo strisciare del tempo; ma se mai
avete conosciuto una vita migliore,
se mai siete vissuti
dove campane invitano alle chiese,
se vi siete trovati alla festa di un giusto,
se dalle ciglia avete asciugato una lacrima,
e sapete cos’è provar pietà
e far pietà, tutta la mia violenza
diventerà gentilezza. In questa speranza
arrossisco e nascondo la mia spada.
IL VECCHIO DUCA
È vero, abbiam vissuto una vita migliore,
e le sante campane ci hanno chiamati in chiesa,
e i giusti alle lor feste, e ci siamo asciugati
gli occhi di gocce che una sacra pena
aveva prodotte; e dunque sedete in santa pace,
e a piacer vostro accettate l’aiuto
che vi possiamo dare nella necessità.
ORLANDO
Vi prego, allora, rimandate un poco
il mangiare, mentre io, come una cerva,
vado a trovare il mio cerbiatto
per nutrirlo. C’è un povero vecchio
che ha zoppicato dietro me per molti
passi stanchi, e solo per amore.
Prima che porti aiuto ai suoi due mali
che l’abbattono, la vecchiaia e la fame,
non toccherò un boccone.
IL VECCHIO DUCA
Andate, raggiungetelo,
e noi non mangeremo fino al vostro ritorno.
ORLANDO
Grazie, e Dio vi rimuneri per il vostro conforto.
IL VECCHIO DUCA (Esce.)
Lo vedi, gli infelici non siamo solo noi:
questo grande teatro, l’universo,
mostra dei drammi ben più dolorosi
di questa nostra recita.
JAQUES
Tutto il mondo è una scena,
e gli uomini e le donne sono soltanto attori.
Hanno le loro uscite come le loro entrate,
e nella vita ognuno recita molte parti,
ed i suoi atti sono sette età.
Prima, l’infante che miagola e vomita
in braccio alla nutrice. Lo scolaro
poi, piagnucoloso, la sua brava cartella,
la faccia rilucente nel mattino,
che assai malvolentieri striscia verso la scuola
a passo di lumaca. E poi l’innamorato,
che ti sospira come una fornace,
e in tasca una ballata tutta lacrime
sopra le ciglia della sua adorata.
Poi, un soldato, armato dei moccoli più strambi,
un leopardo baffuto geloso dell’onore,
lesto di mano, pronto a veder rosso,
che va a cercar la bubbola della reputazione
persino sulla bocca d’un obice. E poi il giudice,
con un bel ventre tondo, farcito di capponi,
occhio severo, barba ritagliata
a regola d’arte, gonfio di sentenze
e di luoghi comuni: e in questo modo
recita la sua parte. L’età sesta
ti muta l’uomo in magro pantalone
in ciabatte, le lenti al naso, la borsa
sul fianco, e quelle braghe usate da ragazzo,
ben tenute ma ormai spaziose come il mondo
per i suoi stinchi rattrappiti, e il suo
vocione da maschiaccio che ridiventa
un falsetto infantile, un suono fesso
e fischiante. L’ultima scena infine,
a chiuder questa storia strana, piena di eventi,
è la seconda infanzia, il mero oblio,
senza denti, senz’occhi o gusto, senza niente.
Entra Orlando con Adam.
IL VECCHIO DUCA
Bentornato. Posate il vostro venerabile
fardello, e dategli cibo.
ORLANDO
Vi ringrazio moltissimo per lui.
ADAM
Sì, fate bene,
ché io, per ringraziarvi, posso a stento parlare.
IL VECCHIO DUCA
Benvenuti e servitevi. Non vi disturberò
ancora per domandarvi i vostri casi.
Fateci un po’ di musica. E, buon cugino, canta.
(Amiens canta.)
Soffia, soffia, vento invernale,
Tu non fai tanto male
come l’ingratitudine.
E non punge il tuo dente,
perché non ti si vede,
anche se il soffio è rude.
Ehi oh, canta ehi oh ai verdi agrifogli,
gli amici finti son molti, molti gli amori folli.
E dunque ehi, oh, verde pianta,
questa vita è un incanto.
Gela, gela tu cielo amaro,
non mordi tanto
come l’uomo ingrato.
Se pur ghiacci l’acqua,
il morso tuo è men aspro
di un affetto dimenticato.
Ehi oh, canta ehi oh ai verdi agrifogli,
gli amici finti son molti, molti gli amori folli.
Dunque ehi oh, verde pianta,
questa vita è un incanto.
IL VECCHIO DUCA
Se siete davvero il figlio del buon Sir Rowland,
come in fede l’avete sussurrato,
e come in fede i miei occhi ne attestano
l’aspetto vivo e così fedelmente
dipinto sul vostro viso, siate qui
benvenuto davvero. Io sono il duca
che amava vostro padre. Le vostre altre avventure
me le racconterete nella mia grotta.
Buon vecchio, benvenuto come il vostro padrone.
Sostenetelo al braccio. Qua la mano,
e mettetemi a parte di ciascun vostro caso. Escono.
Come vi piace
(“As you like it” 1599 – 1600)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V