(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
CAIO MARZIO, poi Caio Marzio Coriolano
TITO LARZIO, COMINIO: I generali romani nella guerra contro i Volsci
MENENIO AGRIPPA, amico di Coriolano
SICINIO VELUTO, GIUNIO BRUTO: tribuni della plebe, avversari di Coriolano
Una folla di cittadini romani
Un araldo romano
NICANOR, romano al servizio dei Volsci
VOLUMNIA, madre di Coriolano
VIRGILIA, moglie di Copiolano
IL PICCOLO MARZIO, figlio di Coriolano
VALERIA, amica di Volumnia
Una dama di compagnia di Virgilia
TULLIO AUFIDIO, comandante dei Volsci
Un aiutante di Aufidio
Cospiratoti agli ordini di Aufidio
ADRIANO, volsco
Un cittadino di Anzio
Due sentinelle dei Volsci
Senatori romani e volsci, patrizi, edili, littori, soldati, messaggeri, cittadini volsci, servitori di Aufidio, e altri dei vari seguiti
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entra un gruppo d’insorti con mazze, randelli e altre armi
I CITTADINO
Prima d’andare oltre ascoltatemi.
TUTTI
Parla, parla.
I CITTADINO
Siete tutti decisi, meglio la morte che la fame?
TUTTI
Decisi, decisi.
I CITTADINO
Primo, voi tutti sapete che Caio Marzio è il peggior nemico del popolo?
TUTTI
Lo sappiamo, lo sappiamo.
I CITTADINO
Ammazziamolo e avremo il grano al prezzo nostro. È deciso?
TUTTI
Basta chiacchiere, ai fatti. Andiamo, andiamo!
II CITTADINO
Cittadini, buona gente, una parola.
I CITTADINO
Qua siamo solo poveracci, buona gente sono i nobili. Quel che i signori buttano basterebbe a sfamarci. Se ci dessero gli avanzi mentre son buoni da mangiare si potrebbe credere che ci aiutano per umanità. Ma la verità è che gli andiamo troppo bene come siamo. La magrezza che ci affligge, questo spettacolo di miseria, è l’inventario a rovescio della loro pacchia. I triboli nostri li ingrassano. Vendichiamoci dunque coi forconi, prima di diventare come rastrelli. Gli dei sanno che parlo così per fame di pane, non per sete di sangue.
II CITTADINO
Volete prendervela con Marzio in particolare?
I CITTADINO
Con lui per primo. È un vero cane per il popolo.
II CITTADINO
Ma tenete conto di ciò che ha fatto per la patria?
I CITTADINO
Certo, e gliene daremmo atto volentieri, ma lui si paga da sé con la superbia.
II CITTADINO
Via, non parlare con acrimonia.
I CITTADINO
E io ti dico che quanto ha fatto di meglio l’ha fatto per essere meglio d’ogni altro. L’ha fatto per la patria, dicono i citrulli. Invece l’ha fatto per far piacere alla mamma, e anche per la superbia, che ha grande come il coraggio.
II CITTADINO
Ma lo accusi di ciò che ha nella natura, e non può farci niente. Certo non puoi dire che tira ad arricchirsi.
I CITTADINO
No, ma non per questo sono a corto di accuse. Difetti ne ha d’avanzo, a farne fi conto ci si stanca.
Grida all’interno
Ma che succede? L’altra parte della città s’è sollevata. Che stiamo qui a cianciare? Al Campidoglio!
TUTTI
Avanti, avanti.
I CITTADINO
Un momento, chi arriva?
Entra Menenio Agrippa
II CITTADINO
È il bravo Menenio Agrippa, uno che ha sempre amato il popolo.
I CITTADINO
Un brav’uomo, sì. Fossero tutti come lui!
MENENIO
Concittadini, che volete fare? Dove andate
con quei randelfi e quelle mazze? O che
succede? Ditemi, ve ne prego.
I CITTADINO
Quello che vogliamo fare il Senato lo sa. Da un paio di settimane hanno avuto sentore delle nostre intenzioni, e ora gliele mostriamo coi fatti. Dicono che i poveri postulanti hanno il fiato forte. Si accorgeranno che abbiamo braccia forti, anche.
MENENIO
Ma padroni miei, amici, onesti concittadini,
volete rovinarvi?
I CITTADINO
Impossibile, dòmine, siamo già rovinati.
MENENIO
Amici, vi assicuro che i patrizi
si curano di voi con molto, molto impegno.
Quanto a ciò che vi manca, ciò che soffritte
in questa carestia, tanto varrebbe
mirare al cielo con codeste mazze
che alzate contro lo Stato. Lo Stato Romano
andrà diritto per la propria strada
facendo a pezzi mille e mille ceppi
robusti come mai potrà mostrarsi
la vostra opposizione. La carestia
l’han voluta gli dei, non i patrizi,
e innanzi a quelli non servono braccia
ma ginocchi. Ahimè, dalla disgrazia
vi lasciate portare dove v’aspettano
altre disgrazie, e mi calunniate
i timoni dello stato, quelli
che hanno cura di voi come padri
mentre li insultate come nemici.
I CITTADINO
Cura di noi? Figuriamoci! Se ne sbattono da sempre. Ci lasciano morire di fame, coi magazzini zeppi di grano. Fanno editti sull’usura a vantaggio degli usurai. Ogni giorno abrogano buone leggi varate contro i ricconi, e tirano fuori ogni dì decreti più duri per incastrare e castrare noi poveracci. Se le guerre non ci mangiano vivi lo faranno loro: e questo è tutto il bene che ci vogliono.
MENENIO
Via, via, riconoscete
la vostra incredibile malafede,
o debbo dirvi pazzi. Voglio contarvi
una storiella che fa proprio al caso.
Forse l’avete sentita, ma serve
al mio scopo e ci provo
a farla ancora più risaputa.
I CITTADINO
Beh sentiamola. Ma non pensare, con una storiella, di far sparire la nostra miseria. Comunque prego, racconta.
MENENIO
Successe una volta
che tutte le parti del corpo si ribellarono
contro lo stomaco. Queste le accuse:
che come un gorgo, solo, se ne stava nel mezzo,
torpido e nullafacente, sempre lì a stiparsi
di mangiare, senza mai lavorare
come gli altri, gli altri apparati che intanto
vedevano, udivano, pensavano,
mandavano ordini, camminavano,
sentivano, e dandosi mano l’un l’altro
provvedevano agli appetiti e ai bisogni
comuni a tutto il corpo. Lo stomaco
rispose…
I CITTADINO
Beh sentiamo, che rispose lo stomaco?
MENENIO
Te lo dico subito. Con una specie di sorriso
che non veniva dai polmoni ma ecco, così –
perché è chiaro che se lo faccio parlare
posso anche farlo sorridere – rispose pepato
alle membra scontente, alle parti ribelli
che gl’invidiavano l’utile: esattamente
come voialtri, che dite male dei patrizi
perché non sono come voi.
I CITTADINO
Ma cosa rispose
questo stomaco? Ma scherziamo? Il capo
incoronato come un re, l’occhio vigile,
il cuore consigliere, il braccio
che è il nostro soldato la gamba
cavallo di battaglia, la lingua
trombettiera, e gli altri fortini
e difese minori di questa rocca,
se tutti assieme…
MENENIO
Ma cosa, cosa?
Parola mia questo qui ha la lingua
sciolta! Allora che cosa, che cosa?
I CITTADINO
Se tutti assieme si fanno fregare dal ventre
che è un marangone vorace, che è il nostro cesso…
MENENIO
Ma bravo, e allora?
I CITTADINO
Dico, se questi che dico
si lagnavano, cosa poteva rispondere
la pancia?
MENENIO
Te lo dico io.
Concedimi un po’ di pazienza – ne hai
poca – e sentirai la risposta.
I CITTADINO
Oh, la fai lunga.
MENENIO
Stammi a sentire, amico.
Lo stomaco, persona seriissima, era uno
che pesava le parole, e non s’incazzava
come i suoi accusatori. E rispose così:
“Verissimo, cari consoci”, rispose,
“che io ricevo per primo tutto il mangiare
che vi fa vivere; ed è giusto così,
perché sono il deposito e l’officina
di tutto il corpo. Ma, se ben ricordate,
lungo i fiumi del sangue io lo rimando
fino al palazzo del cuore, al trono
del cervello; e per i passaggi
tortuosi, per le stanze di servizio
dell’uomo, i più robusti
muscoli, le vene più minute
ricevono da me ciò che gli tocca
per natura, e di cui vivono. E se
voi tutti, lì per lì… “. Attenti, amici,
così parla lo stomaco…
I CITTADINO
Ma sì,
ma sì!
MENENIO
“Se non potete lì per lì
vedere ciò che fornisco a ciascuno,
io posso presentarvi il rendiconto:
tutti da me ricevono il fior fìore
di tutto, e a me lasciano la crusca”.
Beh, che ne dite?
I CITTADINO
Questa è la risposta
del ventre. Ma i nessi quali sono?
MENENIO
I Senatori sono questo stomaco
buono, e voi le membra ribelli. Difatti
considerate le loro delibere, le loro
misure, digerite a dovere
quanto riguarda il bene dello Stato,
e vi accorgerete che ogni pubblico aiuto
che voi ricevete, scende e viene da loro,
non certo da voi stessi. Che ne pensi tu
che di questa assemblea sei il dito
grosso del piede?
I CITTADINO
Io il dito grosso? Perché il dito grosso?
MENENIO
Perché sei tra i più bassi, schifosi
e morti di fame
di questo saggissimo parapiglia
ma vai sempre davanti a tutti. Sei
un cagnaccio di sangue fiacco che manco
può trottare, e fai il caporione
per trarne vantaggio. Ma preparate pure
quei vostri duri randelli e batacchi,
Roma e i suoi sorci stanno per battersi
e uno dei due avrà dolori.
Entra Caio Marzio
Salve, nobile Marzio!
MARZIO
Grazie. Allora che vi piglia,
voi lazzaroni ribelli? A furia di grattare
lo squallido prurito delle opinioni
vostre, vi siete ridotti a una rogna.
I CITTADINO
Da te, sempre buone parole.
MARZIO
Chi ti dice buone parole è un adulatore
indegno persino di nausea. Che volete, cani
che non gradite né pace né guerra?
La guerra vi terrorizza, la pace
vi fa insolenti. Chi si fida di voi
invece di trovarvi leoni vi trova
lepri, invece di volpi oche. No, non siete
meno malfidi di un tizzone sul ghiaccio
o un chicco di grandine al sole,
Sapete soltanto esaltare colui che è punito
per qualche colpa, e maledire la giustizia
che lo punisce. Chi merita onore
ha il vostro odio, e le vostre passioni
son desideri di malato, che vuole
soprattutto ciò che gli fa più male.
Chi si regge sul vostro favore
nuota con pinne di piombo, e abbatte
querce coi giunchi. Fidarsi di voi? Alla forca!
Ogni minuto che passa cambiate idea,
chiamate nobile qualcuno che odiavate
un minuto prima, e insolentite
il vostro eroe. E ora che vi piglia
che qua e là per Roma andate sbraitando
contro il nobile Senato
che sotto l’egida degli dei vi frena
o vi mangereste l’un l’altro? Cos’è che chiedono?
MENENIO
Grano al loro prezzo. Dicono
che la città ne abbonda.
MARZIO
Alla forca! Dicono?
Siedono attorno al fuoco e pretendono
di sapere i fatti del Campidoglio,
chi è probabile che salga,
chi prospera, chi scende,
parteggiano per questo e quello,
proclamano matrimoni ipotetici,
rafforzano i partiti e fiaccano
chi non gli va a genio
sotto le loro scarpacce rattoppate.
Dicono che il grano abbonda! Ah se i nobili
mettessero da canto la pietà e
mi lasciassero usare la spada! Li squarterei
a migliaia questi schiavi, ne farei un mucchio
alto come un tiro della mia lancia.
MENENIO
Ma no, questi qua si son quasi convinti.
Mancano di criterio molto ma sono
anche molto codardi. Ma ti prego,
l’altro branco che dice?
MARZIO
Si sono volatilizzati.
Crepino. Dicevano di avere fame
e sospiravano proverbi: la fame
fende muri di pietra, i cani
devono mangiare, il mangiare
è fatto per le bocche, gli dei
non mandarono il grano soltanto ai ricchi.
Con questi cascami sfogavano
le loro lagne. Gli hanno dato retta
e hanno accettato una loro richiesta –
una richiesta inaudita, che spezza
ogni animo ben nato, e fa impallidire
il potere più sicuro. E quelli
han gettato in aria le coppole
urlando a gara come volessero
appenderle ai corni della luna.
MENENIO
Cos’è che gli hanno concesso?
MARZIO
Cinque tribuni a sostegno della sapienza plebea,
di loro scelta. Uno è Giunio Bruto,
un altro Sicinio Veluto, e –
non so chi altri. Sangue di dio!
La teppa avrebbe dovuto scoperchiare la città
prima di spuntarla con me; col tempo
prevarrà sul potere e vomiterà
scopi più ambiziosi d’evasione.
MENENIO
È incredibile!
MARZIO
Via, a casa, rifiuti!
Entra di corsa un messo
MESSO
Dov’è Caio Marzio?
MARZIO
Qui. Che succede?
MESSO
Marzio, si dice che i Volsci sono in armi.
MARZIO
Ne sono contento. Così avremo modo di sbarazzarci
delle nostre muffe inutili. Ma ecco
i nostri nobili anziani.
Entrano Cominio e Tito Larzio con altri senatori, e anche Sicinio Veluto e Giunio Bruto
I SENATORE
Marzio, ciò che dicevi è vero:
i Volsci sono in armi.
MARZIO
Hanno un capo,
Tullo Aufidio, che vi darà
del filo da torcere. Io, lo confesso,
invidio il suo valore, e se
fossi diverso da ciò che sono
vorrei essere solo lui.
COMINIO
Con lui ti sei battuto.
MARZIO
Se mezzo mondo s’azzuffasse con l’altro
e lui fosse dalla mia parte, cambierei lato
per affrontare solo lui. È un leone
cui do la caccia con orgoglio.
I SENATORE
Allora,
nobile Marzio, segui Cominio in questa guerra.
COMINIO
Me l’hai promesso.
MARZIO
Certamente,
e mantengo la parola. Tito Larzio,
tu mi vedrai colpire Tullo in faccia
ancora una volta. Ma che hai?
Sei zoppo? Vuoi restare a casa?
LARZIO
No, Caio Marzio. Mi reggerei su una gruccia
e combatterei con l’altra, piuttosto
che restar fuori dalla cosa.
MENENIO
Un vero romano!
I SENATORE
Venite con noi al Campidoglio, lì ci aspettano
i nostri più grandi amici.
LARZIO (a Cominio)
Tu, primo.
(a Marzio) Tu, dopo lui. Noi appresso.
Meriti bene la precedenza.
COMINIO
Nobile Marzio!
I SENATORE (ai cittadini)
A casa, via, sparite.
MARZIO
Ma no, vengano pure loro.
I Volsci ne hanno di grano. Portate lì questi topi
a rosicchiare i granai. (I cittadini si disperdono)
Ribelli egregi,
già vi mostrate prodi. Prego, seguitemi.
I pattizi escono. Sicinio e Bruto restano in scena
SICINIO
C’è mai stato un uomo arrogante come costui?
BRUTO
No, batte tutti.
SICINIO
Quando ci hanno eletti tribuni della plebe…
BRUTO
Hai visto che bocca ha fatto, che occhi?
SICINIO
E le sue insolenze?
BRUTO
Quando s’arrabbia non esita a insultare gli dei.
SICINIO
Sfotte la casta luna.
BRUTO
Se lo mangi la guerra! L’audacia
gli ha dato alla testa.
SICINIO
Una natura così,
se il successo l’aizza, sdegna
l’ombra che pesta a mezzogiorno.
Però mi sorprende che, superbo com’è,
si pieghi a farsi comandare
da Cominio.
BRUTO
La fama a cui aspira,
e che già gli ha concesso i suoi favori,
non c’è modo migliore di tenersela
o di gonfiarla, che in un posto
di second’ordine. Se le cose non vanno
la colpa sarà del generale, anche
se s’è fatto in quattro, e i critici cretini
strilleranno, “Ah fosse stato Marzio
a comandare la baracca!”.
SICINIO
E se poi van bene,
tutti quanti, che già favoriscono Marzio,
ruberanno i meriti a Cominio.
BRUTO
E quindi:
metà degli onori di Cominio va a Marzio
che non se li merita. E tutti gli errori del primo
saranno onori per Marzio, che in realtà
non ha fatto niente.
SICINIO
Muoviamoci,
andiamo a sentire come finisce, e in che modo
lui col suo caratteraccio si butta
in questa vicenda.
BRUTO
Andiamo. Escono
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entrano Tullo Aufidio e alcuni senatori di Corioli
I SENATORE
Allora tu credi, Aufidio,
che Roma ha orecchi nelle nostre riunioni
e sa le nostre mosse.
AUFIDIO
E voi non lo credete?
Che mai s’è progettato in questa nazione
che si sia potuto attuare prima che Roma
trovasse modo di sventarlo?
Quattro giorni fa, e nemmeno, ho avuto
notizie da lì. Queste le parole – credo
d’aver qui la lettera – eccola:
Han messo su un esercito ma non si sa
se per l’est o l’ovest. La carestia
è grande, la plebe in fermento, e si dice
che Cominio, Marzio il tuo vecchio nemico
che a Roma è odiato più che da te,
e Tito Larzio romano valorosissimo,
questi tre comandino la spedizione
dovunque sia diretta. Molto probabilmente
contro di te. Sta’ in guardia.
I SENATORE
Il nostro esercito è in campo.
Non abbiamo mai dubitato che Roma
fosse impreparato a risponderci.
AUFIDIO
E neanche
che fosse follia tenere segreti
i vostri grandi progetti finquando
dovevano per necessità svelarsi. Ma pare
che, già nel venire covati, eran noti a Roma.
Per questo dovremo abbassare la mira
ch’era di prenderci molte città, prima ancora
che Roma ci sapesse in guerra.
II SENATORE
Nobile Aufidio,
prendi il comando, raggiungi le truppe
e lascia a noi la difesa di Corioli.
Se vengono ad assediarci, riporta
l’esercito per cacciarli. Ma, credo, vedrai
che non si muovono per noi.
AUFIDIO
Ah, non illudetevi.
Parlo per notizie sicure. Anzi
alcuni loro reparti sono già in marcia
e solo per venire qui. Mi congedo, signori.
Se noi e Caio Marzio dovessimo incontrarci
abbiamo giurato di combattere
finché uno non cade.
TUTTI
Gli dei ti assistano.
AUFIDIO
E proteggano voi.
I SENATORE
Addio.
II SENATORE
Addio.
TUTTI
Addio. Escono
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Entrano Volumnia e Virgilia, madre e sorella di Marzio. Siedono su due sgabelli e cominciano a cucire
VOLUMNIA
Ti prego, figlia mia, canta, o mostra un po’ più d’allegria. Se mio figlio fosse mio marito, sinceramente sarei più felice per un’assenza nella quale si facesse onore, che non per i suoi abbracci a letto, per quanto amore ci mettesse. Quand’era ancora un bimbetto e l’unico frutto del mio ventre, quando la gioventù con la sua bellezza attraeva su lui tutti gli sguardi, quando una madre neppure se un re l’avesse pregata per un giorno intero avrebbe dato via il figlio per un’ora lontano dai suoi occhi, io, pensando che un essere come lui era fatto per l’onore – e altrimenti, se la rinomanza non l’animava, non sarebbe stato che un quadro appeso a una parete – io ero contenta di lasciarlo cercare il pericolo là dove poteva trovare la fama. A una guerra crudele lo mandai, dalla quale tornò con le tempie cinte di quercia. Ti assicuro, figlia, che non sobbalzai tanto di gioia a sentire che m’era nato un uomo, come quando vidi per là prima volta che s’era dimostrato un uomo.
VIRGILIA
E se quella volta fosse morto, signora, che avreste fatto?
VOLUMNIA
Allora il suo buon nome sarebbe diventato mio figlio, in lui avrei trovato la mia discendenza. Ascolta quanto ti dichiaro sinceramente, se avessi una dozzina di figli tutti ugualmente amati, nessuno meno del tuo e mio buon Marzio, preferirei che undici morissero nobilmente per la patria, piuttosto che uno sprecasse la vita nei piaceri e nell’inazione.
Entra una dama
DAMA
Mia signora, la signora Valeria è venuta a visitarti.
VIRGILIA
Ti prego, permettimi di ritirarmi.
VOLUMNIA
Niente affatto.
Mi par sentire vicino il rullo dei tamburi
di Marzio, vederlo abbattere Aufidio
preso ai capelli, e i Volsci scappare
come bimbi dall’orso. Mi pare vederlo
così pestare i piedi e gridare “Avanti,
vigliacchi! Voi concepiti nella paura,
anche se nati in Roma”. Poi la fronte
insanguinata tergendo con la mano di ferro
avanza come il mietitore che deve
falciare tutto o perdere la paga.
VIRGILIA
La fronte insanguinata? O Giove, niente sangue!
VOLUMNIA
Via, sciocca! Sta bene a un uomo
più che l’oro al suo monumento. I seni di Ecuba,
quando allattava Ettore, non erano belli
come la fronte di lui che piena di sprezzo
schizzava sangue contro le spade greche.
Di’ a Valeria che siamo pronte a riceverla.
Esce la dama
VIRGILIA
Il cielo protegga il mio signore da quel bruto Aufidio!
VOLUMNIA
La testa d’Aufidio la pesterà col ginocchio
e il piede sul collo.
Entra Valeria con un servo e una dama
VALERIA
A tutte e due buon giorno.
VOLUMNIA
Cara signora!
VIRGILIA
Sono lieta di vederti, signora.
VALERIA
Come state voi due? Amate la casa, si vede. Cosa ricamate lì? Ma che bel ricamo, veramente. E come sta il piccolino?
VIRGILIA
Grazie, gentile signora. Sta bene.
VOLUMNIA
Gli piace vedere spade e sentire tamburi, ma trascura il maestro.
VALERIA
È tutto suo padre, parola mia. Un bimbo stupendo lo giuro. Vi dirò, mercoledì sono stata a guardarlo per una buona mezzora. Ha un piglio così deciso! L’ho visto correre dietro a una farfalla dorata, e quando la prese la lasciò andare, e ancora dietro, e giù un capitombolo e su e la riacchiappa. O che il ruzzolone l’abbia irritato o che cosa, serra così i denti e la sbrana. Oh come la sbrindellò ve lo giuro!
VOLUMNIA
Uno degli scatti del padre.
VALERIA
Proprio così, là, un bimbetto di razza.
VIRGILIA
Uno schianto, signora mia.
VALERIA
Andiamo, basta con quei punti. Voglio farti fare la scansafatiche con me questo pomeriggio.
VIRGILIA
No signora mia, non voglio uscire.
VALERIA
Non vuoi uscire?
VOLUMNIA
Uscirà, uscirà.
VIRGILIA
No veramente, perdonami. Non esco di casa finché il mio signore non torna dalla guerra.
VALERIA
Ma via, fai malissimo a startene così chiusa. Via, devi pure una visita alla nostra amica in attesa.
VIRGILIA
Le auguro che tutto vada bene e la visiterò con le preghiere ma non posso andarci.
VOLUMNIA
Ma perché se è lecito?
VIRGILIA
Non per scansare una fatica e nemmeno per scarsità d’affetto,
VALERIA
Vuoi farmi la parte di Penelope. Ma dicono che tutta la lana che filò mentre Ulisse era via non fece che riempire Itaca di tarme. Andiamo, vorrei che la tua tela ci sentisse come le tue dita, così smetteresti di bucarla, poverina. Su, devi uscire con noi.
VIRGILIA
No signora perdonami, davvero non esco.
VALERIA
Senti, oh, vieni con me, e io ti darò ottime notizie di tuo marito.
VIRGILIA
Ah, signora, è troppo presto per averne.
VALERIA
Te lo assicuro, non scherzo. Ne abbiamo ricevute ieri sera.
VIRGILIA
Davvero?
VALERIA
Davvero, sul serio. Ne ho sentito parlare un senatore. Te lo dico: i Volsci hanno messo in campo un esercito e contro di esso è andato il generale Cominio con una parte dell’esercito. Tuo marito e Tito Larzio han piantato le tende davanti alla città di Corioli. Sono sicuri di prenderla, e concludere presto la campagna. Notizia vera, sul mio onore, e quindi vieni, ti prego.
VIRGILIA
Ti chiedo perdono, signora, ti obbedirò in tutto un’altra volta.
VOLUMNIA
Lasciala stare, cara. Così com’è non farebbe che guastarci l’allegria.
VALERIA
Beh sì, lo credo proprio. Statti bene, allora. Andiamo, cara amica. Ma suvvia ti prego, Virgilia, caccia via quella mutria e vieni con noi.
VIRGILIA
No signora mia, non insistere. Davvero non debbo uscire. Vi auguro un gran divertimento.
VALERIA
E allora, addio. Escono
ATTO PRIMO – SCENA QUARTA
Entrano Marzio e Tito Larzio con tamburi e bandiere, e comandasti e soldati come fossero davanti alla città di Corioli. Un messo vien loro incontro
MARZIO
Là, arrivano notizie. C’è stata battaglia scommetto.
LARZIO
No, il mio cavallo contro il tuo.
MARZIO
Accetto.
LARZIO
Affare fatto.
MARZIO
Di’, il nostro generale si è scontrato col nemico?
MESSO
No, sono in vista, ancora niente scontro.
LARZIO
Il tuo bel cavallo è mio.
MARZIO
Lo ricompro.
LARZIO
No, non vendo né do via. Te lo presto
per cinquant’anni. (Al trombettiere) Chiamate la città.
MARZIO
Quanto distano questi eserciti?
MESSO
Meno d’un miglio e mezzo.
MARZIO
Allora sentiremo la carica, e loro la nostra.
Ora, Marte, ti prego, facci sbrigare presto,
così con le spade fumanti potremo marciare da qui
in aiuto degli amici in campo! Su, fiato alle trombe.
Suonano a parlamento. Sulle mura di Corioli appaiono due senatori e altri
Tullo Aufidio è con voi?
I SENATORE
No, e quelli che ci sono vi temono non più di lui,
cioè meno che niente. (Tambuti lontana) Sentite? I tamburi
chiamano i nostri giovani alla battaglia.
Abbatteremo le mura piuttosto che starci chiusi dentro.
Le porte che sembrano sbarrate le abbiamo appena
assicurate coi giunchi. Si apriranno da sé.
(Carica in lontananza)
Sentite laggiù? Aufidio è lì. Ascoltate
il bel lavoro che fa tagliando a pezzi i vostri.
MARZIO
Hanno cominciato, oh!
LARZIO
Il loro clamore
sia il nostro segno. Le scale, qui!
Entra l’esercito dei Volsci
MARZIO
Non ci temono, anzi fanno sortita.
Ora gli scudi davanti ai cuori, e i cuori
più saldi degli scudi. Avanza, valoroso
Tito. Ci disprezzano molto
più di quanto credessimo, e questo
mi fa sudare di rabbia. Miei soldati,
avanti. Chi si ritira lo prendo
per un volsco, e assaggerà la mia spada.
Capica. I Romani sono respinti nelle trincee. Entra Marzio imprecando
MARZIO
Tutte le pesti del sud vi si posino addosso,
vituperi di Roma! Branco di… pustole
e ulcere vi coprano dalla testa ai piedi,
che siate orridi prima di apparirete possiate
impastarvi l’un l’altro a un miglio controvento!
Anime d’oca in forma umana, siete
scappati davanti a schiavi che le scimmie
batterebbero! O Plutone! O inferno!
Tutti feriti di dietro, i culi rossi
e le facce pallide per la fuga
e la tremarella! Riscattatevi e
caricate decisi, o per le luci del cielo
mollo il nemico e combatto
contro di voi. V’ho avvertito. Avanti.
Se tenete duro, li faremo scappare
in braccio alle mogli, come loro ci hanno
ricacciati nelle trincee. Seguitemi!
Altra carica, e Marzio insegue i Volsci fino alle porte
Ecco le porte sono aperte. Dimostratevi
buoni spalleggiatori. La Fortuna
le apre a chi insegue, non a chi scappa.
Guardate me e imitatemi!
Varca le porte
I SOLDATO
È una pazzia, non lo seguo.
II SOLDATO
Neanch’io.
I SOLDATO
Guarda, l’han chiuso dentro.
TUTTI
È fregato, non c’è dubbio.
Continua la carica. Entra Tito Larzio
LARZIO
Che ne è di Marzio?
TUTTI
Ucciso, capo, senza dubbio.
I SOLDATO
Era alle calcagna dei fuggiaschi e
è entrato con loro e quelli di colpo
hanno chiuso le porte. È lui solo
contro tutta la città.
LARZIO
O valoroso
che vinci in audacia coi sensi la tua
spada insensibile, e resisti se si piega.
Ti abbiamo perduto, Marzio. Un rubino perfetto
grande come te non sarebbe
un gioiello di uguale valore. Eri
un soldato come voleva Catone, fiero
e terribile non solo a colpire,
ma col tuo aspetto tremendo e
il rimbombo di tuono delle tue grida
facevi tremare i nemici come se il mondo
avesse brividi di febbre.
Entra Marzio sanguinante, assalito dai nemici
I SOLDATO
Guarda lì, signore.
LARZIO
È lui, Marzio!
Salviamolo, o una stessa fine per tutti.
Combattono, ed entrano tutti nella città
ATTO PRIMO – SCENA QUINTA
Entrano alcuni saccheggiatori romani
I ROMANO
Questo me lo porto a, Roma.
II ROMANO
E io questa roba qua.
III ROMANO
Peste! Mi pareva argento.
Ancora cariche in lontananza. Entrano Marzio e Tito Larzio con un trombettiere
MARZIO
Guarda lì quegli eroi per cui il tempo
vale una dracma bucata. Cuscini,
cucchiai di stagno, ferri vecchi,
cotte che il boia seppellirebbe
con chi le indossava, questi vigliacchi
prima ancora che cessi la battaglia
impacchettano tutto. Crepino! Escono i saccheggiatori
E senti, che chiasso fa il generale!
Andiamoci. Lì c’è l’uomo che la mia anima
odia, Aufìdio, e va sgozzando i Romani.
Perciò, valoroso Tito, prendi
truppe che bastino a tenere la città,
e io non chi ne ha l’animo corro
in aiuto di Cominio.
LARZIO
Nobile amico, tu sanguini.
Ciò che hai fatto è stato troppo
per tornare a combattere.
MARZIO
Via, niente lodi.
Ancora non mi sono scaldato. Addio.
Perdere un po’ di sangue mi fa
più bene che male. Mi presento così
ad Aufidio, e mi batto.
LARZIO
Allora
la bella dea Fortuna impazzisca
d’amore per te, e i suoi incantesimi
potenti sviino le spade dei nemici.
Il successo sia il paggio dell’audace!
MARZIO
E sia anche tuo amico, come lo è di quelli
che la dea alza più in alto. Addio.
LARZIO
Nobilissimo Marzio! Marzio esce
Va’ a suonare la tua tromba nel foro.
Chiama lì tutti i maggiorenti.
Sapranno le nostre disposizioni. Vai! Escono
ATTO PRIMO – SCENA SESTA
Entra Cominio, come battendo in ritirata, coi suoi soldati
COMINIO
Riprendete fiato, amici.
È stata una bella battaglia! Ne siamo usciti
da Romani, senza resistere da folli
né ritirarci da codardi. Credetemi,
saremo attaccati di nuovo. Durante la mischia,
a tratti, sulle raffiche del vento,
abbiamo udito le cariche dei nostri.
Gli dei di Roma siano loro propizi
come a noi, speriamo, e i nostri due eserciti
s’incontrino col sorriso in fronte
e offrano sacrifici di gratitudine
a voi dei!
Entra un messo
Che notizie?
MESSO
Quelli di Corioli han fatto sortita
e han dato battaglia a Tito e Marzio.
Ho visto i nostri ricacciati nelle trincee
poi son venuto via.
COMINIO
Sarà vero ma non credo
che tu sia esatto. Quanto tempo
è passato da allora?
MESSO
Più d’un’ora, signore.
COMINIO
Non è un miglio, poco fa
sentivamo i tamburi. Come mai
hai sprecato un’ora per un miglio
e porti notizie così tardi?
MESSO
Spie dei Volsci
mi hanno dato la caccia, ho dovuto
fare un giro di tre o quattro miglia.
Altrimenti, generale, avrei portato
le notizie già da mezzora.
Entra Marzio
COMINIO
Chi è quello laggiù
che pare scorticato? O dei!
ha l’aspetto di Marzio, l’ho visto
così altre volte.
MARZIO (grida)
Arrivo troppo tardi?
COMINIO
Il pastore non scerne tuono da tamburo
meglio di quanto io sceveri la voce di Marzio
da ogni altra inferiore.
MARZIO
Arrivo troppo tardi?
COMINIO
Sì, se il sangue che t’ammanta non è
di altri ma tuo.
MARZIO
Fatti abbracciare
forte come serravo la mia ragazza, felice
come quando fìnì il giorno delle nozze
e le fiaccole ardevano sulla via del letto.
COMINIO
Fiore dei guerrieri, che ne è di Larzio?
MARZIO
È lì che s’affanna a dettare decreti:
condanna qualcuno a morte, altri all’esilio,
uno al riscatto, l’altro lo risparmia, un terzo
lo minaccia. Tiene Corioli
nel nome di Roma, come un levriero al guinzaglio
che fa le moine, e che dipende da te
lasciar andare.
COMINIO
Dov’è quel cane
che vi ha detto cacciati nelle trincee?
Dov’è? Chiamatelo.
MARZIO
Lascialo stare.
T’ha detto la verità. Tranne
che per i patrizi. Gli altri, i soldati –
crepino! Gli hanno dato i tribuni! –
mai sorcio scappò dal gatto come loro
scapparono da teppisti peggio di loro.
COMINIO
Ma come hai fatto a vincere?
MARZIO
C’è forse tempo
per dirtelo? Non credo. Dov’è il nemico? Siete
padroni del campo? Se no, perché
fermarsi prima di diventarlo?
COMINIO
Marzio,
abbiamo combattuto con svantaggio e
ci siamo ritirati per vincere.
MARZIO
Come sono schierati? Sai da che lato
hanno messo i migliori?
COMINIO
Io penso, Marzio,
che le bande di fronte sono gli Anziati,
i loro più fidi. Li comanda Aufidio,
fulcro della loro speranza.
MARZIO
Ti supplico
per tutte le battaglie combattute assieme,
e il sangue versato assieme e le promesse
di restare sempre amici, mettimi
faccia a faccia con Aufìdio e i suoi,
e non ritardare lo scontro, riempi
l’aria di spade erte e di dardi,
tentiamo subito la sorte.
COMINIO
Sarebbe meglio,
penso, farti condurre a un quieto bagno e
a un massaggio di balsami, ma non saprò
mai rifiutarti nulla. Scegliti
chi può meglio aiutarti.
MARZIO
Sono coloro
che lo vogliono di più. Se qui c’è qualcuno
– sarebbe una colpa dubitarne – che ama
questa pittura di cui
mi vedete imbrattato, se c’è qualcuno
che teme meno per sé che per il suo nome,
se qualcuno pensa che una morte audace
valga più d’una vita senza onore,
e la patria più di sé stesso, costui
solo, o quanti pensano come lui
agiti in alto la spada per dire
che è pronto, e segua Marzio.
Tutti gridano e agitano in alto le spade, lo alzano sulle braccia e lanciano in aria i copricapi
Di me solo, di me fate una spada.
Se questo non è solo apparenza, chi di voi
non vale quattro Volsci? Nessuno di voi
che non sia tale da opporre al grande Aufidio
uno scudo saldo come il suo. Vi ringrazio
tutti, ma debbo scegliere solo alcuni.
Si proveranno gli altri in altro assalto
quando verrà il momento. Ora vi prego,
marciatemi davanti e io scelgo presto
i più adatti alla squadra.
COMINIO
Allora in marcia,
ragazzi. Tenete fede all’impegno,
e tutto andrà diviso tra noi. Escono
ATTO PRIMO – SCENA SETTIMA
Tito Larzio, che ha lasciato un presidio a Corioli e muove con trombe e tamburi verso Cominio e Marzio, entra con un aiutante, altri soldati e una guida
LARZIO
Buona guardia alle porte. Attenetevi
agli ordini. Se lo richiedo, mandate
in nostro aiuto le centurie. Gli altri
bastano a tenere, per poco. Se perdiamo
il campo, non terremo la città.
AIUTANTE
Fidati, signore.
LARZIO
Usciamo, e chiudete le porte
dietro di noi. Guida, avanti,
portaci al campo romano. Escono
ATTO PRIMO – SCENA OTTAVA
Segnale d’assalto. Entrano da parti opposte Marzio e Aufidio
MARZIO
Voglio combattere solo con te, perché ti odio
peggio d’uno spergiuro.
AUFIDIO
Siamo pari.
Non c’è serpe in Africa che io detesti
più della tua fama e rivalità.
In guardia.
MARZIO
Il primo che arretra muoia schiavo dell’altro
e poi gli dei lo dannino.
AUFIDIO
Se fuggo
urlami dietro, come a una lepre.
MARZIO
Tullo,
neppure tre ore fa ho lottato da solo
dentro le mura della tua Corioli
e v’ho fatto ciò che volevo. Questa maschera
che vedi non è sangue mio. Spremiti
tutte le forze per vendicarti.
AUFIDIO
Se tu fossi quell’Ettore
che fu la sferza della tua millantata
progenie, questa volta non mi scappi.
Qui combattono, e alcuni Volsci accorrono in aiuto di Aufidio. Marzio lotta sino a ricacciarli sfiatati
Uomini servili e non valorosi, m’avete disonorato
col vostro aiuto maledetto. Escono
ATTO PRIMO – SCENA NONA
Squilli di tromba. Segnale di carica. Poi suona la ritirata. Entrano da una parte Cominio e i Romani, dall’altra Marzio con un braccio fasciato
COMINIO
Dovessi dirti ciò che hai fatto oggi
non crederesti alle tue azioni.
Ma lo riferirò
là dove i senatori uniranno
lacrime e sorrisi, e i grandi patrizi
ascolteranno spallucciando ma poi
resteranno di stucco, e le dame atterrite
staranno in orecchi tremando di piacere,
e i cupi tribuni che assieme ai plebei
puzzolenti odiano la tua gloria
diranno a malincuore “Grazie agli dei
Roma ha un tale soldato”.
E dire che eri arrivato alla festa
solo per mangiare un boccone, perché
venivi da un gran banchetto.
Entra Tito Larzio col suo esercito, di ritorno dall’inseguimento
LARZIO
O generale,
qui lui è il destriero, noi la bardatura.
Avessi visto…
MARZIO
Ora vi prego, basta.
Mia madre, che ha bene il diritto
di vantare il proprio sangue,
quando mi loda mi addolora. Ho fatto
ciò che voi avete fatto – cioè
quello che posso – e per lo stesso
vostro motivo, per la mia terra.
Chiunque abbia solo attuato la sua buona volontà
ha fatto più di me.
COMINIO
No, non sarai
la tomba dei tuoi meriti. Roma deve
conoscere il valore dei suoi figli.
Sarebbe reticenza peggiore d’un furto,
non meno grave di una calunnia,
nascondere ciò che hai fatto, silenziare
ciò che anche a levarlo sopra torri e tetti
sarebbe poco lodato. Perciò, ti prego –
per segnare ciò che sei, non per premiare
ciò che hai fatto – ascoltami
qui, davanti all’esercito.
MARZIO
Ho ferite addosso, e mi bruciano
a sentirsi ricordate.
COMINIO
Se non bruciassero
potrebbero suppurare nell’ingratitudine
e trovar cura nella morte. Di tutti i cavalli
catturati – sono buoni e molti –
di tutto il bottino preso in campo e in città
ti diamo la decima parte, da prelevarsi
prima della distribuzione, e solo
a tua scelta.
MARZIO
Grazie, generale, non posso
convincere il mio cuore ad accettare
un compenso per la mia spada. Lo rifiuto,
e insisto, la mia parte sarà uguale alla parte
di chi mi ha visto combattere.
Lunghi squilli di trombe. Tutti gridano “Marzio! Marzio!” e lanciano in alto i copricapi e le aste. Cominio e Larzio restano a capo scoperto
MARZIO
Possano questi strumenti che profanate
non suonare più! Quando i tamburi e le trombe
si mettono ad adulare sul campo, le corti
e le città si riempiano di facce
false e ipocrite. Quando l’acciaio diventa
morbido come la seta del parassita,
combatta costui in prima fila. Basta, vi dico.
Perché non mi sono lavato il naso che sanguina,
perché ho battuto qualche debole poveraccio
– cosa che molti han fatto qui senza
menzione – voi mi portate alle stelle
con acclamazioni iperboliche,
come se amassi vedere il mio poco nutrito
di lodi in salsa di menzogne.
COMINIO
Troppa modestia.
Sei più crudele con la tua rinomanza
che grato a noi che te la diamo sinceri.
Abbi pazienza, se sei in collera con te stesso
ti metteremo i ferri ai polsi – come a uno
che vuol farsi del male – poi
ragioneremo con te senza rischio.
Dunque sia noto
a noi e al mondo, che Caio Marzio
ha vinto questa guerra. In riconoscimento
gli, do il mio nobile cavallo che tutti
qui conoscono, e i suoi finimenti.
E da questo momento, per ciò che ha fatto a Corioli
chiamatelo, con l’applauso e il grido dell’esercito,
Caio Marzio Coriolano.
Porta sempre con onore il tuo titolo!
Squillano le trombe e rullano i tamburi
TUTTI
Caio Marzio Coriolano!
CORIOLANO
Vado a lavarmi,
e quando avrò la faccia pulita vedrete
se arrossisco o no. Comunque, grazie.
Userò il tuo cavallo, e in ogni occasione
porterò il tuo bel titolo per cimiero
quanto meglio posso.
COMINIO
E ora, alla tenda.
Prima di riposare scriveremo a Roma
del nostro successo. Tu, Tito Larzio,
devi tornare a Corioli. Mandaci a Roma
gli uomini migliori, coi quali negoziare
per il bene loro e per il nostro.
LARZIO
Lo farò.
CORIOLANO
Gli dei cominciano a farsi gioco di me.
Ho appena rifiutato
doni principeschi, e ora
debbo mendicare un favore
dal mio generale.
COMINIO
È concesso, è concesso.
Di che si tratta?
CORIOLANO
Qui a Corioli, una volta,
sono stato ospite in casa d’un pover’uomo.
Fu gentile con me. Ora
mi gridava d’aiutarlo, l’ho visto
catturare. Ma in quel momento
è apparso Aufidio e la rabbia
ha vinto la pietà. Ti chiedo
di liberare il mio povero ospite.
COMINIO
Oh, un bel mendicare!
Fosse il macellaio di mio figlio
sarebbe libero come l’aria.
Rilascialo, Tito.
LARZIO
Il nome, Marzio?
CORIOLANO
Per Giove, l’ho dimenticato!
Sono stanco. Sì, la mia memoria
è affaticata.
C’è del vino qui?
COMINIO
Andiamo nella mia tenda.
Il sangue ti si raggruma sul viso, ed è tempo
di pensarci. Venite. Escono
ATTO PRIMO – SCENA DECIMA
Fanfara. Cornette. Entra Aufidio insanguinato, con due o tre soldati
AUFIDIO
La città è presa.
I SOLDATO
Ce la ridaranno a buone condizioni.
AUFIDIO
Condizioni?
Vorrei essere un Romano, come Volsco
non posso più essere me stesso. Condizioni?
Quali buone condizioni troverà un trattato
in chi è alla mercé del nemico?
Cinque volte, Marzio, ho combattuto con te
e cinque volte mi hai battuto, e così
faresti, credo, se ci scontrassimo
ogni volta che si mangia.
Per gli dei, se mai l’incontro di nuovo
barba a barba, o io o lui.
La mia emidazione non è più
leale come prima: prima
pensavo di schiacciarlo a pari forza
leale, spada contro spada.
Ora voglio fregarlo comunque
con la rabbia o l’astuzia.
I SOLDATO
È un demonio.
AUFIDIO
Più coraggioso ma non tanto furbo.
Il mio valore è avvelenato già
perché lui lo macchia. Cambierà natura
per sua causa. Ora né sonno né asilo,
né nudità né malattia né tempio,
né Campidoglio né preghiere di preti,
né momenti del sacrificio, tutti
freni al furore, argineranno
col loro consunto privilegio e uso,
il mio odio per Marzio. Dovunque lo trovo,
persino in casa protetto da mio fratello,
anche lì violerò la legge dell’ospite
e mi laverò la mano nel suo cuore.
Entrate in città, scoprite com’è difesa,
e chi sono gli ostaggi per Roma.
I SOLDATO
Tu non vieni?
AUFIDIO
Mi aspettano al bosco dei cipressi, a sud
dei mulini della città. Fatemi sapere lì
cosa succede, che i miei movimenti
tengano il passo coi fatti.
I SOLDATO
Lo farò, signore. Escono
Coriolano
(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V