(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
Entrano Coriolano, Volumnia, Virgilia, Menenio e Cominio con la gioventù patrizia di Roma
CORIOLANO
Su, smetti di piangere. Un addio breve.
La bestia dalle molte teste mi caccia
a cornate. Ma no, madre, dov’è
il tuo coraggio? Mi dicevi
che le crisi più gravi sono
la vera prova degli animi, che le sventure comuni
anche la gente comune le sa patire,
e in mare calmo tutte le barche si mostrano
capacissime di galleggiare. Ma quando
i colpi della fortuna vanno più a segno,
farsi ferire con nobiltà richiede
una competenza da nobile. E mi riempivi
d’insegnamenti che avrebbero reso invincibile
il cuore che l’imparava.
VIRGILIA
O dei! Dei!
CORIOLANO
No, donna, ti prego…
VOLUMNIA
La peste rossa colpisca tutti i meccanico a Roma,
muoiano tutti i mestieri!
CORIOLANO
Via, via, via!
Assente mi rimpiangeranno. O madre
ritrova il coraggio di quando dicevi
che, fossi stata la moglie di Ercole,
avresti compiuto sei delle fatiche
risparmiandogli quei sudori. Cominio,
non scoraggiarti. Addio. Salve, moglie e madre.
Ne verrò fuori. Vecchio fedele Menenio,
il tuo pianto ha più sale del pianto
d’un giovane, è veleno ai tuoi occhi.
Mio comandante d’un tempo, t’ho visto
impassibile, e tu hai visto sovente cose
che fanno il cuore di pietra.
Di’ a queste donne tristi, che è stolto
piangere sui mali inevitabili
com’è stolto riderne. Madre, sai bene
che i pericoli che ho corso, ogni volta
t’hanno fruttato delle gioie,
e sii sicura, anche se vado da solo,
come un drago solitario che la palude
fa temuto e leggendario, più
che se fosse visto, tuo figlio
opererà meglio degli altri o sarà
fermato con tranelli e frodi.
VOLUMNIA
Mio unico figlio,
dove te ne andrai? Prendi con te per un poco
il buon Cominio. Decidi cosa farai,
non esporti alla cieca a ogni sorte
che ti salti incontro per strada.
VIRGILIA
O dei!
COMINIO
Verrò con te per un mese, deciderò
con te dove conviene che ti fermi,
per aver notizie di noi e noi di te.
Così, se il tempo farà fiorire
l’occasione di richiamarti, non dovremo
mandar a cercare un uomo nel vasto mondo
e perdere quel vantaggio che sfiuna se è assente
chi ne ha bisogno.
CORIOLANO
Addio.
Tu hai anni addosso, e sei troppo carico
di fatiche di guerra per vagare con uno
che ancora non ne è toccato. Accompagnami
solo fuori delle porte. Venite,
mia dolce moglie, mia carissima madre,
miei amici di nobile tempra.
Appena fuori ditemi addio e sorridete.
Vi prego, andiamo. Finché sarò sulla terra
udrete sempre mie notizie, e nulla
che non sia degno dell’uomo
che sono stato.
MENENIO
Parole più nobili
non si sono mai udite. Su, niente lacrime.
Potessi scuotermi via solo sett’anni
da queste vecchie braccia e gambe,
per gli dei benigni, ti seguirei
passo a passo.
CORIOLANO
Dammi la mano.
Andiamo. Escono
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
Entrano i due tribuni Sicinío e Bruto con un edile
SICINIO
Falli tornare tutti a casa. È partito
e non andremo oltre. I nobili
tutti schierati per lui, l’abbiam visto,
ora sono furiosi.
BRUTO
Abbiamo mostrato la nostra forza.
Ma a cose fatte possiamo apparire più umili
di quando tutto era da farsi.
SICINIO
Manda ognuno a casa.
Dì loro che il gran nemico se n’è andato
ed hanno l’antica forza.
BRUTO
Mandali a casa. Esce l’edile
Ecco sua madre.
Entrano Volumnia, Virginia e Menenio
SICINIO
Evitiamola.
BRUTO
Perché?
SICINIO
Dicono che sia ammattita.
BRUTO
Ci han visti. Continua a camminare.
VOLUMNIA
Oh, v’incontro in buon punto. Tutte le pesti
tenute in serbo dagli dei ripaghino
il vostro affetto!
MENENIO
Calma, calma, non gridare.
VOLUMNIA
Se il pianto me lo permettesse, sentiresti
le grida… anzi, le sentirai un poco.
(A Bruto) Come, te ne vai?
VIRGILIA (A Sicinio)
Resta lì anche tu.
Magari potessi dirlo a mio marito.
SICINIO
Siete diventate dei maschi?
VOLUMNIA
Sì, idiota, è una vergogna? Sta’ a sentire,
deficiente: non era un maschio
mio padre? E invece tu sei la volpe
che ha bandito un uomo il quale ha vibrato
più colpi per Roma di quante parole
tu abbia mai dette.
SICINIO
Oh dei beati!
VOLUMNIA
Sì, più nobili colpi che tu parole sennate,
e per il bene di Roma. Ti dico una cosa –
ma no, va’ via. No, anzi devi restare.
Vorrei che mio figlio fosse in Arabia, a faccia
a faccia con la tua tribù, e in pugno
la sua brava spada.
SICINIO
E allora?
VIRGILIA
Allora! Porrebbe fine alla tua posterità.
VOLUMNIA
Ai bastardi e al resto.
Ne ha avuto ferite per Roma, quel coraggioso!
MENENIO
Andiamo, andiamo, basta.
SICINIO
Magari avesse continuato a servire la patria
come all’inizio, senza spezzare da sé
il nobile nodo che aveva stretto.
BRUTO
Magari!
VOLUMNIA
“Magari”! Siete stati voi due
a sobillare la folla – voi due, bestie
che potete giudicarlo come io i misteri
che il cielo non vuol rivelare.
BRUTO
Su, andiamo.
VOLUMNIA
Sì andate, su, per favore.
Avete fatto una prodezza. Prima di andare
sentite questo: come il Campidoglio
sovrasta la casa più misera di Roma
così mio fìglio, marito di costei, la vedete?
l’uomo che avete bandito, vi sovrasta tutti.
BRUTO
Bene, bene, scusateci.
SICINIO
Perché star qui
a farci insultare da una che ha perso il senno?
I tribuni escono
VOLUMNIA
Vadano con voi le mie preghiere.
Vorrei che gli dei non avessero altro da fare
che esaudire le mie maledizioni. Potessi
incontrare costoro almeno una volta al giorno
schioderebbero dal mio cuore il peso
che l’opprime.
MENENIO
Gli hai detto il fatto loro,
e francamente ne avevi il diritto. Vieni
a cenare da me?
VOLUMNIA
No, mi nutro di rabbia.
Ceno su me stessa, e così
mangiando morirò di fame. (A Virgilia) Vieni,
andiamo. Smettila di frignare piano
e fai come me, piangi di rabbia,
al modo di Giunone. Andiamo, andiamo, andiamo.
Escono Volumnia e Virgilia
MENENIO
Cani, cani, cani! Esce
ATTO QUARTO – SCENA TERZA
Entrano un romano e un volsco
ROMANO
Ti conosco bene, amico, e tu mi conosci. Ti chiami Adriano, mi pare.
VOLSCO
Esatto. Francamente non ti ricordo.
ROMANO
Sono un romano, e lavoro, come te, contro i Romani. Mi riconosci ora?
VOLSCO
Nicanor, no?
ROMANO
Esatto, amico.
VOLSCO
Avevi più barba l’ultima volta che t’ho visto, ma la voce è quella. Che novità a Roma? Ho l’incarico dai miei capi di cercarti lì. Mi hai risparmiato una giornata di camnino.
ROMANO
A Roma ci sono state gravi sommosse: la plebe contro senatori, patrizi, nobili.
VOLSCO
Ci sono state? Dunque sono finite? Il nostro governo non lo crede. Fa grandi preparativi di guerra e spera di sorprenderli in piena discordia.
ROMANO
La vampata grossa s’è spenta, ma basta una scintilla per riattizzarla. I nobili hanno preso così male la cacciata del nobile Coriolano, che sono ormai decisi a togliere ogni potere al popolo e a strappargli i tribuni per sempre. C’è fuoco sotto la cenere, non c’è dubbio, e ormai è quasi al punto di svampare.
VOLSCO
Coriolano è bandito?
ROMANO
Bandito, sì.
VOLSCO
Questa tua notizia farà molto piacere, Nicanor.
ROMANO
È il momento giusto per loro. Ho sentito dire che il punto migliore per sedurre una moglie è quando ha litigato col marito. Il vostro nobile Tullo Aufidio farà un figurone in questa guerra, visto che il suo grande avversario Coriolano, il suo paese non vuoi più sentirne.
VOLSCO
Ah non c’è dubbio. Ho avuto una gran fortuna a incontrarti così per caso. Hai messo fine a quanto dovevo fare, e posso accompagnarti indietro allegramente.
ROMANO
Da qui all’ora di cena ti dirò le cose inaudite che sono successe a Roma, e tutte a vantaggio dei suoi nemici. Avete un esercito pronto, hai detto?
VOLSCO
Un esercito formidabile. Centurioni e subordinati arruolati singolarmente, già al soldo dello stato e pronti a marciare con un’ora di preavviso.
ROMANO
Sono contento di saperlo e credo di essere l’uomo che li metterà subito in marcia. Perciò, lietissimo di averti incontrato e assai contento della compagnia.
VOLSCO
Mi toglie le parole, di bocca, ho più motivo io di rallegrarmi.
ROMANO
Bene, avviamoci. Escono
ATTO QUARTO – SCENA QUARTA
Entra Coriolano travestito, in panni dimessi e avvolto nel mantello
CORIOLANO
Una gran bella città, questa Anzio.
Sono io, città, che ti ho dato le tue vedove.
Molti eredi di queste belle case
li ho sentiti gemere nei miei assalti
e li ho visti cadere. Perciò
non riconoscermi, altrimenti
le tue donne a colpi di spiedo, i ragazzi
a sassate, mi ammazzerebbero
in uno scontro puerile.
Entra un cittadino
Salve, amico.
CITTADINO
Salve.
CORIOLANO
Dimmi, per favore,
dove abita il grande Aufidio.
Si trova ad Anzio?
CITTADINO
Sì, e stasera festeggia in casa sua
i nobili dello stato.
CORIOLANO
Dov’è la sua casa, ti prego?
CITTADINO
Questa che hai davanti.
CORIOLANO
Grazie, amico. Addio.
Il cittadino se ne va
O mondo, la tua instabilità malfida!
Amici giurati che sembrano avere nei petti
un solo cuore, che hanno sempre in comune
il tempo, il sonno, i pasti, il lavoro,
quasi gemelli d’amore, inseparabili,
in meno d’un’ora, per un dissenso da niente
prorompono nell’amicizia più amara.
E certi nemici mortali
che solevano vegliare la notte in preda all’odio
macchinando come distruggersi a vicenda, per
un caso qualunque, una sciocchezza che vale
un uovo marcio, eccoli amici del cuore,
eccoli legare le proprie sorti. Così è per me.
Il posto dove nacqui lo odio, il mio amore
va a questa città nemica. Entriamo.
Se mi ammazza, non fa che giustizia. Se m’accetta,
servirò il suo paese.
Esce
ATTO QUARTO – SCENA QUINTA
Musica. Entra un servo
SERVO
Vino, vino, vino! Che razza di servizio! Dormono tutti, mi pare. Esce
Entra un altro servo
IL SERVO
Dov’è Coto? Lo vuole il padrone. Coto! Esce
Entra Coriolano
CORIOLANO
Bella casa. Buon profumo di banchetto. Ma io non vengo da ospite.
Entra il primo servo
I SERVO
Cosa vuoi, amico? Da dove spunti? Qui non c’è posto per te. Alla porta, per favore.
Esce
CORIOLANO
No Non m’hanno trattato meglio
quand’ero Coriolano.
Entra il secondo servo
II SERVO
Da dove arrivi, messere? Ma ce l’ha gli occhi il portinaio, che lascia passare dei ceffì come te? Aria, per piacere.
CORIOLANO
Sparisci!
II SERVO
Sparisci? Sparisci tu!
CORIOLANO
Cominci a darmi ai nervi.
II SERVO
Ah mi fai lo spaccone? Ti faccio parlare subito con chi so io.
Entra il terzo servo, incontro al primo
III SERVO
Chi è quel tale?
I SERVO
Il tipo più strano c’ho mai visto. Non riesco a cacciarlo via. Chiama il padrone, per piacere.
III SERVO
Cos’hai da fare qui, amico? Esci per favore.
CORIOLANO
Lasciami star qui dritto – non ti scasso il camino.
III SERVO
Ma chi sei?
CORIOLANO
Un nobile.
III SERVO
Sì, ma morto di fame.
CORIOLANO
Giusto, morto di fame.
III SERVO
Fammi il favore, nobile morto di fame, tròvati un’altra sistemazione. Non è posto per te, questo. Prego, sgombra. Avanti.
CORIOLANO
Fa’ il tuo mestiere va’, vai a ingozzarti con gli avanzi.
Gli dà una spinta
III SERVO
Ah, non te ne vuoi andare? Di’ al padrone che qui c’è un ospite veramente strampalato.
II SERVO
Vado subito. Esce
III SERVO
Ma dove stai di casa?
CORIOLANO
Sotto il baldacchino.
III SERVO
Il baldacchino?
CORIOLANO
Esatto.
III SERVO
E dove sarebbe?
CORIOLANO
Nella città dei nibbi e dei corbacchi.
III SERVO
Nibbi e corbacchi? Ma sei proprio uno scemo. Allora stai pure con le taccole?
CORIOLANO
No, non servo il tuo padrone.
III SERVO
Eh! Adesso dai addosso al padrone?
CORIOLANO
Beh, è più onesto che dare addosso alla padrona. Smettila di cianciare, vai a portare i piatti, va’. Via!
Lo caccia a botte dalla scena
Entra Aufidio col secondo servo
AUFIDIO
Dov’è questo tale?
II SERVO
Eccolo, padrone. Non l’ho bastonato come un cane per non disturbare i signori di là.
I servi si tirano da parte
AUFIDIO
Da dove arrivi? Che vuoi? Come ti chiami?
Perché non parli? Parla. Come ti chiami?
CORIOLANO (si scopre la testa)
Tullo, se ancora non mi riconosci,
e vedendomi non credi che sia io,
è necessario che ti dica il nome.
AUFIDIO
E qual è?
CORIOLANO
È un nome che non ha musica per gli orecchi dei Volsci,
che suona aspro al tuo orecchio.
AUFIDIO
Dillo questo nome.
Hai l’aria bieca, la faccia
di chi comanda. L’attrezzatura è a pezzi,
ma lo scafo è nobile. Qual è il tuo nome?
CORIOLANO
Preparati ad accigliarti. Ancora
non mi riconosci?
AUFIDIO
Non ti conosco. Il nome?
CORIOLANO
Il nome è Caio Marzio, l’uomo che ha fatto
molto male e danno a te soprattutto
e a tutti i Volsci; può testimoniarlo
il mio soprannome, Coriolano.
Il mio duro servizio, i pericoli
gravissimi, e il sangue
versato per la patria ingrata
hanno avuto per compenso soltanto
questo soprannome – memoria
e attestato del malvolere e dell’odio
che mi dovresti portare. Mi resta
solo questo nome. La ferocia
e l’inimicizia della plebe, tollerate
dai nostri nobili codardi,
che m’hanno tutti abbandonato,
si sono divorati il resto.
M’hanno lasciato cacciare da Roma
da schiavi urlanti. Questa necessità
mi porta al tuo focolare – ma non –
non mi fraintendere – non con la speranza
di salvarmi la vita. Avessi temuto la morte,
tra tutti gli uomini al mondo avrei evitato
- Io ti sto qui davanti
solo per rabbia, per vendicarmi a fondo
di chi mi ha bandito. Perciò, se hai voglia
d’una rivincita che ti ripaghi
dei mali subìti, se vuoi fermare
il cancro della vergogna che appare
in tutto il tuo paese, non perdere tempo,
la mia disgrazia falla servire al tuo scopo.
Usala in modo che la mia vendetta
sia tuo vantaggio. Perché combatterò
contro la mia terra bacata con la bile
di tutti i diavoli dell’inferno.
Ma se non vuoi affrontare questo rischio,
se già sei stanco di tentare la sorte,
allora, in breve, anch’io
sono stanco a morte di vivere,
offro la gola al tuo antico livore.
Se non la tagli ti dimostri sciocco,
perché ti ho sempre perseguitato col mio odio,
ho tratto barili di sangue dal petto della tua terra,
e non posso che vivere a tuo disdoro
se non vivo per servirti.
AUFIDIO
O Marzio, Marzio!
Ogni tua parola mi ha estirpato dal cuore
una radice dell’antico odio. Se Giove
da quella nuvola lì mi parlasse
di cose divine dicendo “Sono vere”,
non crederei a lui più che ora a te,
nobilissimo Marzio. Lascia che intrecci
le braccia attorno al corpo contro il quale
cento volte s’è spezzata
la mia lancia di frassino, sfregiando
con le schegge la luna.
Così ti stringo, incudine della mia spada,
e con nobile ardore
sfido il tuo amore come una volta
con ambiziosa violenza
ho sfidato il tuo valore. Devi sapere
che io amavo la ragazza che ho sposata,
nessuno sospirò più sinceramente. Ma ora
che ti vedo qui, nobile creatura,
il cuore mi balla nel petto più ebbro
di quando vidi la mia fidanzata
varcare la soglia della mia casa.
A te, Marte, dico che abbiamo pronto un esercito,
e ancora una volta pensavo di falciarti lo scudo
dal braccio, o di perdere il mio. M’hai battuto
ben dodici volte, e da allora ogni notte
sogno che combattiamo –
abbiamo lottato per terra nel mio sogno
schiodandoci gli elmi, le dita alla gola –
e mi sono svegliato mezzo morto, con niente.
Nobile Marzio, anche se non avessimo
altro motivo per combattere contro Roma
che la tua cacciata,
arruoleremmo tutti, dai dodici ai settant’anni,
e versando la guerra nei visceri
dell’ingrata Roma, la travolgeremmo
come una potente alluvione. Ma vieni,
entra, e stringi la mano ai nostri senatori
e amici, che sono qui per salutarmi,
perché ero pronto a marciare
contro i vostri territori, ma non
contro Roma stessa.
CORIOLANO
Dei, mi fate felice!
AUFIDIO
Quindi, amico incomparabile, se vuoi
prendere il comando delle tue vendette,
prendi metà delle mie forze, e decidi l’azione
come meglio ti consiglia
l’esperienza, dacché conosci la forza
e la debolezza del tuo paese:
o picchiare alle porte di Roma, o investirli
in una zona lontana, per far loro paura
prima di annientarli. Ma entra.
Lascia che prima ti presenti
a chi assentirà ai tuoi desideri.
Benvenuto mille volte! E più amico
oggi che nemico prima – e lo eri
assai, Marzio. La mano. Benvenuto!
Escono
Il primo e il secondo servo sifanno avanti
I SERVO
Questo sì è un voltafaccia!
II SERVO
Giuro su questa mano, pensavo di menarlo col bastone. Ma la testa m’avvertiva che quegli stracci non dicevano la verità.
I SERVO
E che razza di braccia! M’ha fatto girare con l’indice e il pollice, come s’avvia una trottola.
II SERVO
Beh, l’ho capito dalla faccia che c’era sotto qualcosa. Aveva una faccia, caro mio, che pareva – non so come dire.
I SERVO
Proprio così, aveva un’aria – m’impicchino se non ho capito che ci aveva qualcosa che non capivo.
II SERVO
Pure io, lo giuro. La verità è che è un vero padreterno.
I SERVO
Lo è, lo è. Ma come combattente c’è qualcuno che lo batte, lo sai.
II SERVO
Chi, il principale?
I SERVO
Beh, su questo non ci piove.
II SERVO
Ne vale sei.
I SERVO
No, non esageriamo. Ma come combattente è il meglio.
II SERVO
Guarda, diciamo la verità, non è facile metterla. Per difendere una città il nostro capo è in gamba.
I SERVO
Certo, e pure per l’attacco.
Entra il terzo servo
III SERVO
Sgherri, vi porto notizie – e che notizie, o birboni!
I DUE
Cosa, cosa? Avanti, spartiamo.
III SERVO
Tra tutte le genti non vorrei essere romano. Meglio pronto per la forca.
I DUE
E perché? Perché?
III SERVO
Perché? Abbiamo qui Caio Marzio, che di solito le sonava al nostro generale.
I SERVO
Le sonava? Come ti permetti?
III SERVO
Beh, non ho detto “le sonava”, però gli teneva testa.
II SERVO
Via, siamo tra colleghi e amici. È stato sempre un osso troppo duro, l’ho sentito dire a lui stesso.
I SERVO
Ma sì, un osso troppo duro, diciamo pane al pane. Davanti a Corioli l’ha pestato e tagliuzzato come una braciola.
II SERVO
Se aveva gusto di cannibale se lo poteva bollire e mangiare.
I SERVO
Ma su, dicci le altre notizie.
III SERVO
Beh, lì dentro lo trattano che pare il figlio e l’erede di Marte: messo a capotavola, e nessun senatore che osa fargli domande senza levarsi il cappello. Lo stesso principale lo tratta come un amante, gli tocca la mano come l’acqua santa e strabuzza gli occhi a sentirlo parlare. Ma il vero succo della notizia è questo: il principale è tagliato a metà ed è solo la metà di ieri, perché l’altra metà se l’è beccata l’altro, per preghiera e concessione di tutta la tavolata. Andrà, dice, a tirare le orecchie al portinaio delle porte di Roma. Davanti a sé vuol faldare tutto, e lasciarsi dietro tutto bello e pulito.
II SERVO
E se non lo fa lui non so chi può farlo.
III SERVO
Per farlo, lo farà, perché vedi, ha un sacco di nemici ma pure di amici. I quali amici, caro mio, diciamo, non avevano il coraggio, capisci, di farsi avanti, mettiamola così, come amici, mentre che era in discrepito.
I SERVO
Discrepito? Che roba è?
III SERVO
Ma quando vedranno – va bene? – che ha rizzato la cresta ed è in forza, ti risbucano dalle tane come conigli dopo l’acquata, e tutti assieme a fargli festa.
I SERVO
Ma questo quando si verifica?
III SERVO
Domani, oggi, subito. Sentirai battere il tamburo questo pomeriggio. È come dire parte della festa, da farsi prima di pulirsi la bocca.
II SERVO
Ma allora riavremo un po’ di vita. Questa pace non fa che mettere ruggine al ferro, fa crescere il numero dei sarti e alleva i cantastorie.
I SERVO
Datemi la guerra, dico io. È meglio della pace come il giorno della notte. La guerra è svelta, ha lingua ed è piena di fiuto. La pace è una vera apoplessia, una vera letargia: scema, sorda, assonnacchiata e insensibile. Fa più bastardi lei che la guerra morti ammazzati.
II SERVO
Esatto. La guerra in certo senso la puoi chiamare una gran scopatrice, ma non puoi negare che la pace è una gran fabbrica di comuti.
I SERVO
Sicuro, e fa odiare tra loro i cristiani.
II SERVO
Logico: perché allora uno ha meno bisogno degli altri. Datemi la guerra, dico. Spero di vedere i Romani a un soldo l’uno, come i Volsci. Si stanno alzando da tavola, si stanno alzando.
I DUE
Via, via, via, via. Escono
ATTO QUARTO – SCENA SESTA
Entrano i due tríbuni Sicinio e Bruto
SICINIO
Di lui non si sa nulla né c’è motivo
di temerlo. I rimedi, eccoli: la pace
e la tranquillità del popolo che prima
era esasperato. Noi qui
facciamo arrossire i suoi amici
per come van bene le cose – loro
preferirebbero, anche a proprio danno,
vedere le strade infestate di bande
in rivolta, e non i nostri artigiani
che cantano nelle botteghe e badano
al proprio lavoro, in pace.
BRUTO
Abbiamo puntato i piedi
al momento giusto.
Entra Menenio
Non è Menenio quello?
SICINIO
È lui, è lui. Ah, è diventato gentilissimo
ultimamente. Salve, domine!
MENENIO
Salve a voi due!
SICINIO
Il tuo Coriolano non è molto rimpianto
tranne che dai suoi amici. La Repubblica
regge; e reggerebbe anche se lui
gliene volesse di più.
MENENIO
Tutto va bene
e andrebbe ancor meglio
che avesse saputo temporeggiare.
SICINIO
Dove si trova, ne sai notizie?
MENENIO
No, non ne so. La madre e la moglie
sono anch’esse senza.
Entrano tre o quattro cittadini
I CITTADINI
Gli dei vi preservino entrambi!
SICINIO
Buona sera, amici.
BRUTO
Buonasera, buonasera a tutti.
PRIMO CITTADINO
Noi con le mogli e i figli dobbiamo pregare
per voi due, sui ginocchi.
SICINIO
Salute e buona fortuna!
BRUTO
Statevi bene, amici. Magari Coriolano
vi avesse amati come noi.
I CITTADINI
Bene, gli dei vi conservino!
I DUE TRIBUNI
Statevi bene, statevi bene. I cittadini escono
SICINIO
Oggi la vita è più felice, più bella
di quando questi correvano le strade
gridando alla rivolta.
BRUTO
Caio Marzio era un capo
valoroso in guerra, ma insolente,
accecato dalla superbia, ambizioso
oltre ogni immaginazione, pieno
di sé…
SICINIO
E mirava al trono, per sé solo,
senza soci.
MENENIO
Io non la penso così.
SICINIO
L’avremmo scoperto a quest’ora, che era così,
a nostro danno, se fosse diventato console.
BRUTO
Gli dei, per fortuna, l’hanno impedito, e Roma
è calma e sicura senza di lui.
Entra un edile
EDILE
Onorevoli tribuni,
uno schiavo, che abbiamo imprigionato,
afferma che i Volsci con due eserciti
hanno invaso le terre romane e con furia
micidiale distruggono tutto
sul loro cammino.
MENENIO
È Aufidio
che ora sa della cacciata di Marzio
e rimette fuori le corne dal guscio,
che quando Marzio difendeva Roma
non osavano sporgersi.
SICINIO
Ma via,
che c’entra ora Marzio?
BRUTO
Va’, fa’ frustare quest’afiarmista.
Non è possibile che osino rompere gli accordi.
MENENIO
Non è possibile! Può essere benissimo,
è documentato: tre casi simili
son successi durante la mia vita.
Interrogate quest’uomo prima di punirlo,
chiedetegli dove l’ha sentito, altrimenti
rischiate di frustare la notizia stessa
e bastonare chi vi mette in guardia
contro un pericolo vero.
SICINIO
Non dire storie,
so che è impossibile.
BRUTO
Impossibile.
Entra un messo
MESSO
I nobili sono in grande agitazione e
vanno tutti al Senato. Arrivano notizie
che li hanno sconvolti.
SICINIO
È quello schiavo…
andate a frustarlo dinanzi al popolo –
l’allarme è suo, e non sono che chiacchiere.
MESSO
Ma sì, onorevole tribuno, le informazioni
dello schiavo risultano vere, e ne arrivano
altre più terribili.
SICINIO
Cosa, più terribile?
MESSO
Molti dicono apertamente – non so
con quale fondamento, che Marzio
insieme ad Aufidio conduce un esercito
contro Roma, e giura una vendetta terribile
che includa i più giovani e i più vecchi.
SICINIO
Ma figuriamoci!
BRUTO
Questa è voce diffusa
per far venire la voglia ai più fiacchi
di riavere a casa il buon Marzio.
SICINIO
Sì, questo è il trucco.
MENENIO
E poco probabile.
Lui e Aufidio possono andare d’accordo
solo come l’acqua e il fuoco.
Entra un secondo messo
II MESSO
Sei convocato al Senato.
Un grande esercito condotto da Caio Marzio
assieme ad Aufidio, imperversa
sui nostri territori, ed ha già forzato
il passaggio, e brucia e cattura
tutto ciò che incontra.
Entra Cominio
COMINIO
Ah, un bel lavoro avete fatto!
MENENIO
Cosa sai? Cosa sai?
COMINIO
Avete dato una mano a violentare
le vostre figlie, e fondere il piombo dei tetti
sulle vostre zucche, e vedere le mogli
disonorate sotto il vostro naso…
MENENIO
Ma cosa sai, cosa sai?
COMINIO
I templi bruciati
sino alle fondamenta, e le franchigie
su cui v’impuntavate, ridotte a entrare
nel buco d’un trapano.
MENENIO
Per favore, cosa sai?
Voi due avete fatto un bel lavoro, ho paura –
Parla, ti prego. Se davvero Marzio
s’è unito ai Volsci…
COMINIO
Se?
È il loro dio. Li guida come uno creato
da una divinità diversa dalla Natura,
e più abile a forgiare uomini. E loro lo seguono
contro di noi bambocci con la sicurezza
di ragazzi che inseguono farfalle estive
o macellai che schiacciano mosche.
MENENIO
Avete fatto
un gran bel lavoro, voi e i vostri meccanici
che tanto eravate infatuati dei voti
dei vostri compari in grembiule e del fiato
dei mangiatori d’aglio.
COMINIO
Vi farà crollare Roma sui crani.
MENENIO
Come Ercole fece cascare
le mele mature. Avete fatto un bel lavoro!
BRUTO
Ma sarà vero, signore?
COMINIO
È vero, e sarete pallidi
prima che venga smentito. Tutte le contrade
disertano liete, chi resiste è deriso
per il suo valore assurdo, e muore
da sciocco lealista. Chi può biasimarlo?
I vostri e suoi nemici lo sanno apprezzare.
MENENIO
Siamo tutti perduti se quel nobile
non avrà clemenza.
COMINIO
Chi andrà a chiederla?
Non i tribuni, per pudore. E il popolo
merita pietà da lui come il lupo
dai pastori. Quanto ai suoi amici più stretti
se gli dicessero “Pietà per Roma”, la preghiera
sarebbe uguale a quella di chi merita
il suo odio, e li farebbe apparire
come nemici.
MENENIO
È vero. Se gettasse in casa mia
il tizzone che la distrugge
non avrei la faccia di dirgli, “Ti supplico,
fermati”. Avete manovrato bene,
voi e i vostri meccanici! Avete fatto
un capolavoro!
COMINIO
Avete attirato su Roma
una catastrofe, che mai ve n’è stata
una così irrimediabile.
I TRIBUNI
Non dite che è colpa nostra.
MENENIO
Ah no? Sarebbe nostra? Noi l’amavamo,
ma da bestie nobili e codarde abbiamo
ceduto alle vostre folle che l’hanno
espulso urlando.
COMINIO
Ma temo che urlando
lo richiameranno. Tullo Aufidio, che per fama
è secondo tra gli uomini, gli obbedisce
come fosse un suo subalterno. La disperazione
è l’unica tattica, l’unica forza e difesa
che Roma può opporgli.
Entra un gruppo di cittadini
MENENIO
Arrivano le torme.
E Aufidio è con lui? Siete stati voi
a rendere quest’aria irrespirabile
quando gettaste in aria quelle coppole
luride e puzzolenti acclamando
l’esilio di Coriolano. Adesso torna
e non c’è pelo in testa a un suo soldato
che non sarà una frusta. Farà
cascare in terra tante zucche di buffoni
per quante coppole avete lanciato in aria
e vi ricompenserà per i voti. E che importa?
Potesse bruciarci tutti in un solo tizzone
ce lo saremmo meritati.
I CITTADINI
Per gli dei, sentiamo notizie terribili
I CITTADINO
Quanto a me, quando dissi “banditelo”,
dissi che mi spiaceva.
II CITTADINO
E io pure, ia pure.
III CITTADINO
Pure io, e a dire il vero anche la maggior parte di
noialtri. Quello che abbiamo fatto fu a fin di
bene. Abbiamo approvato la sua cacciata, ma l’abbiamo
fatto di controvoglia.
COMINIO
Bei votanti siete!
MENENIO
Avete fatto un bel lavoro,
voi e i vostri schiamazzi! Voghamo andare al Campidoglio?
COMINIO
Ma sì, che altro possiamo fare?
Escono Menenio e Cominio
SICINIO
Amici miei, su, a casa. Non vi allarmate.
Quei faziosi sarebbero contenti, se fosse vero
ciò che si danno l’aria di temere.
Andate a casa, non date a veder paura.
I CITTADINO
Gli dei ci aiutino! Avanti, amici miei, a casa. L’ho sempre detto che avevamo torto quando l’abbiamo esiliato.
II CITTADINO
L’abbiamo detto tutti. Ma su, andiamo a casa.
Escono i cittadini
BRUTO
Queste notizie non mi piacciono.
SICINIO
Neanche a me.
BRUTO
Andiamo al Campidoglio. Darei metà del mio
perché non fossero vere.
SICINIO
Prego, andiamo.
Escono
ATTO QUARTO – SCENA SETTIMA
Entra Aufidio col suo aiutante
AUFIDIO
Corrono sempre appresso al romano?
AIUTANTE
Non so che stregoneria abbia, ma i tuoi soldati
usano il suo nome come preghiera
prima dei pasti, come oggetto di discorso a tavola
e come ringraziamento finale. E tu in questa campagna
sei messo in ombra dai tuoi stessi uomini.
AUFIDIO
Per ora
non c’è niente da fare, dovrei usare mezzi
che azzopperebbero i nostri stessi progetti.
Anche verso di me si dimostra arrogante
più di quanto pensavo
quando l’accorsi a braccia aperte. Ma è
la sua natura che in ciò non cambia, e devo
giustfflcare ciò che non può correggersi.
AIUTANTE
Però, credo, era meglio – per te stesso, dico –
non dividere il comando con lui, ma guidare
tu la campagna, o lasciarla a lui solo.
AUFIDIO
Ti capisco bene, e sta’ tranquillo, che quando
verrà alla resa dei conti,
non immagina come lo metterò al muro.
Sembra, così lui crede, e così appare
anche agli occhi di tutti,
che egli faccia tutto lealmente e curi
molto gli interessi dello stato,
e certo combatte come un drago e vince
appena sfodera la spada. Eppure
c’è qualcosa che ha trascurato di fare,
che gli spezzerà il collo,
o metterà il mio in pericolo,
quando faremo i conti.
AIUTANTE
Ma dimmi, Aufidio,
credi che prenderà Roma?
AUFIDIO
Tutte le città
gli si arrendono prima che le assedi,
e la nobiltà di Roma è con lui.
Anche i senatori e i patrizi lo amano.
I tribuni non sono soldati, e il popolo
farebbe presto a richiamarlo come fece
a cacciarlo. Credo che sarà per Roma
come la procellaria per il pesce, che lo mangia
per sovranità di natura. Dapprima
li servì nobilmente, ma non seppe
portare i suoi onori con misura.
Forse fu per l’orgoglio che nasce
da un successo continuo, e macchia
sempre l’uomo fortunato. O forse per
un difetto d’acume, un’incapacità
di sfruttare quelle occasioni
che aveva in pugno. O forse
la colpa fu della sua natura,
non essere mai altro da sé, non cambiare
mai, sotto l’elmo o sul cuscino,
ma dominare la pace con la stessa durezza
e lo stesso rigore con cui controllava
la guerra. Una sola di queste macchie
– perché ne ha un po’ di tutte, ma non
tutte assieme, e per questo
mi sento di scagionarlo – una sola
lo ha reso tanto temuto, odiato, e bandito.
Ma egli ha un merito che, a dirlo, è strozzato.
Perché le nostre virtù stanno in ciò
che ne dice il tempo; e il potere,
che in sé è molto apprezzabile,
non ha tomba più certa d’una tribuna
che ne esalti le gesta.
Un fuoco scaccia l’altro, un chiodo un altro chiodo;
perisce un diritto sotto un diritto più forte,
la forza è uccisa dalla forza. Vieni, andiamo.
Quando Roma sarà tua, Caio, sarai il più debole
di tutti – e allora, subito, sei mio.
Escono
Coriolano
(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V