(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano Menenio e i due tribuni della plebe, Sicinio e Bruto
MENENIO
L’augure mi dice che stasera avremo notizie.
BRUTO
Buone o cattive?
MENENIO
Non quelle per cui prega la plebe, che non ama Marzio.
SICINIO
La natura insegna alle bestie a riconoscere gli amici.
MENENIO
Dimmi allora, il lupo chi ama?
SICINIO
L’agnello.
MENENIO
Già, per papparselo, come i plebei affamati vorrebbero fare con Marzio.
BRUTO
Strano agnello: bela come un orso.
MENENIO
Strano orso, che vive da agnello. Voi due siete vecchi: rispondete a una mia domanda.
I DUE
Ebbene?
MENENIO
Quale magagna manca a Marzio che a voi non difetta affatto?
BRUTO
Nessuna, possiede ampie scorte d’ogni vizio.
SICINIO
Specialmente di superbia.
BRUTO
E massimamente di tracotanza.
MENENIO
Ma guarda un po’! Lo sapete voi due che si dice di voi qui in città – dico tra noialtri della fila di destra? Sì o no?
I DUE
Perché, che si dice?
MENENIO
Ma visto che parlate di superbia, non vi arrabbierete?
I DUE
Via, via, dòmine, via!
MENENIO
Ma infine la vada come la vuole, dacché basta il minimo pretesto a rubarvi, come un ladruncoletto, molta della vostra pazienza. Allentate pure la briglia agli umori e arrabbiatevi a piacer vostro – almeno, se davvero arrabbiarvi per voi è un piacere. Dunque, accusate Marzio di essere superbo?
BRUTO
Non siamo i soli, Menenio.
MENENIO
Ah lo so che da soli sapete fai ben poco, avete molti aiutanti o sennò ciò che fate sarebbe pochino, pochino assai. Le vostre forze son troppo del tipo bebé per fare da sole. Mi parlate di superbia. Ah se poteste torcere gli occhi verso le vostre collottole, e fare un piccolo esame delle vostre bisacce interiori! Ah se lo poteste!
I DUE
Che succederebbe?
MENENIO
Beh scoprireste un paio di magistrati – di minorati vorrei dire – demeritevoli, boriosi, maneschi e bizzosi come pochi a Roma.
SICINIO
Menenio, anche tu sei arcinoto, va’!
MENENIO
Certo, sono arcinoto: un patrizio bizzarro, uno che ama una coppa di vino caldo che neanche una goccia teverina annacqui; uno che ha un po’ il difetto di non dar ragione al primo che si lagni, e che piglia fuoco di fretta alla provocazione più banale; uno che ha più confidenza con le natiche della notte che con la mutria del mattino. Ciò che penso lo dico, e sfogo in fiato il malanimo. Se incontro due uomini pubblici come voi – Licurghi non vi posso chiamare – e mi date a bere qualcosa che mi contraria il palato, faccio le boccacce. Non posso dir che le vostre dignità han ben esposto la faccenda, quando a ogni sillaba, quasi, vi casca l’asino. E sebben debba fare buon viso a chi vi reputa persone serie e di rispetto, mente però per la gola chiunque vi trova una facciata decente. E se tutto ciò lo leggete qui, sulla mappa del mio piccolo mondo, ne consegue forse che anch’io sarei arcinoto? Che misfatto può spigolare la vostra cisposa sagacia da questo mio ritratto, anche se fosse arcinoto?
BRUTO
Andiamo, andiamo, ti conosciamo abbastanza.
MENENIO
Voi non conoscete né me, né voi stessi né niente. Andate solo cercando le scappellate e gli inchini di morti di fame e imbroglioni. Buttate via una bella mattina a trattare una causa tra una fruttivendola e un tappaiolo, e poi rinviate quella lite da tre soldi a una seconda giornata d’udienza. Se mentre arbitrate fra due litiganti vi scappa la cacarella fate smorfie da pagliacci, alzate bandiera rossa contro la pazienza, e sbraitando per un pitale lasciate lì la disputa a dissanguarsi, più ingroppata che mai dalla vostra udienza. Tutta la pace che sapete fare nella causa consiste nel chiamare farabutti l’una parte e l’altra. Siete una gran bella coppia.
BRUTO
Via, via, si sa benissimo che sai fare meglio il burlone a tavola che il magistrato in Campidoglio.
MENENIO
Persino i preti diventano burloni a incontrare soggetti ridicoli come voi due. Ciò che dite di meno spropositato non vale lo sbattere delle vostre barbe. E queste barbe non meritano altra tomba onorata che un cuscino rattoppato, o il basto d’un somaro. Eppure andate blaterando che Marzio è superbo! Lui che a dir poco vale tutti i vostri antenati a partire da Deucalione – epperò sospetto che i più decenti facessero i boia di padre in figlio. Buonasera alle vostre reverenze. Continuare la conversazione m’infetterebbe il cervello, perché siete i mandriani del bestiame plebeo. Avrò dunque l’ardire di congedarmi da voi.
Bruto e Sicinio restano in disparte. Entrano Volumnia, Virgilia e Valeria
Allora, mie belle e nobili signore – e la luna se fosse di questa terra non sarebbe più nobile – dov’è che correte dietro ai vostri occhi?
VOLUMNIA
Onorabile Menenio, arriva mio figlio Marzio. Andiamo, per amor di Giunone.
MENENIO
Come? Marzio ritorna a casa?
VOLUMNIA
Sì, degno Menenio, e con massima gloria.
MENENIO
Pigliati il mio cappello, Giove, e grazie! Davvero! Marzio torna a casa?
VIRGILIA E VALERIA
Ma sì, davvero, davvero.
VOLUMNIA
Guarda qui, ho una sua lettera. Il senato ne ha un’altra, sua moglie una terza, e credo che ce n’è una per te a casa tua.
MENENIO
La farò ballare la mia casa stasera! Una lettera per me?
VIRGILIA
Sicuro, ce n’è una per te, l’ho vista.
MENENIO
Una lettera per me! Mi regala sett’anni di salute, durante i quali farò le boccacce al medico. Di fronte a questo cordiale la più eccelsa ricetta di Galeno è solo roba da ciarlatani, non vale più d’una purga da cavallo. Non è ferito? Ha sempre portato a casa qualche ferita.
VIRGILIA
Oh, no, no, no.
VOLUMNIA
Sì che è ferito, grazie agli dei.
MENENIO
Li ringrazio anch’io – se è cosa da poco. Porta in tasca una vittoria, qualche ferita non guasta.
VOLUMNIA
Qui sulla fronte, Menenio. Torna per la terza volta con la corona di quercia.
MENENIO
Glie l’ha data, ad Aufidio, una buona lezione?
VOLUMNIA
Tito Larzio scrive che si sono battuti, ma Aufidio s’è sganciato.
MENENIO
E ha fatto bene gliel’assicuro. Se perdeva altro tempo non avrei voluto essere nei suoi panni per tutti i forzieri di Corioli con l’oro che c’è dentro. Lo sanno questo i senatori?
VOLUMNIA
Care amiche bisogna andare. Sì, sì, sì! Il senato ha le lettere del generale, vi si attribuisce a mio figlio tutto il successo della campagna. In questa guerra ha superato del doppio le sue imprese di prima.
VALERIA
Davvero, si dicono meraviglie di lui.
MENENIO
Meraviglie? Ma certo, e se le merita tutte.
VIRGILIA
Dio voglia che siano vere.
VOLUMNIA
Vere? Ma guarda lei!
MENENIO
Vere? Certo che son vere! Dov’è che è ferito? (Ai tribuni) Dio salvi le reverenze vostre! Marzio ritorna a casa. Ha nuove ragioni di essere superbo. – Dov’è che è ferito?
VOLUMNIA
Alla spalla e al braccio sinistro. Avremo belle cicatrici da mostrare al popolo, quando si presenterà candidato. Ebbe sette ferite nel ricacciare Tarquinio.
MENENIO
Una al collo, due alla coscia… son nove che io sappia.
VOLUMNIA
Prima di questa campagna aveva sul corpo venticinque ferite.
MENENIO
Ora fan ventisette. Ogni tacca la tomba d’un nemico. (Grida e squilli di trombe) Ecco, le trombe.
VOLUMNIA
Sono gli araldi di Marzio. Dinanzi a sé
porta il fragore, dietro si lascia lacrime.
Il dio nero, la Morte, è nel suo braccio potente.
Esso s’avanza, s’abbassa, e gli uomini muoiono.
Squillo di trombe. Poi trombe a distesa. Entrano il generale Cominio e Tito Larzio. Tra di loro Coriolano incoronato di quercia, con ufficiali, souati e un araldo
ARALDO
Sappi, Roma, che Marzio tutto da solo
ha combattuto dentro Corioli e lì
ha vinto con gloria un nome
da aggiungere a Caio e Marzio.
A questi ora, in segno d’onore
segue Coriolano.
Benvenuto a Roma, illustre Coriolano!
Squillo di trombe
TUTTI
Benvenuto a Roma, illustre Coriolano!
CORIOLANO
Basta così. Offende il mio cuore.
Vi prego, basta.
COMINIO
Guarda, Marzio, tua madre!
CORIOLANO
Oh
tu hai, lo so, pregato tutti gli dei
per il mio successo!
S’inginocchia
VOLUMNIA
No, mio buon soldato,
alzati. Marzio gentile, degno Caio, e ora
chiamato per le tue grandi imprese –
come dunque? – Devo chiamarti Coriolano?
Ma ecco, tua moglie.
CORIOLANO
Salve, mio grazioso silenzio!
Avresti riso se fossi tornato nella bara,
che piangi a vedermi trionfare? Ah, mia cara,
occhi così li hanno le vedove a Corioli,
e le madri che non trovano i figli.
MENENIO
Ora gli dei t’incoronino!
CORIOLANO
Ancora vegeto? (A Valeria) Dolce signora, perdonami.
VOLUMNIA
Non so dove voltarmi. Benvenuto a casa.
Benvenuto, generale. Benvenuti tutti.
MENENIO
Centomila benvenuti. Potrei
piangere e ridere, sono allegro e triste.
Benvenuti. E un cancro azzanni alle radici
il cuore non lieto di vederti. Siete tre
per i quali Roma dovrebbe
impazzire d’amare. E invece, perdinci,
qui in casa abbiamo certi meli selvatici
che non si fanno innestare col vostro affetto.
Ma benvenuti, guerrieri. L’ortica
noi la chiamiamo ortica, e gli sbagli
degli scemi, solo scemenze.
COMINIO
Giusto, come sempre.
CORIOLANO
Sempre Menenio, sempre.
ARALDO
Fate largo lì, circolate!
CORIOLANO (a Volumnia e Virgilia)
La tua mano, e la tua.
Prima che io trovi riposo all’ombra della casa
bisogna rendere omaggio ai bravi patrizi
dai quali ho avuto non solo benvenuti
ma anche nuovi onori.
VOLUMNIA
Ho vissuto
fino a vedere attuati i miei desideri
e l’edificio dei miei sogni. Soltanto
una cosa manca, e non dubito
che Roma te la darà.
CORIOLANO
Madre, devi sapere
che preferisco servirli a modo mio
piuttosto che comandarli a modo loro.
COMINIO
Avanti, al Campidoglio.
Squilli di trombe. Cornette. Escono in corteo come prima Bruto e Sicinio vengono avanti
BRUTO
Tutte le bocche parlano di lui, e gli occhi
appannati s’armano d’occhiali per vederlo.
La balia pettegola lascia che il pupo strilli
sino a farsi convulso, mentre chiacchiera di lui.
Caterinaccia in cucina appunta
al collo bisunto lo straccetto più bello
e scala muri per adocchiarlo. E banchi,
banconi, balconi sono sommersi,
i tetti pullulano, tipi d’ogni risma
cavalcano i colmi, tutti d’accordo
nell’uzzolo di vederlo. Flàmini
riservatissimi pigiano nella calca plebea
e sbuffano per un piazzamento volgare.
Le nostre dame velate abbandonano
le guance dal fìne belletto dove lottano
bianco e rosa damaschino al saccheggio
lascivo dei baci roventi di Febo.
Un tale ululìo come se il dio che lo guida
– chiunque sia – si fosse insinuato
nella sua tempra mortale
e gli dia forma divina.
SICINIO
Sarà subito
console, vedrai.
BRUTO
Allora noi due
sotto di lui possiamo andare a nanna.
SICINIO
Ma non saprà governare con equilibrio
dal principio alla fine, e perderà
il potere che ha vinto.
BRUTO
Questo mi conforta.
SICINIO
Non aver paura. I plebei
che rappresentiamo lo odiano da sempre,
e certo al minimo spunto dimenticheranno
questi suoi nuovi meriti. Lui stesso
gliene darà il pretesto, non ne dubito:
ha troppo orgoglio per non farlo.
BRUTO
L’ho sentito giurare
che, dovesse candidarsi al consolato,
non scenderà nel foro né indosserà
la veste lisa dell’umiltà e neanche
mostrerà le ferite com’è d’uso
al popolo, per mendicare
un loro sì puzzolente.
SICINIO
Appunto.
BRUTO
Ha detto proprio così. Ah meglio, dice,
lasciar perdere che vincere, se non fosse
che i patrizi lo chiedono e i nobili
lo vogliono.
SICINIO
Non desidero di meglio:
pensi pure così e agisca
di conseguenza.
BRUTO
Lo farà, vedrai.
SICINIO
E allora andrà dove vogliamo noi,
alla rovina sicura.
BRUTO
O questo tocca
a lui, o la nostra autorità finisce.
Dobbiamo ricordare alla gente l’odio
che ha sempre avuto per loro.
E che, se avesse potuto, ne avrebbe fatto
dei muli, avrebbe zittito i loro difensori,
gli avrebbe tolto ogni libertà,
perché in quanto a capacità e azione
li pensa non più dotati
d’anima e di valore dei cammelli in guerra,
che gli si dà il foraggio per portare la soma
e legnate a levapelle
quando stramazzano.
SICINIO
Appunto, questo
va suggerito al momento giusto
quando la sua insolenza crescente
aprirà gli occhi al popolo. L’occasione
non mancherà se lo provochiamo, ed è facile
come aizzare un cane contro un gregge.
Sarà una sua scintilla a incendiare
la loro stoppia secca. E la loro vampata
lo eclisserà per sempre.
Entra un messo
BRUTO
Novità?
MESSO
Siete convocati in Campidoglio. Si pensa
che Marzio sarà console.
Ho vist i muti pigiarsi per vederlo e
i ciechi per sentirlo. Le matrone
gettano i guanti al suo passaggio,
e le dame e le ragazze gli scialli
e i fazzoletti. I nobili s’inchinano
come alla statua di Giove, e i plebei
con coppole e grida fanno pioggia e tuono.
Mai visto niente di simile.
BRUTO
Su, al Campidoglio,
con occhi e orecchi per il presente ma i cuori
per gli eventi.
SICINIO
Andiamo. Escono
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Entrano due funzionari a disporre cuscini come fossero in Campidoglio
I FUNZIONARIO
Su, su, sbrigati che arrivano. Quanti sono i candidati?
II FUNZIONARIO
Tre, dicono, ma tutti pensano che Coriolano la spunta.
I FUNZIONARIO
Un uomo in gamba, però maledettamente superbo, la gente comune non gli piace.
II FUNZIONARIO
Beh molti grand’uomini han corteggiato il popolo che non li poteva soffrire; e altri il popolo li ha favoriti senza sapere perché. Ora se la gente ama e non sa perché, odia pure senza un motivo migliore. Per cui se a Coriolano non importa niente di essere amato o odiato, ciò dimostra che sa bene come fa la gente, e glielo fa pure capire, con sprezzatura da nobiluomo.
I FUNZIONARIO
Mettiamo pure che non gliene freghi niente di essere amato o no, ma allora dovrebbe infischiarsene davvero, e non fare alla gente né bene né male. Invece lui va cercando l’odio con più zelo del loro nel ricambiarlo, e non trascura niente per apparire chiaro e tondo il loro nemico. Ora, darsi l’aria di cercar l’odio e lo scontento del popolo è altrettanto sbagliato di quello che lui detesta: leccarlo per averlo amico.
II FUNZIONARIO
Ha molti meriti di fronte alla nazione. E non è salito scalando gradini comodi come quelli che leccano il popolo e gli fanno inchini e acquistano rispetto e stima a colpi di cappello senza fare altro per meritarli. No, lui ha piantato i suoi meriti nei loro occhi e le sue imprese nel loro cuore, dimodocché se le lingue restassero zitte senza riconoscerli, sarebbe come dire una colpa d’ingratitudine. E affermare il contrario sarebbe una carognata che si smentisce da sé, e sarebbe bollata e bocciata da ogni orecchio che la sente.
I FUNZIONARIO
In conclusione è un uomo in gamba. Andiamo di là che arrivano.
Squilli di trombe. Entrano i patrizi e i tribuni della plebe preceduti dai littori, poi Coriolano, Menenio e il console Cominio. Sicinio e Bruto siedono a parte.
MENENIO
Avendo deciso sui Volsci e
richiamato Tito Larzio, resta
come punto centrale di questo secondo consiglio
la ricompensa del nobile servizio
di uno che ha ben difeso la patria.
Dunque, venerabili e saggi anziani,
vogliate invitare il console attuale
che ha avuto il comando in quest’ultima
fortunata campagna, a parlarci un poco
su ciò che ha fatto di memorabile
Caio Marzio Coriolano, che qui
siamo riuniti per ringraziare e per
ricordare, con adeguati onori.
I SENATORE
Cominio, parla.
Non tralasciare nulla per via del tempo,
anzi facci credere che allo Stato
mancano i mezzi per sdebitarsi, e non
che a noi manchi la voglia di essere generosi.
A voi, signori del popolo, chiediamo
la massima attenzione, e poi di farvi
cortesi mediatori con la plebe, che
assentisca a quanto qui avviene.
SICINIO
Siamo qui
per discutere qualcosa che ci piace, e
siamo disposti di cuore a onorare
e appoggiare l’ordine del giorno.
BRUTO
Saremo anzi tanto più lieti di farlo
se egli saprà apprezzare il popolo
più generosamente di quanto
non ha fatto finora.
MENENIO
Questo non c’entra, non c’entra!
Era meglio non parlarne. Volete
ascoltare Cominio?
BRUTO
Con molto piacere.
Però il mio ammonimento c’entrava
più della tua antifona.
MENENIO
Egli ama il popolo,
ma non forzatelo ad andarci a letto.
Nobile Cominio, parla.
Coriolano si alza, e fa l’atto di andarsene
No, resta al tuo posto.
I SENATORE
Siedi, Coriolano, ascolta senza imbarazzo
ciò che di nobile hai fatto.
CORIOLANO
Chiedo perdono
ai vostri onori. Preferisco vedere
riaprirsi le mie ferite, che ascoltare
come le ho ricevute.
BRUTO
Spero, signore, che
non t’abbiano fatto alzare le mie parole.
CORIOLANO
No, ma spesso, mentre i colpi di spada
m’han fatto restare, sono scappato via dalle parole.
Tu non mi hai adulato, quindi non m’hai ferito.
Ma la tua gente l’apprezzo
per ciò che vale…
MENENIO
Avanti, siedi per favore.
CORIOLANO
Meglio farmi grattare la testa al sole
mentre suona l’allarme,
che starmene qui per niente a sentire
mutare in mostri le mie inezie. Esce
MENENIO
Signori del popolo,
come può adulare la vostra stirpe prolifica
– uno in gamba su mille – quando lo vedete
pronto a rischiare tutte le membra per l’onore
piuttosto che un solo orecchio
per sentirne parlare? Cominio, procedi.
COMINIO
Mi mancherà la voce. Le imprese di Coriolano
non ammettono un tono sommesso. Si sostiene
che il valore è la virtù somma, e nobilita
più di tutto chi la possiede. Se è così
l’uomo di cui parlo non può trovare
un suo pari al mondo. A sedici anni,
quando Tarquinio mosse contro Roma,
egli superò ogni altro in battaglia.
Il nostro dittatore di allora, che ricordo
con ogni lode, lo vide battersi
e col suo mento amazzonio cacciare
labbra irsute. Si piazzò
sopra un caduto romano, e il console
lo vide uccidere tre nemici.
Affrontò lo stesso Tarquinio, lo forzò
in ginocchio. Nelle prodezze di quel giorno,
lui che poteva in scena recitare da donna
risultò in campo il migliore, e per ricompensa
ebbe quercia sulla fronte. La sua adolescenza
così fattasi virile, crebbe
come il mare, e da allora
negli urti di diciassette battaglie
rubò a tutte le spade la ghirlanda.
Quanto a quest’ultima guerra, davanti
a Corioli e dentro, lasciatemi dire
che non so rendergli giustizia a parole.
Ha fermato i soldati in fuga, e col suo raro
esempio ha mutato il terrore del codardo
nel piacere del gioco. Come le alghe
davanti a un vascello in corsa, gli uomini
cadevano obbedienti sotto la sua prua.
La spada, sigillo di morte, dove toccava
prendeva una vita. Dal volto ai piedi
era una cosa di sangue, ogni sua mossa
scandita da grida di morenti. Da solo
passò quelle porte fatali e le tinse
del destino ineluttabile ne uscì
senza aiuto, e con un fulmineo rinforzo
colpì Corioli come un pianeta. Ora tutto è suo,
ma proprio allora l’urlo della zuffa punge
il suo senso vigile, e il suo spirito
si sdoppia, ravviva la carne affaticata
ed egli torna in battaglia e vi corre
sanguinante su vite umane come
in una strage infinita.
E finché non chiamammo nostri il campo
e la città, non si fermò mai per dare
al petto il sollievo d’un respiro affannato.
MENENIO
Uomo valoroso!
I SENATORE
Degno certo degli onori
che gli prepariamo.
COMINIO
Il nostro bottino
l’ha rifiutato, e quegli oggetti preziosi
li ha guardati come fossero
comune letame della terra. Egli desidera
meno di quanto darebbe l’avarizia, le sue azioni
le ricompensa facendole, è contento
di usare il tempo per il tempo.
MENENIO
Davvero nobile.
Fatelo chiamare.
I SENATORE
Chiamate Coriolano.
Entra Coriolano
UN FUNZIONARIO
Eccolo.
MENENIO
Il Senato, Coriolano, è ben lieto
di farti console.
CORIOLANO
Sono sempre suoi
la mia vita e il mio servizio.
MENENIO
Resta dunque
che tu parli al popolo.
CORIOLANO
Vi prego,
dispensatemi da quell’usanza. Non posso
indossare quella tunica, espormi in piazza,
chiedere loro il voto per le mie ferite.
Vi piaccia farmi omettere questo passo.
SICINIO
Signore, il popolo
dovrà dire la sua. E non detrarrà
un ette dal cerimoniale.
MENENIO
Non provocarli.
Ti prego, adeguati alla tradizione, e accetta
come hanno fatto i tuoi predecessori
l’onore e la forma.
CORIOLANO
È una parte
che arrossirò a recitare. L’usanza
si potrebbe togliere alla plebe.
BRUTO (a Sicinio)
Hai sentito?
CORIOLANO
Vantarmi con loro, ho fatto questo e questo,
mostrare sfregi indolori da nascondersi,
come se li avessi avuti soltanto
per pagarmi i loro voti!
MENENIO
Non farne un problema.
Affidiamo a voi, tribuni del popolo,
la nostra proposta. E al nostro nobile console
felicità e onore.
I SENATORI
A Coriolano ogni felicità e onore!
Squilli di trombe. Cornette. Escono tutti tranne Sicinio e Bruto
BRUTO
Hai visto come intende trattare il popolo.
SICINIO
Spero che lo capiscano! Andrà a sollecitarli
come sdegnato che tocchi a loro di dare
ciò che lui chiede.
BRUTO
Vieni, andiamo a informarli
di ciò che qui si è fatto. So
che ci aspettano al foro. Escono
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entrano sette o otto cittadini
I CITTADINO
Insomma, se ci domanda i voti non li possiamo negare.
II CITTADINO
Sì che possiamo, volendo.
III CITTADINO
Abbiamo il potere di farlo, ma è un potere che non abbiamo il potere di esercitare. Perché se ci mostra le ferite e ci racconta le sue imprese, dobbiamo mettere la lingua nelle ferite e farle parlare. E similmente se ci conta le sue nobili imprese, ci tocca di dirgli la nostra nobile riconoscenza. L’ingratitudine è un mostro, e per il popolo mostrarsi ingrato è come fare del popolo un mostro: e siccome noi siamo parte del popolo sarebbe come dire che siamo parti di un mostro.
I CITTADINO
Né ci vuole molto a beccarsi questa bella definizione. Quella volta che ci sollevammo per il grano lui stesso non perse tempo a chiamarci la folla dalle molte teste.
III CITTADINO
Beh questo l’han detto molti. Non che le nostre teste son grigie o nere, color castagno o pelate. Sono i comprendoni che hanno colori differenti. E a dire il vero lo penso anch’io che se tutti i nostri giudizi uscissero da un cranio solo, se ne volerebbero a est a ovest a nord e a sud, e per mettersi d’accordo sulla strada più breve sceglierebbero assieme tutti i punti della bussola.
II CITTADINO
Ma davvero? E che strada prende secondo te il mio giudizio?
III CITTADINO
Beh ma il tuo non ha la sortita tanto facile, è troppo incastrato in una zucca di legno. Però se si sgancia tira di certo a sud.
II CITTADINO
E perché a sud?
III CITTADINO
Per andarsi a perdere nella nebbia. E lì tre quarti si squagliano nella guazza fetente, e la quarta parte, per scrupolo di coscienza, torna a procurarti una moglie.
II CITTADINO
Sempre a sfottere il prossimo, tu. Di’ pure, di’ pure.
III CITTADINO
Allora, siete tutti d’accordo di dargli il voto? Tanto non cambia niente, la spunta sempre la maggioranza. Per me, se fosse amico del popolo, uno meglio di lui non s’è mai visto.
Entra Coriolano con la toga dell’umiltà, assieme a Menenio
Eccolo che arriva, con la toga dell’umiltà. State a vedere come si comporta. Però non dobbiamo restar tutti assieme, dobbiamo avvicinarlo dove si piazza, uno per volta, o due, o tre. La richiesta deve farcela a uno a uno, così ciascuno di noialtri ha l’onore personale di dargli il suo voto con la propria voce. Per cui venitemi appresso, che vi so dire come abbordarlo.
TUTTI
D’accordo, d’accordo. Escono
MENENIO
O domine, non fai bene. Non t’hanno mai detto
che persone degnissime l’han fatto?
CORIOLANO
Che debbo dire?
“Ti prego, messere…” Peste! Non ce la faccio
a tirar la lingua a tal passo. “Messere,
guarda qua le mie ferite! Le ho ricevute
al servizio della patria, mentre
certuni di voi scappavano strillando al rullo
dei nostri stessi tamburi”.
MENENIO
Ah per gli dei!
Non dire niente di simile. Devi pregarli
di ricordarsi di te.
CORIOLANO
Ricordarsi di me?
Alla forca! Vorrei si scordassero di me
come fanno con le prediche che i preti
sprecano per loro.
MENENIO
Rovinerai tutto.
Ora ti lascio Ti prego, parla con loro,
ti prego, in modo pulito. Esce
Entrano tre dei cittadini
CORIOLANO
Digli
di lavarsi la faccia e pulirsi i denti.
Ah, eccone un terzetto. Amico,
conosci il motivo per cui sto qui.
III CITTADINO
Sì, lo conosciamo. Dicci perché l’hai deciso.
CORIOLANO
Perché lo merito.
II CITTADINO
Lo meriti?
CORIOLANO
Sì per questo, ma non perché ne ho voglia.
III CITTADINO
Come, non ne hai voglia?
CORIOLANO
Nossignore, non mi è mai piaciuto scocciare i poveri con l’accattonaggio.
III CITTADINO
Ma devi capire che, se ti diamo qualcosa, speriamo di ricavarne qualcos’altro.
CORIOLANO
E allora, per favore, che prezzo chiedete per il consolato?
I CITTADINO
Il prezzo è chiederlo con gentilezza.
CORIOLANO
Con gentilezza, amico, ti prego di concedermelo. Ho ferite da mostrarti, e lo farò da solo a solo. Il tuo voto, amico. Cosa rispondi?
II CITTADINO
L’avrai, degno signore.
CORIOLANO
Affare fatto, signore. E son due voti magnifici che ho mendicato. Grazie per l’elemosina. Addio.
III CITTADINO
Però, che modo di fare.
II CITTADINO
Dovessi darglielo di nuovo… ma lasciamo perdere. Escono
Entrano altri due cittadini
CORIOLANO
Per cortesia, se la mia elezione a console non fa a pugni coi vostri voti, son qua vestito come si usa.
IV CITTADINO
Con la tua patria ti sei guadagnato dei meriti, e non te ne sei guadagnati.
CORIOLANO
La soluzione dell’indovinello?
IV CITTADINO
Sei stato un flagello per i suoi nemici e un castigo d’iddio per i suoi amici. Difatto non hai mai amato la gente comune.
CORIOLANO
Tanto più virtuoso mi dovresti ritenere, perché ho amato con un amore non comune. D’ora in poi, buon uomo, adulerò il popolo, mio fratello giurato, per averne un giudizio più favorevole. Questo è per loro essere gentili, e dacché la loro saggezza guarda al cappello piuttosto che al cuore, metterò in atto l’inchino leccante e la scappellata più fasulla. Cioè a dire, antico mio, mimerò le malìe di qualche capopopolo, e le spaccerò a sacchi a chi le va cercando. Pertanto, ti prego di farmi console.
V CITTADINO
Noi speriamo d’averti amico, e perciò ti votiamo assai volentieri.
IV CITTADINO
Hai ricevuto molte ferite per la patria.
CORIOLANO
Sì e non voglio, mostrandovele, ribadire ciò che già sapete. Terrò i voti in gran conto, e quindi tolgo il disturbo.
I DUE
Gli dei ti diano felicità, di tutto cuore! Escono
CORIOLANO
Voti, voti affettuosissimi!
Meglio morire, meglio crepare di fame
che mendicare ciò che già si merita.
Perché debbo starmene qui in questa veste di lupo
a mendicare da ogni Tizio e Caio
dei voti inutili?
Me lo impone l’usanza. Ma se facessimo
sempre ciò che vuole l’usanza
la polvere dei tempi antichi
non la spazzerebbe via nessuno
e l’errore s’ammucchierebbe come un monte
bloccando la vista alla verità.
No, piuttosto che fare così il buffone
vadano l’alta carica e l’onore
a chi è disposto a farlo. Ma sono
a mezza strada. E se ho sopportato
fin qui, farò anche il resto.
Entrano altri tre cittadini
Arrivano altri voti.
I vostri voti! Per i vostri voti
ho combattuto, ho vegliato per i vostri voti.
Per i vostri voti ho addosso
due dozzine di ferite e passa.
Tre volte sei battaglie ho visto e
ne ho sentito parlare. Per i vostri voti
ho fatto molto, dove più dove meno.
I vostri voti! Ci tengo
a fare il console.
VI CITTADINO
Ha agito nobilmente, non gli può mancare il voto di ogni onest’uomo.
VII CITTADINO
E dunque facciamolo console. Gli dei gli diano felicità e ne facciano un buon amico del popolo.
TUTTI
Amen, amen. Dio ti salvi, nobile Console! Escono
CORIOLANO
Voti magnifici.
Entrano Menenio, Bruto e Sicinio
MENENIO
Hai fatto il tempo stabilito, e i tribuni
ti eleggono col voto popolare. Resta
di presentarti subito al Senato
con le insegne della carica.
CORIOLANO
Ho finito?
SICINIO
Hai fatto la richiesta come d’uso.
E popolo ti accetta, ed è convocato
subito per la ratifica.
CORIOLANO
Dove? Al Senato?
SICINIO
Sì, Coriolano.
CORIOLANO
Posso cambiarmi questi panni?
SICINIO
Sissignore.
CORIOLANO
Lo faccio subito e, tornato me stesso,
verrò al Senato.
MENENIO
Ti accompagno. (Ai tribuni) Venite anche voi?
BRUTO
Aspettiamo qui il popolo.
SICINIO
A presto.
Escono Coriolano e Menenio
Ce l’ha fatta, e dalla sua faccia penso
che ha il cuore in festa.
BRUTO
Portò la veste dell’umiltà
con un cuore superbo. Vuoi congedare il popolo?
Entrano i plebei
SICINIO
Allora, padroni miei, avete scelto quest’uomo?
I CITTADINO
Ha i nostri voti, tribuno.
BRUTO
Preghiamo gli dei che possa meritare il vostro affetto.
II CITTADINO
E così sia. A mio umile avviso
nel chiedere i voti ci sfotteva.
III CITTADINO
Non c’è dubbio.
Ci ha proprio presi per i fondelli.
I CITTADINO
Ma no, è il suo modo di parlare… Non voleva prenderci in giro.
II CITTADINO
Tu sei l’unico tra di noi a dire che non ci ha trattati coi piedi. Ci doveva mostrare le prove del suo merito, le ferite ricevute per la patria.
SICINIO
Ma l’ha fatto, presumo.
TUTTI
No, no! Nessuno le ha viste.
III CITTADINO
Ha detto che aveva ferite da mostrarci in privato
e scappellando così tutto altezzoso
“Vorrei essere console”, dice, “ma la vecchia prassi
non lo permette se voi non mi votate.
Votatemi dunque”. Quando acconsentimmo,
“Grazie per il voto”, fa. “Grazie tante
per i vostri voti graditissimi. E ora
che li avete sganciati, tolgo il disturbo”.
Questo non era sfottere?
SICINIO
Ma eravate ciechi?
O se l’avete capito, perché siete stati
tanto teneri e bambocci da sganciare i voti?
BRUTO
Non potevate dirgli – come vi si era avvisati –
che quando non contava nulla ma era un servitorello
dello stato, era vostro nemico, e parlava sempre
contro le libertà e i privilegi che avete
nella repubblica? E che ora, arraffati
potere e comando dello stato,
se restasse nemico duro e cattivo del popolo,
i vostri voti potrebbero diventare
maledizioni per voi? Dovevate dirgli
che le sue imprese, sì, meritavano
ciò che cercava, ma il suo animo gentile
dovrebbe ricordarseli, i vostri voti, e mutare
il malvolere in affetto, schierandosi
dalla vostra parte.
SICINIO
Un discorso così,
come vi si era detto, poteva saggiare
il suo animo, e verificare le sue intenzioni.
Gli avrebbe strappato o una promessa benevola,
che nel caso potevate obbligarlo a mantenere,
o gli avrebbe graffiato quel caratteraccio
che non sopporta facilmente d’essere legato
a un impegno qualsiasi. E così, facendolo
uscire dai gangheri, potevate trar partito
dalla sua collera, e non eleggerlo.
BRUTO
Ma come,
vi siete accorti che vi chiedeva i voti
con aperto disprezzo quando gli serviva l’appoggio,
e credete che quel disprezzo non vi farà soffrire
quando potrà schiacciarvi? Eravate tanti
e nessuno di fegato? O avevate la lingua
solo per dire no al buonsenso?
SICINIO
Avete negato
i voti a chi li chiedeva finora, e adesso
a uno che non h chiede ma vi schernisce
regalate i voti che gli servono?
III CITTADINO
Ancora non c’è ratifica. Possiamo rfflutarlo.
II CITTADINO
E lo rifiuteremo.
Ho cinquecento voci per questa musica.
I CITTADINO
E io il doppio, e per giunta gli amici loro.
BRUTO
Andate subito a dire a questi amici
che il console che hanno scelto gli torrà
ogni diritto, non gli darà più voce
che ai cani, i quali spesso sono picchiati
perché abbaiano, e sono
perciò addestrati a farlo.
SICINIO
Riuniteli,
e revocate tutti, con un giudizio più sano,
quest’elezione inconsulta. Insistete
sul suo orgoglio e sul vecchio
odio che ha per voi. E non dimenticate
con quale arroganza vestì la veste dell’umiltà
e come vi beffò nel chiedere i voti.
Ma il vostro affetto, memore dei suoi servizi,
v’impedì di capire la sua condotta presente,
piena di schermo, indecorosa, improntata
all’odio incallito che vi porta.
BRUTO
La colpa
gettatela pure su noi vostri tribuni
che ci siamo dati da fare – ma sempre
che non nascessero ostacoli –
per convincervi a votarlo.
SICINIO
Dite pure che
l’avete votato più per nostro comando
che per vera inclinazione. Le vostre coscienze
preoccupate da ciò che dovevate fare
più che da ciò che avreste dovuto,
ve l’hanno fatto eleggere contro la vostra
inclinazione. Date la colpa a noi.
BRUTO
Sì, senza risparmio. Dite che vi abbiamo
istruito su lui: a quanti anni cominciò
a servire la patria, e per quanto tempo,
e da che stirpe discende – la nobile casa
dei Marzi, da cui venne quell’Anco Marzio,
figlio della figlia di Numa, che fu re
qui dopo il grande Ostilio. La stessa
casata di Publio e Quinto, che qui
portarono la nostra acqua migliore
con gli acquedotti; e Censorino, chiamato
così, e meritatamente, perché
scelto due volte dal popolo come censore
fu il suo grande antenato.
SICINIO
Uno che nasce così
e che per giunta ha bene operato in persona
per avere un posto così alto, noi
ve lo raccomandammo. Ma voi, misurando
la sua condotta di oggi col suo passato
l’avete scoperto vostro nemico accanito
e revocate il vostro voto affrettato.
BRUTO
Dite che non l’avreste mai fatto –
battete sempre su questo punto – se noi
non vi avessimo persuasi. E subito,
raccolta una folla, portatevi
al Campidoglio.
TUTTI
Faremo così. Quasi tutti
si pentono della scelta. Escono i plebei
BRUTO
Lasciamoli fare.
Meglio rischiare questa rivolta che attendere
una più grave, e certa. Se egli,
fatto com’è, s’infuria per il voltafaccia,
stiamo a vedere e sfruttiamo il vantaggio
della sua rabbia.
SICINIO
Al Campidoglio, vieni.
Andiamoci prima che il popolo vi affluisca.
Questa parrà loro opera, e lo è in parte.
Noi abbiamo fatto da sproni. Escono
Coriolano
(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V