(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Suono di cornette. Entrano Coriolano, Menenio, tutti i patrizi, Cominio, Tito Larzio e altri senatori
CORIOLANO
Allora Tullo Aufidio ha un nuovo esercito?
LARZIO
Sissignore, ed è questo che ci ha spinti
ad affrettare l’accordo.
CORIOLANO
Sicché ora i Volsci sono forti come prima,
pronti, quando glielo dirà l’occasione,
ad attaccarci di nuovo.
COMINIO
Sono sfiancati, Console.
Sinché vivremo sarà molto difficile
veder sventolare ancora le loro bandiere.
CORIOLANO
Hai visto Aufidio?
LARZIO
Sì, venne col salvacondotto, e malediva i Volsci
per aver mollato la città
da veri vigliacchi. Ora
si è ritirato ad Anzio.
CORIOLANO
Ti ha parlato di me?
LARZIO
Sì, Console.
CORIOLANO
Come? Che ha detto?
LARZIO
Dei vostri scontri frequenti, spada a spada.
Che ti odia sopra ogni cosa al mondo,
e impegnerebbe i suoi beni
senza speranza di riaverli, pur di potere
chiamarsi tuo vincitore.
CORIOLANO
E vive ad Anzio?
LARZIO
Ad Anzio.
CORIOLANO
Avessi un motivo per andarvi a cercarlo
e misurarmi in pieno col suo odio!
Ma bentornato a casa.
Entrano Sicinio e Bruto
Guardali, i tribuni del popolo,
le lingue della sua bocca. Li disprezzo
così bardati di un prestigio che un nobile
non può sopportare.
SICINIO
Non andare oltre.
CORIOLANO
Cioè a dire?
BRUTO
Sarà pericoloso andare oltre. Fermati.
CORIOLANO
Che novità è questa?
MENENIO
Spiegatevi.
COMINIO
Non è stato eletto dai nobili e dai plebei?
BRUTO
No, Cominio.
CORIOLANO
Ho avuto voti di bambini?
I SENATORE
Tribuni, fateci passare. Deve andare al Foro.
BRUTO
Il popolo è infuriato contro di lui.
SICINIO
Fermatevi
o finirà in tumulto.
CORIOLANO
È questo il vostro gregge?
Vogliono il diritto di voto questi che ora lo danno
e subito se lo rimangiano? E voi che ci state a fare?
Siete la bocca, perché non frenate i denti?
O li avete aizzati voi due?
MENENIO
Calmo, calmo.
CORIOLANO
È una manovra, un complotto
per piegare i nobili. Tolleratelo, e vivrete
con chi non sa governare e non si farà
governare mai.
BRUTO
Non parlare di complotto.
La gente grida che li hai presi in giro,
e che di recente, quando ebbero il grano
gratis, ti sei lamentato e hai calunniato
chi intercedeva per loro, chiamandoli
opportunisti, adulatori, nemici dei patrizi.
CORIOLANO
Ma questo già si sapeva.
BRUTO
Non da tutti.
CORIOLANO
E quindi tu li hai informati?
BRUTO
Io? Informarli?
COMINIO
Sei tagliato per quel mestiere.
BRUTO
No, ma farei
il vostro meglio di voi.
CORIOLANO
E allora perché farlo io
il console? Per gli dei! Dammi tempo
di demeritare come te, e fammi
tuo collega.
SICINIO
Tu mostri fin troppo
ciò che agita il popolo. Se vuoi arrivare
dove vuoi, devi chiedere la strada,
la strada che hai smarrita, con più gentilezza,
o non sarai mai nobile come dev’essere un console,
né tribuno accanto a lui.
MENENIO
Stiamo calmi.
COMINIO
Il popolo è ingannato, è sobillato. Questo
tira e molla non è degno di Roma,
e Coriolano non ha meritato un intoppo
così sleale e vergognoso posto
sulla via libera dei suoi meriti.
CORIOLANO
Viene
a parlarmi del grano! Ho detto
quelle cose e le ripeto…
MENENIO
Non adesso, non adesso.
I SENATORE
Non così a caldo, Marzio.
CORIOLANO
Adesso, per la mia vita.
Ai miei amici più nobili chiedo perdono.
Quanto alla folla volubile e puzzolente,
si renda conto che non sono un adulatore,
e si riconosca in ciò che dico. Ripeto
che, a secondarla, nutriamo contro il Senato
la malerba del dissenso, dell’insolenza,
della sedizione per cui
noi stessi abbiamo arato, noi stessi
l’abbiamo seminata e diffusa
mescolando loro con noi gente d’onore
cui non difetta il coraggio, no, né il potere
tranne quello ceduto a degli straccioni.
MENENIO
Ora basta.
I SENATORE
Non dire altro, ti preghiamo.
CORIOLANO
E perché?
Ho versato sangue per la patria senza temere
la forza del nemico, e ora i miei polmoni
finché non marciscono conieranno parole
contro la lebbra di cui temiamo le croste,
ma abbiamo fatto di tutto per prenderle.
BRUTO
Tu parli del popolo
come se fossi un dio che punisce, e non
un uomo imperfetto come loro.
SICINIO
È bene
che il popolo lo sappia.
MENENIO
Ma cosa, cosa?
Che si è arrabbiato?
CORIOLANO
Arrabbiato!
Fossi calmo come fi sonno di mezzanotte
resterei della mia idea, per Giove!
SICINIO
È un’idea
velenosa. Deve restare dov’è
e non avvelenare altri.
CORIOLANO
“Deve restare”!
Ma lo sentite, questo
Tritone delle sardine! Notate il suo
perentorio “deve”?
COMINIO
È un abuso.
CORIOLANO
“Deve”!
O buoni ma molto incauti patrizi! E voi
gravi e imprudenti senatori, perché
permettere qui a quest’Idra di scegliersi
un capo che col suo perentorio “deve”,
lui che non è che il corno e lo strepito del mostro,
ha il coraggio di dire che devierà il vostro fiume
in una fossa, e farà suo il vostro letto?
Se lui ha fi potere, allora umiliate
la vostra trascuratezza. Se non ne ha,
svegliate la vostra pericolosa acquiescenza.
Se siete saggi non siate
come i comuni sciocchi; se non lo siete
fateveli sedere accanto. Siete voi i plebei
se essi sono i senatori; e non sono di meno
se, mescolate le voci, il tono che vince
ha il loro accento. Si scelgono un magistrato,
e un tipo tale che contrappone il suo “deve”,
il suo “deve” plebeo a un’adunanza più degna
di quelle arcigne della Grecia. Costui,
per Giove sommo, svilisce i consoli!
E il mio animo s’addolora
perché sa che quando si comanda
in due con uguale potere, ben presto
il caos s’intromette e adopera
l’uno per distruggere l’altro.
COMINIO
Su, andiamo al Foro.
CORIOLANO
Chiunque abbia dato il consiglio di distribuire
gratis il grano dei magazzini, come
si usò a volte in Grecia…
MENENIO
Andiamo, andiamo,
non parliamone più.
CORIOLANO
Ma lì la plebe
aveva più potere – dico che costoro
hanno nutrito la disubbidienza, hanno
alimentato la rovina dello Stato.
BRUTO
E il popolo dovrebbe
votare uno che parla così?
CORIOLANO
Io dirò
ciò che penso, e che vale
più dei suoi voti. Il popolo sa che il grano
non era la nostra ricompensa: i plebei, era noto,
non avevano fatto nulla. Arruolati
per la guerra, proprio quand’era in pericolo
il cuore dello stato, non vollero
neanche uscire dalle porte. E questo
servizio non meritava il grano gratis. In guerra
ammutinamenti e rivolte in cui
furono assai valorosi, non parlarono
di certo a loro favore. L’accusa
che spesso hanno fatto contro il Senato
e senza motivo, non poteva originare
un dono così generoso. Bene, e allora?
Come interpreterà questo milleteste
la munificenza del Senato? Il loro agire
esprime le loro probabili parole:
“Abbiamo fatto una richiesta, siamo la maggioranza,
e certo ci hanno accontentati per paura”.
Così degradiamo la natura delle nostre funzioni,
e spingiamo la marmaglia a chiamare paura
la nostra sollecitudine. Questo, col tempo,
sfonderà le porte del Senato e farà entrare
i corvi a beccare le aquile.
MENENIO
Via, basta.
BRUTO
Sì, basta e avanza.
CORIOLANO
No, c’è dell’altro.
E tutto ciò su cui si può giurare,
divino o umano, sigilli la mia conclusione!
Questa doppia autorità, dove una parte
disprezza con ragione, e l’altra
insulta senza ragione alcuna, dove la nascita,
il rango, l’esperienza, non possono decidere
se non col sì e col no dell’insipienza plebea,
si trova costretta a trascurare i bisogni reali,
dando spazio intanto a effìmeri perditempi.
Ogni scopo è impedito, e ne segue
che tutto è fatto senza scopo. Perciò vi prego –
voi che volete essere più oculati che pavidi,
voi che tenete alle basi salde dello stato
e non avete paura di migliorarle, voi
che a una lunga vita preferite una vita nobile,
e siete pronti a rischiare una cura pericolosa
su un malato che altrimenti è certo di morire –
strappatela subito questa lingua brulicante,
non fate che lecchino il dolce che è il loro veleno.
Il vostro disonore mutua la giustizia,
ruba allo stato l’integrità che gli è propria,
dacché non può fare il bene che vorrebbe
per il male che lo domina.
BRUTO
Ha detto abbastanza.
SICINIO
Ha parlato da traditore e ne risponderà come i traditori.
CORIOLANO
Disgraziato, la bile nera ti consumi!
Che bene può venire al popolo
da questi tribuni pelati? Si affìdano a loro
e smettono di obbedire a una dignità più alta.
Furono eletti in una rivolta, quando
non era legge la giustizia ma la forza maggiore.
In un momento migliore affermiamo ora
che ciò che è giusto è giusto che sia fatto,
e il loro potere buttiamolo nella polvere.
BRUTO
Tradimento lampante!
SICINIO
Costui console? No!
BRUTO
Gli edili, qui!
Entra un edile
Arrestatelo.
SICINIO
Chiama il popolo. (Esce Pedile) Nel suo nome io stesso
ti arresto come traditore ribelle,
nemico della repubblica. Ubbidisci, te l’ordino,
e seguimi per rispondere dell’accusa.
CORIOLANO
Via, vecchio caprone!
I PATRIZI
Noi garantiamo per lui.
COMINIO
Giù le mani, vecchio.
CORIOLANO
Vattene, carogna! O ti faccio saltare
le ossa dai tuoi stracci.
SICINIO
Aiuto, cittadini!
Entra una folla di plebei con gli edili
MENENIO
Dalle due parti, più rispetto!
SICINIO
Ecco l’uomo che vuole togliervi ogni diritto.
BRUTO
Arrestatelo, edili!
PLEBEI
A morte, a morte!
II SENATORE
Armi, armi, armi!
Tutti sazzuffano attorno a Coriolano
TUTTI (con grida confuse)
Tribuni! Patrizi! Cittadini! Ehi!
Sicinio! Bruto! Coriolano! Cittadini!
MENENIO
Calma, calma, calma! Un momento, fermi, calma!
Ma che cosa succede? Sono senza fiato.
Qui si va all’anarchia. Non riesco
a parlare. Voi tribuni, parlate voi
al popolo – Coriolano, pazienza -!
Parla tu, buon Sicinio.
SICINIO
Cittadini, ascoltatemi. Silenzio!
I PLEBEI
Ascoltiamo il nostro tribuno. Zitti! Parla, parla, parla.
SICINIO
Siete sul punto di perdere i vostri diritti.
Marzio vuole togliervi tutto, Marzio
che avete appena nominato console.
MENENIO
Ma no, no, no!
Così attizzi il fuoco, non lo spegni.
I SENATORE
Così abbatti la città, la radi al suolo.
SICINIO
Che cos’è la città se non il popolo?
I PLEBEI
Giusto,
il popolo è la città.
BRUTO
Col consenso di tutti siamo stati insediati
rappresentanti del popolo.
I PLEBEI
E lo restate.
MENENIO
E questo è evidente.
COMINIO
Ma questo è il modo di abbattere la città,
di tirare giù il tetto sulle fondamenta,
di seppellire
tutto ciò che è ancora ordine e rango
sotto mucchi e ammassi di rovine.
SICINIO
Quell’uomo merita la morte.
BRUTO
Ci sosteniamo la nostra autorità
o la perdiamo. Noi qui, in nome del popolo
in virtù del cui potere fummo eletti
suoi tribuni, dichiariamo che Marzio
merita una morte immediata.
SICINIO
Quindi arrestatelo:
portatelo alla rupe Tarpea e gettatelo
di lassù, che muoia.
BRUTO
Prendetelo, edili.
PLEBEI
Arrenditi, Marzio, arrenditi.
MENENIO
Sentite una parola,
vi scongiuro, tribuni, una parola.
EDILI
Silenzio, silenzio!
MENENIO (a Bruto)
Sii come sembri, vero amico della tua terra,
e procedi con moderazione a quanto
vuoi raddrizzare così con la violenza.
BRUTO
Menenio, questi modi freddi
che paiono rimedi prudenti, sono mortali
quando il male è violento. Su, afferratelo,
portatelo alla rupe.
Coriolano sfodera la spada
CORIOLANO
No, morirò qui.
Qualcuno di voi m’ha visto combattere.
Avanti, provate su voi ciò che m’avete visto fare,
MENENIO
Metti via quella spada! Tribuni,
allontanatevi un momento.
BRUTO
Arrestatelo.
MENENIO
Aiutate Marzio, aiutatelo,
nobili, aiutatelo, giovani e vecchi!
I PLEBEI
A morte, a morte!
Nella mischia i tribuni, gli edili e il popolo sono respinti
MENENIO
Su vattene a casa! Vattene, presto!
O tutto è perduto.
II SENATORE
Vattene.
CORIOLANO
Tenete duro!
Abbiamo altrettanti amici che nemici.
MENENIO
Si deve arrivare a questo?
I SENATORE
Gli dei non vogliano!
Ti prego, nobile amico, a casa, a casa.
Lascia a noi il rimedio a questo guaio.
MENENIO
È una piaga che abbiamo addosso e che tu
non puoi curare. Va’, te ne prego.
COMINIO
Marzio, vieni via con noi.
CORIOLANO
Vorrei che costoro fossero i barbari che sono,
anche se figliati a Roma. Non Romani,
non lo sono, per quanto partoriti
sotto i portici del Campidoglio.
MENENIO
Vai, vai,
non affidare alla lingua la tua giusta rabbia.
Lascia tempo al tempo.
CORIOLANO
In uno scontro leale
ne batterei quaranta.
MENENIO
Io stesso saprei
strigliarne un paio dei meglio, i due tribuni ad esempio.
COMINIO
Ma in questo momento la disparità
è troppo grande, e il coraggio
si chiama pazzia se ci si batte
contro una casa che crolla. Va’ via,
ti prego, prima che torni la teppa.
La loro rabbia travolge come una piena
arginata, che abbatte
i soliti freni.
MENENIO
Ti prego, vai.
Vedrò se il mio vecchio spirito è ancora richiesto
da chi ne ha così poco. Lo strappo va rattoppato
con una pezza qualsiasi.
COMINIO
Allora, andiamo.
Escono Coriolano e Cominio
UN PATRIZIO
Quell’uomo ha sciupato la sua fortuna.
MENENIO
La sua natura è troppo nobile per il mondo.
Non adulerebbe Nettuno per il suo tridente,
né Giove per il possesso del tuono.
Il suo cuore è la sua bocca. Ciò che il petto
forgia la lingua l’avventa, e quando è adirato
dimentica di aver mai sentito
la parola morte.
Rumore all’interno
Ora viene il bello!
UN PATRIZIO
Vorrei che fossero a letto!
MENENIO
Sì, nel letto del Tevere! O diamine,
non poteva parlargli civilmente?
Entrano Bruto e Sicinio, di nuovo con la folla
SICINIO
Dov’è la vipera
che voleva spopolare la città ed essere
lui solo il tutto?
MENENIO
Onorevoli tribuni…
SICINIO
Verrà gettato dalla rupe Tarpea
da mani intransigenti. S’è opposto alla legge
e perciò la legge gli nega altro giudizio
oltre quello severo del popolo
che egli disprezza tanto.
I CITTADINO
Imparerà
che i nobili tribuni sono la bocca del popolo
e noi le mani.
I PLEBEI
Lo imparerà sicuramente.
MENENIO
Amico, amico mio…
SICINIO
Silenzio!
MENENIO
Non gridate allo sterminio quando dovreste
tenervi a limiti stretti
nella vostra caccia.
SICINIO
E tu Menenio come mai
l’hai aiutato a scappare?
MENENIO
Ascoltatemi.
Conosco i meriti del console ma
so anche dirne i difetti.
SICINIO
Il console? Quale?
MENENIO
Il console Coriolano.
BRUTO
Console, lui!
I PLEBEI
No, no, no, no, no.
MENENIO
Se, col permesso dei tribune e il vostro,
buona gente, io posso parlare, vorrei
dirvi una parola o due, che non vi torranno
altro che un po’ di tempo.
SICINIO
Bene ma presto,
perché siamo decisi a eliminare
quel traditore velenoso. Esiliarlo
sarebbe solo un rischio, tenerlo qui
la nostra morte sicura. Perciò è decretato
che muoia stasera.
MENENIO
Gli dei clementi non vogliano
che la grande Roma, la cui gratitudine
verso i suoi fìgli meritevoli è iscritta
nel libro stesso di Giove, ora divori
le sue creature, come una bestia snaturata!
SICINIO
Quell’uomo è un morbo da estirpare.
MENENIO
No, è solo un arto ammalato.
Se lo si taglia, il corpo muore. Ma è facile
curarlo. Che ha fatto a Roma
per meritarsi la morte?
Quando uccideva i suoi nemici, il sangue
perduto – e oso affermare che ne ha perduto
assai più di quanto gliene resta –
l’ha perduto per il suo paese.
E se perdesse quello che gli resta
per mano dei suoi, ah per noi tutti sarebbe,
complici o testimoni, un marchio infame
sino alla fine del mondo.
SICINIO
Questa è mistifìcazione!
BRUTO
È tutto fuori luogo. Quando ha amato il suo paese,
il suo paese l’ha onorato.
SICINIO
Se un piede
va in cancrena, non lo si risparmia
per il servizio che ha fatto.
BRUTO
Non vogliamo
sentire altro. Cercatelo in casa,
e arrestatelo, sennò il suo male
che è contagioso di natura,
infetterà altra gente.
MENENIO
Ancora una parola, una parola!
Questo vostro furore da tigri, quando
vedrà il danno di una fretta cieca
troppo tardi si legherà ai calcagni
pesi di piombo. Attenetevi alla legge,
perché egli è amato, e le fazioni
possono scatenarsi, e la grande Roma
può essere saccheggiata dai Romani.
BRUTO
Se fosse
per evitare questo…
SICANIO
Ma che cosa dici?
Non abbiamo avuto un saggio della sua obbedienza?
I nostri edili percossi, noi stessi attaccati?
Andiamo!
MENENIO
Considerate una cosa. È stato
cresciuto tra le guerre
da quando seppe impugnare una spada.
Nessuno gli ha insegnato a parlare con garbo.
Farina e crusca le mescola senza distinguerle.
Autorizzatemi ad andare da lui e tentare
di farlo venire laddove pacatamente,
in forme legali, vi risponderà,
anche a rischio della vita.
I SENATORE
Nobili tribuni,
questo è agire con umanità. L’altro modo
risulterà troppo sanguinoso, e gli sbocchi
imprevedibili.
SICINIO
Ebbene, nobile Menenio,
sii tu dunque il rappresentante del popolo.
Deponete le anni, amici.
BRUTO
Ma senza disperdervi.
SICINIO
Radunatevi al Foro. Vi aspetteremo lì.
Se non ci porti Marzio, faremo
come si è deciso.
MENENIO
Ve lo porterò.
(ai Senatori) Vi chiedo di accompagnarmi.
Deve venire, o accadrà il peggio.
I SENATORE
Sì, andiamo da lui. Escono
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entra Coriolano con alcuni nobili
CORIOLANO
Mi buttino addosso il mondo, minaccino
morte sulla ruota o sotto gli zoccoli
di cavalli feroci, ammucchino
dieci colli sulla Tarpea
e il precipizio affondi oltre ogni
vista d’occhio, io con loro
sarò sempre così.
UN NOBILE
Tanto più sarai nobile.
CORIOLANO
Mi meraviglia che mia madre
non mi approvi più, lei che soleva
chiamarli schiavi pezzenti, cose create
per venderle e comprarle a un soldo, o per
mostrare nelle assemblee zucche nude, bocche
aperte, lì inchiodati dallo stupore
se uno del mio rango si levava a parlare
di pace o di guerra.
Entra Volumnia
Parlo di te.
Perché mi volevi più moderato? Vorresti
che tradissi la mia natura? Dì piuttosto
che sono ciò che sono.
VOLUMNIA
O via, via, via!
Avrei voluto che almeno l’avessi indossata
la veste del potere, prima di consumarla.
CORIOLANO
Lascia stare.
VOLUMNIA
Avresti potuto, ben essere l’uomo che sei
senza tanti affanni. Sarebbero stati di meno
gli ostacoli posti ai tuoi fini, se non scoprivi
le tue carte quando loro avevano ancora
potere d’ostacolarti.
CORIOLANO
Vadano alla forca!
VOLUMNIA
Sì, e al rogo anche!
Entra Menenio coi senatori
MENENIO
Dunque, dunque, sei stato troppo brusco, un po’ troppo
brusco. Ora devi tornare e
raccomodare le cose.
I SENATORE
Non c’è altra via, sennò
la città si spacca in due e muore.
VOLUMNIA
Ti prego, ascoltaci.
Ho un animo poco cedevole, come il tuo,
ma un cervello che sa sfruttare la rabbia
a suo vantaggio.
MENENIO
Ben detto, nobile donna!
Io, prima di vederlo umiliato così, fino in fondo
all’anima, se il delirio dei tempi
non l’esigesse come cura per lo stato,
indosserei la corazza che reggo
a stento.
CORIOLANO
Che devo fare?
MENENIO
Tornare dai tribuni.
CORIOLANO
Bene, e poi? E poi?
MENENIO
Ritirare ciò che hai detto.
CORIOLANO
Con loro? Non so farlo con gli dei.
E debbo farlo con loro?
VOLUMNIA
Sei troppo inflessibile,
sebbene ciò non sia mai troppo per un nobile.
Ma quando la necessità parla, t’ho sentito dire
che onore e politica, lottano assieme
da amici inseparabili. Ammettilo e spiegami
per quale danno reciproco non si mettono assieme
anche in tempo di pace.
CORIOLANO
Ma andiamo, andiamo!
MENENIO
Ottima domanda.
VOLUMNIA
Se è onorevole in guerra che tu appaia diverso
da ciò che sei, ed è l’accortezza che adotti
per arrivare ai tuoi fini, perché mai sarebbe
meno onorevole o peggio che le due cose
siano compagne in pace come in guerra?
Nei due casi sono ugualmente necessarie.
CORIOLANO
Perché insisti su questo?
VOLUMNIA
Perché ora ti tocca parlare al popolo
non seguendo ciò che pensi o le cose
che ti suggerisce il cuore, ma con parole
che la lingua ha solo imparate, anche
se sono bastarde, se sono sillabe
senza rapporto con quella verità
che hai nel petto.
Ora ciò non ti disonora affatto, non più
che prendere una città con parole
gentili, che altrimenti ti esporrebbe
alla fortuna e al rischio di molto sangue.
Io sarei pronta a mascherare la mia natura
dove le mie sorti e i miei amici in pericolo
m’imponessero di farlo con onore. In questo
io sono tua moglie, tuo figlio, questi senatori,
e i nobili. E tu invece preferisci
mostrare a questi buffoni plebei
che sai fare il cipiglio, piuttosto che
sprecare una moina per averne i favori
e per salvare ciò che la mancanza
d’una moina può rovinare.
MENENIO
Nobile donna!
Su, vieni con me, parla con garbo. Così
puoi rimediare non solo ai rischi attuali
ma ai danni già fatti.
VOLUMNIA
Sì, ti prego, figlio mio,
va’ da loro così col cappello in mano
e avendolo teso così – per assecondarli –
il tuo ginocchio baci le pietre – in queste
cose il gesto è eloquenza, e gli occhi
degli sprovveduti apprendono
più degli orecchi – china la testa
e batti spesso così il tuo petto superbo,
e sii umile come la mora più sfatta
che si disfa nella mano, e digli
che sei il loro soldato, e che
cresciuto tra le battaglie
non hai quei modi garbati che, lo confessi,
ti sarebbe giusto usare, e da loro esigere
nel domandargli un favore. Ma d’ora in poi,
per l’anima tua, sarai tutto loro, fin dove
arrivano la tua capacità e il tuo volere.
MENENIO
Ciò fatto, proprio così, beh i loro cuori
son tuoi. Perché, se uno glielo chiede,
perdonano con la stessa generosità
con cui parlano a sproposito.
VOLUMNIA
Allora, ti prego,
va’, e controllati. Lo so che preferiresti
seguire un nemico in una voragine di fuoco
piuttosto che adularlo sotto una pergola.
Entra Cominio
Ecco Cominio.
COMINIO
Sono stato nel Foro. Davvero bisogna, Marzio,
che tu vada bene scortato, oppure che ti difenda
con la calma o con l’assenza. Lì tutto è furia.
MENENIO
Basta parlare con garbo.
COMINIO
Sì, basterà, se è capace
di piegare al garbo la sua natura.
VOLUMNIA
Deve, e lo farà.
Di’ che lo farai, ti prego, e avviati.
CORIOLANO
Debbo andare a mostrargli la mia zucca scoperta?
Dare al mio cuore nobile con la lingua codarda
una smentita che dovrà incassare?
Bene, lo farò. Ma se ci fosse da perdere
solo questo pugno di fango, questa forma
di Marzio, potrebbero macinarla in polvere
e buttarla controvento. Andiamo al Foro!
Mi avete appioppato una parte che non saprò
mai recitare al vivo.
COMINIO
Avanti, avanti,
te la suggeriamo noi.
VOLUMNIA
Figlio caro, te ne prego,
hai detto che le mie lodi ban fatto di te
un soldato, e se vuoi che ora ti lodi
recita questa parte
che non hai mai fatta.
CORIOLANO
Sì, devo farlo.
Addio, mio destino, e mi possegga
l’anima d’una puttana! La voce di guerra
che faceva coro col tamburo si cambi
nel piffero chioccio dell’eunuco o la voce
d’una ragazzetta che canta ai bimbi
la ninnananna! Un sorriso imbroglione
s’accampi su questa faccia, e pianto di scolaro
invada i vetri degli occhi! Una lingua d’accattone
balli tra le labbra e questi ginocchi di ferro
che si piegavano solo per la staffa si flettano
come dopo l’elemosina!
Non lo farò, non voglio
disonorare la mia verità, e con l’azione
del corpo trasmettere all’animo
una viltà incancellabile.
VOLUMNIA
Fa’ come vuoi.
Implorarti mi è più disonore
che a te implorarli. Vada tutto a male.
Tua madre soffra di più il tuo orgoglio
di quanto tema la tua pericolosa ostinazione,
perché io me ne infischio della morte
con cuore uguale al tuo. Fa’ come vuoi.
Il tuo coraggio era mio, l’hai succhiato da me,
ma la superbia la devi a te stesso.
CORIOLANO
Oh pace.
Madre, andrò al Foro. Non
rimproverarmi più. Farò il buffone
per riuscire simpatico, scroccherò loro l’affetto
e tornerò amato da tutti i meccanici a Roma.
Vedi, ci vado. Salutami mia moglie.
Tornerò console, o d’ora in poi non fidarti
di quanto la mia lingua sa fare
nell’adulazione.
VOLUMNIA
Fa’ come vuoi. Volumnia esce
COMINIO
Andiamo! I tribuni aspettano. Armati
a rispondere con garbo, perché si sono
armati d’accuse, sento, assai più gravi
di quelle che già hai addosso.
CORIOLANO
La parola d’ordine è “garbo”. Prego, andiamo.
S’inventino pure le accuse, io rispondo
col mio onore.
MENENIO
Sì, ma con garbo.
CORIOLANO
Sia! Con garbo, allora – con garbo. Escono
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entrano Sicinio e Bruto
BRUTO
Su questo punto, attaccalo a fondo, che vuole
farsi tiranno. Se qui ci scappa,
incalzalo sul suo odio per il popolo,
e che il bottino tolto agli Anziati
non fu mai distribuito.
Entra un edile
Allora, viene?
EDILE
Sta per arrivare.
BRUTO
Con chi?
EDILE
Col vecchio Menenio e i senatori
che l’hanno sempre appoggiato.
SICINIO
Hai l’elenco
di tutti i voti procurati
col numero dei votanti?
EDILE
Eccolo, è pronto.
SICINIO
Li hai raccolti per tribù?
EDILE
Esatto.
SICINIO
Raduna qui il popolo, subito.
E quando mi sentono dire “Sarà così
per diritto e potere del popolo”,
si tratti di morte, ammenda o esilio,
subito falli gridare, se dico “Ammenda”,
“Ammenda!”, se “Morte”, “Morte!’, insistendo
sul proprio antico privilegio e la forza
della giusta causa.
EDILE
Glielo spiegherò.
BRUTO
E quando avranno incominciato a gridare
non smettano, ma con grida confuse
esigano l’esecuzione immediata
di ciò che decidiamo.
EDILE
Perfetto.
SICINIO
Siano decisi e pronti all’imbeccata
appena ne cogliamo il destro.
BRUTO
Va’, al lavoro. Esce l’edile
Fallo arrabbiare subito. È stato abituato
a vincere sempre, ad avere sempre
l’ultima parola. Una volta scaldato
non c’è freno che lo moderi, dice
ciò che ha in petto, e in questo è la nostra speranza
di rompergli l’osso del collo.
Entrano Coriolano, Menenio e Cominio con altri
SICINIO
Bene, arriva.
MENENIO
Con calma, mi raccomando.
CORIOLANO
Sì, come uno stalliere che per quattro soldi
si fa caricare d’insulti. (Alza la voce) Gli dei
sacri proteggano Roma e diano
uomini degni ai seggi della giustizia!
Possano seminare l’amore tra di noi!
Affollino i templi con processioni di pace
e svuotino le strade dalla contesa!
I SENATORE
Amen, amen.
MENENIO
Nobile augurio.
Entra l’edile coi plebei
SICINIO
Accostatevi, cittadini.
EDILE
Udite i tribuni. Fate attenzione. Silenzio!
CORIOLANO
Amitutto, ascoltatemi.
I TRIBUNI
Bene, parla. Silenzio!
CORIOLANO
Non mi farete altre accuse oltre quelle
presenti? Tutto sarà deciso qui?
SICINIO
Io ti domando
se accetterai le decisioni del popolo,
se riconosci i suoi magistrati
e se accetterai di scontare la giusta pena
per le colpe provate a tuo carico.
CORIOLANO
Accetto.
MENENIO
Cittadini, lo vedete, dice che accetta.
I servizi che ha fatti in guerra, teneteli
in conto. Ricordate le ferite che porta
addosso, che sembrano tombe
in terra sacra.
CORIOLANO
Sgraffi di spine,
cicatrici da ridere.
MENENIO
Tenete anche in conto
che quando non parla come un cittadino
avete davanti un soldato. Non prendete
per suono d’odio la voce che s’inasprisce
ma come ho detto per la voce d’un soldato
e non d’uno che vi vuol male.
COMINIO
Basta, basta così.
CORIOLANO
Per quale motivo,
eletto console da tutti, dopo appena un’ora
mi fate raffronto di rimangiarvi
la vostra elezione?
SICINIO
Rispondi a noi, invece.
CORIOLANO
Dite allora. È vero, tocca a me.
SICINIO
Noi t’accusiamo di aver tentato di togliere
a Roma le magistrature costituite, di
puntare subdolamente alla tirannia,
per cui sei un traditore del popolo.
CORIOLANO
Come? Traditore?
MENENIO
No, con calma!
La tua promessa!
CORIOLANO
L’inferno più profondo inghiotta il popolo!
Mi chiami traditore, tu, tribuno insolente!
Puoi avere negli occhi ventimila condanne
a morte, e nel tuo artiglio
altrettanti milioni, e sulla bocca bugiarda
migliaia di milioni di condanne, sempre
ti dirò che mentisci con la stessa
voce spontanea con cui prego gli dei.
SICINIO
Lo senti, popolo?
I PLEBEI
Alla rupe, alla rupe!
SICINIO
Ascoltate!
Non occorre aggiungere altre accuse.
L’avete sentito parlare, visto agire.
Ha percosso i vostri rappresentanti, ha
insultato voi, ha resistito con violenza
alla legge, e ora sfida
l’alto potere che deve giudicarlo.
Già questo, questo delitto, questa colpa
tanto capitale, merita
la morte più infamante.
BRUTO
Ma considerando
che ha ben servito Roma…
CORIOLANO
Che diavolo dici?
BRUTO
Dico ciò che conosco.
CORIOLANO
Tu!
MENENIO
È questa la promessa a tua madre?
COMINIO
Ti prego, sappi…
CORIOLANO
Non voglio sapere altro.
Mi condannino al salto dalla rupe Tarpea,
a vagare in esilio, o allo scoio, alla cella
per languirvi con un chicco al giorno,
non comprerò il perdono con una parola
garbata, né frenerò il mio coraggio
per avere qualcosa da loro, anche se bastasse
dire “buon giorno”.
SICINIO
Considerando che ha
fatto di tutto, più volte, per danneggiare
il popolo, cercando i modi di strappargli
il potere, e ora infìne s’è scatenato
con odio, e ciò non solo di fronte
alla temibile giustizia ma contro
chi l’amministra – noi in nome del popolo
e col potere tribunizio, da questo
stesso momento lo bandiamo dalla città,
e che non varchi mai più le porte di Roma
sotto pena di precipitarlo
dalla rupe Tarpea. In nome del popolo
dico, sarà così.
I PLEBEI
Sarà così, sarà così! Vada via!
È bandito, e sarà così.
COMINIO
Uditemi, signori e amici del popolo…
SICINIO
È giudicato. Non c’è altro da udire.
COMINIO
Lasciatemi parlare.
Sono stato console, e posso mostrare a Roma
i segni dei suoi nemici su me. Io amo
il bene della mia patria con più tenerezza,
più profondità e religione che la vita,
che l’onore della mia cara moglie, e il frutto
del suo grembo e tesoro dei miei lombi.
Allora, se vi dicessi…
SICINIO
Cosa? Sappiamo
dove vuoi arrivare.
BRUTO
Non c’è altro da dire se non che è bandito
come nemico del popolo e della patria.
E sarà così.
I PLEBEI
Sarà così, sarà così!
CORIOLANO
Branco di cagnacci di cui odio il fiato
come i miasmi d’acque putrefatte, e di cui
stimo l’appoggio come le carcasse
di morti che ammorbano l’aria – io vi bandisco.
Restate qui con la vostra incertezza!
Ogni minima diceria
vi faccia tremare il cuore. E i nemici
scuotendo appena i cimieri vi soffino
in petto il panico! Tenetevi pure
il potere di bandire chi vi difende,
sinché alla fine la vostra bestialità
che impara solo se subisce, e risparmia
solo voi stessi che siete i vostri stessi nemici,
vi consegnerà
come i più abietti prigionieri
a qualche popolo che vi avrà vinti
senza lottare. Per causa vostra
disprezzo questa città e le volto
le spalle, così. C’è un mondo altrove.
Escono Coriolano, Cominio, Menenio e gli altri patrizi
EDILE
Il nemico del popolo se n’è andato, se n’è andato!
I PLEBEI
Il nostro nemico è bandito, è cacciato! Evviva!
Tutti gridano e gettano in aria i berretti
SICINIO
Andate a vederlo uscire dalle porte, e scortatelo
con tutto il vostro disprezzo, come lui
ha fatto con voi. Vessatelo come si merita.
Una scorta ci segua per la città.
I PLEBEI
Andiamo a vederlo uscire dalle porte, andiamo!
Gli dei proteggano i nobili tribuni! Venite! Escono
Coriolano
(“Coriolanus” – 1607 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V