(“Henry VIII” – 1612 – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
Entrano due Gentiluomini, e s’incontrano
PRIMO GENTILUOMO
Felice di rivedervi.
SECONDO GENTILUOMO
Anch’io.
PRIMO GENTILUOMO
Siete venuto per trovarvi un posto da cui assistere
al ritorno di Lady Anna dall’incoronazione?
SECONDO GENTILUOMO
Solo per questo. L’ultima volta che c’incontrammo,
il Duca di Buckingham tornava dal suo processo.
PRIMO GENTILUOMO
Proprio così. Ma quella fu un’occasione di dolore,
questa, di generale esultanza.
SECONDO GENTILUOMO
Meno male. Gli abitanti della città,
ne son certo, han dimostrato appieno il loro attaccamento al sovrano,
con lo zelo di sempre – occorre dargliene atto –
celebrando questa giornata con spettacoli,
cortei, e solenni onoranze.
PRIMO GENTILUOMO
Mai così imponenti,
né, vi assicuro, accolte con tanto favore.
SECONDO GENTILUOMO
Posso avere l’ardire di chiedervi cosa c’è scritto
nel foglio che avete in mano?
PRIMO GENTILUOMO
Come no. È la lista
di coloro cui oggi spettano le funzioni attinenti
alla cerimonia dell’incoronazione.
Il Duca di Suffolk è il primo della lista, e gli spetta di fare
il Gran Siniscalco; poi viene il Duca di Norfolk,
che è Conte Maresciallo. Gli altri potete vederli da voi.
SECONDO GENTILUOMO
Grazie, signore. Se già non conoscessi questo rituale
vi sarei più che obbligato per questa lista.
Ma vi prego, ditemi, cosa ne è stato di Caterina,
la Principessa Vedova? Che piega ha preso la sua vicenda?
PRIMO GENTILUOMO
Posso dirvi anche questo. L’Arcivescovo
di Canterbury, accompagnato da altri
dotti e reverendi padri del suo rango,
ha tempo fa tenuto un’udienza a Dunstable, a sei miglia
da Ampthill, dimora della Principessa. A tale udienza
ella fu da costoro più volte convocata, ma non si presentò.
A farla breve, per non essersi presentata,
e a causa dei recenti scrupoli del Re, con l’unanime assenso
di tutti questi dotti personaggi, è stata divorziata,
e il suo matrimonio reso nullo a tutti gli effetti.
Da allora l’hanno trasferita a Kimbolton,
dove ora si trova, e per di più malata.
SECONDO GENTILUOMO
Ahimè, povera signora!
Suonan le trombe. Facciamoci sotto, arriva la Regina.
Suono di oboi
Corteo dell’incoronazione
- Squillo prolungato di trombe
- Due Giudici
- Il Lord Cancelliere, preceduto dal Sigillo e dalla mazza
- Coristi che cantano (Musica)
- Il Sindaco di Londra, con in pugno la mazza. L’Araldo della Giarrettiera in cotta d’armi, con in capo una corona di rame dorato
- Il Marchese di Dorset, che impugna uno scettro d’oro, con in capo una coroncina d’oro. Con lui il Conte di Surrey, che porta la verga d’argento con la colomba, e in capo la corona di conte. Collari a “S” su entrambi
- Il Duca di Suffolk in tenuta di gala, la corona in capo, e in mano una lunga verga bianca da Gran Siniscalco. Con lui il Duca di Norfolk, con la verga di Maresciallo e la corona in capo. Collari di “S”
- Un baldacchino portato da quattro baroni dei Cinque Porti: sotto di esso la Regina [Anna] nell’abito cerimoniale, coi capelli sciolti e riccamente adorni di perle, incoronata. Ai due lati la scortano [Stokeley], Vescovo di Londra, e [Gardiner], Vescovo di Winchester
- La vecchia Duchessa di Norfolk, con corona d’oro lavorata a fiori, che regge lo strascico della Regina
- Alcune dame o Contesse, con semplici diademi d’oro senza fiori
Escono, dopo aver percorso in quest’ordine, e solennemente, la scena, seguiti da una grande fanfara di trombe
SECONDO GENTILUOMO
Davvero regale il corteo, credetemi. Questi qui li conosco,
ma chi è che porta lo scettro?
PRIMO GENTILUOMO
Il Marchese di Dorset;
e quello con la verga è il Conte di Surrey.
SECONDO GENTILUOMO
Un gentiluomo ardito e valoroso. E quello
non è il Duca di Suffolk?
PRIMO GENTILUOMO
Proprio lui, il Gran Siniscalco.
SECONDO GENTILUOMO
E quello non è il Duca di Norfolk?
PRIMO GENTILUOMO
Sì.
SECONDO GENTILUOMO [guardando la Regina]
Dio ti benedica!
Hai il viso più dolce su cui mai abbia posato lo sguardo.
Signore, com’è vero che ho un’anima, costei è un angelo.
Il nostro Re ha tutte le Indie fra le sue braccia,
anzi, tesori più grandi e preziosi, quando se la stringe al petto.
Non so dar torto alla sua coscienza.
PRIMO GENTILUOMO
Quelli che reggono
il baldacchino d’onore sopra di lei sono quattro baroni
dei Cinque Porti.
SECONDO GENTILUOMO
Fortunati quegli uomini, e tutti quelli che le stanno vicino!
Se ho ben capito, colei che regge lo strascico
è quell’anziana nobildonna, la Duchessa di Norfolk.
PRIMO GENTILUOMO
Proprio così, e tutte le altre sono contesse.
SECONDO GENTILUOMO
Lo dicono i loro diademi. Queste sì sono stelle!
PRIMO GENTILUOMO
In qualche caso, cadenti.
SECONDO GENTILUOMO
Lasciamo perdere…
[Fine del corteo]
Entra un terzo Gentiluomo
PRIMO GENTILUOMO
Dio vi salvi, signore. Dove siete stato, a scalmanarvi così?
TERZO GENTILUOMO
In mezzo alla folla, nell’Abbazia, dove non c’era posto
neanche più per un dito. Sono senza fiato,
tale è l’afrore della loro esultanza.
SECONDO GENTILUOMO
Avete assistito
alla cerimonia?
TERZO GENTILUOMO
Proprio così.
PRIMO GENTILUOMO
E com’era?
TERZO GENTILUOMO
Valeva proprio la pena di vederla.
SECONDO GENTILUOMO
Caro signore, raccontatecela.
TERZO GENTILUOMO
Farò del mio meglio. La sontuosa fiumana
di dame e cavalieri, avendo accompagnato la Regina
a un luogo predisposto nel coro, rifluì
a una certa distanza da lei, mentre Sua Grazia sedette
a riposare un po’ per una mezz’oretta
su un ricco trono, esponendo generosamente alle folle
la beltà della sua persona.
Credetemi, signore, è la donna più splendida
che mai si sia giaciuta con un uomo; e quando la gente
poté vederla da presso, si levò un frastuono
qual di sartiame investito in mare da fiera tempesta,
con altrettanto fragore di suoni discordi. Cappelli, mantelli –
persino farsetti, mi parve – volarono all’aria, e se le teste
potessero farlo, le avrebbero perdute. Un tale tripudio
mai prima l’ho veduto. Donne grosse e ventrute,
a men di una settimana dal parto, come gli arieti
nelle guerre d’un tempo, cozzavano contro la calca,
facendosi largo a spintoni. Nessun uomo al mondo
avrebbe potuto dire, “Questa è mia moglie”: tutti erano avvinti
in uno straordinario garbuglio.
SECONDO GENTILUOMO
E poi che è successo?
TERZO GENTILUOMO
Finalmente Sua Grazia si levò e con ritegno, a piccoli passi,
raggiunse l’altare, ove s’inginocchiò, e come una santa
levò al cielo i suoi begli occhi e pregò devotamente;
poi si levò di nuovo e s’inchinò alla folla;
e allora, per mano dell’Arcivescovo di Canterbury,
ella ricevette i regali attributi d’una regina,
come l’olio santo, la corona di Edoardo il Confessore,
la verga con la colomba della pace, ed altrettali emblemi,
a lei nobilmente conferiti. Compiuto il rito, il coro,
con tutti i più scelti musici del regno,
insieme intonarono il Te Deum. Così ella si congedò,
e in pompa magna ripercorse il medesimo itinerario
sino a York Place, ove si tiene il banchetto.
PRIMO GENTILUOMO
Signore,
non dovete più chiamarlo York Place. Lo era in passato,
ma dopo la caduta del Cardinale quel nome non esiste più:
adesso è proprietà del Re, e si chiama Whitehall.
TERZO GENTILUOMO
Lo so,
ma il cambiamento è così recente che il vecchio nome
l’ho ancora sulle labbra.
SECONDO GENTILUOMO
Chi erano i due reverendi vescovi
che camminavano a fianco dellaRegina?
TERZO GENTILUOMO
Stokesley e Gardiner: l’uno, da segretario del Re,
appena nominato Vescovo di Winchester,
e l’altro, il Vescovo di Londra.
SECONDO GENTILUOMO
Quello di Winchester
si dice non ami molto l’Arcivescovo,
il virtuoso Cranmer.
TERZO GENTILUOMO
Lo sanno tutti, in Inghilterra.
Tuttavia non siamo ancora alla rottura. Quando ci arriveremo,
Cranmer troverà un alleato che non lo lascerà solo.
SECONDO GENTILUOMO
E chi mai, se è lecito, sarà costui?
TERZO GENTILUOMO
Thomas Cromwell,
un uomo che il Re tiene in grande stima, e in verità
un degno amico. Il Re lo ha fatto
custode dei Gioielli della Corona,
ed è già membro del Consiglio Privato.
SECONDO GENTILUOMO
Meriterà ancora di meglio.
TERZO GENTILUOMO
Sì, senz’alcun dubbio.
Venite, gentiluomini, potete venire con me. Sto andando
a corte, e colà sarete miei ospiti:
ho una qualche influenza. Strada facendo,
saprò dirvi dell’altro.
GLI ALTRI DUE
Ai vostri ordini, signore. Escono
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
Entra Caterina, la Principessa Vedova, inferma, sorretta da Griffith, suo gentiluomo d’onore, e da Pazienza, sua ancella
GRIFFITH
Come si sente Vostra Grazia?
CATERINA
Oh, Griffith, malata da morire:
le mie gambe come rami stracarichi si piegano a terra,
pronte a deporre il loro fardello. Portami una sedia.
Così: ora mi pare di sentirmi un po’ meglio.
Non mi dicevi, Griffith, nel condurmi qui,
che è morto il gran beniamino della grandezza,
il Cardinale Wolsey?
GRIFFITH
Sì, signora, ma credevo che Vostra Grazia,
presa com’era dal dolore, non mi avesse sentito.
CATERINA
Te ne prego, buon Griffith, dimmi come è morto.
Se è morto bene, è una fortuna che mi abbia preceduto,
a mia edificazione.
GRIFFITH
È morto bene, corre voce, signora.
Dopo che il ferreo Conte di Northumberland
l’ebbe arrestato a York e l’ebbe condotto con sé
per rispondere di assai gravi imputazioni,
d’un tratto egli cadde malato, e s’aggravò a tal punto
da non poter cavalcare la sua mula.
CATERINA
Ahimè, pover’uomo!
GRIFFITH
Alfine, a piccole tappe, riuscì ad arrivare a Leicester,
e prese alloggio nell’abbazia, dove il reverendo abate,
con tutto il suo convento, gli dette onorata accoglienza.
A lui si rivolse con queste parole: “O padre abate,
un vecchio, schiantato dalle tempeste di governo,
è venuto a deporre fra voi le stanche ossa.
Dategli, per carità, un pezzetto di terra”.
Quindi andò a letto, dove la sua ostinata malattia
lo incalzò senza tregua; e tre notti dopo,
all’incirca alle otto, esattamente l’ora ch’egli stesso
aveva predetto per la propria fine, pieno di contrizione,
meditazioni incessanti, lacrime e rimpianti,
restituì al mondo i suoi onori,
e al cielo la sua parte immortale, e riposò in pace.
CATERINA
Riposi dunque in pace, e non gli pesino le sue colpe.
Ma mi concederai, Griffith, di parlarti di lui,
sia pure con indulgenza. Egli era un uomo
di sconfinata superbia, eternamente bramoso
di competer coi prìncipi: uno che a forza di trame
aveva avviluppato tutto il regno. La simonia per lui era cosa lecita,
la sua opinione era legge. Al cospetto del Re
non esitava a mentire, con un’eterna duplicità
di parola e intenzioni. Mai dimostrò compassione,
se non quando intendeva rovinare qualcuno.
Le sue promesse erano sempre grandiose, come lui allora,
ma di esse poi non restava nulla, come lui adesso.
Del proprio corpo fece un uso immorale, dando al clero
un brutto esempio d’immoralità.
GRIFFITH
Nobile signora,
le cattive azioni degli uomini sono iscritte nel bronzo, le loro virtù
le scriviamo sull’acqua. Mi consentite, Altezza,
di parlare ora del bene che c’era in lui?
CATERINA
Sì, buon Griffith,
altrimenti sarei davvero cattiva.
GRIFFITH
Questo Cardinale,
pur se d’umili origini, indubbiamente
fu dalla culla destinato a grandi onori.
Egli fu uno studioso, uno studioso serio e competente,
eccezionalmente sagace, buon oratore e persuasivo;
agro e scostante con quelli che non l’amavano
ma, con chi ne cercava l’amicizia, dolce come l’estate.
E anche se era insaziabile nel prendere –
il che è una colpa – pure, nel dare, signora,
egli fu principesco: eterni testimoni a suo favore
quei centri gemelli del sapere ch’egli volle fondare,
Ipswich e Oxford – uno dei quali cadde con lui,
ricusando di sopravvivere alla bontà di chi l’aveva voluto,
e l’altro, per quanto incompiuto, già tanto famoso
ed eccellente per cultura, e tuttora in ascesa,
che la cristianità proclamerà per sempre i meriti dell’uomo.
La sua rovina finì per colmarlo di felicità,
poiché allora, e soltanto allora, egli ritrovò se stesso
scoprendo la beatitudine di non contare più nulla;
e, per aggiungere maggiori onori ai suoi anni
di quanto gli uomini potessero offrirgli, morì nel timor di Dio.
CATERINA
Dopo la mia morte non desidero altro araldo,
né altro testimone delle mie azioni da viva,
per preservare il mio onore da ogni contaminazione,
se non un cronista onesto come Griffith.
Colui che più odiavo in vita, tu mi costringi a onorarlo
con la tua scrupolosa veracità e il tuo equilibrio,
ora che è cenere. La pace sia con lui.
Pazienza, restami vicina, e abbassami il guanciale:
non ti disturberò per molto. Buon Griffith,
di’ ai musici di suonarmi quella mesta melodia
che ho indicato per il mio funerale, mentre giaccio a meditare
sulla celeste armonia a cui sto per andare incontro.
Musica mesta e solenne
GRIFFITH
S’è addormentata. Sediamo in silenzio, mia cara ragazza,
per tema di svegliarla. Piano, mia dolce Pazienza.
La Visione
Entrano, incedendo solennemente uno dopo l’altro, sei personaggi biancovestiti, col capo adorno di ghirlande d’alloro, e maschere dorate sul viso; in mano portano ramoscelli d’alloro e di palma. Prima s’inchinano a lei, poi danzano, e dopo qualche figura di danza, i primi due levano alta sul suo capo un’altra ghirlanda, al che gli altri quattro s’inchinano con riverenza. Indi i due che reggono la ghirlanda la consegnano ai due più prossimi, che nella loro danza eseguono le stesse evoluzioni, sempre tenendo la ghirlanda sospesa sul suo capo. Fatto ciò, essi consegnano la medesima ghirlanda agli ultimi due, che eseguono gli stessi movimenti nel medesimo ordine. Al che, come per ispirazione, la dormiente prorompe in segni d’esultanza e leva le braccia al cielo; e allora essi svaniscono sempre danzando, portandosi via la ghirlanda. La musica continua
CATERINA
Spiriti di pace, dove siete? Siete andati via tutti,
lasciandomi qui nella mia infelicità?
GRIFFITH
Signora, ci siam qui noi.
CATERINA
Non siete voi che invoco.
Avete visto entrare nessuno da che mi sono assopita?
GRIFFITH
Nessuno, signora.
CATERINA
No? Non avete visto appena adesso una schiera di beati
invitarmi a banchetto, i cui volti fulgenti
gettavan su di me mille raggi, come di un sole?
Essi mi hanno promesso beatitudine eterna
e mi han portato ghirlande, Griffith, che io sento
d’esser tuttora indegna d’indossare: ma certamente ne diverrò degna.
GRIFFITH
Mi colma di gioia, madonna, il sapervi posseduta
da sì bei sogni.
CATERINA
Congedate i musici.
Questa musica mi opprime e mi turba.
La musica s’interrompe
PAZIENZA
Avete notato
quanto s’è alterata Sua Grazia improvvisamente?
Com’è tirato il suo viso? Come s’è fatta pallida?
e di colore terreo? Guardate i suoi occhi.
GRIFFITH
Se ne sta andando, ragazza. Prega, prega.
PAZIENZA
Il cielo la conforti.
Entra un Messaggero
MESSAGGERO
Con licenza di Vostra Grazia…
CATERINA
Sei un bell’insolente!
Non meritiamo più alcuna deferenza?
GRIFFITH
Dovreste vergognarvi,
sapendo ch’ella non rinuncia agli onori d’un tempo,
a comportarvi così rudemente. Forza, inginocchiatevi.
MESSAGGERO
Umilmente supplico il perdono di Vostra Altezza:
è stata la fretta a rendermi sgarbato. Attende udienza
un gentiluomo inviato dal Re per vedervi.
CATERINA
Fatelo entrare, Griffith; ma questo individuo
non voglio vederlo mai più. Esce il Messaggero
Entra Lord Chappuys
Se la vista non m’inganna,
dovreste essere il signor ambasciatore dell’Imperatore,
mio augusto nipote; e il vostro nome è Chappuys.
CHAPPUYS
In persona, signora: al vostro servizio.
CATERINA
Oh, mio signore,
i tempi e i titoli sono stati del tutto stravolti
per me, dalla prima volta che ci siam conosciuti. Ma vi prego,
cosa desiderate da me?
CHAPPUYS
Nobile signora,
in primo luogo, offrire a Vostra Grazia i miei servigi; e poi
c’è una richiesta del Re, ch’io venga a farvi visita.
Egli molto si affligge per la vostra infermità, e per mezzo mio
vi manda i suoi principeschi ossequi,
e di tutto cuore vi esorta alla consolazione.
CATERINA
O mio buon signore, la consolazione arriva troppo tardi,
come una grazia a esecuzione compiuta.
Quel dolce balsamo, somministrato per tempo, mi avrebbe guarita,
ma ormai non c’è consolazione che tenga – soltanto preghiere.
Come sta Sua Altezza?
CHAPPUYS
Signora, in buona salute.
CATERINA
Buon pro gli faccia, e possa sempre star bene,
anche quando m’intratterrò coi vermi, e il mio povero nome
sarà bandito dal regno. Pazienza, quella lettera
che vi ho dettata, è stata recapitata?
PAZIENZA
No, signora.
CATERINA
Signore, umilissimamente vi prego di consegnarla
al Re mio sovrano.
CHAPPUYS
Ben volentieri, signora.
CATERINA
In essa raccomandavo alla sua bontà
l’immagine dei nostri casti amori, la sua giovane figlia –
le rugiade celesti piovano fitte su di lei a benedirla! –
scongiurandolo di darle un’educazione virtuosa.
Ella è giovane, e d’indole nobile e riservata.
Spero che sappia ben meritare: che lui l’ami un poco,
per amore di sua madre, che ha amato lui,
Dio sa con quanto affetto. L’altra mia modesta petizione
è che la sua nobile grazia mostri qualche pietà
per le mie infelici ancelle, che per tanto tempo
hanno seguito fedelmente la mia buona e cattiva fortuna.
Non c’è una fra esse, oso dichiarare –
e non è questo il momento di dire il falso – che non meriti,
per virtù e autentica nobiltà d’animo,
per onestà e condotta irreprensibile,
un marito degno di questo nome, e quantomeno nobile:
e certo sarà ben fortunato chi le prenderà in moglie.
L’ultima istanza è per i miei servitori: sono loro i più poveri,
ma la povertà non poté mai allontanarli da me –
che essi ricevano il salario loro dovuto
e anche qualcosa di più, così mi ricorderanno.
Se fosse piaciuto al cielo concedermi lunga vita
e mezzi sufficienti, non ci separeremmo così.
Questo è tutto quel che gli ho scritto e, mio buon signore,
per ciò che di più caro avete al mondo,
se augurate la pace di Cristo alle anime dei trapassati,
ergetevi ad amico di questa povera gente, e insistete col Re
perché mi renda quest’ultimo atto di giustizia.
CHAPPUYS
In nome di Dio, lo farò,
o ch’io possa perdere la mia qualità di uomo.
CATERINA
Vi ringrazio, onorato signore. Ricordatemi
a Sua Altezza, in tutta umiltà.
Ditegli che la sua lunga tribolazione sta per lasciare
questo mondo terreno. Ditegli che l’ho benedetto in punto di morte,
giacché così farò. Mi si annebbia la vista. Addio,
mio signore. Griffith, addio. No, Pazienza,
non lasciarmi ancora. Devo andare a letto:
chiamami le altre ancelle. Quando sarò morta, mia brava ragazza,
vedi che mi trattino come si conviene: spargi su di me
i fiori della purezza, che tutto il mondo sappia
che fui una moglie casta fino alla tomba. Imbalsamatemi,
poi preparatemi la camera ardente: anche se non più regina,
da regina dovete sotterrarmi, e da figlia di re.
Altro non posso dire. Escono, sostenendo Caterina
Enrico VIII
(“Henry VIII” – 1612 – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V