(“Henry VIII” – 1612 – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano, da porte diverse, due Gentiluomini
PRIMO GENTILUOMO
Dove andate così di fretta?
SECONDO GENTILUOMO
Oh, Dio vi conservi.
Vado all’Alta Corte, a vedere che ne sarà
del gran Duca di Buckingham.
PRIMO GENTILUOMO
Vi risparmierò
il disturbo, signore. È già finito tutto, a parte il rituale
del rientro del prigioniero alla Torre.
SECONDO GENTILUOMO
Eravate presente?
PRIMO GENTILUOMO
Presente, eccome!
SECONDO GENTILUOMO
Vi prego, ditemi com’è andata.
PRIMO GENTILUOMO
Fate presto a indovinarlo.
SECONDO GENTILUOMO
L’han dichiarato colpevole?
PRIMO GENTILUOMO
Sì, proprio così, e per questo l’han condannato.
SECONDO GENTILUOMO
Me ne dispiace.
PRIMO GENTILUOMO
Sono in molti a dolersene.
SECONDO GENTILUOMO
Ma di grazia, come è andata?
PRIMO GENTILUOMO
Ve lo dirò in breve. Il gran Duca
si presentò alla sbarra, e di ogni accusa
si proclamò sempre innocente, adducendo
molti scaltri argomenti per sottrarsi alla legge.
Il procuratore del Re, al contrario,
gli contestò deposizioni, prove e confessioni
dei vari testi, al che il Duca pretese
che comparissero in aula, per un confronto viva voce.
Al che si presentarono, quali testi a carico, il suo intendente,
il suo cancelliere Gilbert Perk, e poi John Car,
suo confessore, e in più quel diavolo d’un monaco,
Hopkins, colui a cui dobbiamo tutto questo bel guaio.
SECONDO GENTILUOMO
Non era quello
che gli dette a bere le sue profezie?
PRIMO GENTILUOMO
Infatti.
Tutti costoro gli mossero pesanti accuse, ch’egli avrebbe voluto
respingere sdegnosamente: ma in verità non poteva;
e così i Pari, con tali testimonianze,
l’han giudicato colpevole di alto tradimento. A lungo
lui s’è difeso, e con eloquenza, per salvarsi, ma è solo riuscito
a suscitar compassione, o non gli han dato retta.
SECONDO GENTILUOMO
E in conclusione, come si comportò?
PRIMO GENTILUOMO
Quando lo riportarono alla sbarra per fargli ascoltare
la sua campana a morto, e cioè la sentenza, egli fu sconvolto
da tale angoscia da ritrovarsi in un bagno di sudore,
e profferì con rabbia qualche imprudente invettiva.
Ma riprese presto il controllo di sé, e si mantenne sereno
fino alla fine, mostrando la più nobile equanimità.
SECONDO GENTILUOMO
Non credo abbia paura della morte.
PRIMO GENTILUOMO
Ne son più che sicuro.
Non è mai stato una donnicciola. Tutt’al più
potrebbe affliggersi per la causa dei suoi mali.
SECONDO GENTILUOMO
Sicuramente
il Cardinale sta dietro a tutto questo.
PRIMO GENTILUOMO
È probabile,
visti i tanti indizi: dapprima, l’incriminazione di Kildare,
l’allora Viceré d’Irlanda, rimosso il quale
fu spedito laggiù il Conte di Surrey, e a spron battuto,
per impedirgli di accorrere in aiuto del suocero.
SECONDO GENTILUOMO
Uno stratagemma politico
di non piccola perfidia.
PRIMO GENTILUOMO
Al suo ritorno
non dubito che saprà ben ripagarlo. È ormai notorio,
e in ogni ambiente, che chiunque incontri il favore del Re,
il Cardinale senza indugio gli trova un incarico,
e il più lontano possibile dalla Corte.
SECONDO GENTILUOMO
La gente del popolo
lo odia ferocemente e – sulla mia coscienza –
lo vorrebbe dieci braccia sotterra. Il Duca è altrettanto amato,
tutti stravedono per lui, lo chiamano Buckingham il Magnifico,
specchio di ogni virtù cortese…
Entra Buckingham, reduce dal processo, preceduto da una scorta armata, col filo della scure rivolto verso di lui e alabardieri ai due lati, scortato da Sir Thomas Lovell, Sir Nicholas Vaux, Sir Walter Sands, gente del popolo, ecc.
PRIMO GENTILUOMO
Restate dove siete, signore.
Eccolo lì, il grand’uomo in disgrazia di cui stavate parlando.
SECONDO GENTILUOMO
Facciamoci sotto, lo vedremo meglio.
BUCKINGHAM
Tutti voi, brava gente,
che siete venuti sin qui a compatirmi,
ascoltate ciò che ho da dire, e poi andate a casa e lasciatemi al mio destino.
Oggi mi è stata inflitta una condanna da traditore,
e con questo marchio mi tocca di morire; pure, il cielo mi è testimone;
e se ho una coscienza, mi sprofondi nelle tenebre
al colpo della mannaia, se non sono un suddito leale.
Alla legge non porto rancore per la mia morte:
con tali prove, non poteva esserci altra sentenza.
Ma coloro che l’han voluta, li vorrei un po’ più cristiani.
Sian quel che sono, li perdono di cuore;
ma stiano attenti a non gloriarsi di tanto malfare,
e a non erigere le loro latrine sulle tombe dei grandi,
ché allora il mio sangue innocente dovrà gridar vendetta.
Non m’illudo mi resti ancora da vivere in questo mondo,
né chiederò la grazia, anche se la clemenza del Re va bene al di là
di ogni possibile colpa ch’io osi commettere. Voi pochi che mi avete amato
e avete la temerità di piangere per Buckingham,
voi nobili amici e compagni, perdere i quali
è l’unico suo amaro rimpianto, l’unica vera morte,
accompagnatemi da buoni angeli al mio destino.
E quando l’acciaio si abbatterà su di me per l’eterno divorzio,
fate delle vostre preci un’unica dolce nube sacrificale
e sollevate in cielo l’anima mia. Muoviamoci, in nome di Dio.
LOVELL
Vostra Grazia, vi supplico, per carità,
se mai alcun risentimento nel profondo del cuore
nutriste verso di me, concedetemi un sincero perdono.
BUCKINGHAM
Sir Thomas Lovell, ben volentieri io vi perdono,
come vorrei io stesso venir perdonato: perdono a tutti.
Per quanto innumerevoli siano le offese da me ricevute,
non ve n’è una che possa impedirmi di fare la pace. Nessun nero rancore
profanerà la mia tomba. Ricordatemi a Sua Maestà;
e se lui vi chiede di Buckingham, vi prego di dirgli
che l’avete incontrato quasi in cielo. I miei voti e le mie preghiere
vanno tuttora al Re, e finché la mia anima non mi avrà lasciato
io invocherò benedizioni su di lui. Possa egli vivere
più anni di quanti io faccia in tempo ora a contare.
Possa il suo regno restare sempre amato e benigno
e, quando la canizie l’avrà portato alla tomba,
che lui e la sua bontà sian fusi in un unico monumento.
LOVELL
Vostra Grazia, ho il dovere di accompagnarvi giù al fiume,
per poi passare le consegne a Sir Nicholas Vaux,
che resterà al vostro fianco sino alla fine.
VAUX
Tenetevi pronti, laggiù,
che arriva il Duca: preparate il battello,
ed addobbatelo come si conviene
a sì gran personaggio.
BUCKINGHAM
No, Sir Nicholas,
lasciate perdere: il mio rango ormai non è che una presa in giro.
Quando arrivai qui, ero Lord Gran Connestabile
e Duca di Buckingham; ora sono il povero Edward Bohun.
Eppure mi sento più ricco dei miei indegni accusatori,
che mai conobbero il significato della lealtà. Che io ora sigillo
col mio sangue, un sangue che un giorno sconteranno all’inferno.
Il mio nobile padre, Enrico di Buckingham,
che per primo si sollevò contro l’usurpatore Riccardo,
mentre correva dal suo vassallo Banister in cerca d’aiuto,
in tal frangente da quel miserabile venne tradito,
per cui perì senz’ombra di processo: la pace sia con lui.
Enrico Settimo, appena asceso al trono, sinceramente commosso
dalla fine di mio padre, con atto veramente regale,
mi reintegrò nei miei titoli, e da tanta rovina
restituì al mio nome tutta la sua nobiltà. Ora suo figlio
Enrico Ottavo, vita, onore, titolo, con tutto ciò
che mi rendeva felice, in un sol colpo ha strappato
per sempre da questo mondo. Il mio processo l’ho avuto
e, va anche detto, fu nobilmente condotto: il che mi rende
un po’ più fortunato del mio sfortunato genitore.
Eppure a tutt’oggi ci unisce una sola fortuna: entrambi
fummo distrutti da nostre creature, dai dipendenti più amati,
da vassalli infedeli – il più mostruoso dei servizi.
Il cielo ha in tutto un fine; ma voi che mi state ascoltando
sappiatelo per certo – ve lo dice un morituro:
se mai sarete prodighi di affetto e fiducia
assicuratevi di non essere incauti; poiché coloro che vi fate amici
e a cui donate il cuore, appena avran percepito
la minima battuta d’arresto nelle vostre fortune, scivoleran via da voi
come acqua, né mai più si faran ritrovare
se non per colarvi a picco. Tutti voi, buona gente,
pregate per me. Devo ora lasciarvi: l’ultima ora
della mia lunga, tormentata esistenza è suonata per me.
Addio.
E quando vi sentirete in vena di meste rievocazioni,
dite della mia caduta. Ho finito, e che Iddio mi perdoni.
Escono il Duca col seguito
PRIMO GENTILUOMO
Oh, che pietosa vicenda! Signore, essa non può che attirare
un mare di guai, temo, sulle teste
di chi l’ha provocata.
SECONDO GENTILUOMO
Se il Duca è senza colpa,
è una vicenda straziante; eppure posso accennarvi
a una calamità incombente che, una volta accaduta,
sarà peggiore di questa.
PRIMO GENTILUOMO
Gli angeli santi ce ne scampino!
Che sarà mai? Non dubiterete della mia segretezza, signore?
SECONDO GENTILUOMO
È un segreto così grave, che ci vorrà
un riserbo assoluto perché non trapeli.
PRIMO GENTILUOMO
Fidatevi di me:
non sono uso a parlare.
SECONDO GENTILUOMO
Voglio fidarmi:
ve lo dirò, signore. Non avete sentito, negli ultimi tempi,
quanto si mormori di una separazione
fra il Re e Caterina?
PRIMO GENTILUOMO
Sì, ma è durato poco:
appena il Re ne ha avuto sentore, incollerito,
ha subito dato ordine al Lord Sindaco di Londra
di mettere a tacere la diceria, e zittire le voci
che osavano propalarla.
SECONDO GENTILUOMO
Ma tale maldicenza, signore,
risulta ora verace, visto che torna a circolare
più insistente che mai, e si dà per certo
che il Re sia disposto a rischiare. O il Cardinale
o qualcun altro della sua cricca hanno, in odio
alla buona Regina, insufflato in lui un dubbio
che porterà lei a sicura rovina. A conferma di questo
da qualche giorno è giunto fra noi il Cardinale Campeggio,
e per questa faccenda, come pensano tutti.
PRIMO GENTILUOMO
È stato il Cardinale;
e unicamente per vendicarsi dell’Imperatore
che non gli ha concesso quello che lui voleva:
la sede arcivescovile di Toledo. La ragione è questa.
SECONDO GENTILUOMO
Penso che avete fatto centro. Ma non è crudele
che sia lei a doverne pagare lo scotto? Il Cardinale
farà come vuole lui, ed ella sarà sacrificata.
PRIMO GENTILUOMO
Ci sarebbe da piangere.
Siam troppo esposti, qui, per discutere questo:
ne riparliamo a quattr’occhi. Escono
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Entra il Lord Ciambellano, leggendo la lettera seguente
[CIAMBELLANO]
Mio signore, i cavalli commissionati da Vostra Signoria sono stati scelti, addestrati ed equipaggiati con la massima sollecitudine. Erano giovani e belli, e della migliore razza del Nord. Non appena essi furono pronti a partire per Londra, un emissario del Lord Cardinale, su mandato ed autorità superiori, me li ha portati via con questa giustificazione: il suo padrone deve potersi servire prima di ogni altro suddito, se non del Re. Il che, signore, ci ha tappato la bocca.
Temo che andrà a finire proprio così. E va bene, se li tenga pure.
Quello farà piazza pulita di tutto.
Entrano, affiancandosi al Lord Ciambellano, i Duchi di Norfolk e Suffolk
NORFOLK
Salute, mio Lord Ciambellano.
CIAMBELLANO
Buongiorno alle Vostre Grazie.
SUFFOLK
Che fa di bello il Re?
CIAMBELLANO
L’ho lasciato solo
in preda ai crucci e ai suoi mesti pensieri.
NORFOLK
Ma cos’è che lo affligge?
CIAMBELLANO
Sembra che le sue nozze con la moglie del fratello
abbiano preso a turbargli la coscienza.
SUFFOLK [a parte]
Macché, la sua coscienza
la sta turbando ben bene un’altra signora.
NORFOLK
Proprio così.
Questa è opera del Cardinale. Il Cardinale-Re,
quel sacerdote bendato, da vero primogenito della Fortuna,
gira la ruota come vuole lui. Un giorno anche il Re lo capirà.
SUFFOLK
Preghiamo Iddio che lo faccia, se mai vorrà capire se stesso.
NORFOLK
Con quale santocchieria si dedica a tutti i suoi intrighi!
Con quanto zelo! Ed ora che ha incrinato l’alleanza
fra noi e l’Imperatore – il grande nipote della Regina –
ecco che va a infilarsi nell’animo del Re per seminare in esso
dubbi, apprensioni, drammi di coscienza,
disperazione e timori – e tutto per il suo matrimonio.
E per tirar fuori il Re da tutto questo,
ecco che gli consiglia il divorzio, la perdita di colei
che come un prezioso monile lui s’è tenuto vent’anni
accanto al cuore, senza che mai perdesse il suo lustro;
di colei che l’ama con la superiore purezza
con cui gli angeli amano gli uomini buoni; di colei che sempre,
anche quando le calerà addosso il più fiero colpo della Fortuna,
vorrà benedire il Re: e tutto questo vi pare cristiano?
CIAMBELLANO
Ci guardi il cielo da siffatti consiglieri! È ben vero
che queste voci s’odono dappertutto, che ogni bocca ne parla,
e ogni cuore onesto ci piange su. Tutti quelli che osano
affrontare il problema, ne scorgono il fine ultimo:
la sorella del Re di Francia. Il cielo aprirà un giorno
gli occhi del Re, che troppo a lungo han dormito
sulla temerità di quest’uomo malvagio.
SUFFOLK
E ci libererà da questa soggezione.
NORFOLK
Dobbiamo proprio pregare,
e con fervore, per la nostra liberazione;
altrimenti quest’uomo prepotente ci ridurrà tutti
da principi a paggetti. Le cariche di tutti
sono alla sua mercé: quasi un unico impasto
che lui plasma a suo arbitrio.
SUFFOLK
Quanto a me, signori miei,
io non lo amo né lo temo – ed è questo il mio credo.
Com’è vero che sono stato creato senza di lui, resto quel che sono,
al Re piacendo. I suoi anatemi e le sue benedizioni
non mi toccano: son del pari aria calda, e non vi presto fede.
Lo conoscevo prima, e lo conosco adesso; lo voglio lasciare
a colui che lo ha fatto montare in superbia: il Papa.
NORFOLK
Entriamo
e troviamo qualche argomento per distrarre un po’ il Re
da questi tristi pensieri che troppo lo angustiano.
Mio signore, vi va di farci compagnia?
CIAMBELLANO
Scusatemi,
il Re mi ha dato un altro incarico altrove. E poi
vi accorgerete che non è proprio il momento di recargli disturbo.
Salute alle Signorie Vostre.
NORFOLK
Grazie, buon Lord Ciambellano.
Esce il Lord Ciambellano Il Re scosta un sipario e appare assorto nella lettura
SUFFOLK
Che malinconico aspetto! Di certo è assai afflitto.
RE
Ohibò, chi va là?
NORFOLK
Dio non voglia che sia in collera.
RE
Chi va là, ripeto? Come osate intromettervi
mentre sto a meditare in solitudine?
Ohibò, per chi mi prendete?
NORFOLK
Per un grazioso monarca che perdona ogni offesa
che non sia volontaria. Se abbiamo così mancato
è per affari di stato, per i quali veniamo
a conoscere il vostro volere sovrano.
RE
Come avete l’ardire?
Fuori di qui! Ve lo dirò io, quando è tempo di affari.
Vi sembra questo – ohibò – il momento per le cure terrene?
Entrano Wolsey e Campeggio con una delega pontificia
Chi c’è adesso? Il mio buon Cardinale? Oh mio Wolsey,
pace della mia coscienza ferita,
tu sei un balsamo degno di un re. [A Campeggio] Siate il benvenuto,
reverendissimo e dotto monsignore, nel nostro regno.
Disponete di esso come di noi. [A Wolsey] Caro monsignore, datevi da fare
per dimostrare che non dico per dire.
WOLSEY
Sire, non sia mai detto.
Ma non potrebbe Vostra Maestà concederci un’ora soltanto
di udienza privata?
RE [a Norfolk e Suffolk]
Andate, che abbiamo da fare.
NORFOLK [a parte a Suffolk]
Per nulla superbo, il reverendo!
SUFFOLK [a parte a Norfolk]
Superbia ne ha da vendere.
Io non ne subirei il contagio, nemmeno al suo posto.
Ma non si può andare avanti così.
NORFOLK [a parte a Suffolk]
Dovesse durare,
gli assesterò una stoccata coi fiocchi.
SUFFOLK [a parte a Norfolk]
E io un’altra.
Escono Norfolk e Suffolk
WOLSEY
Vostra Maestà ha dato una bella lezione di saviezza
a ogni altro principe, col rimettere spontaneamente
il vostro scrupolo al giudizio della Cristianità.
Chi oggi potrà risentirsi? Quale ostilità potrà toccarvi?
Gli spagnoli, che con lei hanno legami di sangue e di affetto,
dovranno ammettere, se resta loro un briciolo d’onestà,
che il processo è istruito secondo onore e giustizia. I chierici tutti
– mi riferisco ai più gran dottori dei regni cristiani –
potranno dire liberamente la loro. Roma, nutrice di sapienza,
da voi stesso nobilmente invitata, ha voluto inviarci
il portavoce di noi tutti, quest’uomo retto,
e sacerdote giusto e dotto, il Cardinale Campeggio,
che, Altezza, vi presento di bel nuovo.
RE
E di bel nuovo io gli do il benvenuto tra le mie braccia,
mentre ringrazio il Sacro Collegio dell’affetto che mi porta.
Mi hanno mandato proprio l’uomo che avrei voluto.
CAMPEGGIO
Vostra Grazia non può che meritare l’affetto di ogni straniero,
tale è la sua nobiltà. Nelle mani di Vostra Altezza
io consegno un mandato in virtù del quale,
per ordine della Curia di Roma, voi, mio Lord
Cardinale di York, vi unirete a me, loro servitore,
per un giudizio imparziale sulla causa in questione.
RE
Due uomini di pari equità. La Regina sarà messa a parte
seduta stante del motivo della vostra visita. Dov’è Gardiner?
WOLSEY
So che Vostra Maestà l’ha sempre amata,
con cuore così tenero da non poterle negare
ciò che a una donna di minor rango spetterebbe per legge:
il libero patrocinio di dotti difensori.
RE
Certo, ed avrà anche i migliori, e il mio favore
andrà al migliore di essi. Dio non voglia altrimenti! Cardinale,
ti prego, fammi chiamare Gardiner, il nuovo segretario:
lo trovo un uomo in gamba.
Entra Gardiner
WOLSEY [a parte a Gardiner]
Qua la mano, e vita prospera e felice:
adesso siete al servizio del Re.
GARDINER [a parte a Wolsey]
Ma pur sempre agli ordini
di Vostra Grazia, cui debbo la mia carriera.
RE
Fatevi avanti, Gardiner. Cammina con lui, bisbigliando
CAMPEGGIO
Mio Arcivescovo di York, non era un tal Dottor Pace
il predecessore di costui?
WOLSEY
Sì, era lui.
CAMPEGGIO
Non era stimato uomo di alta dottrina?
WOLSEY
Sì, certo.
CAMPEGGIO
Credetemi, allora circola una brutta voce,
e proprio su di voi, Lord Cardinale.
WOLSEY
Come? Su di me?
CAMPEGGIO
La gente non esita a dire che voi n’eravate geloso
e, temendo la sua ascesa – tanto virtuoso era colui –
a forza di affidargli missioni all’estero lo faceste tanto soffrire
ch’egli impazzì e ne morì.
WOLSEY
La pace celeste sia con lui:
così si esprime la carità cristiana. Quanto ai mormoratori,
saran puniti nelle sedi appropriate. Quell’uomo era un folle,
perché voleva esser virtuoso a tutti costi. Questo brav’uomo invece,
se gli do un ordine, segue le mie istruzioni:
a nessun altro darei tanta confidenza. Imparate, fratello:
non si vive per finire in pugno a chi val meno di noi.
RE
Informate la Regina con la discrezione del caso.
Esce Gardiner
Il posto più accogliente a cui io possa pensare
per un sì eletto confronto di dotti, è Blackfriars.
Colà vi consulterete su questa intricata questione.
Mio Wolsey, provvedete agli arredi. Oh, monsignore,
non è un tormento per un uomo che si rispetti, dover lasciare
una compagna tanto dolce? Oh, coscienza, coscienza!
Che organo sensibile! Ma intanto mi toccherà lasciarla.
Escono
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entrano Anna Bolena e una Dama attempata
ANNA
No, neppure per questo. È qui il punto dolente:
Sua Altezza ha vissuto con lei tanto a lungo, e lei
è una signora così buona che nessuna linguaccia poté mai
far della maldicenza su di lei – sulla mia vita,
lei che non fece mai male a una mosca! – Ed ora, ahimè,
dopo che il sole per tanti anni ha illuminato il suo trono,
sempre accrescendone la maestà e il fasto – cose a cui
è mille volte più amaro rinunciare, di quanto
a suo tempo non fosse dolce accedere – dopo tutto questo,
darle poi il benservito, è crudeltà
da impietosire un mostro.
DAMA
Cuori fra i più induriti
si struggono nel piangerne il destino.
ANNA
Oh sant’Iddio, sarebbe stato assai meglio
se mai l’avesse conosciuto, il fasto. Anche se è solo
un bene temporale, pure, se la capricciosa Fortuna lo strappa
a chi ne gode, è un dolore straziante
come quando l’anima si strappa dal corpo.
DAMA
Ahi, povera signora!
Eccola ridiventata straniera fra noi.
ANNA
A maggior ragione
su lei deve calare un velo di pietà. In verità,
lo giuro, è meglio esser di umili natali
e contentarsi di vivere con gente di modesta condizione
che non far spicco su tutti in uno sfavillio di dolore
ed indossare una pena trapunta d’oro.
DAMA
Il contentarsi
resta il migliore fra i nostri averi.
ANNA
Sul mio onore, e sulla mia verginità,
non ci terrei, a fare la regina.
DAMA
Mal me n’incolga s’io non lo vorrei,
a costo di giocarmela, la verginità. E questo vale anche per voi,
alla faccia di queste vostre pose insincere.
Voi che della donna avete tutte le bellezze
avete anche un cuore di donna, che ha sempre aspirato
a fare spicco, alla ricchezza, all’autorità.
Le quali cose, in fede mia, sono manna del cielo: doni
che con tutto il rispetto per ogni affettazione in contrario,
la vostra tenera, elastica coscienza saprebbe far suoi,
sol che voleste stiracchiarla un po’.
ANNA
Ma no, ve lo giuro.
DAMA
Ma sì, giuramenti o no. Non vorreste far la regina?
ANNA
No, per tutti i tesori del creato.
DAMA
È strano: io mi presterei per un soldo bucato
a fare la regina, pur vecchia come sono. Ma, di grazia,
che ne direste di fare la duchessa? Siete forte abbastanza
da sostenere il peso di un tale titolo?
ANNA
No, davvero.
DAMA
Allora siete proprio deboluccia. Scendiamo di un gradino:
non vorrei essere un giovane conte e imbattermi in voi,
per poco più di un modesto rossore. Se sulla vostra persona
non ce la fate a portare un tal peso, mai avrete la forza
di generare un erede.
ANNA
Che modo di esprimersi!
Ancora una volta vi giuro, non vorrei far la regina
per nulla al mondo.
DAMA
E io vi giuro che per la piccola Inghilterra
vi fareste anche impalare su uno scettro. Io stessa ci proverei,
per la contea di Caernarvon, a costo di regnare
soltanto su di essa. Attenta! Arriva qualcuno.
Entra il Lord Ciambellano
CIAMBELLANO
Buongiorno, mie dame. Quanto costerebbe sapere
il segreto di cui state confabulando?
ANNA
Mio buon signore,
nemmeno la fatica di domandarlo: non ne vale la pena.
Stavamo commiserando i dolori della nostra sovrana.
CIAMBELLANO
Nobile occupazione, che ben si addice
a donne di buon carattere. Ci sono speranze
che tutto si accomoderà.
ANNA
Prego Iddio che così sia.
CIAMBELLANO
Avete un animo nobile, e le benedizioni celesti
cercan creature come voi. Onde possiate, mia bella signora,
capire che parlo con sincerità, e che in alta considerazione
teniamo le vostre innumeri virtù, la Maestà del Re
vi comunica che ha un’ottima opinione di voi,
e si propone di onorarvi con un titolo non meno sontuoso
di quello di Marchesa di Pembroke: al quale titolo aggiunge
un appannaggio annuale di mille sterline l’anno,
per sua munificenza.
ANNA
Io non lo so
che genere di obbedienza ci si aspetti da me.
Per quanto io possa valere, son sempre un nulla, né le mie preghiere
sono parole debitamente consacrate, né le mie aspirazioni
valgono più di vuote vanità: pure preghiere e aspirazioni
son tutto ciò che posso offrire in cambio. Supplico Vostra Signoria,
degnatevi di esprimere la mia più devota gratitudine
a Sua Altezza, con tutto il rossore di un’umile ancella
che prega per la sua salute e la sua gloria.
CIAMBELLANO
Madonna,
non mancherò di confermare l’alto concetto
che il Re ha di voi. [A parte] L’ho scrutinata a puntino.
Onestà e bellezza si fondono in lei così bene
da conquistare il Re; chi può mai dire
che da tal donna non possa nascere una gemma
da illuminar tutta l’isola? Andrò dal Re,
a dirgli che ci siamo parlati.
ANNA
Mio onorato signore!
Esce il Lord Ciambellano
DAMA
Ecco, così è la vita: ma guarda, guarda…
Da sedici anni sto a corte a mendicare
e sono ancora una povera dama di corte, né ho mai imbroccato
il momento giusto, fra il troppo presto e il troppo tardi,
per bussare a quattrini. E voi – o destino! –
un pesciolino giunto fresco fresco – o scandalo tre volte scandaloso
tal fortuna forzata! – vi lasciate saziare
prima ancor d’aprir bocca.
ANNA
È tutto così strano…
DAMA
Ma che sapore ha? Amaro? Quaranta soldi che no.
C’era una volta una dama – dice un’antica favola –
che non voleva esser regina, non lo voleva no,
per tutto il limo d’Egitto: la conoscete?
ANNA
Via, volete celiare.
DAMA
Con un soggetto come voi
potrei librarmi più in alto dell’allodola: Marchesa di Pembroke!
Mille sterline l’anno, un mero pegno di stima,
senza contropartita! Parola mia,
questo vuol dire altre migliaia a venire: la coda degli onori
è lunga più della veste. Ormai è chiaro:
un titolo di duchessa ve lo potete accollare. Dite,
non vi sentite un po’ più forte di prima?
ANNA
Cara la mia signora,
divertitevi pure con le vostre fantasie personali,
ma lasciatemene fuori. Vorrei non esser mai nata
se questo annunzio mi scombussola più di tanto: ma mi fa tremare
il pensiero di quel che può seguirne.
La Regina è in preda allo sconforto, e noi la stiamo dimenticando,
da troppo tempo assenti. Vi prego, non mettetela a parte
di quanto avete qui udito.
DAMA
Ma per chi mi prendete?
Escono
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
Trombe, fanfare e cornette. Entrano due Mazzieri con corte verghe d’argento; li seguono due Segretari in toga dottorale; indi l’Arcivescovo di Canterbury, solo, e dopo di lui, i Vescovi di Lincoln, Ely, Rochester e Saint Asaph; a breve distanza seguono un Gentiluomo che porta la borsa col Gran Sigillo e una berretta cardinalizia; poi due preti, ciascuno dei quali porta una croce d’argento; poi [Griffith], un Gentiluomo di Palazzo a capo scoperto, accompagnato da un Ufficiale della Guardia con mazza d’argento, seguito da due Gentiluomini che portano due imponenti bastoni d’argento; dopo di essi, fianco a fianco, i due Cardinali [Wolsey e Campeggio]; indi due Nobili con spada e mazza. Il Re prende posto sotto il baldacchino. I due Cardinali siedono ai piedi del trono in veste di giudici. La Regina [Caterina] prende posto a una certa distanza dal Re. I Vescovi si dispongono ai due lati della Corte, come si fa in concistoro, e sotto di loro prendon posto gli Scritturali. I Pari seggono accanto ai Vescovi. Il resto del seguito si dispone in bell’ordine su tutto il palcoscenico
WOLSEY
Stiamo per dar lettura del nostro mandato da Roma:
che sia fatto silenzio.
RE
Ma che bisogno c’è?
È stato già letto pubblicamente,
e la sua autorità è universalmente riconosciuta.
Non sprechiamo altro tempo.
WOLSEY
Così sia. Si proceda.
SCRITTURALE
Dite: “Enrico, Re d’Inghilterra, si presenti alla Corte”.
BANDITORE
Enrico, Re d’Inghilterra, si presenti alla Corte.
RE
Presente.
SCRITTURALE
Dite: “Caterina, Regina d’Inghilterra, si presenti alla Corte”.
BANDITORE
Caterina, Regina d’Inghilterra, si presenti alla Corte.
La Regina [Caterina] non risponde, si leva dal suo scranno, attraversa la sala, si accosta al Re e s’inghinocchia ai suoi piedi; indi parla
[CATERINA]
Sire, vi prego di render giustizia al mio buon diritto,
e di concedermi la vostra pietà:
giacché io son povera e derelitta, una donna straniera,
nata al di fuori dei vostri domini, che qui non può trovare
né un giudice imparziale, né alcuna certezza
di equità e comprensione in un tale processo. Ahimè, Sire,
in che vi ho recato offesa? Quale pretesto
la mia condotta ha offerto al vostro cruccio,
che ora dobbiate così procedere a ripudiarmi
e togliermi la grazia del vostro favore? Il cielo mi è testimone:
sono stata per voi una sposa sottomessa e fedele,
in ogni occasione prona al vostro volere,
sempre timorosa di dare esca alla vostra disapprovazione,
soggetta, certo, a ogni vostro umore, lieto o cruccioso,
ch’io vi leggessi in viso. C’è mai stato un momento
in cui mi sia opposta a un vostro desiderio
senza farlo anche mio? Avete un qualche amico
ch’io non mi sia sforzata di amare, pur sapendo
ch’egli mi era nemico? Ho mai avuto un amico
che essendosi attirato la vostra collera
io abbia continuato a favorire, senza invece avvertirlo
di ritenersi licenziato? Sire, vogliate ricordarvi
che sono stata vostra moglie in tale obbedienza
per più di vent’anni, e da voi ho avuto la benedizione
di numerosa prole. Se nei corsi e trascorsi
di questo tempo voi foste in grado di riferire
e di provare alcunché contro l’onor mio,
o la mia fede al vincolo nuziale, o l’amore dovuto
alla vostra sacra persona, in nome di Dio
cacciatemi via, e che il più turpe disprezzo
mi sbatta la porta in viso, e così mi consegni
alla più dura giustizia. Con vostra licenza, Sire,
il Re vostro padre ebbe fama
di principe di grande prudenza, e di eccellente,
impareggiabile ingegno e giudizio. Ferdinando,
mio padre il Re di Spagna, fu sempre riconosciuto come uno
dei principi più saggi che mai colà avessero regnato,
da molti anni. È un fatto incontestabile
che fu da essi convocato un consiglio di esperti
di ogni paese, per dibattere la questione:
ed essi decretarono la legittimità delle nostre nozze. Per cui umilmente
vi supplico, Sire, di risparmiarmi, fino a quando
non mi sarò consigliata con gli amici che ho in Spagna, il cui parere
voglio sollecitare. Altrimenti, nel nome di Dio,
si compia il vostro volere.
WOLSEY
Signora, voi qui avete di fronte,
e da voi scelti, questi reverendi padri, uomini
di singolare integrità e dottrina;
proprio così, gli eletti della nazione, qui radunati
a patrocinare la vostra causa. Sarà pertanto inutile
che voi chiediate alla Corte un rinvio: sia per la vostra
serenità personale, che per ristabilire la calma
nell’animo turbato del Re.
CAMPEGGIO
Sua Grazia
ha detto bene e ha detto giusto. Pertanto, madonna,
mi sembra appropriato dar seguito a quest’udienza reale,
ed esporre e ascoltare i rispettivi argomenti
senz’altro indugio.
CATERINA
Lord Cardinale,
è a voi che mi rivolgo.
WOLSEY
Come volete, signora.
CATERINA
Monsignore,
sto per mettermi a piangere; ma riflettendo
che siamo una regina, o almeno ci siamo a lungo illuse di esserlo –
e in ogni caso la figlia d’un Re – le mie stille di pianto
convertirò in faville di fuoco.
WOLSEY
Cercate invece di controllarvi.
CATERINA
Lo farò, quando avrete imparato l’umiltà. Anzi, prima:
altrimenti Iddio mi punirà. Credo davvero,
convinta da prove inconfutabili,
che mi siate nemico, e vi contesto il diritto
di esser voi a giudicarmi: poiché siete voi
che avete soffiato sul fuoco tra me e il mio signore
(che Iddio lo estingua colla sua rugiada) io ripeto pertanto
che m’ispirate un disgusto infinito, e sì, dal profondo dell’anima
vi ricuso come giudice, dato che – come ripeto –
vi ritengo il mio più perfido nemico, e vi considero
per nulla amico della verità.
WOLSEY
Ed io dichiaro
che non parlate come quella di sempre, voi che sempre in passato
avete dato esempio di amore cristiano e dimostrato nei fatti
un animo gentile, e una saggezza
che alle donne è negata. Mi fate torto, madonna;
non nutro alcun livore contro di voi, né saprei essere ingiusto
con voi o chiunque altro. La mia condotta a tutt’oggi,
e anche quella a venire, è pienamente avallata
da un mandato del Collegio dei Cardinali:
ma sì, l’intero concistoro di Roma. Mi accusate
di aver soffiato sul fuoco. Io lo nego.
Il Re è presente: se venisse a sapere
che mi rimangio ciò che ho detto e fatto, saprebbe far scempio,
e con ragione, della mia falsità, sì, proprio come voi
avete fatto della mia integrità. Se egli sa
che io sono innocente di ciò che mi rinfacciate, sa pure
che voi mi fate torto. Perciò sta in lui
curar la mia ferita, e la cura consiste
nel togliervi dalla testa tali pensieri; e prima
che sia Sua Altezza a dire la sua, vi imploro,
o graziosa regina, di ripensare a quanto avete detto,
e non tornarci più sopra.
CATERINA
Monsignore, monsignore,
sono una donna semplice, troppo indifesa
per fare fronte alla vostra astuzia. Siete mansueto e umile a parole,
e la facciata del rango e del potere voi la mascherate
di umiltà e mansuetudine; ma il vostro cuore
trabocca di superbia, rancore ed arroganza.
Avete, grazie alla fortuna e al favore di Sua Altezza,
salito in punta di piedi i gradini più bassi, e ora siete montato
là dove i potenti sono al vostro servizio, e le vostre parole,
a voi asservite, seguono fedelmente il vostro volere
e ogni vostro comando. Ho il dovere di dirvi
che il prestigio della vostra persona vi sta più a cuore
della vostra alta vocazione spirituale; per cui ripeto
che vi ricuso come giudice e, in questa sede,
davanti a tutti voi, mi appello al Papa,
a che l’intera mia causa sia avocata a Sua Santità,
e a che sia lui a giudicarmi.
S’inchina al Re e accenna ad allontanarsi
CAMPEGGIO
La Regina è ostinata,
refrattaria alla giustizia, pronta a contestarla,
e piena di disprezzo per la Corte: così non va.
Se ne sta pure andando.
RE
Richiamatela.
BANDITORE
Caterina, Regina d’Inghilterra, si presenti alla Corte.
[GRIFFITH]
Signora, vi stan richiamando.
CATERINA
Occorre farmelo notare? Vi prego, uscite anche voi:
rientrate se vi richiamano. Ora, che Iddio m’aiuti,
questi mi fanno perdere la pazienza. Suvvia, muovetevi.
Qui non ci voglio restare; no, e mai più in futuro
intendo far atto di presenza per questa faccenda
in alcuno dei loro tribunali.
Escono la Regina [Caterina] e il suo seguito
RE
Va’ per la tua strada, Kate.
Chiunque al mondo racconterà di avere
una sposa migliore, non sia creduto in nulla
per quest’unica menzogna. Tu sei l’unica –
se le tue rare qualità, la soave dolcezza,
la mitezza d’una santa, la tua condotta di moglie esemplare,
docile sin nel comandare, e ogni tua altra dote
regale e virtuosa potessero descriverti –
la regina delle regine della terra. Ella è di nobili natali,
e verso di me si è comportata
in armonia con la sua pura nobiltà.
WOLSEY
Graziosissimo Sire,
con la più profonda umiltà chiedo a Vostra Altezza
che si compiaccia di dichiarare al cospetto
di tutte queste orecchie (qui dove son derubato e messo alla gogna
io devo esser prosciolto, anche se non su due piedi
e mai risarcito del tutto) se mai
io abbia insufflato questa faccenda a Vostra Altezza, oppure
suscitato nella vostra mente scrupoli tali
da indurvi a metterla in discussione, o se mai vi ho detto –
a parte i rendimenti di grazie al Signore per una tale
Regina – una sola, la più piccola parola che mai potesse
arrecar pregiudizio alla sua attuale dignità,
o anche solo sfiorarne l’integrità personale.
RE
Mio Lord Cardinale,
io ve ne assolvo. Sì, sul mio onore,
vi affranco da tali accuse. Non sarò io a insegnarvi
che avete molti nemici, i quali non sanno
perché lo sono ma, come cagnacci di villaggio,
abbaiano quando gli altri lo fanno. Qualcuno di costoro
ha provocato l’ira della Regina. Ritenetevi assolto.
Ma la volete più ampia, l’assoluzione? Avete sempre
desiderato lasciar dormire l’intera questione, e mai avete voluto
metterla in discussione, ma avete spesso, spesso, intralciato
i primi passi del procedimento. Sul mio onore,
su questo ho detto la mia sul buon Lord Cardinale,
e fino a qui l’ho assolto. Ora, su ciò che m’indusse a questi passi
oserò prendervi un po’ di tempo e attenzione.
Notate dunque cosa mi spinse a ciò, come andaron le cose – fate attenzione.
La prima volta che mi sentii pungere la coscienza
da scrupoli e rimorsi, fu per certi discorsi pronunciati
dal Vescovo di Bayonne, l’allora ambasciatore di Francia,
che era stato qui inviato a negoziare
un matrimonio tra il Duca d’Orleans
e nostra figlia Maria. Nel corso di questi negoziati,
prima dell’accordo finale, lui –
intendo dire il Vescovo – chiese un aggiornamento
per poter chiarire al Re suo sovrano
se nostra figlia era o non era legittima,
visto che ci eravamo sposati con la vedova
già moglie del fratel nostro. Questo rinvio mi scosse
in fondo alla coscienza, mi trafisse l’animo,
sì, con la violenza d’un ferro accuminato, facendomi balzare
il cuore in petto; così aprendo la strada
a molte intricate riflessioni che s’infittirono
e mi forzarono a questo grave dubbio. Innanzitutto, mi parve
che non mi arridesse il benvolere del cielo, che aveva
imposto alla natura che il grembo della mia sposa,
se mai impregnato da un erede maschio, non dovesse
infondergli altra vita se non quella
che la tomba dà ai morti: visto che i figli maschi
o morivano nella sede stessa del concepimento, o poco dopo
esser venuti al mondo. Da ciò mi venne fatto di pensare
che questo era un giudizio di Dio su di me, e che il mio regno,
ben degno del più nobile erede del mondo, non avrebbe
ricevuto da me questa gioia. Ne consegue che
io soppesai il pericolo incombente sui miei reami
per tal difetto di discendenza, e questo mi procurò
più d’una crisi tormentosa. Così, alla deriva
nel mare burrascoso della mia coscienza, drizzai il timone
verso questo rimedio, per il quale siam qui,
oggi assieme adunati: vale a dire,
mi proposi di mettermi a posto con la coscienza, la quale
pareva allora gravemente malata – e non è ancora guarita –
con l’aiuto di tutti i più reverendi padri del paese
e i più dotti fra i dotti. Dapprima cominciai in forma privata
con voi, monsignore di Lincoln. Voi ricordate
come l’angoscia mi faceva sudare
la prima volta che mi rivolsi a voi.
LINCOLN
Assai bene, mio Sire.
RE
Ho parlato a lungo. Abbiatemi la compiacenza di dire
in che misura mi rassicuraste.
LINCOLN
Con licenza di Vostra Altezza,
la domanda, sul primo momento, mi fece vacillare,
poiché toccava un problema di suprema importanza
dalle tremende implicazioni: tanto che consegnai al dubbio
il più audace consiglio che vi potessi dare,
e supplicai Vostra Altezza d’intraprendere il corso
che state qui percorrendo.
RE
Mi rivolsi poi a voi,
monsignore di Canterbury, e ottenni il vostro assenso
alla convocazione di quest’assemblea. Mi feci scrupolo di convocare
tutte le eminenze presenti in questa alta Corte,
e procedetti con la formale autorizzazione di ciascuno,
di vostro pugno firmata e sigillata. Procedete pertanto,
poiché non c’è ombra di avversione contro la persona
della buona Regina, ma sono invece le spinose, laceranti ragioni
che ho appena esposto, a promuovere questa causa.
Dimostratemi la legittimità del matrimonio e, sulla mia vita
e dignità di re, ci terremo contenti
di consumare il resto di nostra vita mortale con lei,
la nostra Regina Caterina, piuttosto che con la creatura più eletta
che il mondo offra a mo’ di paragone.
CAMPEGGIO
Con licenza di Vostra Altezza:
in assenza della Regina, s’impone la necessità
di aggiornare questo processo a data da destinarsi.
Nel frattempo occorre rivolgere un caldo appello
alla Regina perché rinunci a far ricorso
a Sua Santità, come intende fare.
RE [a parte]
Mi rendo conto
che questi cardinali mi menano per il naso. Aborro
queste lungaggini dilatorie, e gli stratagemmi di Roma.
Mio dotto e beneamato servitore, Cranmer,
torna presto, ti prego. Col tuo rientro, lo so,
ritroverò la pace. – La seduta è tolta.
Muoviamoci, dico. Escono nell’ordine in cui sono entrati
Enrico VIII
(“Henry VIII” – 1612 – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V