(“Henry IV, part 1” – 1597)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano Hotspur, Worcester, Mortimer, Owen Glendower.
MORTIMER
Le promesse sono oneste, gli alleati sicuri,
e il nostro esordio è ricco di speranza.
HOTSPUR
Lord Mortimer, e cugino Glendower, volete sedervi? E voi, zio Worcester. All’inferno! Ho dimenticato la mappa.
GLENDOWER
No, eccola. Sedetevi, cugino Percy,
sedetevi, buon cugino Hotspur, un nome che
ogni volta che Lancaster lo pronuncia
la guancia gli si fa pallida, ed egli sospirando
vi vorrebbe in cielo.
HOTSPUR
E voi all’inferno, ogni volta che sente parlare di Owen Glendower.
GLENDOWER
Non gli do torto. Alla mia natività
la fronte del cielo si riempì di forme di fuoco
di fiaccole ardenti, e quando venni alla luce
la struttura e le fondamenta stesse della terra
tremarono codardamente.
HOTSPUR
Direi che l’avrebbero fatto alla stessa ora anche se avesse figliato la gatta di vostra madre, e voi non foste mai nato.
GLENDOWER
Dico che la terra tremò quando io nacqui.
HOTSPUR
E io dico che la terra non era del mio parere,
se immaginate che tremò per paura vostra.
GLENDOWER
I cieli eran tutti infuocati, la terra sussultava.
HOTSPUR
Allora la terra tremò vedendo i cieli infuocati,
non per paura della vostra nascita.
La natura malata sovente prorompe
in strane eruzioni; spesso la terra generatrice
è premuta e sconvolta da una sorta di colica
perché nel suo ventre essa imprigiona
un vento ribelle che, cercando un’uscita,
scuote la terra vecchia nonnetta e fa crollare
campanili e torri muschiose. Alla vostra nascita
la nonna terra, avendo questi acciacchi,
sussultò per gli spasimi.
GLENDOWER
Cugino, non da molti
sopporto tali contraddizioni. Concedetemi
di dirvi ancora una volta che alla mia nascita
la fronte del cielo fu piena di forme di fuoco,
le capre accorsero dai monti, e gli armenti
fecero strani lamenti sui campi impauriti.
Questi segni indicarono la mia eccezionalità,
e tutti gli eventi della mia vita dimostrano
che non sono fra gli uomini comuni.
Dov’è colui, circondato dai mari
che battono le coste d’Inghilterra, Scozia e Galles,
che può chiamarmi allievo o mi ha insegnato?
E fatemi vedere un qualsiasi nato di donna
che possa seguirmi nelle ardue vie della magia
e starmi a passo nei profondi esperimenti.
HOTSPUR
Sì, penso che nessuno parla gallese meglio di voi. Vado a pranzo.
MORTIMER
Calma, cugino Percy, lo farete infuriare.
GLENDOWER
Posso chiamare dal vasto profondo gli spiriti.
HOTSPUR
Per questo, lo so fare anch’io, come chiunque:
ma poi quando li chiamate vengono?
GLENDOWER
Cugino, posso insegnarvi a comandare il diavolo.
HOTSPUR
E io, cugino, posso insegnarvi a svergognare il diavolo,
dicendo la verità. Dite la verità e svergognate il diavolo.
Se avete il potere di evocarlo portatelo qui
e giuro di avere il potere di svergognarlo e cacciarlo.
Ecco, finché vivete, dite la verità e svergognate il diavolo!
MORTIMER
Suvvia, basta con questi discorsi inutili.
GLENDOWER
Tre volte Henry Bolingbroke ha condotto truppe
contro le mie forze, tre volte dagli argini della Wye
e della Severn sabbiosa l’ho rimandato
a casa scalzato, travolto dalle intemperie.
HOTSPUR
A casa senza calze, e col cattivo tempo?
Diavolo, com’è che s’è salvato dal raffreddore?
GLENDOWER
Venite, ecco la mappa. Dividiamo quanto ci spetta
secondo la tripartizione che abbiamo preparato?
MORTIMER
L’Arcidiacono li ha divisi
in tre territori molto giustamente.
L’Inghilterra dalla Trent e dalla Severn fino a qui
a sud ed est è assegnata alla mia parte;
ad ovest, tutto il Galles oltre la Severn
e tutta la terra fertile ivi compresa,
ad Owen Glendower; e caro cugino, a voi
quel che resta a nord a partire dalla Trent.
Il nostro accordo è pronto in tre copie,
e una volta sigillato reciprocamente
(cosa che stasera si può condurre a termine)
domani, cugino Percy, voi e io
e il mio buon Lord Worcester partiremo
per unirci a vostro padre e le sue forze scozzesi,
come d’accordo, a Shrewsbury.
Mio padre Glendower non è ancora pronto,
e il suo aiuto non ci servirà per altri quattordici giorni.
[A Glendower.]
Entro allora avrete potuto radunare
i vostri sudditi, amici e signori vicini.
GLENDOWER
Un tempo più breve mi vedrà da voi, signori,
e con me condurrò le vostre donne,
dalle quali dovete ora partire senza congedarvi
poiché ci sarebbe un diluvio di lacrime
nel separarvi dalle vostre mogli.
HOTSPUR
Mi sembra che la mia parte, qui a nord di Burton,
per estensione è inferiore a quelle vostre.
Guardate come questo fiume mi fa un gomito
e si porta via dal tratto migliore della mia terra
una gran mezzaluna, un pezzo enorme.
In questo posto farò deviare la corrente
e la leggiadra e argentea Trent scorrerà
in un nuovo canale bella e dritta.
Non serpeggerà con un’ansa così profonda
rubandomi una vallata fertilissima.
GLENDOWER
Non serpeggerà? Ma lo farà, lo deve! Vedete che lo fa.
MORTIMER
Sì, ma guardate
come continua il corso, e viene verso me
dando lo stesso vantaggio all’altra parte,
tagliando dalla sponda opposta quanto
dall’altra parte prende a voi.
WORCESTER
Sì, ma con poca spesa si farà qui un canale
per guadagnare a nord questo lembo di terra;
poi corre diritta e regolare.
HOTSPUR
Farò così. Ci vorrà poca spesa.
GLENDOWER
Non voglio che venga alterata.
HOTSPUR
Ah, non volete?
GLENDOWER
No, e voi non lo farete.
HOTSPUR
Chi mi dirà di no?
GLENDOWER
Ve lo dirò io.
HOTSPUR
Allora fate in modo che non vi intenda, parlate gallese.
GLENDOWER
So parlare l’inglese, signore, quanto voi,
poiché fui educato alla corte inglese
dove, ancora giovane, composi per l’arpa
molte canzoni inglesi in modo bellissimo,
dando alle parole un ornamento proficuo:
virtù questa che in voi non s’è mai vista.
HOTSPUR
Madonna, me ne rallegro con tutto il cuore!
Vorrei piuttosto essere un micio e dire miao
che uno di questi rivenduglioli di poesie e ballate.
Piuttosto sentirei molare un candeliere di bronzo
o una ruota secca stridere sull’asse,
e non me ne farei allegare i denti
in minima parte come dalle poesie svenevoli:
è come l’andatura forzata di un ronzino zoppo.
GLENDOWER
Va be’, spostate pure la Trent.
HOTSPUR
Non m’importa. Darò tre volte tanta terra
a qualsiasi amico meritevole;
ma quando si tratta di contrattare, badate,
cavillerò sulla nona parte di un capello.
Sono pronti i contratti? Partiamo?
GLENDOWER
La luna splende, potete partire di notte.
Farò fretta allo scrivano, e intanto
informerò le vostre mogli della partenza.
Ho paura che mia figlia impazzirà,
tanto è innamorata del suo Mortimer. Esce.
MORTIMER
Vergogna, cugino Percy! Come contrariate mio padre!
HOTSPUR
Non posso farci niente. A volte mi infuria
raccontandomi di talpe e di formiche,
di Merlino sognatore e le sue profezie,
di draghi e pesci senza pinne,
un grifone dalle ali mozze e un corvo mudato,
un leone accucciato e un gatto rampante,
e un sacco di altre cose senza senso,
che mi fa perdere la religione. Ve ne racconto una:
la notte scorsa mi ha tenuto almeno nove ore
a fare il conto dei nomi di tutti i diavoli
che sono i suoi lacchè. Io facevo “ehm!” e “davvero?”
ma non ascoltavo una parola. Ah, è noioso
come un cavallo stanco, una moglie rampognosa,
peggio di una casa fumosa. Vivrei piuttosto
di cacio e aglio in un mulino, di molto,
che di cibi raffinati e star con lui a parlare
nella più bella dimora estiva della cristianità.
MORTIMER
Invero, è un nobile gentiluomo,
di vastissime letture, addentro
ai più strani segreti, valoroso come un leone,
e straordinariamente affabile, generoso
come miniere dell’India. Volete che ve lo dica, cugino?
Ha alta considerazione della vostra tempra
e si trattiene anche nelle parole che gli verrebbero
quando ne contrariate lo spirito, proprio così.
Vi garantisco che non c’è uomo su questa terra
che avrebbe potuto provarlo come avete fatto voi
senza qualche guaio o rimbrotto.
Ma non provateci troppo spesso, vi scongiuro.
WORCESTER
Davvero, signore, siete troppo biasimevolmente ostinato
e da quando siete arrivato avete fatto abbastanza
per fargli perdere del tutto la pazienza.
Dovete di necessità apprendere a rimediare questo difetto.
Se può rivelare grandezza, coraggio, alto sangue
– ed è questo il meglio che fa per voi –
spesso denota un’irascibilità rozza,
un difetto nei modi, mancanza di controllo,
orgoglio, boria, arroganza, disprezzo;
difetti di cui il più piccolo se è congiunto a un nobile
gli aliena le simpatie, e lascia una macchia
sulla bellezza delle altre sue qualità,
sottraendole tutte insieme alla lode.
HOTSPUR
Be’, grazie per la lezione. Il galateo vi aiuti!
Ecco le nostre mogli; salutiamole.
Entra Glendower con le donne.
MORTIMER
È questo il dispetto che mi punge:
non conosco il gallese, mia moglie non parla inglese.
GLENDOWER
Mia figlia piange, non si separerà da voi;
farà anche lei il soldato, e andrà in guerra.
MORTIMER
Buon padre, ditele che lei e la zia Percy
ci seguiranno presto sotto la vostra guida.
Glendower le parla in gallese, lei gli risponde nella stessa lingua.
GLENDOWER
È disperata. È una ragazzaccia ostinata
di quelle per cui non c’è persuasione che tenga.
La dama parla in gallese.
MORTIMER
Intendo i tuoi sguardi. Quel grazioso gallese
che fai scrosciare dai tuoi cieli gonfi
lo capisco benissimo, e se non mi vergognassi
nella stessa lingua ti risponderei.
La dama ancora in gallese.
Comprendo i tuoi baci, tu i miei,
è una conversazione piena di sentire.
Ma non smetterò di studiare, amore,
finché non conoscerò la tua lingua, ché le tue labbra
rendono il gallese dolce come le più nobili canzoni
cantate da una bella regina d’estate nel pergolato
al suo liuto con melodia struggente.
GLENDOWER
No, se vi intenerite, lei impazzisce.
La dama parla ancora in gallese.
MORTIMER
Oh, sono l’ignoranza personificata in questo!
GLENDOWER
Vi invita a coricarvi sui giunchi molli
e a posare la testa gentile sul suo grembo,
ed essa vi canterà la canzone che vi piace
e sulle vostre palpebre incoronerà il dio del sonno,
incantandovi il sangue con una piacevole pesantezza,
rendendo la differenza fra sonno e veglia
simile a quella fra giorno e notte
nell’ora prima che la pariglia celeste
inizia il suo cammino dorato nell’oriente.
MORTIMER
Con tutto il cuore starò a sentirla cantare.
Nel frattempo penso che gli accordi saranno scritti.
GLENDOWER
Fate così, e i musicisti che per voi suoneranno
volano in aria mille leghe da qui,
e subito verranno. Sedete, e ascoltate.
HOTSPUR
Vieni, Kate, sei bravissima a coricarti. Vieni, presto, presto, che voglio posarti la testa in grembo.
LADY PERCY
Va’ via, cervellino d’oca.
La musica suona.
HOTSPUR
Ora vedo che il diavolo capisce il gallese,
e non fa meraviglia che sia così pieno di umori:
per la Madonna, è proprio un buon musicista.
LADY PERCY
Allora anche tu dovresti essere musicalissimo, perché sei del tutto governato dall’umore. Sta’ fermo, ladro, e ascolta la dama che canta in gallese.
HOTSPUR
Preferirei sentire la mia cagna Lady mugolare in irlandese.
LADY PERCY
Vuoi che ti rompa la zucca?
HOTSPUR
No.
LADY PERCY
Allora sta’ zitto.
HOTSPUR
Nemmeno questo. È un vizio delle donne.
LADY PERCY
Ma che Dio ti accompagni!
HOTSPUR
Nel letto della dama gallese.
LADY PERCY
Cosa dici?
HOTSPUR
Zitta! Canta.
Qui la dama canta una canzone gallese.
Vieni, Kate, voglio sentire una canzone anche da te.
LADY PERCY
Non da me, affé!
HOTSPUR
Non da te, affé? Cuor mio! Imprechi come la moglie di un confettiere. “Non da te, affé!”, e “Quant’è vero che vivo”, e “Dio mi corregga!”, e “Com’è vero che è giorno!”
e dai garanzie così lievi dei tuoi giuramenti
come se non fossi mai andata più lontano di Finsbury.
Giurami, Kate, da quella nobildonna che sei,
un bel giuramento che riempia la bocca, e lascia gli “affé”
e consimili invocazioni di panpepato
alle dame in velluto e ai passeggiatori domenicali.
Avanti, canta.
LADY PERCY
Non canterò.
HOTSPUR
È il modo migliore di diventare sarti, o maestri di pettirossi. Se i contratti sono finiti, partirò entro due ore, e dunque vienimi a cercare quando vuoi. Esce.
GLENDOWER
Suvvia, Lord Mortimer. Voi siete lento
quanto l’ardente Lord Percy brucia di partire.
Ormai le carte sono pronte, non dobbiamo che sigillarle
e poi subito a cavallo.
MORTIMER
Con tutto il cuore. Escono
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entrano il Re, il Principe di Galles e altri.
RE
Signori, lasciateci; il Principe di Galles ed io
dobbiamo conferire da soli, ma restate vicini
perché presto avremo bisogno di voi. Escono i Lord.
Non so se Dio ha voluto questo
per qualche azione riprovevole che ho compiuto,
che, nel profondo del suo giudizio, dal mio sangue
vuol farmi crescere una vendetta e un flagello;
vero è che tu col tuo modo di vivere
fai credere di essermi destinato
come cocente castigo e sferza del cielo
per punire i miei peccati. Dimmi altrimenti
se voglie così inappropriate e basse,
se imprese così meschine, vili, nude e squallide,
se piaceri vuoti e compagnie rozze
come quelli cui ti sei legato e avvezzato
potrebbero accompagnarsi al tuo nobile sangue
e stare a pari col tuo cuore principesco?
PRINCIPE
Se piace a vostra maestà, vorrei potere
scagionarmi da ogni colpa tanto chiaramente
come non ho dubbi di potermi purgare
di molte di cui sono stato accusato.
Però consentitemi di chiedere indulgenza,
sicché – dopo aver confutato molte favole,
quali spesso le orecchie dei grandi devono udire
da adulatori sorridenti e vili calunniatori –
per alcuni fatti veri in cui la mia gioventù
ha errato, colpevolmente sregolata,
possa la mia confessione leale ottenere perdono.
RE
Dio ti perdoni! Ma lascia che mi stupisca, Harry,
delle tue inclinazioni, che tendono le ali
tanto sotto il volo dei tuoi antenati.
Il posto nel consiglio l’hai perso con la villania,
il tuo fratello minore ti supplisce,
e sei quasi estraneo agli affetti
della corte e dei principi del mio sangue.
Le speranze e aspettative della tua giovinezza
son rovinate, e il pensiero di tutti
predice profeticamente la tua caduta.
Fossi io stato così prodigo della mia presenza,
così comune e trito agli occhi degli uomini,
così stantio e disposto a ogni compagnia volgare,
l’opinione pubblica che mi accompagnò al trono
sarebbe restata fedele a chi aveva il regno
e mi avrebbe lasciato nell’esilio oscuro,
uomo senza particolare merito o possibilità.
Facendomi vedere di rado, appena uscivo
ero oggetto di stupore, come una cometa;
gli uomini dicevano ai figli; “Quello è lui!”
Altri dicevano; “Quale? Quale è Bolingbroke?”
Allora carpivo dal cielo ogni cortesia
e mi facevo vedere così modesto
da ottenere fedeltà dai cuori di tutti,
e forti grida di saluto dalle loro bocche
persino in presenza del Re incoronato.
Così conservai la mia persona fresca e nuova,
la mia presenza, come una veste da pontefice,
mai vista se non con stupore, e le mie apparizioni,
rare ma sontuose, si presentavano come una festa,
e con l’infrequenza guadagnavano solennità.
Il Re sventato, lui sgambettava qua e là
con buffoni sciocchi e ingegni di paglia,
rapidi ad accendersi e a spegnersi; avvilì il suo stato,
mescolò la sua regalità con saltimbanchi,
lasciò che il suo alto nome soffrisse del disprezzo per loro,
e diede la sua autorità, in contrasto al suo nome,
per ridere delle beffe di ragazzi e esporsi alle frecciate
di ogni sciocco imberbe schernitore,
divenne familiare con le strade più comuni,
facendosi servo dei popolani,
i quali, saziandosi gli occhi tutti i giorni,
si stuccarono del miele e cominciarono
a detestare ogni sapore dolce, del quale
poco più di un poco è assai di troppo.
Così, quando c’era occasione di vederlo,
egli era soltanto come il cuculo a giugno,
udito senza badarci: visto ma con occhi
che, resi ottusi e indifferenti dall’abitudine,
non guardavano più con l’attenzione straordinaria
che si volge alla maestà simile al sole
quando di rado brilla agli sguardi ammirati,
ma piuttosto sonnecchiavano e chiudevano le palpebre,
gli dormivano in faccia, e offrivano sguardi
come quelli di un uomo ombroso per un nemico,
essendo sazi e satolli della sua presenza.
E nella stessa situazione, Harry, ti trovi tu,
che hai perso il privilegio principesco
per le vili compagnie. Non c’è occhio
che non sia stanco di vederti sempre,
tranne il mio, che ti desidererebbe di più,
e che ora fa ciò che non vorrei:
si accieca per la sciocca tenerezza.
PRINCIPE
Sarò in futuro, signore tre volte nobile,
più simile a me stesso.
RE
In tutto e per tutto
come tu sei in questo momento era Riccardo allora
quando io sbarcai dalla Francia, a Ravenspurgh;
e come io ero allora, Percy è adesso.
Giuro sul mio scettro, e anche sulla mia anima,
che egli è più degno di reggere lo stato,
di te, ombra di un successore.
Eccolo, senza ragione o pretesto di ragione,
riempire i campi del regno di uomini in armi,
portare attacchi alle zanne del leone,
e senza avere sulle spalle più anni di te,
condurre nobili anziani e vescovi reverendi
a battaglie sanguinarie e duri scontri.
Che onore immortale si è guadagnato combattendo
contro il famoso Douglas!, le cui alte imprese,
i cui attacchi furenti e il cui gran nome in guerra
hanno somma preminenza fra tutti i soldati
e il più alto titolo militare
in tutti i regni che riconoscono Cristo.
Tre volte questo Hotspur, un Marte in fasce,
questo guerriero infante, ha con le sue azioni
sconfitto il grande Douglas, una volta l’ha catturato,
l’ha liberato, e ne ha fatto un amico
così dando più forza alla sua sfida
e attentando alla pace e sicurezza del nostro trono.
E che ti pare di questo? Percy, Northumberland,
sua grazia l’Arcivescovo di York, Douglas e Mortimer,
si accordano contro noi e si armano.
Ma poi perché ti dico queste nuove?
Perché, Harry, ti parlo dei miei nemici,
a te che sei il mio nemico più prossimo e intimo?
A te che sei capace, per paura servile,
inclinazione vile, e l’impeto del dispetto,
di combattere contro me al soldo di Percy,
di seguirne i passi e adulare il suo broncio,
per mostrare quanto sei degenerato?
PRINCIPE
Non pensate così. Non mi troverete così.
E Dio perdoni a coloro che tanto hanno distolto da me
i pensieri buoni di vostra maestà.
Tutto questo lo riscatterò sulla testa di Percy
e, al termine di un giorno glorioso,
ardirò di dirvi che sono vostro figlio,
quando avrò un abito tutto di sangue,
e macchierò i miei tratti di una maschera sanguigna,
che, lavata via, spazzerà via anche la mia vergogna.
E quello sarà il giorno, quando che venga,
che questo figlio dell’onore e della fama,
questo prode Hotspur, cavaliere sempre lodato,
e il vostro disprezzato Harry s’incontreranno.
Quanto a tutti gli onori ammucchiati sul suo elmo,
vorrei fossero moltitudini, e sulla mia testa
il doppio di vergogne! Poiché verrà il giorno
che farò scambiare a questo giovane del nord
le sue gesta gloriose con le mie indegnità.
Percy non è che un mio agente, buon signore,
fa incetta di gesta e glorie a mio beneficio,
e io gliene chiederò il conto così severamente
che egli dovrà tirare fuori ogni gloria,
sì, persino il più piccolo onore della sua vita,
se no gli strapperò il conto dal cuore.
Questo in nome di Dio qui lo prometto:
e se gli piacerà che io lo compia
prego vostra maestà di voler curare
le vecchie ferite delle mie intemperanze.
Se no, la fine della vita annullerà ogni debito,
e io morirò di centomila morti
prima di rompere la parte più piccola del mio voto.
RE
Centomila ribelli muoiono in queste parole!
Avrai un comando e la fiducia del Re nell’impresa.
Entra Blunt.
Che c’è, buon Blunt? Il tuo aspetto è pieno d’urgenza.
BLUNT
Così anche la faccenda di cui vengo a parlare.
Lord Mortimer di Scozia ha mandato a dire
che Douglas e i ribelli inglesi si sono uniti
l’undici di questo mese a Shrewsbury.
Se le promesse di tutti vengono mantenute,
sono una forza potente e tremenda,
quale mai tramò ai danni di uno stato.
RE
Il Conte di Westmoreland si è mosso oggi,
con lui mio figlio, barone John di Lancaster;
poiché questa notizia è vecchia di cinque giorni.
Mercoledì, Harry, ti metterai in marcia;
giovedì partiremo noi stessi. Dobbiamo unirci
a Bridgenorth, e, Harry, tu marcerai
attraverso il Gloucestershire, ragion per cui,
considerati gli affari in corso, fra circa dodici giorni
le nostre forze si incontreranno a Bridgenorth.
Abbiamo le mani piene d’impegni. Andiamo:
il vantaggio infiacchisce mentre gli uomini indugiano.
Escono.
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entrano Falstaff e Bardolph.
FALSTAFF
Bardolph, non ti pare che sono decaduto ignobilmente dalla mia ultima impresa? Non mi assottiglio forse? Non sto scemando? Ma, la pelle mi pende addosso come la gonna larga di una vecchia! Sono vizzo come una vecchia mela di San Giovanni. Bene, farò penitenza, e subito, finché me la sento ancora. Fra poco sarò tanto scoraggiato che non avrò più la forza di pentirmi. Se non ho dimenticato com’è fatta una chiesa da dentro sono un grano di pepe, un ronzino da birraio. Una chiesa da dentro! Le compagnie, le compagnie cattive son state la mia rovina.
BARDOLPH
Sir John, siete così agitato che non vivrete a lungo.
FALSTAFF
Questo è il guaio! Forza, cantami una canzone sconcia, fammi ridere. Ero portato alla virtù quanto è giusto che sia un gentiluomo, abbastanza virtuoso insomma: bestemmiavo poco, non giocavo d’azzardo più di sette volte la settimana, andavo al bordello non più di ogni quarto d’ora, restituivo i soldi dopo averli presi in prestito tre o quattro volte, vivevo bene, o con notevole ampiezza: ma ora vivo fuori di ogni ordine, di ogni ampiezza.
BARDOLPH
Ma, Sir John, siete così grasso che dovete necessariamente essere fuori di ogni ampiezza, di ogni ampiezza ragionevole, Sir John.
FALSTAFF
Tu cambia faccia e io cambierò vita. Sei la nostra ammiraglia, con la lanterna a poppa, solo tu la porti nel naso. Sei il Cavaliere della Lampada Ardente.
BARDOLPH
Ma Sir John, non vi fa nessun male la mia faccia.
FALSTAFF
Nessuno, anzi giuro che ne faccio buon uso come molti usano un teschio o un memento mori. Non vedo mai la tua faccia senza pensare al fuoco dell’inferno e al ricco epulone che viveva nella porpora; mi pare infatti di vedercelo nelle sue vesti, che brucia, brucia. Se tu fossi in qualche modo un uomo retto, giurerei sulla tua faccia, direi “Per questo fuoco, che è l’Angelo di Dio”. Ma sei un caso disperato, e se non fosse per la luce che hai in faccia, saresti proprio il figlio delle tenebre. Quando salisti correndo Gad’s Hill di notte per acchiappare il mio cavallo, ho pensato che fossi un fuoco fatuo o una palla incendiaria, quant’è vero che i soldi sono soldi. Ah, sei una luminaria perpetua, un falò inesauribile! Mi hai risparmiato mille marchi in torce e lanterne, accompagnandomi di notte di taverna in taverna, ma col vino che mi hai bevuto avrei potuto rifornirmi altrettanto a buon mercato di lampade dal candelaio più caro di tutta Europa. Ho mantenuto accesa questa tua salamandra per trentadue anni buoni. Dio me ne ricompensi!
BARDOLPH
Per Dio, vorrei che la mia faccia ce l’aveste in pancia!
FALSTAFF
No per pietà, che ne avrei il bruciore di stomaco.
Entra l’Ostessa.
Dunque come va, Madama la Chioccia? Avete già chiesto chi mi ha svuotato le tasche?
OSTESSA
Sentite, Sir John, cosa vi siete messo in testa, Sir John? Pensate che io tenga ladri nella mia locanda? Ho indagato, ho cercato, come ha fatto mio marito, uomo per uomo, ragazzo per ragazzo, servo per servo. A casa mia non si è mai persa prima d’ora la punta di un capello.
FALSTAFF
Ostessa, voi mentite. Bardolph si è raso e ha perso un bel po’ di capelli, e io giuro che sono stato borseggiato. Va’, va’, che sei una donna!
OSTESSA
Chi, io? No, ma per chi mi prendete! Luce di Dio, nessuno mi ha mai chiamato così a casa mia prima d’ora.
FALSTAFF
Va’, va’, che ti conosco bene.
OSTESSA
No che non mi conoscete, Sir John. Sono io che vi conosco, Sir John. Mi dovete del denaro, Sir John, e ora litigate con un pretesto per farla franca. Io vi ho comprato una dozzina di camicie per la vostra gobba.
FALSTAFF
Roba grezza, robaccia! Le ho date via, a mogli di fornai, ne hanno fatto setacci da farina.
OSTESSA
Macché, com’è vero che sono una donna onesta, tela di lino a otto scellini la canna. E poi mi dovete dei soldi, Sir John, per i pasti, e per le bevute fuori pasto, e dei soldi che vi ho prestato, ventiquattro sterline.
FALSTAFF
Lui ne ha avuto una parte. Che paghi.
OSTESSA
Lui? Ma se è povero, non ha nulla.
FALSTAFF
Che dici, povero? Guardagli un po’ la faccia. E allora cos’è un ricco? Col suo naso luccicante possono batterci denaro, e anche con le guance. Io non pago un soldo. Vuoi farmi passare per un pivellino? Non posso più fare il mio sonnellino nella mia locanda che mi svuotano le tasche? Ho perso un anello con sigillo di mio nonno che valeva quaranta marchi.
OSTESSA
Gesù, ho sentito il Principe dirgli non so quante volte che l’anello era di rame!
FALSTAFF
Cosa? Il principe è un furfante, una spia. Sangue di Cristo, fosse qui e lo ripetesse lo bastonerei come un cane.
Entra il Principe [e Peto], a passo di marcia, e Falstaff li accoglie, suonando il piffero sul suo bastone.
Ehi, ragazzo, il vento tira da quella parte, eh? Ci dobbiamo mettere in marcia tutti?
BARDOLPH
Sì, a coppie, come i galeotti tradotti a Newgate.
OSTESSA
Signore, vi prego di udirmi.
PRINCIPE
Che hai da dire, madama Quickly? Come sta tuo marito? Mi piace quell’uomo, è onesto.
OSTESSA
Buon signore, uditemi.
FALSTAFF
Senti, lasciala stare e ascolta me.
PRINCIPE
Che hai da dire, Jack?
FALSTAFF
L’altra notte mi sono addormentato qui dietro l’arazzo e sono stato derubato. Questa casa è diventata un bordello, ci si rimette la borsa.
PRINCIPE
Cos’hai perso, Jack?
FALSTAFF
Pensa un po’, Hal, tre o quattro obbligazioni da quaranta sterline l’una e un anello con sigillo di mio nonno.
PRINCIPE
Robetta, varrà otto penny.
OSTESSA
Gliel’ho detto, signore, e ho detto di aver sentito vostra grazia dire lo stesso; e, signore, parla di voi nel modo più offensivo, con quella boccaccia che ci ha, e ha detto che ve le avrebbe date.
PRINCIPE
No! L’ha detto davvero?
OSTESSA
Quant’è vero che sono una femmina rispettabile, e che son devota e fedele.
FALSTAFF
Di devozione non ne hai di più di una prugna cotta, di fedeltà non più di una volpe stanata, e quanto alla femminilità, donna Mariana a tuo confronto è la moglie di un deputato rionale. Va’, va’, cosa che non sei altro!
OSTESSA
Di’ un po’, quale cosa, quale cosa?
FALSTAFF
Quale cosa? Be’, una cosa da ringraziarne Iddio.
OSTESSA
Non sono una cosa da ringraziarne Iddio, vorrei che tu lo sapessi! Sono la moglie di un onest’uomo, e, mettendo da parte il tuo titolo di cavaliere, sei un mascalzone a chiamarmi così.
FALSTAFF
Mettendo da parte che sei femmina, sei una bestia a rimbeccarmi.
OSTESSA
Di’ un po’, che bestia, mascalzone che sei?
FALSTAFF
Che bestia? Be’, una lontra.
PRINCIPE
Una lontra, Sir John? Perché una lontra?
FALSTAFF
Perché? Ma perché non è né carne né pesce: un uomo non sa come prenderla.
OSTESSA
Sei proprio ingiusto a dire così. Tu e tutti gli altri sanno come prendermi, mascalzone!
PRINCIPE
Dici bene ostessa, ti sta calunniando grossolanamente.
OSTESSA
Fa lo stesso con voi, signore, e disse pochi giorni fa che gli dovevate mille sterline.
PRINCIPE
Dimmi un po’, cialtrone, è vero che ti devo mille sterline?
FALSTAFF
Mille sterline, Hal? Un milione! Il tuo affetto vale un milione: mi devi il tuo affetto.
OSTESSA
No, signore, ha detto che siete un furfante e che ve le avrebbe date.
FALSTAFF
È vero, Bardolph?
BARDOLPH
Eh sì, Sir John, così avete detto.
FALSTAFF
Certo, se diceva che il mio anello era di rame.
PRINCIPE
E allora dico che è di rame. Hai il coraggio di mantenere la parola?
FALSTAFF
Be’, Hal, come è vero che sei comunque un uomo, sai che io il coraggio ce l’ho, ma siccome sei principe, ti temo come temo il ruggito del cucciolo di leone.
PRINCIPE
E perché non come il leone?
FALSTAFF
Il re stesso va temuto come il leone. Pensi che ho paura di te come di tuo padre? No, se è così, prego Dio mi si rompa la cintura.
PRINCIPE
Ah, se così fosse, le trippe ti penzolerebbero fino alle ginocchia! Ma, furfante, in quel tuo petto non c’è posto per nessuna verità, fedeltà e onestà. È tutto pieno di budella e diaframma. Accusi una donna onesta di averti svuotato le tasche? Figlio di puttana, mascalzone impudente e gonfiato, nei calzoni non avevi altro che conti di taverna, note di bordelli, e una zolletta di zucchero per darti fiato; se nelle tue tasche c’era dell’altra roba oltre a queste vergogne, sono un poco di buono. Eppure insisti: non intaschi il tuo torto. Non ti vergogni?
FALSTAFF
Mi senti, Hal? Sai che nello stato d’innocenza Adamo cadde, e cosa dovrebbe fare il povero Jack Falstaff in questi tempi infami? Vedi bene che ho più carne degli altri uomini, e perciò più debolezze. Dunque lo confessi, di avermi alleggerito le tasche?
PRINCIPE
Così appare da quanto ho detto.
FALSTAFF
Ostessa, ti perdono. Va’ e prepara in fretta la colazione. Ama tuo marito, bada ai tuoi servi, tratta bene i tuoi ospiti. Mi troverai pronto ad ascoltare ogni ragione onesta. Vedi che sono sempre pronto a far la pace. No, no, ora vai. Esce l’ostessa.
E ora, Hal, dimmi le notizie dalla corte. Com’è finita, ragazzo mio, con la rapina?
PRINCIPE
O dolce bue, devo sempre farti da angelo custode. I soldi sono restituiti.
FALSTAFF
Ahi, non mi piace questo restituire! È fatica doppia.
PRINCIPE
Sono in buoni rapporti con mio padre, e posso fare quel che voglio.
FALSTAFF
Allora svuotami il tesoro per prima cosa, e fallo senza perder tempo a lavarti le mani.
BARDOLPH
Fatelo, signor mio.
PRINCIPE
Ti ho procurato, Jack, il comando di una compagnia di fanti.
FALSTAFF
Avrei preferito la cavalleria. Dove troverò qualcuno che rubi bene? Ah, avessi un buon ladro sui ventidue anni! Sono vergognosamente privo di mezzi. Be’, Dio sia ringraziato per questi ribelli. Offendono solo i virtuosi. Li lodo, li celebro.
PRINCIPE
Bardolph!
BARDOLPH
Signore?
PRINCIPE
Porta questa lettera a Lord John di Lancaster, mio fratello John; e questa a Lord Westmoreland.
[Esce Bardolph.]
Via, Peto, a cavallo, a cavallo, ché tu ed io
abbiamo da fare trenta miglia prima di cena. [Esce Peto.]
Jack, aspettami domani a Temple Hall
alle due del pomeriggio.
Lì avrai il tuo comando, e riceverai
denaro e istruzioni per l’equipaggiamento.
La terra brucia; Percy è tutto su;
e o loro o noi dobbiamo star più giù. [Esce.]
FALSTAFF
Belle parole! Splendido mondo! Ostessa, la colazione!
Ah, se questa taverna fosse la mia guarnigione! Esce.
Enrico IV – Parte I
(“Henry IV, part 1” – 1597)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V