(“Julius Caesar” – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
GIULIO CESARE
MARC’ANTONIO, triumviro dopo la morte di Giulio Cesare
OTTAVIO CESARE, triumviro dopo la morte di Giulio Cesare
LEPIDO, triumviro dopo la morte di Giulio Cesare
MARCO BRUTO, cospiratore contro Cesare
CAIO CASSIO, cospiratore contro Cesare
CASCA, cospiratore contro Cesare
DECIO BRUTO, cospiratore contro Cesare
CINNA, cospiratore contro Cesare
METELLO CIMBRO, cospiratore contro Cesare
TREBONIO, cospiratore contro Cesare
CAIO LIGARIO, cospiratore contro Cesare
PORZIA, moglie di Bruto
CALPURNIA, moglie di Cesare
FLAVIO, tribuno del popolo
MARULLO, tribuno del popolo
CICERONE, senatore
PUBLIO, senatore
POPILIO LENA, senatore
UN INDOVINO
ARTEMIDORO, insegnante di retorica
CINNA, un poeta
UN ALTRO POETA
LUCIO, servo di Bruto
LUCILIO, amico e sostenitore negli eserciti di Bruto e Cassio
TITINIO, amico e sostenitore negli eserciti di Bruto e Cassio
MESSALA, amico e sostenitore negli eserciti di Bruto e Cassio
IL GIOVANE CATONE, amico e sostenitore negli eserciti di Bruto e Cassio
VOLUNNIO, amico e sostenitore negli eserciti di Bruto e Cassio
STRATONE, amico e sostenitore negli eserciti di Bruto e Cassio
VARRONE, soldato degli eserciti di Bruto e Cassio
CLAUDIO, soldato degli eserciti di Bruto e Cassio
CLITO, soldato degli eserciti di Bruto e Cassio
UN SERVO DI CESARE
UN SERVO DI ANTONIO
UN SERVO DI OTTAVIO
PINDARO, uno schiavo liberato di Cassio
DARDANIO, un servo di Bruto nell’esercito
UN CARPENTIERE, plebeo
UN CIABATTINO, plebeo
PRIMO, SECONDO, TERZO, QUARTO e QUINTO PLEBEO
PRIMO, SECONDO, e TERZO SOLDATO dell’esercito di Bruto
PRIMO e SECONDO SOLDATO dell’esercito di Antonio
UN MESSAGGERO
LABEO, ufficiale dell’esercito di Bruto
FLAVIO, ufficiale dell’esercito di Bruto
Altri senatori, plebei, soldati e servi.
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano in scena Flavio, Marullo e alcuni popolani.
FLAVIO
Via di qui! A casa, fannulloni, andatevene a casa!
È festa oggi? Come? Non sapete
che, essendo artigiani, non dovreste andare in giro
nei giorni di lavoro senza i contrassegni
dei vostri mestieri? Parla tu, di che mestiere sei?
FALEGNAME
Beh, falegname, signore.
MARULLO
Dov’è il tuo grembiule di cuoio e il tuo righello?
Che ci fai qui col tuo vestito migliore?
E tu, di che mestiere sei?
CIABATTINO
Veramente, signore, rispetto a un operaio specializzato, io non sono che, come direste?, un rabberciatore.
MARULLO
Ma di che mestiere sei? Rispondimi chiaro.
CIABATTINO
Un mestiere, signore, che spero di poter esercitare con la coscienza tranquilla; cioè a dire, in verità, signore, il riparatore di cuoio sciupato al cuore.
FLAVIO
Che mestiere, furfante? Furfante buono a nulla, che mestiere?
CIABATTINO
No, signore, vi supplico, non uscite dai gangheri. Ma se vi scalcagnate, signore, io posso ripararvi.
MARULLO
Che vuoi dire con questo? Ripararmi, insolente?
CIABATTINO
Beh, signore, rifarvi le scarpe.
FLAVIO
Sei un ciabattino, è così?
CIABATTINO
È così, signore, mi guadagno da vivere solo col punteruolo. Non mi ficco in faccende di commercio, né in faccende di donne; ma con tutto ciò io sono, in verità, signore, un chirurgo di vecchie scarpe; quando sono in gran pericolo, io le risano ricoprendole. Quanta brava gente ha mai pestato terra su cuoio di vitello, son tutti passati per la mia mano d’opera.
FLAVIO
Ma perché non sei nel tuo negozio oggi?
Perché ti porti dietro questi uomini per le strade?
CIABATTINO
Veramente, signore, per consumargli le scarpe, in modo da aver più lavoro. Ma a dir la verità, signore, facciamo festa per vedere Cesare e per gioire del suo trionfo.
MARULLO
Perché gioire? Che conquiste porta in patria?
Quali prigionieri lo seguono a Roma
per onorare in ceppi le ruote del suo cocchio?
Voi, teste di legno, pietre, peggio che cose insensibili!
Oh, voi, cuori induriti, voi, crudeli uomini di Roma,
non avete conosciuto Pompeo? Quante volte, quante,
vi siete arrampicati sulle mura e sui bastioni,
su torri e su finestre, sì, su comignoli,
coi bambini in braccio, seduti lì
per tutto il santo giorno, in paziente attesa,
per vedere il grande Pompeo passare per le strade di Roma.
E quando vedevate solo apparire il suo cocchio,
non lanciavate un unico immenso grido,
che il Tevere tremava sotto i suoi argini
ad ascoltare il rimbombo del vostro clamore
tra le sue concave sponde?
E ora vi mettete i vostri vestiti migliori?
E ora vi pigliate un giorno di festa?
E ora spargete fiori sul cammino di chi
viene qui in trionfo sul sangue di Pompeo?
Andatevene!
Correte a casa, gettatevi in ginocchio,
pregate gli dèi di sospendere la peste
che per forza dovrà cadere su questa ingratitudine.
FLAVIO
Andate, andate, bravi cittadini, e per questa colpa
riunite tutti i poveruomini del vostro stampo,
conduceteli sulle sponde del Tevere e versate lacrime
nel fiume, finché la sua corrente, anche se al minimo,
non vada a baciare le sue rive più alte.
Escono tutti i plebei.
Vedi se non s’è commossa la loro vilissima natura!
Spariscono ammutoliti per la loro colpa.
Tu va’ da quella parte verso il Campidoglio;
io andrò da quest’altra. Spoglia le statue,
se le trovi ornate di segni di cerimonia.
MARULLO
Possiamo farlo?
Sai che è la festa dei Lupercali.
FLAVIO
Non importa. Che nessuna statua
sia adorna di trofei di Cesare. Io andrò in giro
e scaccerò il popolino dalle strade;
tu fa’ lo stesso dove trovi affollamenti.
Una volta strappate queste penne crescenti
dall’ala di Cesare, egli sarà costretto a volare
a un’altezza normale, che altrimenti si librerebbe
oltre la vista degli uomini e ci terrebbe tutti
in una servile soggezione. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entrano Cesare, Antonio pronto per la corsa sacra, Calpurnia, Porzia, Decio, Cicerone, Bruto, Cassio, Casca, un Indovino; dietro di loro, Marullo e Flavio.
CESARE
Calpurnia.
CASCA
Ehi, silenzio! Cesare parla.
CESARE
Calpurnia.
CALPURNIA
Eccomi, mio signore.
CESARE
Mettiti proprio sulla strada di Antonio,
quando farà la sua corsa. Antonio!
ANTONIO
Cesare, mio signore?
CESARE
Non dimenticare, nella tua corsa, Antonio,
di toccare Calpurnia; perché i nostri anziani dicono
che le sterili, toccate in questa corsa sacra,
si liberano della maledizione della sterilità.
ANTONIO
Lo ricorderò.
Quando Cesare dice: “Fa’ questo”, è fatto.
CESARE
Si dia inizio, e non sia tralasciato alcun atto cerimoniale.
INDOVINO
Cesare!
CESARE
Eh? Chi chiama?
CASCA
Non fate alcun rumore; di nuovo, silenzio!
CESARE
Chi è che mi chiama nella calca?
Sento una voce più acuta di qualsiasi musica
che grida “Cesare!”. Parli. Cesare è pronto ad ascoltare.
INDOVINO
Guardati dalle Idi di marzo.
CESARE
Chi è quell’uomo?
BRUTO
Un indovino ti invita a guardarti dalle Idi di marzo.
CESARE
Portatemelo davanti, lasciatemelo guardare in faccia.
CASSIO
Uomo, esci dalla folla. Guarda Cesare.
CESARE
Che cosa mi dici ora? Parla di nuovo.
INDOVINO
Guardati dalle Idi di marzo.
CESARE
È un sognatore. Lasciamolo. Procediamo.
Fanfara. Escono tutti tranne Bruto e Cassio.
CASSIO
Non vai a vedere come si svolgerà la corsa?
BRUTO
Io no.
CASSIO
Ti prego di farlo.
BRUTO
Io non sono uno a cui piacciono i giochi. Mi manca
buona parte di quello spirito vivace che ha Antonio.
Non farmi ostacolare i tuoi desideri, Cassio.
Ti lascio.
CASSIO
Bruto, ti ho osservato negli ultimi tempi,
e non trovo nei tuoi occhi quella gentilezza
e quella dimostrazione d’affetto che solevo ricevere.
Hai la mano troppo dura e troppo estranea
con il tuo amico che ti vuole bene.
BRUTO
Cassio,
non ingannarti. Se ho velato il mio sguardo,
rivolgo il tormento del mio viso
solo a me stesso. Sono turbato
negli ultimi tempi da passioni contrastanti,
pensieri che riguardano me soltanto,
e che macchiano, forse, il mio comportamento.
Ma non per questo devono affliggersi i miei buoni amici –
nel cui novero, Cassio, contati pure –
né fare altre congetture sul fatto che li trascuro,
se non quella che il povero Bruto, in guerra con se stesso,
dimentica di manifestare affetto agli altri.
CASSIO
Allora, Bruto, ho proprio frainteso la passione
che ti muove, e perciò questo mio petto ha sepolto
pensieri di gran conto, riflessioni importanti.
Dimmi, caro Bruto, puoi vedere la tua faccia?
BRUTO
No, Cassio; perché l’occhio non vede se stesso
se non di riflesso, attraverso altri oggetti.
CASSIO
È così;
e ci si rammarica molto, Bruto, che tu non abbia
specchi che volgano ai tuoi occhi il tuo valore
nascosto, così che tu possa vedere la tua immagine
riflessa. Ho sentito molte persone di alta reputazione
qui a Roma – eccetto l’immortale Cesare –
che, parlando di Bruto, e gemendo sotto il giogo
di questa epoca, hanno espresso il desiderio
che il nobile Bruto abbia occhi.
BRUTO
In quali pericoli vorresti spingermi, Cassio,
invitandomi a cercare in me stesso
quello che in me non c’è?
CASSIO
Per questo, caro Bruto, preparati ad ascoltare.
E poiché tu sai di non poterti vedere bene
se non per riflesso, io, il tuo specchio,
rivelerò con discrezione a te stesso
quello che di te stesso tu ancora non conosci.
E non essere sospettoso con me, gentile Bruto.
Se io fossi un buffone qualsiasi, o fossi avvezzo
a svilire con volgari giuramenti il mio affetto
al primo venuto che mi assicuri il suo; se ti risulta
che scodinzolo con le persone e prima le abbraccio forte
e poi le calunnio; o se ti risulta
che, alle feste, io mi professo amico
di tutta la marmaglia, allora ritienimi pericoloso.
Fanfare e grida.
BRUTO
Che significano queste grida? Temo davvero
che il popolo scelga Cesare come suo re.
CASSIO
Ah, lo temi?
Allora devo pensare che non lo vorresti.
BRUTO
Non lo vorrei, Cassio, eppure gli voglio molto bene.
Ma perché mi trattieni qui così a lungo?
Cos’è che vuoi comunicarmi? Se è cosa che interessa
il bene comune, mettimi l’onore davanti ad un occhio
e la morte davanti all’altro, ed io guarderò
a entrambi senza far differenza;
perché possano aiutarmi gli dèi soltanto se io
amo la parola “onore” più di quanto tema la morte.
CASSIO
So che hai in te tale virtù, Bruto,
così come conosco il tuo aspetto esteriore.
Bene, l’onore è il soggetto della mia storia.
Non so dire che cosa tu e gli altri
pensiate di questa vita; ma, quanto a me,
preferirei non vivere piuttosto che stare
in soggezione di un essere che è pari a me stesso.
Io nacqui libero come Cesare, e così tu;
tutti e due ci siamo nutriti come lui, e tutti e due
possiamo sopportare il freddo dell’inverno come lui.
Una volta, infatti, in un giorno rigido e tempestoso,
con il Tevere agitato che infuriava contro le sue rive,
Cesare mi disse: “Oseresti, Cassio, gettarti ora
con me in questa rabbiosa corrente,
e nuotare fino a quel punto?”. A quelle parole,
vestito com’ero, io mi tuffai
e l’invitai a seguirmi; e lui lo fece.
Il fiume ruggiva, e noi lo percuotevamo
con muscoli vigorosi, aprendocelo davanti
e affrontandolo con cuore pieno di sfida.
Ma prima che potessimo raggiungere il punto indicato,
Cesare gridò: “Aiutami, Cassio, o affondo!”.
Io, come Enea, il nostro grande antenato,
che dalle fiamme di Troia si portò sulle spalle
il vecchio Anchise, dalle onde del Tevere
trassi fuori lo stanco Cesare. E quest’uomo
è ora diventato un dio, e Cassio
è una misera creatura e deve curvare la schiena,
solo che Cesare svagatamente gli faccia un cenno.
Ebbe una febbre quando era in Spagna,
e quando gli saliva forte, io osservavo
come egli tremava. È così, questo dio tremava!
Le sue labbra codarde disertavano il loro colore,
e quello stesso occhio il cui sguardo atterrisce il mondo
perdeva il suo lustro. L’ho udito gemere,
sì, e quella lingua, che comandava ai romani
di fargli attenzione e di scrivere in libri i suoi discorsi,
ahimè, gridava “Dammi da bere, Titinio”,
come una ragazzetta malata. Oh voi, dèi, mi sbalordisce
che un uomo di così debole tempra debba avere
il sopravvento in questo mondo maestoso
e portare la palma da solo. Fanfare. Grida.
BRUTO
Altre grida della folla?
Io credo proprio che questi applausi siano
per qualche nuovo onore che si riversa su Cesare.
CASSIO
Perché, amico, lui sta a cavalcioni di questo stretto mondo
come un Colosso, e noi, uomini meschini,
ci muoviamo sotto le sue gambe immense e sbirciamo
di qua e di là per trovarci disonorate tombe.
Gli uomini, in certi momenti, sono padroni del loro destino.
La colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle,
ma di noi stessi, che siamo degli schiavi.
“Bruto” e “Cesare”; che cosa c’è in quel “Cesare”?
Perché quel nome dovrebbe suonare meglio del tuo?
Scrivili entrambi, il tuo è un nome altrettanto buono.
Dà loro voce, il tuo s’addice alla bocca altrettanto bene.
Pesali, il tuo non è da meno. Usali per evocare spiriti,
“Bruto” ne farà apparire uno non più tardi di “Cesare”.
Ora, nel nome di tutti gli dèi in una volta,
di quale cibo si nutre questo nostro Cesare
da diventare così grande? Oh epoca, sei svergognata!
Roma, tu hai perso la stirpe del nobile sangue!
Quando mai è passata un’epoca, dopo il grande diluvio,
che non andasse famosa per più di un solo uomo?
Quando mai si è potuto dire, finora, parlando di Roma,
che le sue ampie strade non contenevano che un uomo?
Ora è Roma davvero un piccolo romitaggio,
se in essa non c’è che un uomo soltanto.
Oh, tu ed io abbiamo udito dire ai nostri padri
che ci fu un Bruto, un tempo, che avrebbe preferito
che il diavolo eterno tenesse corte a Roma
piuttosto che un re.
BRUTO
Che tu mi voglia bene, non lo dubito affatto.
A che cosa vorresti indurmi, posso congetturarlo.
Che cosa abbia pensato di questo, e di questi tempi,
te lo racconterò dopo. Per il momento,
non vorrei, se posso chiedertelo affettuosamente,
essere sollecitato oltre. Quello che hai detto
lo terrò in considerazione; quello che hai ancora da dire
lo ascolterò pazientemente, e troverò il momento
opportuno sia per ascoltare che per rispondere
a cose così alte. Fino ad allora, mio nobile amico,
rifletti su questo; Bruto preferirebbe essere un bifolco
piuttosto che reputarsi figlio di Roma
nelle dure condizioni a cui questi tempi
rischiano di sottoporci.
CASSIO
Sono contento
che le mie deboli parole abbiano attizzato
in Bruto questo accenno di fuoco.
Entrano Cesare e il suo seguito.
BRUTO
I giochi sono finiti e Cesare ritorna.
CASSIO
Mentre passano, tira Casca per la manica,
e lui ti racconterà, alla sua maniera acida,
che cosa è successo oggi che sia degno di nota.
BRUTO
Lo farò. Ma osserva, Cassio,
quel segno d’ira sulla fronte di Cesare,
e tutti gli altri hanno l’aspetto di gente redarguita.
Il volto di Calpurnia è pallido, e Cicerone
ha occhi di furetto, infuocati, come l’abbiamo visto
a volte in Campidoglio, quando viene contraddetto
nel dibattito da qualche senatore.
CASSIO
Casca ci racconterà cosa è successo.
CESARE
Antonio!
ANTONIO
Cesare?
CESARE
Fammi avere attorno uomini grassi,
dalla testa liscia, e che dormono la notte.
Quel Cassio ha un aspetto macilento e affamato;
pensa troppo. Uomini così sono pericolosi.
ANTONIO
Non lo temere, Cesare, non è pericoloso;
è un nobile romano, e ben disposto.
CESARE
Preferirei che fosse grasso! Ma non lo temo.
E però se il mio nome fosse esposto alla paura,
non so quale uomo eviterei di più
di quello sparuto Cassio. Legge molto,
è un grande osservatore, e spia nei segreti
delle azioni umane. Non ama il teatro,
come te, Antonio; non ascolta musica.
Raramente sorride, e sorride in un modo
come se sbeffeggiasse se stesso e schernisse il suo spirito
per essersi fatto spingere a sorridere di alcunché.
Uomini come lui non hanno mai il cuore in pace
se vedono uno più grande di loro,
e per questo sono pericolosi. Ti dico ciò
che è da temere, non già ciò che io temo;
perché io sono sempre Cesare. Vienimi qui a destra,
perché quest’orecchio è sordo,
e dimmi sinceramente cosa pensi di lui.
Trombe. Escono Cesare e il suo seguito, eccetto Casca.
CASCA
Mi hai tirato per il mantello. Vuoi parlarmi?
BRUTO
Sì, Casca; raccontaci cosa è successo oggi,
che Cesare appare così cupo.
CASCA
Come? Tu eri con lui, no?
BRUTO
In tal caso non chiederei a Casca cosa è successo.
CASCA
Beh, gli è stata offerta una corona; e quando gli è stata offerta, lui l’ha rifiutata col dorso della mano, così; e allora il popolo s’è messo a gridare.
BRUTO
E a cosa era rivolto il secondo clamore?
CASCA
Beh, alla stessa cosa.
CASSIO
Hanno gridato tre volte. Per che cos’era l’ultimo grido?
CASCA
Beh, per la stessa cosa.
BRUTO
La corona gli è stata offerta tre volte?
CASCA
Sì, perdio, e lui l’ha rifiutata tre volte, e ogni volta più debolmente; e ad ogni rifiuto la brava gente attorno a me gridava.
CASSIO
Chi gli ha offerto la corona?
CASCA
Ma come? Antonio.
BRUTO
Raccontaci in che modo, gentile Casca.
CASCA
Mi sarebbe più facile farmi impiccare che raccontarvi in che modo. È stata una vera buffonata; non ci ho fatto attenzione. Ho visto Marc’Antonio offrirgli la corona – e però non era nemmeno una corona, era una di quelle coroncine – e come vi dicevo, lui l’ha rifiutata una volta; ma, ciononostante, a mio parere, se la sarebbe tenuta volentieri. Allora quello gliela offre di nuovo; e allora lui la rifiuta di nuovo; ma a mio parere era molto riluttante a staccarci le dita. E allora quello gliel’ha offerta una terza volta. Lui l’ha rifiutata per la terza volta; e ogni volta che la respingeva la marmaglia strepitava e batteva le mani ruvide e gettava per aria le berrette sudate ed emetteva una tale quantità di fiato puzzolente, perché Cesare rifiutava la corona, da soffocarlo, quasi, Cesare, perché svenne e cadde per terra, a tutto questo. E, per parte mia, non osavo ridere per la paura di aprire le labbra e ricevere quell’aria cattiva.
CASSIO
Piano, ti prego; allora, Cesare è svenuto?
CASCA
È caduto giù, nel foro, e schiumava dalla bocca e non diceva parola.
BRUTO
È verosimile; ha il mal caduco.
CASSIO
No, non l’ha Cesare; ma tu, ed io,
e l’onesto Casca, noi abbiamo il mal caduco.
CASCA
Non so cosa vuoi dire, ma sono sicuro che Cesare è caduto in terra. Se tutti quegli straccioni non l’hanno applaudito e fischiato, a seconda di come lui gli piaceva e non gli piaceva, come fanno con gli attori a teatro, io sono un bugiardo.
BRUTO
Che cosa ha detto quando è ritornato in sé?
CASCA
Perdio, prima di cadere, quando s’è accorto che il vile gregge era contento che rifiutava la corona, lui si apre il corpetto e offre loro la gola da tagliare. E se io fossi stato uno di quegli artigiani, l’avrei preso in parola, che possa altrimenti andare all’inferno tra le canaglie. E così cadde. Quando ritornò in sé, disse che se aveva fatto o detto qualcosa di sbagliato desiderava che le loro signorie pensassero che era per la sua infermità. Tre o quattro ragazzette, lì dove stavo io, gridarono “Ahi, pover’anima” e lo perdonarono con tutto il cuore. Ma non bisogna farci caso a quelle; se Cesare avesse pugnalato le loro madri, avrebbero fatto lo stesso.
BRUTO
E dopo questo se n’è venuto via così cupo?
CASCA
Sì.
CASSIO
E Cicerone ha detto qualcosa?
CASCA
Sì, ha parlato in greco.
CASSIO
Per dire cosa?
CASCA
Beh, se ve lo dicessi non potrei più guardarvi in faccia. Ma quelli che l’hanno capito si sono scambiati un sorriso e hanno scosso la testa; ma, per quel che mi riguarda, per me era greco. Potrei darvi anche altre notizie; Marullo e Flavio, per aver tolto addobbi dalle statue di Cesare, sono stati messi a tacere. Addio. Ci sono state altre buffonate, ma non me le ricordo.
CASSIO
Vuoi cenare con me stasera, Casca?
CASCA
No, sono impegnato.
CASSIO
Vuoi cenare con me domani?
CASCA
Sì, se sarò vivo, e tu non cambierai idea, e la tua cena sarà all’altezza.
CASSIO
Bene, ti aspetterò.
CASCA
D’accordo. Addio a tutti e due. Esce.
BRUTO
Com’è diventato rozzo di cervello quest’uomo!
Era di acuta tempra quando andava a scuola.
CASSIO
E lo è ancora per eseguire
qualsiasi impresa audace o nobile,
anche se assume questi modi balordi.
Questa rudezza è come una salsa per il suo ingegno,
che dispone lo stomaco degli altri a digerire
le sue parole con maggior appetito.
BRUTO
E sia così. Per ora ti lascio.
Domani, se vorrai parlarmi,
verrò a casa tua; o, se vuoi,
vieni tu da me, e ti aspetterò.
CASSIO
Lo farò. Fino ad allora, pensa a come va ora il mondo.
Bruto esce.
Ebbene, Bruto, tu sei nobile, eppure vedo
che la tua onorevole tempra può essere lavorata
e cambiata dalla sua inclinazione. Perciò è opportuno
che gli spiriti nobili stiano sempre con i loro pari;
perché chi è così fermo da non poter essere sedotto?
Cesare ce l’ha con me, ma ama Bruto.
Se io ora fossi Bruto, e lui fosse Cassio,
non mi smuoverebbe dalla mia disposizione. Stanotte
getterò alle sue finestre scritti di mani diverse,
come se provenissero da diversi cittadini,
scritti tutti intesi a mostrare la grande opinione
che Roma ha del suo nome, e velatamente
vi si farà cenno all’ambizione di Cesare.
E, dopo questo, che Cesare si tenga ben forte,
perché noi lo butteremo giù o patiremo peggior sorte.
Esce.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Tuoni e fulmini. Entrano Casca, con la spada sguainata, e Cicerone.
CICERONE
Buona sera, Casca. Hai portato Cesare a casa?
Perché sei senza fiato, e perché sbarri gli occhi?
CASCA
Tu non ti spaventi quando l’intero regno della terra
si scuote come cosa malferma? Oh, Cicerone,
ho visto tempeste in cui i litigiosi venti
spaccavano le querce nodose, e ho visto
l’ambizioso oceano gonfiarsi e infuriare e schiumare
per elevarsi fino alle minaccianti nuvole;
ma mai, fino a stanotte, mai finora,
mi sono trovato in una tempesta che piove fuoco.
O c’è guerra civile nei cieli,
oppure questo mondo, troppo insolente con gli dèi,
li accende di tale ira che essi mandano distruzione.
CICERONE
Ma hai visto qualcosa di più stupefacente?
CASCA
Un comune schiavo – lo conosci di vista – ha alzato
la mano sinistra e quella s’è infiammata, bruciando
come venti torce tutte insieme, e tuttavia la sua mano,
insensibile al fuoco, è rimasta intatta.
Inoltre – da allora non ho rinfoderato la spada –
davanti al Campidoglio ho incontrato un leone
che m’ha guardato fisso e se n’è andato via torvo,
senza farmi alcun male. E si sono riunite
in un sol mucchio cento donne simili a fantasmi,
stravolte dalla paura, che giuravano d’aver visto
uomini in fiamme andare su e giù per le strade.
E ieri il barbagianni s’è seduto
in pieno mezzogiorno in mezzo al Foro,
urlando e stridendo. Quando simili prodigi
s’incontrano tutti insieme, non si dica
“Eccone le ragioni, sono cose naturali”;
perché io credo che siano cattivi presagi
per il paese a cui sono rivolti.
CICERONE
In verità, è un tempo ben stranamente disposto.
Ma gli uomini possono interpretare le cose a loro modo,
ben lungi dal proposito delle cose stesse.
Cesare viene in Campidoglio domani?
CASCA
Sì, infatti ha detto ad Antonio
di mandarti parola che sarà lì domani.
CICERONE
Buona notte, allora, Casca. Questo cielo sconvolto
non invita ad andare in giro.
CASCA
Arrivederci, Cicerone.
Esce Cicerone.
Entra Cassio.
CASSIO
Chi è là?
CASCA
Un romano.
CASSIO
Casca, dalla voce.
CASCA
Hai l’orecchio buono. Cassio, che notte è questa!
CASSIO
Una notte molto piacevole per gli uomini onesti.
CASCA
Chi ha mai saputo che i cieli potessero minacciare così?
CASSIO
Chi sapeva che la terra era così piena di colpe.
Per parte mia, ho girato per le strade,
esponendomi alla pericolosa notte,
e, sbottonato così, Casca, come tu vedi,
mi sono denudato il petto al fulmine;
e quando l’azzurro lampo zigzagante
sembrava aprire il seno del cielo, mi offrivo
al suo bersaglio e al suo bagliore.
CASCA
Ma perché hai tentato i cieli fino a questo punto?
È la parte degli uomini quella di temere e tremare
quando i potentissimi dèi ci mandano come segni
tali terribili araldi per sgomentarci.
CASSIO
Sei ottuso, Casca, e quelle scintille di vita
che dovrebbe avere un romano a te mancano,
oppure non ne fai uso. Sei pallido, e sbarri gli occhi,
e ti copri di paura, e ti getti nella stupefazione,
a vedere la strana irrequietezza dei cieli.
Ma se tu volessi considerare la vera causa
di tutti questi fuochi, di tutti questi spettri vaganti,
di uccelli e bestie lontani dalla loro natura,
di vecchi, idioti e bambini che vanno almanaccando,
perché tutte queste cose si mutano dal loro ordine,
dalla loro natura e dalle loro congenite facoltà,
per assumere qualità mostruose, perché, troverai
che i cieli hanno infuso in loro un tale spirito
per farli strumenti di paura e di ammonimento
riguardo a un qualche mostruoso stato.
Ora io potrei, Casca, nominarti un uomo
del tutto simile a questa tremenda notte,
il quale tuona, lampeggia, scoperchia tombe
e ruggisce come fa il leone in Campidoglio –
un uomo che non è più potente di te o di me
per capacità di azione personale, ma che è diventato
portentoso e terribile, come questi strani sconvolgimenti.
CASCA
È Cesare che intendi, non è così, Cassio?
CASSIO
Sia chi sia; perché ora i romani
hanno muscoli e braccia come i loro antenati,
ma, ahimè tempi!, lo spirito dei nostri padri è morto,
e siamo governati da quello delle nostre madri.
Sopportando il nostro giogo ci mostriamo femmine.
CASCA
In effetti si dice che domani i senatori
vogliano nominare Cesare re,
e porterà la corona per mare e per terra,
dovunque, salvo qui in Italia.
CASSIO
Io so dove porterò questo pugnale allora;
Cassio dalla schiavitù libererà Cassio.
In tal modo, oh dèi, voi rendete i deboli i più forti;
in tal modo, oh dèi, voi sconfiggete i tiranni.
Né torre di pietra, né muri di bronzo battuto,
né prigione senz’aria, né forti catene di ferro
possono rinchiudere la forza dello spirito;
ma la vita, stanca di queste sbarre terrene,
non perde mai il potere di dimettere se stessa.
Se io so questo, sappia il mondo intero
che quella parte di tirannia che sopporto
io posso scrollarmela via a mio piacere.
Ancora tuoni.
CASCA
Così posso anch’io.
Così ogni schiavo ha nella sua mano
il potere di cancellare il suo servaggio.
CASSIO
E perché allora Cesare deve essere tiranno?
Pover’uomo, so che non vorrebbe essere lupo,
senonché vede che i romani sono pecore.
Non sarebbe leone, se i romani non fossero cervi.
Coloro che in fretta vogliono fare un grande fuoco
cominciano con fili di paglia. Che sterpaglia è Roma,
che stoppia, che spazzatura, se serve
da materia vile per illuminare
cosa indegna quale è Cesare! Ma, oh affanno,
dove m’hai condotto? Io forse dico questo
a uno schiavo contento di esserlo; in tal caso,
so che dovrò risponderne. Ma sono temprato,
e i pericoli mi sono indifferenti.
CASCA
Tu parli a Casca, a un uomo che non è
un irridente delatore. Ecco qua la mano.
Forma una fazione per rimediare a questi torti,
e io spingerò questo mio piede fino al punto che toccherà
chi più in là si sarà spinto.
CASSIO
Il patto è fatto.
Ora sappi, Casca, che ho già convinto alcuni
dei più nobili romani a intraprendere con me
un’impresa di natura onorevole e pericolosa;
e so che in questo momento mi aspettano
nel portico di Pompeo, perché ora, in questa
paurosa notte, non c’è movimento per le strade,
e l’umore del cielo ha lo stesso aspetto
dell’opera che abbiamo per mano,
assai sanguinario, infuocato, e terribilissimo.
Entra Cinna.
CASCA
Sta’ da parte un momento, arriva uno di corsa.
CASSIO
È Cinna. Lo riconosco dall’andatura.
È un amico. Cinna, dove corri così?
CINNA
A cercarti. Chi è quello? Metello Cimbro?
CASSIO
No, è Casca, uno che si è unito
alla nostra impresa. Mi aspettano, Cinna?
CINNA
Ne sono contento. Che notte paurosa è questa!
Due o tre di noi hanno visto strani spettacoli.
CASSIO
Mi aspettano? Parla.
CINNA
Sì, ti aspettano.
Oh, Cassio, se solo tu potessi portare
il nobile Bruto dalla nostra parte…
CASSIO
Sta’ tranquillo. Buon Cinna, prendi questo foglio
e guarda di metterlo sul sedile pretorio
dove Bruto possa trovarlo; e getta questo
nella sua finestra. Attacca questo con la cera
alla statua del vecchio Bruto. Fatto tutto ciò,
ripara al portico di Pompeo, dove ci troverai.
Ci sono lì Decio Bruto e Trebonio?
CINNA
Tutti, tranne Metello Cimbro, che è andato
a cercarti a casa tua. Bene, mi affretto
a distribuire questi fogli come mi hai ordinato.
CASSIO
Fatto questo, ripara al teatro di Pompeo. Esce Cinna.
Vieni, Casca, tu ed io, prima che faccia giorno,
vedremo Bruto a casa sua. Tre parti di lui
sono già nostre, e l’uomo intero
al prossimo incontro si concederà a noi.
CASCA
Oh, lui ha un posto molto alto nel cuore della gente;
e ciò che in noi apparirebbe un crimine,
il suo appoggio, come ricchissima alchimia,
lo tramuterà in virtù ed in valore.
CASSIO
Lui, e il suo valore, e il nostro grande bisogno di lui,
hai espresso tutto molto bene. Andiamo,
che è passata mezzanotte; e, prima che faccia giorno,
lo sveglieremo e ce lo assicureremo. Escono.
Giulio Cesare
(“Julius Caesar” – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V