(“Julius Caesar” – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUINTO – SCENA PRIMA
Entrano Ottaviano, Antonio e il loro esercito.
OTTAVIANO
Ora, Antonio, le nostre speranze si avverano.
Tu dicevi che il nemico non sarebbe sceso,
ma si sarebbe tenuto sulle colline e sugli altipiani.
Non risulta così. Le loro truppe sono vicine;
intendono sfidarci qui a Filippi, rispondendo
prima che noi li chiamiamo in campo.
ANTONIO
Macché, io gli leggo nell’animo e so perché
lo fanno. Sarebbero ben contenti di trovarsi
altrove, e vengono giù con una magnificenza
piena di paura, pensando che tale facciata
possa farci credere che abbiano coraggio.
Ma non è così.
Entra un messaggero.
MESSAGGERO
Preparatevi, generali.
Il nemico arriva facendo mostra di valore.
Il loro sanguinoso vessillo di battaglia è già issato,
e bisogna fare qualcosa immediatamente.
ANTONIO
Ottaviano, porta avanti il tuo esercito lentamente,
sul lato sinistro della pianura.
OTTAVIANO
Sul lato destro, io; tieni tu quello sinistro.
ANTONIO
Perché mi contrari in un frangente come questo?
OTTAVIANO
Io non ti contrario; ma farò così.
Tamburi. Entrano Bruto, Cassio, e i loro eserciti, con Lucilio, Titinio e Messala.
BRUTO
Stanno fermi e vogliono parlamentare.
CASSIO
Fermati, Titinio. Dobbiamo farci avanti e parlare.
OTTAVIANO
Marc’Antonio, dobbiamo dare il segnale di battaglia?
ANTONIO
No, Cesare, risponderemo quando ci attaccano.
Va’ avanti, i generali vogliono parlare.
OTTAVIANO
Non muovetevi fino al segnale.
BRUTO
Parole prima che colpi; non è così, compatrioti?
OTTAVIANO
Non è che noi amiamo di più le parole, come fate voi.
BRUTO
Buone parole sono meglio che cattivi colpi, Ottaviano.
ANTONIO
Nei tuoi cattivi colpi, Bruto, tu ci metti buone parole.
Lo testimonia il buco che hai fatto nel cuore di Cesare,
gridando “Ave, Cesare! Lunga vita!”.
CASSIO
Antonio,
come porterai i tuoi colpi ancora non si sa;
ma, quanto alle tue parole, depredano le api di Ibla
lasciandole senza miele.
ANTONIO
E non anche senza il pungiglione?
BRUTO
Oh sì, e senza suono anche!
Perché hai rubato loro il ronzìo, Antonio,
e molto saggiamente minacci prima di pungere.
ANTONIO
Canaglie! Voi non lo faceste quando i vostri vili pugnali
si spezzarono l’uno contro l’altro dentro ai fianchi
di Cesare. Mostravate i denti come scimmie, vi strusciavate
come cani, e v’inchinavate come schiavi, baciando
i piedi di Cesare; mentre il dannato Casca, cane bastardo,
colpì dal di dietro Cesare al collo. Oh, voi adulatori!
CASSIO
Adulatori? Ora, Bruto, ringrazia te stesso.
Questa lingua non avrebbe offeso così, oggi,
se Cassio fosse stato ascoltato.
OTTAVIANO
Via, via, ai fatti. Se il discutere ci fa sudare,
il metterlo alla prova produrrà gocce più rosse.
Guardate, io sguaino la spada contro i cospiratori.
Quando pensate che tornerà nel fodero?
Mai, finché le trentatré ferite di Cesare
non saranno state vendicate, o finché un altro Cesare
non abbia aggiunto un altro massacro alle spade dei traditori.
BRUTO
Cesare, tu non potrai morire per mano di traditori,
a meno che non te li porti dietro con te.
OTTAVIANO
Lo spero.
Non sono nato per morire sulla spada di Bruto.
BRUTO
Oh, se tu fossi il più nobile della tua stirpe,
giovanotto, non potresti morire in modo più onorevole.
CASSIO
Uno sciocco scolaretto, indegno di tale onore,
unito a un istrione, a un dissoluto.
ANTONIO
Sempre il vecchio Cassio!
OTTAVIANO
Vieni, Antonio. Via!
La nostra sfida, traditori, ve la gettiamo nei denti.
Se osate combattere oggi, venite sul campo;
se no, quando avrete il fegato.
Escono Ottaviano, Antonio e il loro esercito.
CASSIO
Ebbene, soffia, vento, gonfiati, mare, e nuota, nave!
La tempesta è scatenata, e tutto è in gioco.
BRUTO
Ehi, Lucilio! Ascolta, devo dirti una cosa.
LUCILIO (facendosi avanti)
Mio signore?
Bruto e Lucilio parlano a parte.
CASSIO
Messala.
MESSALA (facendosi avanti)
Che dice il mio generale?
CASSIO
Messala,
oggi è il mio compleanno; proprio in questo giorno
nacque Cassio. Dammi la mano, Messala.
Siimi testimone che, contro la mia volontà –
come già accadde a Pompeo – sono costretto a giocarmi
in un’unica battaglia tutte le nostre libertà.
Tu sai che tenevo in gran conto Epicuro
e le sue idee. Ora cambio opinione e, in parte,
do credito a cose che lasciano presagire.
Quando partimmo da Sardi, sui nostri due primi vessilli
piombarono due aquile poderose, e vi restarono appollaiate,
cibandosi e ingozzandosi dalle mani dei soldati,
e ci hanno tenuto compagnia fin qui a Filippi.
Stamattina sono volate via e sparite,
e, al loro posto, corvi, cornacchie e avvoltoi
volano sulle nostre teste e ci guardano in basso
come prede moribonde. Le loro ombre sembrano
un fatale baldacchino, sotto il quale giace
il nostro esercito, pronto a rendere l’anima.
MESSALA
Non credere a questo.
CASSIO
Ci credo solo in parte,
perché il mio spirito è pieno di vigore e sono deciso
ad affrontare ogni pericolo con grande fermezza.
BRUTO
Proprio così, Lucilio.
CASSIO
E ora, nobilissimo Bruto,
ci siano amici oggi gli dèi, in modo che possiamo,
sereni compagni, vivere i nostri giorni fino alla vecchiaia!
Ma, poiché le vicende degli uomini restano sempre incerte,
consideriamo anche il peggio che potrebbe accaderci.
Se perderemo questa battaglia, allora questa
è l’ultima volta che ci parliamo.
Che cosa sei deciso, in tal caso, a fare?
BRUTO
Farò secondo la regola di quella filosofia
in base alla quale biasimai Catone per la morte
che si diede – non so come, ma trovo
codardo e vile accorciare così il tempo della vita,
per il timore di quel che potrebbe accadere –
e mi armerò di pazienza in attesa del disegno
previsto da qualche alta potenza
che ci governa quaggiù.
CASSIO
Allora, se perdiamo questa battaglia,
sarai pronto a sfilare nel loro trionfo
per le strade di Roma?
BRUTO
No, Cassio, no. Non credere, tu nobile romano,
che mai Bruto andrà a Roma in catene.
Ha uno spirito troppo grande. Ma questo giorno
deve concludere l’opera cominciata alle Idi di marzo,
e se ci incontreremo di nuovo io non lo so.
Perciò diamoci l’ultimo addio.
Per sempre e per sempre, addio, Cassio!
Se ci incontreremo di nuovo, sorrideremo di questo.
Altrimenti, questo commiato sarà stato ben fatto.
CASSIO
Per sempre e per sempre, addio, Bruto.
Se ci incontreremo di nuovo, sorrideremo davvero di questo.
Altrimenti, è vero che questo commiato sarà stato ben fatto.
BRUTO
Ebbene, allora, va’ avanti. Oh, se un uomo potesse sapere
la fine delle vicende di quest’oggi prima che essa arrivi!
Ma è sufficiente che questo giorno finisca,
e allora si saprà la fine. Andiamo, voi tutti, via!
Escono.
ATTO QUINTO – SCENA SECONDA
Tamburi e trombe. Entrano Bruto e Messala.
BRUTO
A cavallo, a cavallo, Messala, a cavallo,
porta questi ordini alle legioni dell’altra ala.
Forti tamburi e trombe.
Che avanzino immediatamente, perché scorgo
nell’ala di Ottaviano un atteggiamento privo di ardore,
e un assalto improvviso li sbaraglierà.
A cavallo, a cavallo, Messala, falli venir giù tutti!
Escono.
ATTO QUINTO – SCENA TERZA
Tamburi e trombe. Entrano Cassio e Titinio.
CASSIO
Oh, guarda, Titinio, guarda, le canaglie fuggono!
Io stesso sono diventato nemico dei miei.
Questo mio alfiere stava voltando le spalle;
ho ucciso il codardo e gli ho preso l’insegna.
TITINIO
Oh, Cassio, Bruto ha dato l’ordine troppo presto,
perché, avendo un vantaggio su Ottaviano, s’è mosso
con troppa precipitazione. I suoi soldati si sono dati
al saccheggio, mentre noi siamo circondati da Antonio.
Entra Pindaro.
PINDARO
Fuggi più lontano, mio signore, fuggi più lontano!
Marc’Antonio è nel tuo accampamento, mio signore.
Fuggi, perciò, nobile Cassio, fuggi più lontano!
CASSIO
Questa collina è lontana abbastanza. Guarda, guarda,
Titinio – sono mie quelle tende dove scorgo il fuoco?
TITINIO
Lo sono, mio signore.
CASSIO
Titinio, se mi vuoi bene,
monta sul mio cavallo, e dagli di sprone
finché non ti abbia portato da quelle truppe
e poi di nuovo qui, in modo che io possa sapere
se quelle truppe sono amiche o nemiche.
TITINIO
Sarò di ritorno in un baleno. Esce.
CASSIO
Va’, Pindaro, sali su quel colle; la mia vista
è sempre stata imperfetta. Segui Titinio con lo sguardo
e dimmi quello che osservi sul campo.
Pindaro sale.
Questo è il giorno in cui trassi il primo respiro.
Il tempo ha compiuto il suo giro, e dove cominciai,
lì finirò. La mia vita ha chiuso il suo cerchio.
Compagno, che notizie?
PINDARO (dall’alto)
Oh, mio signore!
CASSIO
Che notizie?
PINDARO
Titinio viene circondato da ogni parte
da cavalieri che danno di sprone verso di lui,
ma anche lui dà di sprone. Ora gli sono quasi addosso.
Ora Titinio… Ora alcuni smontano. Oh, smonta anche lui!
È preso! (Urli) E ascolta! Urlano di gioia.
CASSIO
Vieni giù, non guardare oltre.
Oh, codardo che sono, a vivere tanto da vedere
il mio migliore amico preso sotto i miei occhi.
Entra Pindaro.
Vieni qui, compagno.
Ti presi prigioniero in Parzia,
e ti feci giurare, nel salvarti la vita,
che qualsiasi cosa ti avessi ordinato di fare,
tu l’avresti fatta. Su, ora mantieni il tuo giuramento.
Diventa ora un uomo libero, e con questa buona spada,
che ha trafitto le viscere di Cesare, sonda questo petto.
Non fermarti a rispondere. Qui, prendi l’elsa,
e quando mi sarò coperto il volto, come faccio ora,
guida tu la spada. Cesare, sei vendicato
con la stessa spada che ti uccise. Muore.
PINDARO
Così, sono libero; ma non avrei voluto esserlo, così,
se avessi osato fare come volevo. Oh, Cassio!
Lontano da questo paese fuggirà Pindaro,
dove nessun romano potrà vederlo. Esce.
Entrano Titinio e Messala.
MESSALA
Non sono che alterne vicende, Titinio; perché Ottaviano
è sgominato dall’esercito del nobile Bruto,
così come le legioni di Cassio lo sono da Antonio.
TITINIO
Queste notizie conforteranno Cassio.
MESSALA
Dove lo hai lasciato?
TITINIO
Tutto sconsolato,
insieme a Pindaro, il suo schiavo, su questa collina.
MESSALA
Non è lui che giace lì in terra?
TITINIO
Non giace come uno vivo. Oh, mio cuore!
MESSALA
Non è lui?
TITINIO
No, questo era lui, Messala,
ma Cassio non è più. O sole calante,
come nei tuoi rossi raggi affondi nella notte,
così nel suo rosso sangue il giorno di Cassio è calato.
Il sole di Roma è calato. La nostra giornata è finita;
nuvole, guazze, e pericoli sopraggiungono;
le nostre gesta sono terminate. La sfiducia
nel mio successo ha compiuto questo atto.
MESSALA
La sfiducia nel successo ha compiuto questo atto.
O odioso Errore, figlio della Malinconia,
perché mostri alla mente impressionabile dell’uomo
cose che non sono? O Errore, concepito in fretta,
tu non raggiungi mai una nascita felice,
ma uccidi la madre che t’ha generato.
TITINIO
Ehi, Pindaro? Dove sei, Pindaro?
MESSALA
Cercalo, Titinio, mentre io vado incontro
al nobile Bruto, per trafiggergli gli orecchi
con questa notizia. Ben posso dire trafiggergli,
perché acuminato acciaio e frecce avvelenate
sarebbero accolti dagli orecchi di Bruto altrettanto
volentieri della notizia di questo spettacolo.
TITINIO
Vai, Messala, e io cercherò Pindaro nel frattempo.
Esce Messala.
Perché mi hai mandato avanti, valoroso Cassio?
Non ho forse incontrato i tuoi amici, e non mi hanno messo
intorno alla fronte questa ghirlanda di vittoria,
chiedendomi di darla a te? Non hai udito le loro grida?
Ahimè, tu hai male interpretato ogni cosa.
Ma tieni, accetta questa ghirlanda sulla tua fronte –
il tuo Bruto mi ha chiesto di dartela, ed io farò
come lui voleva. Bruto, vieni in fretta,
e guarda come ho onorato Caio Cassio.
Col vostro permesso, dèi. Questo è un atto da romano.
Vieni, spada di Cassio, trova il cuore di Titinio.
Si trafigge e muore.
Tamburi e trombe. Entrano Bruto, Messala, il giovane Catone, Stratone, Volunnio e Lucilio.
BRUTO
Dove, dove giace il suo corpo, Messala?
MESSALA
Ecco, laggiù, e Titinio lo piange.
BRUTO
La faccia di Titinio è volta in alto.
CATONE
Si è ucciso.
BRUTO
O Giulio Cesare, sei potente ancora!
Il tuo spirito vaga qui in terra e volge le nostre spade
dentro le nostre stesse viscere.
Tamburi e trombe lontani.
CATONE
Valoroso Titinio!
Guardate come ha incoronato Cassio morto.
BRUTO
Vivono ancora due romani come questi?
Ultimo di tutti i romani, addio.
Non è possibile che mai Roma generi
uno a te pari. Amici, devo più lacrime
a quest’uomo morto di quante me ne vedrete pagare.
Troverò il tempo, Cassio, troverò il tempo.
Venite dunque, e mandate il suo corpo a Taso.
Il suo funerale non avrà luogo nel nostro accampamento,
perché non abbia a sconfortarci. Lucilio, vieni,
e anche tu vieni, giovane Catone; andiamo in campo.
Labeone e Flavio, dispiegate le truppe.
Sono le tre; e prima che sia notte, romani,
tenteremo la sorte in una seconda battaglia.
Escono.
ATTO QUINTO – SCENA QUARTA
Tamburi e trombe. Entrano Bruto, Messala, il giovane Catone, Lucilio e Flavio.
BRUTO
Su, ancora, compatrioti, oh ancora, tenete alta la testa!
[Esce, seguito da Messala e Flavio.]
CATONE
E chi è il bastardo che non lo fa? Chi viene con me?
Proclamerò il mio nome nel campo di battaglia.
Io sono il figlio di Marco Catone, ehi!
Nemico dei tiranni, e amico della mia patria.
Io sono il figlio di Marco Catone, ehi!
Entrano altri soldati e combattono.
LUCILIO
Ed io sono Bruto, Marco Bruto, io!
Bruto, amico della mia patria! Riconoscetemi per Bruto!
Catone viene ucciso.
Oh, giovane nobile Catone, sei caduto?
Ebbene, ora tu muori valorosamente come Titinio,
e puoi essere onorato come il vero figlio di Catone.
PRIMO SOLDATO
Arrenditi o muori.
LUCILIO
Mi arrendo solo alla morte.
[Offrendo denaro] Eccoti abbastanza perché tu mi uccida immediatamente.
Uccidi Bruto, e sarai onorato per la sua morte.
PRIMO SOLDATO
Non dobbiamo farlo. Un nobile prigioniero!
SECONDO SOLDATO
Fate largo! Dite ad Antonio che Bruto è stato preso.
PRIMO SOLDATO
Darò io la notizia.
[Entra Antonio.]
Ecco che arriva il generale.
Bruto è stato preso, Bruto è stato preso, mio signore!
ANTONIO
Dov’è?
LUCILIO
Al sicuro, Antonio, Bruto è al sicuro.
Oso confermarti che nessun nemico
prenderà mai vivo il nobile Bruto.
Gli dèi lo difendano da una così grande vergogna!
Quando lo troverete, vivo o morto,
sarà il Bruto vero, Bruto in carne e ossa.
ANTONIO
Questi non è Bruto, amico, ma, ti assicuro,
una preda di non minor valore. Che quest’uomo sia salvo;
trattatelo con ogni gentilezza. Uomini così
preferisco averli amici che nemici. Andate,
vedete se Bruto è vivo o morto;
e riferiteci nella tenda di Ottaviano
come va a finire tutto quanto. Escono.
ATTO QUINTO – SCENA QUINTA
Entrano Bruto, Dardanio, Clito, Stratone e Volunnio.
BRUTO
Venite, poveri amici rimasti, a riposare su questa roccia.
CLITO
Statilio ha mandato il segnale con la torcia, ma, signore,
non è tornato indietro. È stato preso o ucciso.
BRUTO
Siediti, Clito; ucciso è la parola giusta,
è l’azione consueta adesso. Ascolta, Clito.
Gli bisbiglia.
CLITO
Cosa? Io, mio signore? No, per il mondo intero!
BRUTO
Zitto, allora. Non una parola.
CLITO
Piuttosto uccido me stesso.
BRUTO
Ascolta tu, Dardanio!
Gli bisbiglia.
DARDANIO
Devo fare un tale atto?
CLITO
Oh, Dardanio!
DARDANIO
Oh, Clito!
CLITO
Che crudele richiesta ti ha fatto Bruto?
DARDANIO
Di ucciderlo, Clito. Guarda, sta meditando.
CLITO
Ora quel nobile vaso è così pieno di dolore,
che gli trabocca giù dagli occhi.
BRUTO
Vieni qui, buon Volunnio, ascolta una parola.
VOLUNNIO
Che dice il mio signore?
BRUTO
Questo, Volunnio:
lo spettro di Cesare mi è apparso di notte
in due diverse circostanze – una volta a Sardi,
e la scorsa notte qui nella pianura di Filippi.
So che la mia ora è giunta.
VOLUNNIO
Non è così, mio signore.
BRUTO
No, sono sicuro che lo è, Volunnio.
Tu vedi come va il mondo, Volunnio. I nostri nemici
ci hanno sconfitto portandoci fin sull’orlo della fossa.
Tamburi e trombe in lontananza.
È più nobile saltarci dentro da soli
che attendere che ci diano la spinta. Buon Volunnio,
tu sai che siamo andati a scuola insieme.
In nome di quel nostro affetto così antico, ti prego,
reggimi l’elsa, mentre io mi ci getto sopra.
VOLUNNIO
Non è il compito di un amico, mio signore.
Ancora tamburi e trombe.
CLITO
Fuggi, fuggi, mio signore, non è tempo di indugiare qui.
BRUTO
Addio a te; e a te; e a te, Volunnio.
Stratone, hai dormito tutto questo tempo;
addio anche a te, Stratone. Compatrioti,
il mio cuore gioisce perché in tutta la mia vita
non ho mai trovato uomo che non mi sia stato fedele.
Avrò più gloria da questo giorno di sconfitta
di quanta Ottaviano e Marc’Antonio
otterranno con questa loro infame vittoria.
Così addio, in fretta, perché la lingua di Bruto
ha quasi terminato la storia della sua vita.
La notte incombe sui miei occhi; le mie ossa chiedono
riposo, dopo aver faticato per raggiungere quest’ora.
Trombe e tamburi. Urli di “Fuggi, fuggi, fuggi!”.
CLITO
Fuggi, mio signore, fuggi!
BRUTO
Andate via! Vi seguirò.
Escono Clito, Dardanio e Volunnio.
Ti prego, Stratone, resta con il tuo signore.
Tu sei un uomo di buona reputazione;
la tua vita possiede il sapore dell’onore.
Reggi dunque la mia spada, e volta la faccia,
mentre mi ci getto sopra. Lo farai, Stratone?
STRATONE
Dammi la mano prima. Addio, mio signore.
BRUTO
Addio, buon Stratone. Cesare, calmati adesso.
Non ti uccisi così volentieri come ora me stesso.
Si getta sulla spada e muore.
Trombe e tamburi. Ritirata. Entrano Antonio, Ottaviano, Messala, Lucilio e l’esercito.
OTTAVIANO
Chi è quest’uomo?
MESSALA
L’uomo del mio capo. Stratone, dov’è il tuo capo?
STRATONE
Libero dalla schiavitù in cui tu ti trovi, Messala.
I vincitori non possono farne che un rogo.
Perché solo Bruto ha sopraffatto se stesso,
e nessuno riceve onore dalla sua morte.
LUCILIO
Così doveva essere trovato Bruto. Ti ringrazio, Bruto,
hai dimostrato vere le parole di Lucilio.
OTTAVIANO
Tutti quelli che hanno servito Bruto io li prenderò con me.
Uomo, vuoi dedicare a me il tuo tempo?
STRATONE
Sì, se Messala mi raccomanda a voi.
OTTAVIANO
Fallo, buon Messala.
MESSALA
Come è morto il mio capo, Stratone?
STRATONE
Io ho retto la spada e lui si è gettato sopra.
MESSALA
Ottaviano, prendilo allora al tuo seguito,
lui che ha reso l’ultimo servizio al mio capo.
ANTONIO
Questo fu il più nobile romano di loro tutti.
Tutti i cospiratori, salvo lui soltanto, hanno fatto
quel che hanno fatto per invidia del grande Cesare.
Soltanto lui, in un onesto progetto generale
e per il bene di tutti, diede unità alla congiura.
La sua vita fu nobile, e gli elementi erano
così ben composti in lui che la Natura potrebbe alzarsi
e proclamare al mondo: “Questo fu un uomo!”.
OTTAVIANO
Trattiamolo secondo il suo valore,
con ogni rispetto e con riti di sepoltura.
Dentro la mia tenda giaceranno stanotte le sue ossa,
come si conviene a un soldato, trattato con onore.
Chiamate al riposo tutti quanti in campo, e noi andiamo
a dividerci le glorie di questo felice giorno. Escono.
Giulio Cesare
(“Julius Caesar” – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V