(“Julius Caesar” – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entra Bruto nel suo giardino.
BRUTO
Ehi, Lucio, oh!
Non riesco a indovinare, dal movimento delle stelle,
quanto sia vicino il giorno. Lucio, dico! Vorrei
che fosse mio il difetto di dormire così profondamente.
Ti muovi, Lucio, allora? Sveglia, dico! Lucio!
Entra Lucio.
LUCIO
Avete chiamato, mio signore?
BRUTO
Portami una candela nello studio, Lucio.
Quando l’hai accesa, vieni qui a chiamarmi.
LUCIO
Lo faccio, mio signore. Esce.
BRUTO
Dev’essere con la sua morte; e, per parte mia,
non ho nessuna ragione personale per recalcitrare a lui;
solo il bene comune. Vorrebbe farsi incoronare;
come ciò potrebbe cambiare la sua natura, ecco la domanda.
È il giorno luminoso a tirare fuori la vipera,
e quella richiede un passo circospetto. L’incoroniamo,
e allora, certo, gli forniamo una punta
con cui può a piacimento procurare danni.
L’abuso della grandezza si ha quando essa disgiunge
la pietà dal potere; e, a dir la verità di Cesare,
non l’ho mai visto governato dalle passioni
più che dalla ragione. Ma è esperienza comune
che l’umiltà è la scala dell’ambizione in boccio,
alla quale chi sale rivolge la faccia;
ma una volta che ha raggiunto l’ultimo gradino,
allora volta le spalle alla scala,
guarda alle nuvole, disprezzando i bassi gradini
per i quali era asceso. Così potrebbe Cesare;
allora, perché non possa, preveniamolo. E poiché
l’accusa non trova appigli in quel che egli è ora,
mettiamola così; che quel che è ora, crescendo,
arriverebbe a questi e questi altri estremi;
e perciò pensiamolo come uovo di serpente,
che, covato, diverrebbe malefico, come da sua natura,
e uccidiamolo nel guscio.
Entra Lucio.
LUCIO
Ho acceso la candela nel vostro studio, signore.
Cercando alla finestra una pietra focaia, ho trovato
questo foglio, sigillato così; e sono sicuro
che non era lì quando sono andato a letto.
Gli dà una lettera.
BRUTO
Ritorna a letto, non è ancora giorno.
Non sono domani, ragazzo, le Idi di marzo?
LUCIO
Non lo so, signore.
BRUTO
Guarda nel calendario e fammelo sapere.
LUCIO
Sì, signore. Esce.
BRUTO
Gli accesi vapori che sibilano là in alto
mandano tanta luce che riesco a leggere.
Apre la lettera e legge.
“Bruto, tu dormi. Svegliati, e guardati!
Dovrà Roma, ecc. Parla, colpisci, poni rimedio!”
“Bruto, tu dormi. Svegliati!”
Istigazioni simili sono state lasciate
spesso lì dove io potessi trovarle.
“Dovrà Roma, ecc.”. Così devo mettere insieme i pezzi;
Dovrà Roma rimanere soggetta ad un solo uomo? Come!
Roma? I miei antenati dalle strade di Roma
scacciarono Tarquinio quando fu proclamato re.
“Parla, colpisci, poni rimedio!” Mi si chiede
di parlare e di colpire? Oh Roma, io ti prometto
che, se il rimedio potrà seguire, la tua petizione
sarà stata esaudita in pieno dalla mano di Bruto.
Entra Lucio.
LUCIO
Signore, sono già passati quindici giorni di marzo.
Bussano alla porta.
BRUTO
Bene. Va’ alla porta; qualcuno bussa.
Esce Lucio.
Da quando Cassio mi ha aizzato contro Cesare,
non ho dormito.
Tra l’attuazione di una cosa terribile
e il primo impulso, l’intero intervallo
è come un’allucinazione, o un orribile sogno.
Lo spirito e le umane facoltà mortali
tengono allora consiglio, e lo stato dell’uomo,
come un piccolo regno, subisce allora
una sorta di insurrezione.
Entra Lucio.
LUCIO
Signore, c’è vostro cognato Cassio alla porta,
che desidera vedervi.
BRUTO
È solo?
LUCIO
No, signore, ci sono altri con lui.
BRUTO
Li conosci?
LUCIO
No, signore, hanno i cappelli calcati sugli orecchi
e mezza faccia coperta dai mantelli,
cosicché non posso riconoscerli in alcun modo
dall’aspetto.
BRUTO
Falli entrare. Esce Lucio.
Sono i congiurati. Oh, cospirazione,
ti vergogni a mostrare il tuo minaccioso volto, di notte,
quando più liberi sono i mali? Oh, allora, di giorno,
dove troverai una caverna oscura abbastanza
da mascherare il tuo viso mostruoso? Non cercarla,
cospirazione; nascondilo sotto sorrisi e affabilità,
perché, se procedi mostrando il tuo vero aspetto,
neanche l’Erebo sarebbe buio abbastanza
da nasconderti e non farti scoprire.
Entrano i cospiratori – Cassio, Casca, Decio, Cinna, Metello Cimbro e Trebonio.
CASSIO
Forse siamo troppo arditi a interrompere il tuo riposo.
Buongiorno, Bruto. Ti disturbiamo?
BRUTO
Sono in piedi da un’ora, e sveglio tutta la notte.
Conosco questi uomini che arrivano con te?
CASSIO
Sì, ognuno di loro; e non c’è uomo qui
che non ti onori; e ognuno vorrebbe
che tu avessi di te stesso quell’opinione
che ogni nobile romano ha di te.
Questi è Trebonio.
BRUTO
È benvenuto qui.
CASSIO
Questi è Decio Bruto.
BRUTO
Benvenuto anch’egli.
CASSIO
Questi è Casca; questo, Cinna; e questo, Metello Cimbro.
BRUTO
Sono tutti benvenuti.
Quale preoccupazione vi tiene svegli,
frapponendosi fra i vostri occhi e la notte?
CASSIO
Posso dirti due parole?
Bruto e Cassio parlano tra loro sottovoce.
DECIO
Da quella parte è l’oriente. Non sorge lì il giorno?
CASCA
No.
CINNA
Oh scusami, amico, è così; e quelle strisce grigie
che striano le nuvole sono messaggere del giorno.
CASCA
Dovrete riconoscere di sbagliarvi entrambi.
Lì, dove punto la spada, sorge il sole,
che sta avanzando a gran passi verso il sud,
data la giovane stagione dell’anno.
Fra circa due mesi, molto più alto verso il nord
presenterà il suo fuoco; e l’est si trova
esattamente, come il Campidoglio, lì.
BRUTO
Datemi la mano tutti quanti, uno ad uno.
CASSIO
E giuriamo sulla nostra decisione.
BRUTO
No, nessun giuramento. Se la faccia della gente,
la sofferenza delle nostre anime, gli abusi dell’epoca –
se questi sono deboli motivi, sciogliamoci immediatamente,
e ognuno se ne vada di qui al suo ozioso letto.
E si lasci spazio alla tirannia, che guarda tutto dall’alto,
finché ogni uomo cada in terra secondo il suo capriccio.
Ma se questi motivi, come io sono sicuro, hanno fuoco
sufficiente ad accendere i codardi e ad armare di coraggio
lo spirito molle delle donne, allora, concittadini,
che bisogno abbiamo di uno sprone, che non sia
la nostra stessa causa, a incitarci a porre rimedio?
Quale altro patto se non quello di romani discreti,
che si sono dati la parola e non useranno inganni?
Quale altro giuramento se non l’onestà impegnata
con l’onestà, affinché questo avvenga, o noi per questo
cadiamo? Giurino i preti e i codardi, e i circospetti,
le vecchie carogne rammollite, e quegli animi sofferenti
che accettano le angherìe; per cattive cause giurino
quelle creature di cui non ci si fida; ma non macchiate
il fermo valore della nostra impresa,
né l’indomita tempra dei nostri spiriti,
pensando che la nostra causa o la nostra azione
abbiano bisogno di un giuramento, poiché ogni goccia
di sangue che scorre in ogni romano, e vi scorre
nobilmente, è colpevole e bastarda, ogni singola goccia,
se egli infrange anche la più piccola parte
di qualsiasi promessa che sia uscita dalle sue labbra.
CASSIO
Ma cosa facciamo di Cicerone? Dobbiamo sondarlo?
Credo che starà molto decisamente con noi.
CASCA
Non lasciamolo fuori.
CINNA
No, assolutamente.
METELLO
Oh, prendiamolo con noi, perché i suoi capelli d’argento
ci faranno acquistare una buona opinione
e compreranno i voti della gente a lode dei nostri atti.
Si dirà che il suo giudizio ha guidato le nostre mani.
La nostra giovinezza e avventatezza non salterà agli occhi,
ma sarà sepolta sotto la sua serietà.
BRUTO
Oh, non nominatelo. Non apriamoci con lui,
perché non seguirà mai alcuna cosa
che sia stata iniziata da altri.
CASSIO
Lasciamolo fuori allora.
CASCA
Ma sì, non è adatto.
DECIO
Non si dovrà toccare altri che Cesare?
CASSIO
Ottima domanda, Decio. Io non credo opportuno
che Marc’Antonio, tanto amato da Cesare,
sopravviva a Cesare. Scopriremo in lui
un maligno intrigante; e voi sapete che ha mezzi
che, ben usati, possono arrivare al punto
di danneggiarci tutti; per prevenire questo,
che Antonio e Cesare cadano insieme.
BRUTO
Il nostro comportamento sembrerà troppo sanguinario,
Caio Cassio, se tagliamo la testa e poi squartiamo le membra;
che sarebbe ira nella morte e malvagità dopo;
perché Antonio non è che un arto di Cesare.
Dobbiamo essere sacrificatori, ma non macellai, Caio.
Tutti noi ci leviamo contro lo spirito di Cesare,
e non c’è sangue nello spirito degli uomini.
Oh, se potessimo allora arrivare allo spirito di Cesare,
e non smembrare Cesare! Ma, ahimè,
Cesare dovrà sanguinare per questo. E, gentili amici,
uccidiamolo coraggiosamente, ma non rabbiosamente;
dobbiamo scalcarlo come un piatto degno degli dèi,
non maciullarlo come una carcassa degna dei cani.
E i nostri cuori, come fanno certi scaltri padroni,
spingano i loro servi a un atto di furore,
e dopo sembrino rimproverarli. Questo renderà
il nostro intento necessario, e non maligno,
e, così apparendo agli occhi della gente,
saremo chiamati purificatori, non assassini.
E quanto a Marc’Antonio, non pensateci,
perché non potrà fare di più del braccio di Cesare,
quando la testa di Cesare sarà caduta.
CASSIO
Tuttavia lo temo,
perché con l’amore così radicato che ha per Cesare…
BRUTO
Suvvia, buon Cassio, non pensare a lui.
Se ama Cesare, tutto quello che può fare
è contro se stesso – intristirsi e morire per Cesare;
e ciò sarebbe troppo per lui, portato com’è
per gli spassi, la vita sfrenata, e tanta compagnia.
TREBONIO
Non c’è niente da temere da lui. Che non muoia,
perché continuerà a vivere e riderà di questo, dopo.
Suona l’orologio.
BRUTO
Zitti! Contate i rintocchi.
CASSIO
L’orologio ha suonato le tre.
TREBONIO
È l’ora di separarsi.
CASSIO
Ma è ancora in dubbio
se Cesare uscirà in pubblico oggi oppure no;
perché negli ultimi tempi è diventato superstizioso,
abbandonando la ferma opinione che aveva una volta
delle fantasie, dei sogni, e dei portenti.
Può darsi che i prodigi che sono apparsi,
l’insolito terrore di questa notte,
e la persuasione dei suoi aruspici,
lo trattengano dal venire oggi in Campidoglio.
DECIO
Non temerlo. Se decidesse così,
io so come convincerlo; perché ama ascoltare
che gli unicorni possono venire traditi dagli alberi,
e gli orsi dagli specchi, gli elefanti dai fossi,
i leoni dalle reti, e gli uomini dagli adulatori.
Ma quando gli dico che lui odia gli adulatori,
dice che è così, essendo allora massimamente adulato.
Lasciate fare a me;
perché so come volgere il suo umore nel modo giusto,
e lo porterò in Campidoglio.
CASSIO
Sì, ma tutti noi saremo lì a prenderlo.
BRUTO
Alle otto, al più tardi, no?
CINNA
Sì, al più tardi, e non mancate.
METELLO
Caio Ligario ce l’ha con Cesare,
che lo rimproverò di aver parlato bene di Pompeo.
Mi meraviglia che nessuno di voi abbia pensato a lui.
BRUTO
Allora, buon Metello, vai a casa sua.
Mi vuole bene, e gliene ho dato ragioni.
Basta che tu lo mandi qui e ci penso io.
CASSIO
Il mattino arriva su di noi. Ti lasciamo, Bruto.
E voi, amici, scioglietevi – ma ricordate tutti
ciò che avete detto, e dimostratevi veri romani.
BRUTO
Cari signori, mostratevi sereni e allegri.
Il nostro aspetto non si vesta del nostro proposito,
ma si presenti alla maniera dei nostri attori romani,
con animo saldo e dignitosa fermezza.
E così, buon giorno a tutti voi.
Escono tutti, tranne Bruto.
Ragazzo! Lucio! Dormi sodo? Non importa.
Goditi la greve rugiada di miele del sonno.
A te non passano per la testa le immagini e le fantasie
che l’affannosa cura suscita nel cervello degli uomini;
perciò dormi così sodo.
Entra Porzia.
PORZIA
Bruto, mio signore.
BRUTO
Porzia, che fai? Perché ti alzi adesso?
Non fa bene alla tua salute esporre
la tua fragile costituzione al crudo freddo del mattino.
PORZIA
E non fa bene neanche alla tua. Sei stato scortese,
Bruto, a sottrarti al mio letto; e ieri sera a cena
ti sei alzato d’improvviso e sei andato su e giù,
riflettendo e sospirando, con le braccia incrociate;
e quando ti ho chiesto che cosa c’era,
mi hai fissato con uno sguardo scortese.
Ti ho incalzato, e allora ti sei grattato la testa
e hai battuto il piede in terra con troppa impazienza.
Ho insistito ancora, e ancora non hai risposto,
ma con un cenno irato della mano
mi hai fatto segno di lasciarti. L’ho fatto,
temendo di rafforzare quella impazienza
che sembrava fin troppo accesa, e anche sperando
che fosse solo l’effetto di un cattivo umore,
che a volte trova la sua ora in ogni uomo.
Non ti lascia mangiare, né parlare, né dormire,
e se potesse agire sul tuo aspetto
quanto ha già prevalso sullo stato della tua mente,
io non ti riconoscerei, Bruto. Mio caro signore,
fammi conoscere la causa della tua pena.
BRUTO
Non sto bene di salute, e questo è tutto.
PORZIA
Bruto è saggio, e se non stesse bene di salute,
adotterebbe i mezzi per riacquistarla.
BRUTO
E così faccio. Buona Porzia, va’ a letto.
PORZIA
È malato Bruto, ed è salutare
andare in giro slacciato a succhiare gli umori
dell’umida mattina? Ma come, Bruto è malato,
e però sguscia via dal suo sano letto
per sfidare il vile contagio della notte
e tentare l’aria fradicia e impura
ad aggravare la sua malattia? No, mio Bruto.
Tu hai qualche cruccio che rende malata la tua mente,
e, per il diritto e per la virtù del mio ruolo,
io dovrei conoscerlo; e, in ginocchio,
ti scongiuro, per la mia bellezza lodata un tempo,
per tutte le tue promesse d’amore, e per quel grande voto
che fece di noi due un solo corpo e una sola cosa,
rivela a me, che sono te, la tua metà,
perché sei così cupo, e chi erano quegli uomini che stanotte
sono venuti a trovarti; perché ce ne sono stati
circa sei o sette, che nascondevano la faccia
perfino alle tenebre.
BRUTO
Non ti inginocchiare, cara Porzia.
PORZIA
Non ne avrei bisogno, se tu fossi il caro Bruto.
Nel contratto di matrimonio, dimmi, Bruto,
si fa eccezione a che io conosca qualche segreto
che ti appartenga? Sono io il tuo altro io
soltanto, per così dire, con limiti e scadenze,
per stare a tavola con te, confortare il tuo letto,
e parlarti qualche volta? Abito solo nei suburbi
del tuo bel piacere? Se non è che così,
Porzia è la puttana di Bruto, non sua moglie.
BRUTO
Tu sei la mia vera e onorata moglie,
che mi è tanto cara quanto le gocce rosse
che visitano questo mio cuore triste.
PORZIA
Se questo fosse vero, allora dovrei sapere il tuo segreto.
Lo ammetto, sono una donna; ma anche
una donna che il nobile Bruto prese per moglie.
Lo ammetto, sono una donna; ma anche
una donna di buona reputazione, la figlia di Catone.
Credi che io non sia più forte del mio sesso,
avendo un tale padre e un tale marito?
Dimmi quel che ti passa nella mente, non lo rivelerò.
Ho messo a dura prova la mia risoluzione,
facendomi una ferita, di mia volontà,
qui, nella coscia. Posso sopportare questo con pazienza,
e non i segreti di mio marito?
BRUTO
Oh voi, dèi,
rendetemi degno di questa nobile moglie!
Si sente bussare.
Ascolta! Qualcuno bussa. Porzia, va’ dentro un momento,
e fra poco il tuo petto sarà messo a parte
dei segreti del mio cuore.
Ti spiegherò tutti i miei impegni,
tutto quello che è scritto sulla mia triste fronte.
Lasciami in fretta. Esce Porzia.
Entrano Lucio e Caio Ligario.
Lucio, chi è che bussa?
LUCIO
C’è qui un uomo malato che vorrebbe parlare con voi.
BRUTO
Caio Ligario, quello di cui parlava Metello.
Ragazzo, mettiti da parte. Allora, Caio Ligario?
LIGARIO
Accetta il buon giorno da una debole lingua.
BRUTO
Ah, che momento hai scelto, valoroso Caio,
per portare bende! Se tu non fossi ammalato!
LIGARIO
Io non sono ammalato se Bruto ha per mano
un’impresa degna di chiamarsi onorevole.
BRUTO
Una simile impresa ho per mano, Ligario,
se tu avessi l’orecchio sano per ascoltarla.
LIGARIO
Per tutti gli dèi a cui si inchinano i romani,
io qui metto via la mia malattia. [Getta via il fazzoletto.]
Anima di Roma!
Valoroso figlio che discendi da onorevoli lombi!
Tu, come un esorcista, hai evocato
il mio spirito morente. Ora comandami di correre,
ed io lotterò contro l’impossibile,
certo, e avrò la meglio. Cosa c’è da fare?
BRUTO
Un’opera che renderà sani gli uomini malati.
LIGARIO
Ma non ci sono dei sani che noi dobbiamo far ammalare?
BRUTO
Quello dobbiamo fare anche. Di che si tratti, mio Caio,
te lo rivelerò mentre staremo andando verso colui
sul quale deve essere fatto.
LIGARIO
Mettiti in cammino,
ed io ti seguo con un cuore nuovamente acceso,
per fare non so cosa; ma mi basta
che Bruto mi conduca. Tuono.
BRUTO
Seguimi, allora. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Tuoni e fulmini. Entra Giulio Cesare in veste da notte.
CESARE
Né il cielo né la terra sono stati in pace stanotte.
Tre volte Calpurnia ha gridato nel sonno
“Aiuto, oh! Assassinano Cesare!” – Chi è là?
Entra un servo.
SERVO
Mio signore?
CESARE
Va’ a dire ai sacerdoti di fare un sacrificio, subito,
e portami il loro responso sul risultato.
SERVO
Vado, mio signore. Esce.
Entra Calpurnia.
CALPURNIA
Che cosa hai in mente, Cesare? Pensi di uscire?
Non ti muoverai dalla tua casa oggi.
CESARE
Cesare uscirà. Le cose che mi hanno minacciato
non hanno visto che la mia schiena. Quando vedranno
la faccia di Cesare, saranno bell’e svanite.
CALPURNIA
Cesare, io non ho mai dato retta ai portenti,
e però ora mi spaventano. C’è uno qui dentro,
che, oltre alle cose che noi abbiamo udito e visto,
racconta di spettacoli orribili visti dalla ronda.
Una leonessa ha partorito per le strade,
e le tombe hanno sbadigliato e gettato fuori i loro morti.
Feroci guerrieri infuocati combattono sulle nuvole,
in ranghi e squadroni, e in assetto di guerra,
e ne è grondato sangue sopra il Campidoglio.
Il rumore della battaglia rimbombava nell’aria,
i cavalli nitrivano, e i moribondi gemevano,
e fantasmi gridavano e strillavano per le strade.
Oh, Cesare, queste cose sono al di là di ogni norma,
e io ne ho paura.
CESARE
Si può evitare qualcosa
il cui fine è fissato dagli dèi potenti?
Cesare tuttavia uscirà; perché questi presagi
valgono per tutto il mondo non meno che per Cesare.
CALPURNIA
Quando muoiono i mendicanti, non si vedono comete;
i cieli stessi annunciano con vampe la morte dei principi.
CESARE
I codardi muoiono molte volte prima della loro morte;
i valorosi assaggiano la morte soltanto una volta.
Di tutte le strane cose che ho udito finora
la più strana mi sembra che gli uomini debbano temerla,
la morte, vedendo che, fine necessaria,
verrà quando verrà.
Entra un servo.
Che cosa dicono gli àuguri?
SERVO
Vorrebbero che non vi muoveste all’aperto oggi.
Nell’estrarre le viscere di una vittima,
non hanno potuto trovare il cuore nella bestia.
CESARE
Gli dèi fanno questo per svergognare la codardia.
Cesare sarebbe una bestia senza cuore
se dovesse starsene a casa oggi per paura.
No, Cesare non lo farà. Il pericolo sa molto bene
che Cesare è più pericoloso di lui.
Noi siamo due leoni figliati nello stesso giorno,
ed io sono il più vecchio e il più terribile,
e Cesare uscirà.
CALPURNIA
Ahimè, mio signore,
la tua saggezza si consuma per troppa confidenza.
Non uscire oggi. Chiamala mia la paura
che ti tiene in casa, e non tua.
Manderemo Marc’Antonio al Senato,
e lui dirà che non stai bene oggi.
Lascia che, in ginocchio, io l’abbia vinta.
CESARE
Marc’Antonio dirà che non sto bene,
e per il tuo capriccio io resterò a casa.
Entra Decio.
Ecco Decio Bruto, glielo dirà lui.
DECIO
Salve, Cesare! Buon giorno, grande Cesare.
Vengo a prenderti per andare al Senato.
CESARE
E vieni proprio al momento giusto,
per portare il mio saluto ai senatori
e dire loro che io non voglio venire oggi.
Che non possa, è falso; e che non osi, più falso.
Non voglio venire oggi. Di’ loro così, Decio.
CALPURNIA
Di’ che è malato.
CESARE
Dovrà Cesare mandare una menzogna?
Ho conquistato con questo braccio i luoghi più lontani
per temere ora di dire la verità a delle barbe grigie?
Decio, va’ a dire loro che Cesare non vuole venire.
DECIO
Potentissimo Cesare, dammene una qualche ragione,
perché non mi ridano dietro quando gli dirò così.
CESARE
La ragione sta nella mia volontà; non voglio venire.
Ciò è sufficiente per soddisfare il Senato.
Ma, per tua soddisfazione personale,
poiché ti voglio bene, te la farò sapere.
Calpurnia, lei, mia moglie, mi tiene a casa.
Stanotte ha sognato che vedeva la mia statua
grondare denso sangue da mille getti
come una fontana; e molti vigorosi romani si accostavano
sorridendo e in quel sangue bagnavano le mani.
E queste cose lei prende per moniti e portenti
e mali imminenti, e in ginocchio
mi ha implorato di stare a casa oggi.
DECIO
Questo sogno è del tutto male interpretato.
Era una visione bella e fortunata;
la tua statua che versava sangue da molti getti,
e nella quale tanti sorridenti romani si bagnavano,
significa che da te la grande Roma succhierà
sangue rigeneratore, e grandi uomini s’accalcheranno
per avere smalti, tinte, reliquie, blasoni.
Questo viene significato dal sogno di Calpurnia.
CESARE
E in questo modo tu l’hai spiegato bene.
DECIO
Già, soprattutto quando avrai udito quel che ho da dire;
e sappilo ora. Il Senato ha deliberato
di conferire oggi una corona al potente Cesare.
Se gli mandi parola che non vuoi venire,
potrebbero cambiare idea. Inoltre, qualcuno
potrebbe sbeffeggiarti dicendo;
“Si sciolga il Senato fino a un’altra occasione,
quando la moglie di Cesare farà sogni migliori”.
Se Cesare si nasconde, non mormoreranno
“Vedete, Cesare ha paura”?
Perdonami, Cesare, perché il forte forte amore
che ho per la tua ascesa mi spinge a dirti questo,
e la mia ragione si piega di fronte al mio amore.
CESARE
Come mi sembrano stupide le tue paure ora, Calpurnia!
Mi vergogno di aver ceduto ad esse.
Datemi il mio mantello, perché voglio andare.
Entrano Bruto, Caio Ligario, Metello Cimbro, Casca, Trebonio, Cinna e Publio.
Ed ecco che Publio è venuto a prendermi.
PUBLIO
Buon giorno, Cesare.
CESARE
Benvenuto, Publio.
Come, Bruto, anche tu ti sei alzato così presto?
Buon giorno, Casca. Caio Ligario,
Cesare mai ti è stato così nemico
come questa febbre che ti ha fatto magro.
Che ora è?
BRUTO
Sono suonate le otto, Cesare.
CESARE
Vi ringrazio per il vostro disturbo e la vostra cortesia.
Entra Antonio.
Guardate, Antonio, che fa baldoria tutta la notte,
è già in piedi ciononostante. Buon giorno, Antonio.
ANTONIO
Altrettanto al nobilissimo Cesare.
CESARE
Di’ che preparino di là.
Sono da biasimare per farmi attendere così.
Allora, Cinna? Allora, Metello? Come, Trebonio?
Ho riservato un’ora per parlare con te.
Ricordati di rivolgerti a me oggi.
Stammi vicino, che io possa ricordarmi di te.
TREBONIO
Lo farò, Cesare. (A parte) E ti starò così vicino
che i tuoi migliori amici desidereranno
che ti sia stato più lontano.
CESARE
Cari amici, entrate, e gustate del vino con me,
e ce ne andremo subito tutti quanti insieme come amici.
BRUTO (a parte)
“Come” non significa sempre la stessa cosa, Cesare!
Il cuore di Bruto soffre a questo pensiero. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entra Artemidoro, leggendo un foglio.
ARTEMIDORO
“Cesare, guardati da Bruto. Sta’ attento a Cassio. Non avvicinarti a Casca. Tieni d’occhio Cinna. Non fidarti di Trebonio. Fa’ attenzione a Metello Cimbro. Decio Bruto non ti ama. Hai fatto torto a Caio Ligario. Tutti questi uomini hanno un solo proposito, ed è rivolto contro Cesare. Se non sei immortale, guardati intorno. L’eccessiva sicurezza apre la strada alla cospirazione. Gli dèi onnipotenti ti difendano!
Il tuo amico devoto,
Artemidoro”
Mi fermerò qui finché non passi Cesare,
e come supplice gli darò questo.
Soffre il mio cuore che la virtù non possa vivere
al riparo dai denti dell’invidia.
Se leggerai questo, Cesare, potrai vivere;
se no, il fato complotta con i traditori. Esce.
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
Entrano Porzia e Lucio.
PORZIA
Ti prego, ragazzo, corri al Senato.
Non fermarti a rispondermi, ma va’.
Perché ti fermi?
LUCIO
Per sapere qual è la commissione, signora.
PORZIA
Ti avrei voluto già lì e di ritorno,
prima di dirti che cosa dovresti fare.
O risolutezza, stammi forte al fianco;
metti un’enorme montagna tra il mio cuore e la mia lingua!
Ho lo spirito di un uomo, ma la forza di una donna.
Com’è difficile per una donna mantenere un segreto!
Sei ancora qui?
LUCIO
Signora, che devo fare?
Correre al Campidoglio e nient’altro?
E poi ritornare da voi e nient’altro?
PORZIA
Sì, fammi sapere, ragazzo, se il tuo signore
ha un buon aspetto, perché è andato via malato;
e prendi nota di quel che fa Cesare, e di chi lo incalza
con le suppliche. Ascolta, ragazzo, che rumore è questo?
LUCIO
Non ne sento, signora.
PORZIA
Ti prego, ascolta bene.
Ho sentito un clamore confuso, come di una zuffa,
e il vento lo porta dal Campidoglio.
LUCIO
Davvero, signora, non sento nulla.
Entra l’Indovino.
PORZIA
Vieni qui, buon uomo. Dove sei stato?
INDOVINO
A casa mia, buona signora.
PORZIA
Che ora è?
INDOVINO
Circa le nove, signora.
PORZIA
Cesare è già andato in Campidoglio?
INDOVINO
Non ancora, signora. Vado a prendere posto
per vederlo passare verso il Campidoglio.
PORZIA
Tu hai una supplica per Cesare, non è vero?
INDOVINO
Ce l’ho, signora, se piacerà a Cesare
essere così buono con Cesare da ascoltarmi;
lo scongiurerò di badare al suo bene.
PORZIA
Perché, sai che gli si voglia fare del male?
INDOVINO
Nessun male che io conosca per certo, molto male che temo
possa accadere. Buon giorno a voi. La strada qui è stretta.
La folla che segue Cesare alle calcagna, senatori,
pretori, comuni postulanti, farà una tale calca
da ammazzare, quasi, uno debole come me.
Mi porterò in un posto più sgombro, e lì
parlerò al grande Cesare mentre passa. Esce.
PORZIA
Devo rientrare. Ahimè, che debole cosa
è il cuore di una donna! Oh, Bruto,
ti aiutino i cieli nella tua impresa!
Il ragazzo mi ha udito di sicuro. Bruto ha una supplica
che Cesare non gli accorderà. Oh, svengo.
Corri, Lucio, e ricordami al mio signore;
digli che sto bene. Torna poi da me
e fammi sapere che cosa ti ha detto.
Escono da varie parti.
Giulio Cesare
(“Julius Caesar” – 1599)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V