(“The two Gentlemen of Verona” 1590 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
DUCA di Milano, padre di Silvia
VALENTINO e PROTEO, i due Gentiluomini [di Verona]
ANTONIO, padre di Proteo
TURIONE, uno sciocco [rivale di Valentino]
AGLAMORO, che aiuta Silvia a fuggire
SVELTO, servo [buffone] di Valentino
LANCIOTTO, [idem] di Proteo
PANTINO, famiglio di Antonio
OSTE della locanda che ospita Giulia
FUORILEGGE capitanati da Valentino
GIULIA, [gentildonna di Verona] amata da Proteo
SILVIA, [la figlia del Duca] amata da Valentino
LUCETTA, cameriera di Giulia
Persone del seguito, ancelle, musici, servitori
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano Valentino e Proteo.
VALENTINO
Non farla tanto lunga, Proteo, amico mio caro:
il giovane che in casa si chiude avrà mente chiusa.
Se la passione non incatenasse la tua verde età
ai dolci sguardi di colei che tu ami ed onori,
sarei tentato d’indurti a venire con me
a scoprire le meraviglie del vasto mondo,
per non lasciarti a casa, stoltamente infiacchito,
a dissipare la tua giovinezza in trastulli senza senso.
Ma poiché ami, continua ad amare e sii fortunato
quanto vorrei esser io, fossi anch’io innamorato.
PROTEO
Te ne vai, allora? Buon Valentino, addio.
Pensa al tuo Proteo, se mai ti accadrà di vedere
cose rare e inconsuete nel corso dei tuoi viaggi.
Immagina ch’io sia con te, compagno del tuo piacere,
ogni volta che incapperai in qualcosa di buono; e nel pericolo
(se mai dovessi rischiare di trovarti in pericolo)
affida la tua pena alle devote mie preci,
ché sarò io, Valentino, a sgranarti il rosario.
VALENTINO
E a pregare per me su un breviario d’amore?
PROTEO
A pregare per te su di un libro che amo.
VALENTINO
Vuoi dire, su qualche effimera storia d’amore eterno:
il giovane Leandro che si fa l’Ellesponto…
PROTEO
Ma quella è una storia eterna, di un amor senza fondo:
tant’è che lui, per amore, rimase un’eternità a mollo.
VALENTINO
È vero. Mentre tu, per amore, ti sei rammollito,
senza mai aver nuotato l’Ellesponto.
PROTEO
Rammollito? Suvvia, non mi dare del molle!
VALENTINO
No, non lo farò: la mollezza non fa per te.
PROTEO
Che intendi?
VALENTINO
L’essere innamorato: per cui lo spregio lo paghi gemendo,
la freddezza con sospiri dolenti, il piacere effimero d’un istante
con chissà quante veglie notturne, ansiose e defatiganti.
Se mai hai fortuna, potrai ben dirti sfortunato;
se perdi, beh, potrai dir tua un’improba fatica.
Come che vada, è una follia pagata con la ragione,
se non è la ragione a cedere alla follia.
PROTEO
Così, a rigor di logica, mi definisci un folle.
VALENTINO
Temo che la tua logica mi dia in questo ragione.
PROTEO
Stai cavillando sull’amore. Ma io non sono Amore.
VALENTINO
Amore è il tuo padrone, visto che è lui a dominarti;
e chi si sottomette al giogo di un folle
non passerà alla storia, penso, come uomo saggio.
PROTEO
Eppure è scritto: come nel più tenero boccio
si annida, avido, il verme, così l’avido Amore
s’insedia negli spiriti più eletti.
VALENTINO
Ma è anche scritto: come il bocciolo più precoce
dal verme è roso prima di fiorire,
così gli spiriti più giovani ed ingenui
son volti dall’Amore alla follia e, devastati in boccio,
a primavera perdono le foglie
e ogni bella speranza o promessa di futuro.
Ma a che pro perdo tempo a consigliarti,
votato come sei a dissennata passione?
Addio di nuovo. Mio padre, all’imbarcadero,
attende il mio arrivo per vedermi salpare.
PROTEO
Ti accompagno, Valentino.
VALENTINO
No, mio buon Proteo: salutiamoci adesso.
Mandami tue notizie, per lettera, a Milano:
delle tue fortune amorose, e d’ogni altro evento
che qui abbia luogo, in assenza dell’amico;
ed io del pari ti manderò mie nuove.
PROTEO
Che a Milano t’arrida ogni fortuna!
VALENTINO
Ed altrettanto a te che resti. Addio. Esce.
PROTEO
Lui va a caccia d’onore, ed io d’amore.
Lui lascia perder gli amici per meglio onorarli,
ed io per amore perdo me stesso, gli amici e tutto.
Tu, Giulia, tu mi hai metamorfosato,
mi hai fatto trascurare gli studi, perdere il mio tempo,
far guerra al buon consiglio, far del mondo uno zero,
fiaccar cuore e intelletto, confondere il pensiero.
Entra Svelto.
SVELTO
Salute a voi, Ser Proteo. Avete visto il mio padrone?
PROTEO
È partito un momento fa: s’imbarca per Milano.
SVELTO
Scommetto venti a uno che è già salito a bordo,
e a farmelo scappare sono stato un balordo.
PROTEO
Sicuro: anche una pecora si rende latitante
se il pecoraio la molla, sia pure un solo istante.
SVELTO
Volete dire che il padrone è il pecoraio, e io sono un pecorone?
PROTEO
Esatto.
SVELTO
Allora, che io sia vigile oppure dormiglione, le corna sono mie, quanto del mio padrone.
PROTEO
Una risposta sciocca, ben degna d’un montone.
SVELTO
Ciò prova che son sempre un pecorone.
PROTEO
Giusto: e il tuo padrone un pecoraio.
SVELTO
No, questo posso negarlo a fil di logica.
PROTEO
Sarà difficile che, a fil di logica, non sia io a provarlo.
SVELTO
Il pecoraio corre appresso alla pecora, non la pecora al pecoraio; ma io corro appresso al mio padrone: non è il padrone che corre appresso a me. Laonde io non sono un pecorone.
PROTEO
La pecora, per trovar pascolo, tien dietro al pecoraio; se il pecoraio ha fame, non tien dietro alla pecora. Tu tieni dietro al padrone per via della paga, non è mica lui a tener dietro a te. Laonde tu sei un pecorone.
SVELTO
Un’altra dimostrazione come questa, e mi metto a belare!
PROTEO
Dammi retta, piuttosto: gliel’hai data la mia lettera, a Giulia?
SVELTO
Sissignore. Io, il pecorone sperduto, ho dato la lettera a lei, la pecorella smarrita; ma lei, la pecorella smarrita, a me, pecorone sperduto, non ha dato nulla in cambio di tale servizio.
PROTEO
Non c’è pascolo che basti, per un gregge così numeroso!
SVELTO
Se il pascolo è troppo sfruttato sarà bene sbatter fuori lei.
PROTEO
No, qui sei fuori strada: sarà meglio sbatter dentro te.
SVELTO
Via, signore! Sbattermi dentro per avervi recapitato una lettera?
PROTEO
Non c’intendiamo. Voglio dire, dentro a uno stabbio, a un ovile.
SVELTO
Un ovile, o uno vile? Avete voglia di girar la frittata!
Un compenso tre volte vile, per una lettera alla donna amata.
PROTEO
Ma lei ha detto qualcosa?
SVELTO [scuote il capo prima di parlare]
Ah, sì.
PROTEO
Ah sì? No? Insomma, a-si-no.
SVELTO
Vi sbagliate, signore. Vi dico che lei ha scosso il capo, voi mi chiedete se ha detto “Sì” e io vi dico di “No”.
PROTEO
Il che, tirando le somme, equivale a “A-si-no”.
SVELTO
Giacché vi siete preso la briga di tirare le somme, il totale spetta a voi di diritto.
PROTEO
No, no, spetta a te, che hai portato la lettera.
SVELTO
E va bene. Mi rendo conto che con voi occorre portare pazienza.
PROTEO
Come osi, messere? Cos’è che occorre portare?
SVELTO
Diamine, signore, la lettera: recapitata come di dovere, e solo per sentirmi dare dell’asino pel mio disturbo.
PROTEO
Ch’io sia dannato se non hai la battuta facile.
SVELTO
Non tanto facile da indurvi ad aprire la borsa.
PROTEO
Via, via, fuori le notizie e alla svelta. Che cosa t’ha detto?
SVELTO
E voi, fuori la borsa. Quattrini contro notizie. Ci sentiremo tutti e due più leggeri.
PROTEO
E va bene, messere, ecco qua, pel disturbo. Che risposta ti ha dato?
SVELTO
In fede mia, signore, penso che la conquista sarà tutt’altro che facile.
PROTEO
Perché? Da cosa lo percepisci?
SVELTO
Signore, da lei non ho percepito un bel nulla, no, nemmeno l’ombra di un ducato per averle consegnato la vostra missiva. E poiché è stata così dura con me che le ho portato il vostro cuore, temo sarà altrettanto dura con voi che gliel’avete messo a nudo. Non datele altri pegni che selci: quella lì è dura come l’acciaio.
PROTEO
Ma cos’ha detto? Proprio nulla?
SVELTO
Nulla, nemmeno un “Prendi, per il tuo disturbo”. E grazie a voi: siete generoso, mi avete assoldato per un soldone. Se tanto mi dà tanto, le lettere, d’ora in poi, portatevele da voi. E così, signore, vi raccomando al mio padrone.
[Esce]
PROTEO
Va’, va’, sparisci, e salva la tua nave dal naufragio:
non può colare a picco, con te a bordo!
Il tuo destino è a terra: una morte secca…
Dovrò trovarmi un corriere un po’ migliore.
Temo che Giulia reagirà con sdegno
a versi inviati con un messo indegno. Esce.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entrano Giulia e Lucetta.
GIULIA
Dimmi, Lucetta – ora che siamo sole:
me lo consiglieresti tu d’innamorarmi?
LUCETTA
Certo, madonna: ma attenta ai passi falsi.
GIULIA
Di tutta la lieta brigata di gentiluomini
che ogni giorno vengono a rendermi omaggio
chi, secondo te, è il più degno di amore?
LUCETTA
Vogliate, di grazia, ripeterne i nomi: vi dirò quel che penso
con quel po’ di modesto buonsenso di cui sono capace.
GIULIA
Cosa ne pensi del bel Ser Aglamoro?
LUCETTA
Un fine dicitore, elegante e compito cavaliere;
ma, fossi in voi, non ne vorrei sapere.
GIULIA
E di Mercazio cosa ne pensi? È ricco.
LUCETTA
Gran bella cosa. Lui però è un po’ micco.
GIULIA
E il gentil Proteo? Ti par poco attraente?
LUCETTA
Siamo impazzite? Che vi salta in mente!
GIULIA
Com’è che adesso reagisci con veemenza?
LUCETTA
Madonna, chiedo scusa. È un’indecenza
che io, creatura indegna come sono,
censuri questo o quel bel gentiluomo.
GIULIA
Ma Proteo non l’hai messo in discussione.
LUCETTA
Ebbene, sì: fra tutti, è l’eccezione.
GIULIA
E per quale ragione?
LUCETTA
Nient’altro che la ragione di una donna:
credo sia lui, perché credo sia lui.
GIULIA
E vorresti che a lui facessi dono del mio amore?
LUCETTA
Sì, se non pensate di gettarlo al vento.
GIULIA
Ma è l’unico, fra tutti, che mai si è dichiarato.
LUCETTA
Pure, fra tutti, è l’unico davvero innamorato.
GIULIA
Un ben povero amore, se è tanto reticente.
LUCETTA
Se ben coperto il fuoco arde più intensamente.
GIULIA
Non ama veramente chi occulta la passione.
LUCETTA
Oh, ama ancora meno chi ne fa esibizione.
GIULIA
Se almeno lo sapessi, cosa gli frulla in mente!
LUCETTA
Leggete questo foglio, madonna, immantinente.
GIULIA
“A Giulia”. – Ma di’, chi l’ha mandata?
LUCETTA
Lo dice il contenuto. Voi dateci un’occhiata.
GIULIA
Ma insomma, dimmi, chi è che te l’ha data?
LUCETTA
Di Valentino il paggio; e Proteo l’ha vergata.
Doveva darla a voi, ma mi sono intromessa –
scuserete l’ardire – per consegnarla io stessa.
GIULIA
Sul mio onore di donna, e brava la ruffiana!
Tu osi dar ricetto a scritti licenziosi?
Brigare e cospirare ai danni della mia innocenza?
Davvero, dai retta a me, hai scelto un gran bel mestiere,
e fatto su misura per una come te.
Ecco, prendi la lettera. Fa’ di rimandarla al mittente,
oppure non farti rivedere mai più.
LUCETTA
La causa dell’amore non merita la vostra esecrazione.
GIULIA
Te ne vai o no?
LUCETTA
Sol per lasciarvi alla meditazione. Esce.
GIULIA
Eppure avrei voluto leggerla, la missiva.
Sarebbe una vergogna richiamarla di nuovo
e indurla a commettere l’indiscrezione per cui l’ho sgridata.
Che sciocca è costei! Sa bene che sono vergine:
doveva forzarmi a prender visione di quella lettera,
dal momento che le vergini, per pudore, dicon di no
a chi le corteggia, sperando che lui intenda “Sì”.
Che disdetta! Com’è imprevedibile questo assurdo amore
che, come un bimbo bizzoso, si mette a graffiare la balia
e un attimo dopo si fa piccolo piccolo, e bacia la sferza.
Ho sgridato Lucetta, scacciandola in malo modo,
quando ben volentieri l’avrei tenuta con me.
Con quale sforzo mi sono imposta le mie occhiatacce
quando un’intima gioia voleva indurmi al sorriso!
Dovrò far penitenza, e richiamare Lucetta,
e chiederle perdono per la follia di poc’anzi.
Ehilà, Lucetta!
[Rientra Lucetta]
LUCETTA
Vossignoria comanda?
GIULIA
Non è già ora di cena?
LUCETTA
Fosse vero!
Così sarebbero le vivande a guastarvi il fegato,
e non la vostra ancella.
GIULIA
Cos’è che hai raccolto, facendo finta di niente?
LUCETTA
Nulla.
GIULIA
E allora perché ti sei chinata?
LUCETTA
Per raccattare un biglietto cadutomi di mano.
GIULIA
E quel biglietto è un nulla?
LUCETTA
Nulla che riguardi me.
GIULIA
Allora lascia perdere, se non riguarda te.
LUCETTA
Però potrebbe perdere colei cui è indirizzato,
per poco che il messaggio sia mal interpretato.
GIULIA
Qualche tuo innamorato ti ha scritto dei versi.
LUCETTA
Perch’io li canti, madonna, a suon di musica.
Datemi il “la”: vossignoria sa comporre.
GIULIA
Appena un po’: delle ariette da nulla.
Meglio cantare al suon di “Levità d’amore”.
LUCETTA
Un’aria troppo lieve per un qualcosa di basso.
GIULIA
Basso? Non ci vorrà un bell’organo per suonarla?
LUCETTA
Sì: ma se foste voi a cantare, sarebbe una bella musica.
GIULIA
E perché non tu?
LUCETTA
Le note alte non fanno per me.
GIULIA
Vediamola, la canzone. Suvvia, colombella!
LUCETTA
La stessa solfa di prima: cantiamola fino in fondo…
[Giulia la colpisce e le strappa la lettera di Proteo]
Eppure questa musica non mi piace.
GIULIA
Non ti piace?
LUCETTA
No, madonna: è una brutta stecca.
GIULIA
E tu, colombella, sei troppo sfrontata.
LUCETTA
No, siete voi che siete stonata
e guastate l’armonia con brusche variazioni:
al vostro canto mancan le note alte.
GIULIA
Le note alte sono sommerse da un basso sfrenato.
LUCETTA
Se son caduta in basso, l’ho fatto per Proteo.
GIULIA
Non perderò altro tempo con tali corbellerie.
La fa ben lunga, con le dichiarazioni.
[Fa a pezzi la lettera]
Va’, sparisci, e lascia stare quei pezzi di carta.
Ti piacerebbe metterci mano, sol per farmi arrabbiare.
LUCETTA
Si finge indifferente, ma cosa non darebbe
per arrabbiarsi così per un’altra lettera! [Esce]
GIULIA [raccattando i frammenti della lettera]
No, è proprio per questa che vorrei arrabbiarmi.
Oh mani detestabili, che han fatto a brani parole tanto amorose!
Oh, perniciose vespe! Nutrirvi d’un miele sì dolce
e uccidere le api che l’han prodotto coi vostri pungiglioni!
Voglio baciare ogni frammento per fare ammenda.
Guarda, qui è scritto, “soave Giulia”. Altro che soave!
Per vendicare la tua ingratitudine
scaglio il tuo nome contro la ruvida pietra
per calpestare, sdegnosa, il tuo disdegno.
E qui c’è scritto, “Proteo d’amor ferito”.
Povero nome ferito! Il mio seno, come un’alcova,
ti accoglierà finché la ferita non guarisca del tutto:
e così io lo esploro con un bacio sovrano.
Ma “Proteo” l’ho visto scritto due o tre volte.
Sta’ calmo, vento benigno, non involarti con una sola parola,
fammi prima trovare ogni lettera della lettera,
eccezion fatta per il mio proprio nome: che un mulinello l’involi
su una scogliera aspra, scoscesa, incombente,
da cui scagliarlo nel mare procelloso!
Ecco, in una sola riga due volte ricorre il suo nome:
“Il povero, derelitto Proteo, Proteo l’appassionato
alla soave Giulia”. Questa la strapperò.
Eppure no, giacché con tanta grazia
tal nome accoppia ai nomi suoi dolenti.
Così, li piegherò l’un sull’altro:
ora baciatevi, stringetevi, urtatevi, fate quel che vi pare.
[Rientra Lucetta]
LUCETTA
Madonna,
la cena è pronta, e vostro padre vi attende.
GIULIA
Orbene, andiamo.
LUCETTA
Ma come, questi pezzi di carta restano qui a tradirci?
GIULIA
Se li tieni così da conto, fai meglio a raccattarli.
LUCETTA
No, mi avete già ripresa per non averli presi.
Pure, non resteran qui a prender freddo.
[Li raccoglie]
GIULIA
Vedo che ti ci sei proprio fissata.
LUCETTA
Sissignora: ditelo pure, quel che vedete.
Voi mi credete orba, ma ho anch’io la vista buona.
GIULIA
Su, andiamo, ti vuoi muovere o no? Escono.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Entrano Antonio e Pantino.
ANTONIO
Dimmi, Pantino, di quali gravi cose ti parlava
mio fratello, trattenendoti nel chiostro?
PANTINO
Di suo nipote Proteo, il figliol vostro.
ANTONIO
Perché, che diceva di lui?
PANTINO
Si stupiva che Vossignoria
gli lasciasse sprecare a casa la sua giovinezza
mentre altri, di assai minor reputazione,
mandano i loro rampolli a far carriera lontano:
chi in guerra, a tentarvi la fortuna,
chi alla scoperta di isole remote,
chi in università di chiara fama.
In ciascuno di questi campi, se non in tutti –
diceva lui – il vostro Proteo potrebbe farsi onore;
per cui mi ha chiesto di sollecitarvi
a non lasciarlo più starsene a casa:
ché, grave d’anni, assai nuocerebbe al suo prestigio
il non aver mai viaggiato in gioventù.
ANTONIO
Non occorre che ti dilunghi tanto su questo punto:
è da un mese che mi ci sto arrovellando.
Ho a lungo meditato sulla dissipazione del suo tempo,
e so che mai potrà dirsi uomo completo
senza lo studio e l’esperienza delle vie del mondo.
L’esperienza si acquista con una vita attiva,
per poi affinarsi nel rapido corso del tempo.
E allora dimmi, dove farei meglio a mandarlo?
PANTINO
Penso che Vossignoria non ignori
che il suo amico del cuore, il giovane Valentino,
si trova a corte, al servizio dell’Imperatore.
ANTONIO
Lo so bene.
PANTINO
Credo sia bene Vossignoria mandi a corte anche lui:
colà farà pratica di giostre e tornei,
presterà orecchio a eletti conversari, s’intratterrà coi nobili,
e si cimenterà in ogni esercizio
che ben si addica ai suoi anni e al suo alto lignaggio.
ANTONIO
Apprezzo il tuo consiglio, ch’è saggio e ponderato;
e, a che tu sappia quanto esso m’aggrada,
ti dico subito come lo metto in pratica.
Con tutta la speditezza e l’urgenza del caso,
lo mando alla corte dell’Imperatore.
PANTINO
Domani – con vostra licenza – Don Alfonso,
con altri gentiluomini di gran conto,
si reca a rendere omaggio all’Imperatore
e a offrire i lor servigi al suo volere.
ANTONIO
Ottima compagnia: e Proteo se ne andrà con loro.
[Entra Proteo]
Ah, giusto in tempo! Adesso glielo diciamo.
PROTEO [a parte]
Dolce amore, dolci parole, dolce vita!
Ecco la sua scrittura, tramite del suo cuore;
eccone il giuramento d’amore, a pegno del suo onore.
Oh, che i nostri padri plaudano all’amor nostro,
e il loro assenso suggelli la nostra felicità!
Sublime Giulia!
ANTONIO
Che c’è? Che lettera mi stai leggendo?
PROTEO
Con vostra licenza, mio signore, solo qualche parola
di convenevoli, da parte di Valentino,
recatami da un amico inviato da lui.
ANTONIO
Passami la lettera: vediamo che novità.
PROTEO
Novità nessuna, mio signore: dice soltanto
che fa una vita felice, è quanto mai benvoluto,
non passa giorno senza un segno del favore imperiale,
e mi vorrebbe con sé, a condividere la sua fortuna.
ANTONIO
E tu? Come lo prendi questo suo desiderio?
PROTEO
Come uno che è ligio al volere di Vossignoria,
e non dipende dal desiderio dell’amico.
ANTONIO
Il mio volere coincide, più o meno, con tal desiderio.
Non farti l’idea ch’io ora agisca così, per impulso:
so quel che voglio e lo voglio, punto e basta.
Ho deciso che per qualche tempo tu dovrai soggiornare
alla corte dell’Imperatore, insieme con Valentino.
La stessa rendita che lui riceve dai familiari
tu avrai da me, con pari elargizione.
Tieniti pronto a partire domani,
e niente storie: qui son categorico.
PROTEO
Mio signore, non posso equipaggiarmi su due piedi.
Vi prego, temporeggiate un giorno o due.
ANTONIO
Qualunque cosa ti manchi, te l’invieremo dopo.
Bando agli indugi: partirai domani.
Vieni, Pantino: tu ti adoprerai
ad affrettare questa sua partenza.
[Escono Antonio e Pantino]
PROTEO
Così, per tema di bruciare, ho scansato il fuoco
tuffandomi nel mare, e adesso affogo.
Avevo paura di mostrare a mio padre la lettera di Giulia
per tema che si opponesse all’amor mio,
e proprio la mia scusa gli offre il destro
di ostacolare al massimo il mio amore.
Oh, come questa primavera amorosa è tal quale
l’incerta gloria d’un giorno d’aprile,
che ora proclama la beltà del sole,
e in un istante l’offusca poi di nubi!
[Entra Pantino]
PANTINO
Ser Proteo, vostro padre vi chiama.
Ha molta fretta, perciò vi prego di andare.
PROTEO
Ci siamo! In fondo, il cuor dice, “Ci sto”,
eppur risponde mille volte, “No!”. Escono.
I due gentiluomini di Verona
(“The two Gentlemen of Verona” 1590 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V