“The two Gentlemen of Verona” 1590 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUINTO – SCENA PRIMA
Entra Aglamoro.
AGLAMORO
Il sole comincia a indorare il cielo a ponente,
e questa è proprio l’ora stabilita
da Silvia per incontrarmi nella cella di Fra’ Patrizio.
Non verrà meno all’impegno: gli amanti non sbagliano i tempi,
se non per arrivar con bell’anticipo,
spronati come son dall’impazienza.
Entra Silvia.
Eccola, arriva! Madonna, sarete felice stasera.
SILVIA
Amen, amen… Di corsa, buon Aglamoro!
Alla postierla, nel muro dell’abbazia:
temo mi venga dietro qualche spia.
AGLAMORO
C’è una foresta dove rifugiarci:
è a meno di tre leghe. Il più è arrivarci. Escono.
ATTO QUINTO – SCENA SECONDA
Entrano Turione, Proteo [e] Giulia.
TURIONE
Ser Proteo, che dice Silvia del mio corteggiamento?
PROTEO
Beh, signore, la trovo più ben disposta che in passato;
ma trova ancora da ridire sulla vostra persona.
TURIONE
Perché? Ho le gambe troppo lunghe?
PROTEO
No, semmai troppo striminzite.
TURIONE
Mi metterò gli stivali, per rimpolparle un po’.
GIULIA [a parte]
Ma l’amore non puoi spronarlo a ciò che aborre.
TURIONE
Del mio volto che dice?
PROTEO
Dice ch’è luminoso.
TURIONE
No, la civetta mente. Se ho la faccia d’un moro!
PROTEO
Ma le perle son luminose e – dice l’antico adagio –
“i mori sono perle agli occhi delle belle”.
GIULIA [a parte]
Vero: perle così fan perdere il lume degli occhi.
Preferisco chiuderli, che aprirli su di loro.
TURIONE
Le piace la mia conversazione?
PROTEO
Poco, se le parlate di guerra.
TURIONE
Ma molto, se le parlo di pace e d’amore.
GIULIA [a parte]
E ancora di più se non le parlate affatto.
TURIONE
Del mio valore cosa dice?
PROTEO
Oh, signore, quello è fuori discussione.
GIULIA [a parte]
Per forza. Lei lo sa che lui è un codardo.
TURIONE
Che dice lei del nobil mio casato?
PROTEO
Che siete un gentiluomo assai bennato.
GIULIA [a parte]
Ma anche scimunito: che peccato!
TURIONE
Ha preso in considerazione le mie proprietà?
PROTEO
Oh sì, le fanno una gran pena.
TURIONE
E come mai?
GIULIA [a parte]
Perché sono di proprietà d’un tal somaro.
PROTEO
Perché sono in gran parte ipotecate.
GIULIA
Arriva il Duca.
[Entra il Duca]
DUCA
Salve, Ser Proteo! E voi, Ser Turione!
Chi di voi due ha visto Aglamoro ultimamente?
TURIONE
Io no.
PROTEO
Io nemmeno.
DUCA
E mia figlia, l’avete vista?
PROTEO
Neppure lei.
DUCA
Allora è fuggita da quel tanghero di Valentino
ed Aglamoro è il suo accompagnatore.
È vero: Fra’ Lorenzo li ha visti entrambi
mentre da penitente errava per la foresta.
Lui l’ha riconosciuto con certezza, di lei era quasi certo
ma, mascherata com’era, non n’era del tutto sicuro.
Inoltre lei intendeva confessarsi stasera,
nella cella di Fra’ Patrizio: e invece non c’è andata.
Questi elementi confermano che si è trattato di fuga;
per cui vi prego, non state qui a far salotto
ma balzate in sella d’urgenza e venite a raggiungermi
ai piedi di quelle alture
che portano in quel di Mantova, verso cui son fuggiti.
Sbrigatevi, amabili signori, e tenetemi dietro. [Esce]
TURIONE
Perbacco, questa sì è una ragazza indocile,
che fugge la fortuna quando questa l’insegue!
Lo seguirò, più per vendicarmi di Aglamoro
che per amore della sventata Silvia. [Esce]
PROTEO
E io lo seguirò, più per amore di Silvia
che in odio ad Aglamoro ch’è in fuga con lei. [Esce]
GIULIA
E anch’io, ma più per intralciare lui
che in odio a Silvia, fuggita per amore. [Esce]
ATTO QUINTO – SCENA TERZA
[Entrano] Silvia [e] dei Fuorilegge.
PRIMO FUORILEGGE
Su, su,
fate la brava: dobbiam portarvi dal nostro comandante.
SILVIA
Mille calamità peggiori di questa
mi hanno insegnato a far buon viso a cattivo gioco.
SECONDO FUORILEGGE
Dài, portala via!
PRIMO FUORILEGGE
Dov’è il gentiluomo che era qui con lei?
TERZO FUORILEGGE
Agile com’è, ce l’ha fatta a scappare,
ma Valerio e Mosè gli stanno alle costole.
Tu va’ con lei a ponente, al limitar del bosco:
il comandante è là. Noi inseguiremo il fuggiasco.
Il bosco è circondato: non ha via di scampo.
PRIMO FUORILEGGE
Suvvia, devo portarvi alla grotta del comandante.
Non abbiate timore: è un vero gentiluomo,
e ad una donna lui non farà mai torto.
SILVIA
O Valentino, è per te ch’io sopporto! Escono.
ATTO QUINTO – SCENA QUARTA
Entra Valentino.
VALENTINO
Come l’uso nell’uomo tende a farsi costume!
Questo deserto ombroso, i boschi disabitati
li preferisco a fiorenti città popolose.
Qui posso sedere da solo, non visto da alcuno,
e alle dolenti melodie dell’usignolo
intonare le mie pene e affidar le mie ansie.
O tu che alberghi nel mio petto
non lasciar così a lungo inabitata la tua casa,
se non vuoi che, ridotto a rudere, l’edificio non crolli
senza lasciare ricordo alcuno di quel ch’è stato.
Puntellami, Silvia, con la tua presenza!
Ninfa gentile, conforta il derelitto tuo pastore!
[Rumori da dentro]
E adesso, cos’è questo vociare? Questo tumulto?
Sì, sono i miei compagni, per cui l’arbitrio è legge,
che dan la caccia a qualche disgraziato viandante.
Mi son devoti, eppure devo faticare un bel po’
per trattenerli da selvaggi eccessi.
Nasconditi, Valentino! Chi hanno portato qui?
[Si nasconde]
[Entrano Proteo, Silvia e Giulia]
PROTEO
Madonna, questo è il servizio che vi ho reso
(anche se voi non vi curate di quanto fa chi vi serve):
ho rischiato la vita per sottrarvi a colui
che vi avrebbe violata nell’onore e negli affetti.
Concedetemi la mercede di un solo sguardo benevolo:
un più modesto favore non posso implorare,
e meno di tanto, ne son certo, non potete dare.
VALENTINO [a parte]
È questo un sogno? Ma io vedo e sento…
Amore, dammi la forza di pazientare un po’.
SILVIA
O misera e infelice che sono!
PROTEO
Madonna, eravate infelice prima del mio arrivo;
ma col mio arrivo potete dirvi felice.
SILVIA
L’averti vicino mi rende infelicissima.
GIULIA [a parte]
Anche me, quando lui vi si avvicina.
SILVIA
Mi avesse ghermito un leone affamato,
avrei preferito far da pasto alla belva
che esser salvata da un traditore come Proteo.
Oh, il cielo m’è testimone, io amo Valentino,
la cui vita mi è cara quanto l’anima mia;
ed altrettanto – che di più non si può –
io detesto Proteo, l’infedele spergiuro.
per cui vattene, e cessa d’importunarmi!
PROTEO
Quale azione rischiosa, d’un rischio anche mortale,
non saprei affrontare per un solo sguardo benigno?
Oh, è la dannazione d’amore, sempre riconfermata,
che una donna non sappia amare quanto più è amata.
SILVIA
Che Proteo non sappia amare quanto più è amato!
Leggi in cuore a Giulia, tuo primo e grande amore,
lei per la quale hai poi frantumato la tua fede
in mille giuramenti: tutti quei giuramenti
che degradasti a spergiuro per amare me.
Ora non t’è rimasta alcuna fede: o forse ne hai due,
il che è assai peggio che nessuna. Meglio averne nessuna
che non una duplice fede, di cui una è di troppo.
Tu ingannatore del tuo fedele amico!
PROTEO
In amore
chi rispetta un amico?
SILVIA
Tutti, tranne Proteo.
PROTEO
Beh, se lo spirito gentile di parole suadenti
non può indurvi a più miti consigli,
vi farò una corte da soldato, in punta di spada,
e vi amerò a forza – contro ogni principio d’amore.
SILVIA
Oh cielo!
PROTEO
Ti forzerò a cedere alle mie voglie!
VALENTINO
Farabutto! Giù quelle mani barbare e incivili!
Tu, bell’amico della peggior risma!
PROTEO
Valentino!
VALENTINO
Tu, amico senz’arte né parte, senza fede né amore –
tale è oggi un amico – uomo infido,
tu hai illuso le mie speranze! Solo i miei occhi
potevano convincermi. Ora non oso più dire
di avere un amico al mondo: ché ci sei tu a smentirmi.
Di chi fidarsi adesso, quando la mano destra
è all’animo spergiura? Proteo,
mi duole non potermi mai più fidare di te,
e per causa tua sentirmi estraneo al mondo.
La pugnalata d’un amico ferisce più a fondo. O tempi scellerati,
quando fra i tuoi nemici il peggiore è un amico!
PROTEO
Vergogna e rimorso mi attanagliano.
Valentino, perdono! Se una sentita contrizione
basta come riscatto dell’offesa,
te ne faccio qui offerta: il tormento che provo
è pari al male perpetrato.
VALENTINO
Allora mi ritengo ripagato,
e di bel nuovo ti reputo uomo onesto.
Chi del pentimento non si appaga
non sta in cielo né in terra: ché questi si ritengon soddisfatti.
La penitenza placa l’ira dell’Eterno.
E, a che il mio amore appaia libero e schietto,
tutto ciò ch’era mio di Silvia a te lo dono.
GIULIA
O me infelice! [Sviene]
PROTEO
Soccorrete quel paggio!
VALENTINO
Ehi, paggio! Su, birbante, che mi combini? Cosa ti prende? Apri gli occhi, di’ qualcosa!
GIULIA
Oh, buon signore, il mio padrone mi aveva incaricato di consegnare un anello a Madonna Silvia; ed io, per mia negligenza, non l’ho fatto.
PROTEO
Dov’è l’anello, ragazzo?
GIULIA
Eccolo, è questo.
PROTEO
Ehi, fa’ vedere! Ma è l’anello che detti a Giulia!
GIULIA
Perdonatemi, signore: ho sbagliato,
questo è l’anello che mandaste a Silvia.
PROTEO
Ma come l’hai avuto? Questo lo detti a Giulia, alla partenza.
GIULIA
Giulia in persona me l’ha affidato,
Giulia in persona l’ha portato qui.
PROTEO
Cosa? Giulia?
GIULIA
Guardala bene, colei che bersagliavi di giuramenti
che lei serbava nel profondo del cuore.
Quante volte i tuoi spergiuri l’han colpita al centro!
Oh, Proteo, devi arrossire per questo mio costume!
Vergogna a te, se ho dovuto indossare
tale abito immodesto… ammesso ch’io mi debba vergognare
d’essermi, per amore, travestita.
Peccato è assai minore, agli occhi del pudore,
mutar di donna l’abito, che non dell’uomo il cuore.
PROTEO
Che non dell’uomo il cuore? È vero. Oh cielo! Se la costanza
fosse dell’uomo, sarebbe egli perfetto! Quest’unica magagna
lo colma di difetti, gliene fa fare di tutti i colori:
l’incostanza, prima di andare a segno, fa cilecca.
Che c’è nel volto di Silvia, ch’io non scorga
più fresco in Giulia, con l’occhio della costanza?
VALENTINO
Su, su, datemi entrambi la mano.
Concedetemi la grazia di portarvi al lieto fine:
che peccato, due amici che restano a lungo nemici!
PROTEO
Sii testimone, o cielo, che i miei voti si avverano per sempre.
GIULIA
Ed anche i miei.
[Entrano i Fuorilegge, con il Duca e Turione]
I FUORILEGGE
Dài, dài! Una preda, una preda!
VALENTINO
Alto là!
Fermatevi, vi dico! È il Duca mio signore.
A Vostra Grazia il benvenuto d’un uomo in disgrazia:
Valentino, il bandito.
DUCA
Ser Valentino?
TURIONE
Ma quella è Silvia! E Silvia m’appartiene!
VALENTINO
Indietro, Turione! O abbraccerai la morte.
Non venire a portata della mia collera,
non chiamar Silvia tua! Se ci riprovi
Verona non ti riavrà mai più. Eccola lì:
prova solo a sfiorare con un dito,
od anche solo un alito, il mio amore. Ti sfido!
TURIONE
Ser Valentino, no, non mi sta poi così a cuore.
Lo considero un folle, chi mette a repentaglio
la sua pelle per una donna che nemmeno l’ama.
Rinuncio a farla mia: pertanto è tua.
DUCA
Tanto più vile e degenere sei tu,
che per lei hai prima mosso mari e monti,
per poi lasciarla col più lieve dei pretesti.
Ed ora, sull’onor dei miei antenati,
io plaudo al tuo coraggio, Valentino:
ti penso degno dell’amore d’una imperatrice.
Sappi pertanto che qui dimentico ogni passata offesa,
cancello ogni rancore, ti richiamo a corte,
ti elevo a nuova dignità: i tuoi meriti non hanno rivali.
E questo ora proclamo: Ser Valentino,
sei un vero gentiluomo, e d’ottimo lignaggio.
Prenditi la tua Silvia, che ben l’hai meritata.
VALENTINO
Ringrazio Vostra Grazia, felice di tanto dono.
Ma ora v’imploro, per amore di vostra figlia,
di accordarmi di chiedervi un unico favore.
DUCA
Te l’accordo, per amor tuo, qualunque esso sia.
VALENTINO
Questi banditi, a cui mi sono aggregato,
son uomini dotati di degne qualità.
Perdonateli per quanto han qui commesso,
e revocate il bando che li esilia.
Essi son ravveduti, rinciviliti, pieni di buoni propositi
e degni di alti incarichi, mio nobile signore.
DUCA
L’hai avuta vinta: perdono te e anche loro.
Decidi tu cosa farne, tu che sai quanto valgono.
Su, andiamo: dissolveremo ogni risentimento
in feste, tornei e solennità eccezionali.
VALENTINO
E cammin facendo mi concederò l’ardire
di far sorridere Vostra Grazia coi miei racconti.
Che ne pensate, mio Duca, di questo paggio?
DUCA
Mi pare un paggio di non poca grazia. Toh, arrossisce.
VALENTINO
Parola mia, mio Duca: è più la grazia che il paggio.
DUCA
Che intendete dire?
VALENTINO
Con vostra licenza, ve lo dirò strada facendo;
vi stupirete ai casi della sorte.
Vieni, Proteo: per sola penitenza dovrai udire
la storia dei tuoi amori, palesata.
Ciò fatto, i nostri sponsali saranno anche i tuoi:
una sola festa, una sola dimora, una sola e reciproca felicità.
Escono.
I due gentiluomini di Verona
(“The two Gentlemen of Verona” 1590 – 1595)
Introduzione – Riassunto
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