“The two Gentlemen of Verona” 1590 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano il Duca, Turione [e] Proteo.
DUCA
Ser Turione, di grazia, lasciateci soli per qualche istante:
abbiamo qualche segreto di cui parlare. [Esce Turione]
Ora ditemi, Proteo, in che posso aiutarvi?
PROTEO
Mio nobile principe, ciò che vorrei svelarvi
le leggi dell’amicizia m’impongono di tacere;
ma se ripenso ai graziosi favori
che mi avete concesso, per quanto immeritevole,
il senso del dovere mi pungola a riferire cose
che niente al mondo potrebbe altrimenti cavare da me.
Sappiate, nobile principe, che Ser Valentino, il mio amico,
stanotte intende involarsi con vostra figlia.
Soltanto io sono al corrente della trama.
So che avete deciso di darla in sposa
a quel Turione che vostra figlia detesta:
dovesse ella venirvi così sottratta,
sarebbe un gran tormento, alla vostra età.
Pertanto, in nome del dovere, scelgo piuttosto
di ostacolare l’amico nel progettato intento,
che di serbare il segreto, gettandovi fra capo e collo
un cumulo di dolori che potrebbero schiacciarvi,
non prevenuti, e portarvi anzitempo alla tomba.
DUCA
Proteo, ti rendo grazie della tua onesta dedizione.
Per ricompensa, finché vivrò potrai disporre di me.
Il loro amore, in più occasioni, l’avevo io stesso notato,
mentre loro, guarda caso, mi credevano immerso nel sonno;
e mi ero spesso ripromesso di proibire
a Ser Valentino la sua compagnia e la mia corte.
Ma temendo che ansie e sospetti m’inducessero a errore,
facendolo immeritatamente cadere in disgrazia –
ché sempre ho saputo evitare le azioni impulsive –
l’ho sempre accolto con volto benigno, con l’idea di scoprire
ciò che tu stesso m’hai or ora svelato.
Tanto perché tu sappia che son già sul chi vive,
sapendo che una giovane inesperta si fa presto a sedurla,
la notte la metto a dormire in cima a una torre
di cui io stesso ho sempre tenuto la chiave:
e da lassù non c’è modo di venirla a rapire.
PROTEO
Sappiate, nobile principe, che han trovato il sistema:
lui darà la scalata al balcone di lei
e con una scala di corda la farà venir giù,
scala che il giovane amante è già andato a cercare:
e tra non molto lui, con essa, ripassa di qui.
E qui, se lo vorrete, si potrà intercettarlo.
Ma, mio buon Duca, fatelo con prudenza,
che mai sospetti che l’ho tradito io:
l’amore che vi porto, non l’odio per l’amico,
mi ha indotto a rivelare quest’inganno.
DUCA
Sull’onor mio, costui non saprà mai
che fosti tu a mettermi sull’avviso.
PROTEO
Addio, mio Duca. Arriva Valentino. [Esce]
[Entra Valentino]
DUCA
Ser Valentino, dove andate così di fretta?
VALENTINO
Con licenza di Vostra Grazia, c’è un corriere
in attesa di certe lettere da portare ai miei,
e sto andando a consegnargliele.
DUCA
Sono molto importanti?
VALENTINO
Il loro tenore non fa che dar contezza
della mia salute e della mia felicità d’essere a corte.
DUCA
Oh, allora non c’è fretta. Resta un po’ con me.
Ti voglio rivelare alcune faccende
che mi toccano da vicino e che dovrai tener segrete.
Non puoi ignorare quant’io mi sia sforzato
di far sposare a mia figlia l’amico Ser Turione.
VALENTINO
Lo so bene, mio Duca, e certo tale unione
sarebbe colma di ricchezze e d’onori; senza contare che quel gentiluomo
è virtuoso, facoltoso, munifico, pieno di qualità
ben confacenti a una sposa bella quanto vostra figlia.
E Vostra Grazia non può indurla a farglielo amare?
DUCA
No, credimi: è permalosa, petulante e riottosa,
altera, disobbediente, cocciuta e irrispettosa;
fa come se non fosse figlia mia,
e non mi teme come si teme un padre.
E – posso confidartelo – codesta sua protervia
le ha alienato, non senza motivo, l’amore che le portavo;
ed io che m’illudevo che gli anni che mi restano
sarebbero stati allietati dalla sua filiale devozione,
sono ora ben deciso a risposarmi
e a darla via al primo che se la prenda.
Che s’abbia in dote la sola sua bellezza,
se tanto in spregio ha me e la mia ricchezza.
VALENTINO
Ma, Vostra Grazia, che c’entro in tutto questo?
DUCA
C’è qui una gentildonna di Verona
che assai mi è cara: ma è riservata e contegnosa
e poco apprezza la mia eloquenza d’altri tempi.
Vorrei perciò che fossi tu il mio precettore
(da troppo tempo ho obliato l’arte del corteggiare,
e ben altre son le mode d’oggigiorno):
su come e in che modo debba comportarmi
per trovare favore ai suoi occhi radiosi.
VALENTINO
Conquistatela coi doni, se le parole ha a noia.
Spesso un monile muto, un silenzioso oggetto
fa colpo su una donna, più d’ogni frase a effetto.
DUCA
Ma se lei ha disdegnato il dono che le ho inviato…
VALENTINO
La donna spregia, a volte, l’oggetto più apprezzato.
Mandategliene un altro, non mollatela mai:
il disdegno iniziale l’amore accende assai.
S’ella vi tiene il broncio, non per ciò vi detesta:
vuol solo che l’amore vi vada un po’ alla testa.
Se ve ne dice quattro, non è per farvi andare:
da sole, le sciocchine, si metton poi a smaniare.
Non subite ripulse, qualunque cosa sia:
l'”Andatevene!”, per lei, non è un “Andate via!”.
Lusingate, lodate, vantate e idolatrate
e, per brutte che siano, ditele angelicate.
Non è un uomo quell’uomo, dotato di favella,
che conquistar non sappia, parlando, la sua bella.
DUCA
Ma quella che dico io è promessa dai suoi
a un giovane gentiluomo d’un certo rango,
e ben segregata da compagnie maschili:
nessun uomo la può accostare alla luce del giorno.
VALENTINO
In tal caso, beh, ci proverei di notte.
DUCA
Sì, coi lucchetti alle porte e le chiavi al sicuro!
Non c’è uomo che possa accostarla, nemmeno di notte.
VALENTINO
Ma che impedisce di entrare dalla finestra?
DUCA
La sua stanza è su in alto, distante dal terreno,
e sporge in modo che non si può scalare
senza rischiare di perdere la vita.
VALENTINO
E allora una scala di corda intrecciata a dovere,
da gettar su, ancorata a un paio di rampini,
ce la farebbe a scalare un’altra torre di Ero
sol che ci fosse un ardito Leandro a tentare la sorte.
DUCA
Ebbene, com’è vero che sei nato gentiluomo,
dimmi come trovare una scala siffatta.
VALENTINO
Per quando vi serve? Potete dirmelo, signore?
DUCA
Per questa stessa notte: l’Amore è come un bimbo,
che vuol far suo tutto ciò che può toccare.
VALENTINO
Per le sette vi farò avere quella scala.
DUCA
Ma, ascolta: mi recherò da lei da solo.
Qual è il modo migliore di portarla sul posto?
VALENTINO
Sarà leggera, mio Duca, e potrete portarla
sotto un mantello appena un po’ ampio.
DUCA
Un mantello come il tuo farebbe alla bisogna?
VALENTINO
Certo, buon Duca.
DUCA
Allora fammi dare un’occhiata al tuo:
ne voglio uno della stessa taglia.
VALENTINO
Ma, mio Duca, qualsiasi mantello serve allo scopo.
DUCA
E come dovrei portarlo poi, il mantello?
Ti prego, fammi un po’ provare il tuo.
[Solleva il mantello di Valentino e scopre una lettera e una scala di corda]
Che lettera è mai questa? Come! “A Silvia”!
E qui è l’arnese adatto alla mia impresa.
Per una volta sarò indiscreto e romperò il sigillo.
[Legge] “A notte, presso a Silvia volano i pensier miei,
E schiavi umili e fidi si prostran sempre a lei.
Ire e redir potessi, lieve del pari anch’io,
Colà dove s’annida l’insensibìl desìo!
Sovra il tuo puro seno riposa il mio pensiero,
Ma il suo signor non viene, seguace al messaggero.
A maledir rimango la grazia a lui concessa,
E il cor segreto invidia cotesta grazia istessa.
E contro a me rivolgo l’odio del cenno mio:
Perch’esso alberga dove posar vorrei sol io.”
E qui che leggo?
“Silvia, stanotte ti vengo a liberare.”
Benone! E qui è la scala per l’impresa.
Bravo Fetonte! Tal come il figlio di Merope,
vorresti guidar tu il carro del cielo
e con folle temerità bruciare il mondo!
Vorresti attingere alle stelle perché ti brillano sul capo!
Via, vile intruso, schiavo presuntuoso!
I tuoi accattivanti sorrisi dispensali ai tuoi pari,
e sappi che non i tuoi meriti ma la mia indulgenza
ti offrono il destro di andar via sano e salvo.
Dovresti essermi grato, più che d’ogni altro favore
di cui ti ho fatto smodata elargizione.
Ma se rimani nei miei possedimenti
un attimo di più di quanto occorra
a lasciare a spron battuto la nostra reggia,
per tutti i santi! la mia collera travolgerà ogni affetto
ch’io porti alla mia figlia, oppure a te.
Sparisci! A vane scuse io non do retta.
Va’, se hai cara la vita, e in tutta fretta!
[Esce]
VALENTINO
E perché non la morte, in luogo d’una vita di tormento?
Morire è esser banditi da se stessi,
e Silvia sono io stesso: bandito da lei
l’io è bandito da me. Un esilio di morte!
Qual luce è luce, se Silvia non appare?
Qual gioia è gioia, se Silvia non è lì?
A men d’immaginarla a me vicina
e far mia una parvenza di perfezione.
Se nella notte mi trovo accanto a Silvia
non sento più nemmeno l’usignolo.
A men di contemplar Silvia di giorno
non c’è più giorno ch’io voglia contemplare.
Non vivo più se lei – di me l’essenza –
mi toglie la benigna sua influenza
che mi dà vita, cibo, luce e affetto.
Non evito la morte, se sfuggo a tal verdetto:
se qui m’attardo, corteggio certa morte,
ma dalla vita fuggo, se fuggo dalla corte.
Entrano Proteo e Lanciotto.
PROTEO
Corri, ragazzo, corri, e vedi di stanarlo!
LANCIOTTO
A-ho! A-hooo!
PROTEO
Cosa vedi?
LANCIOTTO
Colui che cerchiamo: non ha un capello in testa che non sia un Valentino.
PROTEO
Valentino?
VALENTINO
No.
PROTEO
Chi allora? Il suo spirito?
VALENTINO
Neppure.
PROTEO
Che cosa allora?
VALENTINO
Nessuno.
LANCIOTTO
Può un nessuno parlare? Padrone, gliele suono?
PROTEO
A chi vorresti suonarle?
LANCIOTTO
A nessuno.
PROTEO
Fermati, mascalzone!
LANCIOTTO
Ma, signore, io non le suono a nessuno. Vi prego…
PROTEO
Falla finita, mariolo! Amico Valentino, una parola.
VALENTINO
Le mie orecchie son sorde a ogni buona novella,
tante brutte notizie le hanno già possedute.
PROTEO
Allora in muto silenzio seppellirò le mie:
notizie amare, cattive, spiacevoli.
VALENTINO
È morta Silvia?
PROTEO
Mai più, Valentino!
VALENTINO
Già, mai più Valentino, per l’adorata Silvia!
Mi è stata infedele?
PROTEO
Mai più, Valentino!
VALENTINO
Mai più Valentino, se Silvia m’ha tradito!
Insomma, che notizie?
LANCIOTTO
Signore, c’è un editto che fa di voi un poscritto.
PROTEO
Che fa di te un proscritto – Sì, è questa la notizia! –
Dalla città, da Silvia, da me che ti sono amico.
VALENTINO
Oh, di questa pena mi son già nutrito,
ma questo è troppo, ne farò indigestione.
Silvia lo sa che mi hanno messo al bando?
PROTEO
Sì, sì; ed ella ha offerto alla condanna –
che, se non revocata, resta valida a tutti gli effetti –
un mare di perle liquefatte che i più chiamano lacrime:
queste ella ha offerto, ai piedi del burbero padre suo.
E inginocchiata e in lacrime, la sua umile persona
si torceva le mani, di un accattivante candore,
come se appena le avesse sbiancate il dolore.
Ma né le genuflessioni, né la purezza di quelle mani protese,
né mesti sospiri, cupi gemiti o argentei rivoli di pianto
valsero a far breccia in quel genitore inflessibile.
Se Valentino si farà prendere, dovrà morire.
Inoltre, l’intercessione di lei l’ha tanto irritato
quando lei lo supplicava di farti la grazia –
che l’ha relegata in un’angusta prigione
con molte aspre minacce di tenercela a lungo.
VALENTINO
Basta così: a meno che la prossima parola che ti esce di bocca
non abbia un effetto letale sulla mia vita.
Se è così, ti prego, sussurramela all’orecchio
come lamento funebre pel mio dolore infinito.
PROTEO
Smetti di lamentare ciò a cui non c’è rimedio,
e sforzati di trovare rimedio a ciò che lamenti.
È il tempo che genera e fa progredire ogni cosa buona.
Se resti qui, non potrai vedere il tuo amore,
e per di più, restare ti accorcerà la vita.
Sostegno degli amanti è la speranza: portala via con te,
fattene un’arma, contro i pensieri disperati.
Le tue missive giungeranno qui, pur se sarai lontano
e, inviate a me, saranno recapitate
nel seno candido dell’amor tuo.
Ora non è il momento di recriminare.
Vieni, ti accompagnerò oltre la porta della città;
e prima di dirci addio discuteremo con calma
tutto ciò che riguarda i tuoi affari di cuore.
Per l’amore che porti a Silvia – se non a te stesso –
bada ai rischi che corri, e vieni ora con me.
VALENTINO
Ti prego, Lanciotto, se vedi il mio ragazzo,
digli di far presto: mi troverà alla porta di settentrione.
PROTEO
Va’, giovanotto, cerca di trovarlo. Vieni, Valentino.
VALENTINO
Oh mia diletta Silvia! Infelice Valentino.
[Escono Valentino e Proteo]
LANCIOTTO
Io non sarò che un ingenuo – dico bene? – ma ho sale in zucca bastante da pensare che il padrone è uno che vuol fare il furbo: ma fa tutt’uno, visto che come furbo è veramente unico. Non c’è al mondo chi sappia che sono anch’io innamorato, eppure lo sono; ma nemmeno due pariglie di cavalli mi strapperebbero un tal segreto, e nemmeno il nome di colei che amo. Eppure è una donna, ma quale donna sarò il primo a non dirlo, anche se è la serva del lattaio, anche se non serve più, visto che l’han bella e servita le comari, anche se resta a servizio perché è pur sempre la serva del suo padrone e si fa pure pagare. Ha più qualità d’un cane maltese: più che abbastanza per una cristiana nuda e cruda. [Legge da un foglio] Ecco il catalogo delle sue qualità. Imprimis: sa prelevare e trasportare. Beh, un cavallo non sa far di meglio; anzi, un cavallo non sa prelevare ma solo trasportare, e quindi lei va anche meglio d’una giumenta. Item: sa mungere. Gran bella virtù – dico bene? – in una serva dalle mani pulite.
[Entra Svelto]
SVELTO
Ehilà, messer Lanciotto! Qual buon vento vi mena?
LANCIOTTO
Buon vento? Se per questo, la nave ha già preso il largo.
SVELTO
Eh sì, il tuo viziaccio di sempre: prendi fischi per fiaschi. Che novità, in quella carta?
LANCIOTTO
Le novità più nere che tu abbia mai sentito.
SVELTO
Come sarebbe, amico? Nere come?
LANCIOTTO
Nere come l’inchiostro, perdinci!
SVELTO
Fammi un po’ leggere.
LANCIOTTO
Accidenti a te, cetriolo! Non sai mica leggere.
SVELTO
Menti. So farlo.
LANCIOTTO
Ti faccio l’esame. Di’ un po’: chi t’ha generato?
SVELTO
Diamine, il figlio di mio nonno.
LANCIOTTO
O illetterato buono a nulla! Il figlio di tua nonna. Il che dimostra che non sai leggere.
SVELTO
Dài, scemo che sei! Su, carta alla mano, mettimi alla prova.
LANCIOTTO
A te. E per San Nicola, sii svelto.
[Gli dà il foglio]
SVELTO
Imprimis: sa mungere.
LANCIOTTO
Sì, certo che sì.
SVELTO
Item: sa far dell’ottima birra.
LANCIOTTO
Donde il proverbio, “Chi beve birra campa cent’anni”.
SVELTO
Item: sa cucire.
LANCIOTTO
Che è come dire: “È questo il punto!”.
SVELTO
Item: sa scopare.
LANCIOTTO
Scopare? Niente male, la ragazza! e senza manco usare la ramazza…
SVELTO
Item: sa usare il ranno ed il sapone.
LANCIOTTO
Una virtù tutta speciale: così risparmia le strigliate.
SVELTO
Item: sa filare.
LANCIOTTO
Allora potrei filare a divertirmi, mentre lei fila per mantenersi.
SVELTO
Item: ha molte virtù senza nome.
LANCIOTTO
Che è come dire, virtù bastarde, che non conoscendo i loro padri, restano senza nome.
SVELTO
Ora vengono i vizi.
LANCIOTTO
Alle calcagna delle virtù.
SVELTO
Item: non va baciata a digiuno, visto l’alito cattivo.
LANCIOTTO
Beh, un difetto a cui si rimedia con una colazione. Continua.
SVELTO
Item: è di bocca buona.
LANCIOTTO
Il che compensa l’alito cattivo.
SVELTO
Item: parla dormendo.
LANCIOTTO
Oh, non importa: purché non dorma parlando.
SVELTO
Item: è di poche parole.
LANCIOTTO
Oh disgraziato, chi ha messo questo fra i suoi vizi! L’esser di poche parole è l’unica virtù di una donna. Ti prego, depenna, e mettilo al primo posto tra le virtù.
SVELTO
Item: va in calore.
LANCIOTTO
Via anche questo: è il retaggio di Eva, non si può mica toglierglielo.
SVELTO
Item: le mancano i denti.
LANCIOTTO
Neanche questo mi tocca: a me piacciono le croste.
SVELTO
Item: è mordace.
LANCIOTTO
Meno male: senza denti c’è poco da mordere.
SVELTO
Item: si attacca alla bottiglia.
LANCIOTTO
Se il vino è buono, fa bene; e se non lo fa lei lo farò io: bisogna pur attaccarsi alle cose buone.
SVELTO
Item: è prodiga.
LANCIOTTO
Di parole non può essere, visto ch’è scritto che è di poche parole. Di denaro non può essere, visto che i cordoni della borsa li tengo chiusi io. Beh, potrebbe esserlo di quell’altra cosa, e lì posso farci ben poco. Su, va’ avanti.
SVELTO
Item: ha più capelli che sale in zucca, più difetti che capelli, e più soldi che difetti.
LANCIOTTO
Alto là: me la sposo! Quest’ultimo articolo me l’ha fatta prendere e lasciare almeno due o tre volte. Vuoi ricapitolare?
SVELTO
Item: ha più capelli che sale in zucca.
LANCIOTTO
Più capelli che sale in zucca? Provo a dimostrarlo: il coperchio della saliera sta sopra il sale, e quindi val più del sale; i capelli che copron la zucca valgono più del sale in zucca, ché il più sta sempre sopra al meno. Che c’è ancora?
SVELTO
Ha più difetti che capelli…
LANCIOTTO
Questo sì è mostruoso! Vorrei che non ci fosse!
SVELTO
E più soldi che difetti.
LANCIOTTO
Beh, la cosa rende appetibili i difetti. Bene, la faccio mia e, se si arriva a combinare, dato che nulla è impossibile…
SVELTO
Ebbene?
LANCIOTTO
Ebbene, allora te lo devo dire: il tuo padrone ti attende alla porta di settentrione.
SVELTO
Me?
LANCIOTTO
Proprio te! Ma sì, chi credi di essere? Ha atteso uomini ben superiori a te.
SVELTO
E devo andar da lui?
LANCIOTTO
E anche di corsa: ti sei fatto attendere tanto che la tua solita andatura non fa più al caso.
SVELTO
Perché non me l’hai detto subito? Un cànchero, alle tue lettere d’amore! [Esce]
LANCIOTTO
Adesso sarà strigliato a dovere per aver letto la mia lettera. Un tanghero e un cialtrone, a ficcare il naso nei segreti altrui! Gli terrò dietro, voglio godermela, la punizione del giovanotto. Esce.
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entrano il Duca [e] Turione.
DUCA
Ser Turione, non temete, ella vi amerà,
ora che Valentino è bandito dal suo cospetto.
TURIONE
Dacché è in esilio lei mi disprezza più che mai:
ha ricusato la mia compagnia, e se l’è presa con me,
tanto che ormai dispero di farla mia.
DUCA
Questo labile stampo dell’amore è una figura
intagliata nel ghiaccio, che in un’ora di calore
in acqua si dissolve e perde i suoi contorni.
Ci vorrà un po’ di tempo a sciogliere il gelo dei suoi pensieri,
ma poi l’indegno Valentino sarà dimenticato.
Entra Proteo.
Ehilà, Ser Proteo! Il tuo concittadino
è poi partito, secondo il nostro editto?
PROTEO
Partito, mio buon Duca.
DUCA
Mia figlia si affligge molto per la sua partenza?
PROTEO
Un po’ di tempo, mio Duca, ne estinguerà l’afflizione.
DUCA
Lo credo anch’io, ma Turione non la pensa così.
Proteo, la buona opinione che ho di te –
e dei tuoi meriti mi hai dato qualche prova –
mi rende ben disposto a consultarti.
PROTEO
Se mai verrò meno alla lealtà che devo a Vostra Grazia,
possa cessare di vivere, e mai più rivedervi.
DUCA
Tu sai quanto sarei felice di combinare
il matrimonio fra Ser Turione e la mia figliola.
PROTEO
Lo so, mio signore.
DUCA
Ed anche, credo, non ti giunge nuovo
che lei non fa che opporsi al mio volere.
PROTEO
Certo, mio Duca: finché c’era Valentino.
DUCA
Sì, ma lei è tanto perversa da perseverare.
Che si può fare per indurla a dimenticare
l’amore di Valentino, e farla amare Ser Turione?
PROTEO
La cosa migliore è diffamare Valentino,
tacciarlo di malafede, viltà, bassi natali:
tre cose che le donne altamente hanno in spregio.
DUCA
Sì, ma lei penserà che lo si dica in odio a lui.
PROTEO
Certo, se a diffamarlo è un suo nemico:
per cui è d’uopo che a parlare, con cognizione di causa,
sia uno da lei stimato amico suo.
DUCA
Allora dovrete farlo voi, il calunniatore.
PROTEO
È questo, mio Duca, che mi ripugna di fare:
è un tristo ufficio per un gentiluomo,
specie se ai danni del suo migliore amico.
DUCA
Laddove una buona parola non lo può aiutare,
una vostra calunnia non potrà fargli altro danno:
tal vostro ufficio è moralmente neutro,
ed il mandante vuol esser vostro amico.
PROTEO
L’avete vinta, mio signore. Se riesco nell’intento
di dir qualcosa che sia a suo detrimento,
lei non continuerà ad amarlo a lungo.
Ma se l’amore per Valentino ne sarà sradicato,
non ne consegue che lei s’innamori di Turione.
TURIONE
Pertanto, se sdipanate il suo amore da lui
per non ingarbugliarlo – il che non serve a nessuno –
badate bene a riavvolgerlo su di me:
il che va fatto sia tessendo le mie lodi
che disfacendo l’onor di Valentino.
DUCA
Proteo, osiamo affidarvi tale impresa
poiché sappiamo – l’ha detto Valentino –
che siete già fermamente votato ad Amore
e non potete, lì per lì, cambiare idea e ad esso ribellarvi.
Questa è la garanzia che vi dà accesso
a Silvia, a conferire con lei liberamente.
Ella è plumbea, depressa, malinconica
e, per amore dell’amico vostro, sarà lieta di vedervi:
e qui potrete indurla, eloquente come siete,
a odiare il giovane Valentino e amare il mio protetto.
PROTEO
Farò tutto quel che posso.
Ma voi, Ser Turione, mancate di mordente:
dovreste adescarla con del vischio, impaniarne i desideri
con dolenti sonetti, le cui rime ben limate
sian ben ricolme di voti e di promesse.
DUCA
Vero.
Dono del cielo è la poesia, e grande il suo potere.
PROTEO
Ditele che sull’altare della sua beltà
sacrificate lacrime, sospiri, affetti.
Scrivete fino a prosciugar l’inchiostro, che poi torni a fluire
diluito nel pianto, e componete i versi con sentimento
tale da illuminare la vostra dedizione.
Il liuto d’Orfeo aveva per corde i nervi d’un poeta,
ed il suo aureo tocco inteneriva acciaio e selce,
rendeva mansuete le tigri, faceva sì che immensi leviatani,
lasciassero abissi insondabili per danzar sulle spiagge.
Dopo qualche elegia soffusa di mestizia,
recatevi la notte sotto il verone della vostra bella
con dolci musicanti, i cui strumenti
dian voce a lacrimevoli lamenti: il silenzio profondo della notte
si addice a dolci note sì struggenti.
Questo, e nient’altro, potrà mai conquistarla.
DUCA
Questi precetti dimostrano che sai cos’è l’amore.
TURIONE
Stanotte metterò in pratica il consiglio.
Pertanto, Proteo, dolce mio istruttore,
rechiamoci subito in città
a cercare dei gentiluomini che sian musici esperti.
Con me ho un sonetto che servirà allo scopo,
per dar l’avvio al tuo saggio consiglio.
DUCA
All’opera, signori!
PROTEO
Resteremo con Vostra Grazia sino a dopo cena
per poi dar corso ai piani progettati.
DUCA
No, adesso! Vi ritengo esonerati. Escono
I due gentiluomini di Verona
(“The two Gentlemen of Verona” 1590 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
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