(o “I due nobili congiunti”)
di William Shakespeare e John Fletcher
(“The two noble kinsmen” – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
TESEO, Duca d’Atene
IPPOLITA, Regina delle Amazzoni, in seguito moglie di Teseo
EMILIA, sua sorella
PIRITOO, amico di Teseo
PALAMONE, ARCITE: i due nobili cugini tebani
IMENEO, dio dei matrimoni
UN RAGAZZO
ARTESIO, soldato ateniese
Tre REGINE, vedove di re uccisi nell’assedio di Tebe
VALERIO, tebano
UN ARALDO
DONNA, serva di Emilia
UN GENTILUOMO
MESSAGGERI
SEI CAVALIERI, scorta di Palamone e Arcite
UN SERVITORE
CARCERIERE, al servizio di Teseo
FIGLIA del Carceriere
CORTEGGIATORE della Figlia del Carceriere
Due AMICI del Carceriere
FRATELLO del Carceriere
UN DOTTORE
Sei RUSTICI, di cui uno vestito da scimmia o babbuino
UN MAESTRO DI SCUOLA
NELLA e altre quattro Ragazzotte di campagna
UN TAMBURINO
Uno che recita il PROLOGO e l ‘EPILOGO
Ninfe, servitori, contadini, portatore di ghirlande, cacciatori, fanciulle, boia, soldati.
PROLOGO
Squilli di tromba
Commedie nuove e verginità son quasi lo stesso,
entrambe molto ricercate, entrambe ben pagate,
se sono intere e sane. E una buona commedia –
le cui modeste scene arrossiscono il giorno delle nozze,
e tremano di perdere l’onore – è come una
che dopo la santa unione e commozione della prima notte
tutta pudore è ancora, e ancora mantiene
l’aspetto verginale invece di mostrare la fatica del consorte.
Noi ci auguriamo che tale sia la nostra commedia; perché
di certo ha un nobile progenitore, un puro
e un dotto ed un poeta di cui mai s’aggirò
finora uno più illustre tra l’argenteo Trento e il Po.
Chaucer, da tutti ammirato, ci fornisce la storia;
in lui costante per l’eternità essa vive.
Se noi umiliamo la sua nobile origine,
e a salutare questa fanciulla s’alzi un fischio,
o, come scuoterà l’ossa quel buon uomo
e griderà da sotto terra “Via
da me la loppa senza senso di questo scrittorello
che mi guasta gli allori, e i miei lavori illustri li riduce
a roba da Robin Hood!” Con questo timore siamo qui;
poiché, a dire il vero, sarebbe fatica interminabile,
e troppo ambiziosa, aspirare ad eguagliarlo.
Deboli dunque, e quasi senza fiato nuotiamo
in quest’acqua profonda; a voi di darci
una mano in aiuto, e noi cambieremo corso
e faremo qualcosa per salvarci; sentirete
scene, benché al di sotto della sua arte, comunque
degne d’un paio d’ore di sforzo. Alle sue ossa dolce riposo;
contentezza a voi. Se poi la commedia non desse sfogo
neppure a un po’ di noia, e c’accorgiamo
che la perdita nostra è così grossa, meglio sarà che rinunciamo.
Trombe. Esce.
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Musica. Entra Imeneo con fiaccola, preceduto da un ragazzo in tunica bianca che canta e sparge fiori; segue Imeneo una ninfa avvolta nei suoi capelli sciolti e che reca una ghirlanda di grano; quindi Teseo fra altre due ninfe incoronate di grano; quindi Ippolita, la sposa, condotta da Piritoo e un altro che le tiene una corona sopra la testa, anch’essa con i capelli sciolti; dopo di lei, Emilia le regge lo strascico; poi Artesio e seguito.
IL RAGAZZO [canta]
Rose, senza l’aguzza spina,
reali, non solo nel profumo,
ma nel colore,
garofani pudichi, d’odore delicato,
senza fragranza le margherite, ma così carine,
e il dolce timo schietto,
la primula, primogenita della Dea,
alfiere dell’allegra stagione,
con le stinte campanule,
e, nelle loro culle, le bocche di leone,
calendole, fiorite sulle tombe,
e consolide magre,
di cara natura tutti i dolci figli,
giacciono ai piedi di sposa e sposo
blandendo loro il senso.
Sparge fiori.
Non un angelo dell’aria,
melodioso o bell’uccello,
è assente da qui;
ma la cornacchia, l’insolente cuculo,
il corvo iettatore o la grigiosa gracchia
o gazza petulante,
possa mai su questa festa posarsi o cantare
e con sé portar discordia,
ma via da qui volare.
Entrano tre Regine in gramaglie, con veli tinti di nero e corone imperiali. La Prima Regina cade ai piedi di Teseo, la Seconda ai piedi di Ippolita; la Terza davanti a Emilia.
PRIMA REGINA
Per compassione e vera nobiltà,
datemi ascolto e considerazione!
SECONDA REGINA
Per amor di vostra madre,
e per l’augurio che il vostro grembo sia fruttuoso
datemi ascolto e considerazione!
TERZA REGINA
Ora per amore di colui che Giove ha designato
a onorare il vostro letto, e in nome
della pura verginità, siate avvocata
nostra e delle nostre sventure! Questa buona azione
cancellerà dal libro dei debiti
ogni cosa iscritta in conto a voi.
TESEO
Triste signora, alzatevi.
IPPOLITA
In piedi.
EMILIA
Non in ginocchio.
Una donna che io possa soccorrere nella sventura
per me è un obbligo.
TESEO
Qual è la vostra supplica? Parlate voi per tutte.
PRIMA REGINA
Noi siamo tre regine, i cui sovrani caddero
per l’ira del crudele Creonte, e che subirono
lo strazio dei corvi, l’artiglio dei nibbi,
e le beccate delle cornacchie nei campi di Tebe devastati.
Egli non concede che noi ne bruciamo le ossa,
per porre le ceneri nell’urna, né che copriamo
l’oscena vista dell’immonda morte all’occhio santo
del divino Apollo, ma infetta l’aria
col fetore dei nostri signori uccisi. Pietà, Duca!
Tu, purificatore della terra, sfodera la tua temuta spada
che fa buone gesta al mondo; dacci le ossa
dei nostri re morti, che possiamo metterle in luogo sacro;
e nella tua infinita bontà considera
che per le nostre teste coronate non c’è tetto,
se non questo che è del leone e dell’orso,
e volta di ogni cosa.
TESEO
Vi prego, non restate in ginocchio;
fui preso dal vostro discorso, e lasciai
che le vostre ginocchia soffrissero. Ho udito le sventure
dei vostri morti signori, e mi dà un tal dolore
da suscitare in me rabbia e vendetta.
Re Capaneo fu il vostro sire; il giorno
che stava per sposarvi, in un tempo
qual è per me adesso, conobbi il vostro sposo.
Sull’altare di Marte, eravate bella allora;
né il mantello di Giunone era più bello delle vostre trecce,
né meglio la copriva; la vostra corona di grano
non era allora né trebbiata né appassita; la Fortuna a voi
fossettava le guance nei sorrisi. Ercole, nostro parente –
più debole allora degli occhi vostri – lasciò la clava,
si stravaccò sulla pelle nemea e giurò
che i muscoli gli andavano in pappa. O dolore e tempo,
consumatori orribili, tutto divorerete!
PRIMA REGINA
Oh, spero che un dio,
un dio vi sia che aggiunga pietà al vostro coraggio,
sì che vi dia arditezza e spinga voi ad offrirsi
nostro campione.
TESEO
Non più in ginocchio, no, povera vedova;
prostratevi invece davanti alla prode Bellona,
e pregate per me, vostro soldato; sono commosso.
Si volge altrove.
SECONDA REGINA
Onorata Ippolita,
temutissima amazzone, che uccidesti
il cinghiale dalle zanne a falce, che con il braccio
forte e bianco fosti vicina a fare il maschio
sottomesso al tuo sesso, se non che questo tuo signore,
nato per mantenere il creato in quella gerarchia
in cui la Natura l’ha fissato, ti ha riportato
nell’argine da cui stavi straripando, vincendo in te
a un tempo e la forza e l’amore; guerriera
che sai giustamente bilanciare fermezza e compassione,
e che io ora so hai molto più potere su di lui
ch’egli mai ebbe su di te, che controlli la sua forza
come il suo amore, servo devoto al trono
delle tue parole; prezioso specchio per le donne,
ordinagli che noi che il fuoco della guerra brucia
possiamo trovare sollievo all’ombra della sua spada;
fa’ ch’egli la sollevi sopra le nostre teste;
parlagli con voce femminile, debole donna
come una di noi tre; piangi pur di non cedere.
Prestaci le tue ginocchia;
ma non toccare il suolo per noi più di quanto
la colomba sussulta quando le staccano la testa;
dio, se lui giacesse rigonfio sul campo insanguinato,
mostrando i denti al sole, sogghignando alla luna,
quel che fareste voi.
IPPOLITA
Povera signora, non parlate più;
io seguirei volentieri con voi questa buona impresa
quanto quella cui ora mi dirigo, anche se mai finora,
ho preso una strada sentendomi così felice. Il mio signore
è profondamente commosso dal vostro dolore; lasciatelo così assorto.
lo parlerò più tardi.
TERZA REGINA [a Emilia]
Oh, la mia supplica
era iscritta nel ghiaccio, che dissolto da torrido dolore
si squaglia in gocce; così ora la sofferenza senza forma
viene pressata in un’angoscia più profonda.
EMILIA
Vi prego, alzatevi;
il vostro dolore vi sta scritto in faccia.
TERZA REGINA
Ahimè,
là non si può leggerlo; attraverso le mie lacrime,
come i ciottoli distorti di un vitreo torrente,
lo potrete vedere. Signora, signora, purtroppo,
chi vuol conoscere tutti i tesori della terra
deve conoscerne anche il centro; chi vuol pescare
l’ultimo mio pesciolino, dovrà metter piombo alla sua lenza
per calarmela nel cuore. Oh, perdonatemi!
La disperazione che ai più acuisce il cervello
fa di me una sciocca.
EMILIA
Vi prego, non dite nulla, vi prego;
chi non sente o vede la pioggia, quando c’è in mezzo,
non può sapere cos’è bagnato o asciutto. Se voi foste
una statua dipinta da un artista, vi comprerei
per istruirmi in un dolore così grande, invero
un così straziante modello; ma ahimè,
essendo una sorella naturale del nostro sesso,
il vostro dolore batte su di me così arroventato
che vi sarà riflesso e rispedito
il cuore di mio fratello, e lo scalderà alla pietà
se anche fosse di pietra. Vi prego, prendete conforto.
TESEO
Avanti, al tempio! Che non si perda un iota
della sacra cerimonia.
PRIMA REGINA
Oh, questo rito solenne
durerà più a lungo e sarà più costoso
d’una guerra delle vostre supplici. Ricordate, la vostra fama
rintocca nell’orecchio del mondo; quel che voi fate rapido
non è cosa azzardata; il vostro impulso è più
dell’altrui laborioso piano, la vostra previsione
più delle imprese loro. Ma, o Giove, le vostre imprese,
appena che si muovano, come le procellarie fanno ai pesci,
vincono prima di attaccare. Pensate, caro Duca, pensate
quali letti hanno i nostri re uccisi.
SECONDA REGINA
E quali angosce i nostri letti,
ché i nostri amati signori non ne hanno alcuno.
TERZA REGINA
Di adatto ai morti.
A quelli che con corde, pugnali, veleni o precipizi,
stanchi della luce di questo mondo, a se stessi
si son fatti orribili agenti di morte, la pietà degli uomini
concede terra e ombra.
PRIMA REGINA
Ma i nostri signori
giacciono impustolendo davanti al sole che ritorna,
e sì che erano buoni sovrani in vita.
TESEO
È vero,
ed io vi darò conforto,
dando sepoltura ai vostri morti signori; il che
richiederà un’azione contro Creonte.
PRIMA REGINA
E quest’azione
dev’esser fatta presto.
Ora va battuto il ferro; domani avrà perso calore.
Allora, l’infruttuosa fatica dovrà trovar compenso
nel suo stesso sudore; ora egli è sicuro,
neppure si sogna che stiamo davanti alla vostra maestà,
lavando con gli occhi la nostra santa supplica
per rendere limpida la richiesta.
SECONDA REGINA
Ora lo sorprenderete
inebriato dalla sua vittoria.
TERZA REGINA
E il suo esercito pieno
di pane e indisciplina.
TESEO
Artesio, che meglio sai
come scegliere quel che conviene a questa impresa,
i guerrieri migliori per quest’azione, e il numero
per compierla, produci e raduna
le nostre macchine più valide, mentre noi eseguiamo
questo grande atto della nostra vita, quest’impresa
che sfida il destino nel matrimonio.
PRIMA REGINA
Vedove, diamoci la mano.
Siamo ora vedove ai nostri dolori; l’indugio
ci affida a una speranza languente.
TUTTE LE REGINE
Addio.
SECONDA REGINA
Siamo qui al momento sbagliato; ma come può il dolore
scegliere, come il giudizio sereno, il momento più adatto
per la migliore richiesta?
TESEO
Invero, buone signore,
questo è un servizio, al quale mi sto avviando,
più grande di qualsiasi guerra; più importante per me
di tutte le imprese che ho compiuto
o che in futuro potrò sostenere.
PRIMA REGINA
Tanto più lampante
che la nostra supplica sarà negletta, quando le sue braccia,
capaci di trattenere Giove da un concilio, e
garantite dal lume della luna ti stringeranno; oh, quando
ambo le sue ciliege faran cadere la loro dolcezza
sulle tue labbra avide, cosa mai potrai pensare
di re putrefatti e regine lacrimose, quale pena
per ciò che non senti, mentre ciò che senti potrebbe
far disdegnare a Marte il suo tamburo? Oh, se tu giaci
anche una sola notte con lei, ogni sua ora
ti farà debitore di altre cento, e
non ricorderai nient’altro oltre a ciò
cui quel banchetto ti invita.
IPPOLITA [s’inginocchia]
Benché assai improbabile
che vi lasciate così trasportare, e altrettanto spiacente
che sia io a farne richiesta, tuttavia penso
che, se per non rimandare la mia gioia,
che crea un desiderio più appassionato,
io non mi curassi della loro disperazione
che richiede un soccorso immediato, m’attirerei
il biasimo di tutte le donne. Perciò, sire,
poiché io metterò qui a prova le mie preghiere,
o per presumere che abbiano una qualche forza
o per condannare al silenzio perpetuo il loro vigore,
rimandate l’evento cui ci accingiamo, ed appendete
il vostro scudo davanti al cuore, a quel collo
che è mia proprietà, e che io volentieri impresto
perché renda servizio a queste povere regine.
TUTTE LE REGINE [a Emilia]
Oh, aiutateci adesso!
La nostra causa richiede il vostro ginocchio.
EMILIA [s’inginocchia]
Se non accorderete
a mia sorella la grazia con l’energia,
con la prontezza e lo spirito
in cui ve la chiede, d’ora innanzi non oserò
chiedervi nulla, né sarò così ardita
da prender mai marito.
TESEO
Vi prego alzatevi.
Sto supplicando me stesso di fare
ciò che voi mi chiedete in ginocchio.
Tutte le signore si alzano.
Piritoo, continua
a condurre la sposa; andate e pregate gli dei
per il successo e il ritorno; non omettete nulla
della solennità predisposta. Regine
seguite il vostro soldato. [Ad Artesio] Come detto, parti,
e sulla riva d’Aulide raggiungici con
le forze che puoi radunare, dove troveremo
la metà d’un’armata pronta a un’impresa
molto più importante. [A Ippolita] Poiché il nostro tema è la rapidità,
imprimo questo bacio sul tuo fuggente labbro; [la bacia]
cara, conservalo come il mio sigillo. – Andate,
vi vedrò partire.
La processione nuziale si muove verso il tempio.
Addio mia leggiadra sorella, Piritoo,
mantieni la festa fino alla fine, non toglierle neppure un’ora.
PIRITOO
Sire,
vi seguirò alle calcagna; la celebrazione della festa
aspetterà il vostro ritorno.
TESEO
Cugino, ti ordino
di non muoverti da Atene. Noi saremo di ritorno
prima che possiate finire questi festeggiamenti, che ti prego
di non decurtare. Di nuovo, a tutti addio.
La processione esce.
PRIMA REGINA
Così ancora confermi quello che dice il mondo.
SECONDA REGINA
E ti acquisti una divinità pari a Marte.
TERZA REGINA
Se non a lui superiore, poiché
essendo un semplice mortale pieghi i tuoi sentimenti
ad imprese divine; mentre essi, si dice,
gemono sotto tale signoria.
TESEO
Poiché siamo uomini,
così dovremmo fare; se sottoposti ai sensi,
perdiamo il titolo di umani. Animo, signore;
ora ci dirigiamo a confortarvi.
Trombe. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entrano Palamone e Arcite.
ARCITE
Caro Palamone, più caro per affetto che per sangue
e nostro cugino primo, non ancora induriti
nei vizi di natura, lasciamo la città
di Tebe, e le sue tentazioni, prima di macchiare
ulteriormente la nostra freschezza giovanile;
perché qui vivere in astinenza è una vergogna
uguale agli stravizi; poiché il non nuotare
secondo la corrente sarebbe come affondare,
o almeno uno sforzo inutile; e seguire
il flusso generale ci porterebbe a un vortice
in cui dovremmo annaspare o annegare; e se ne usciamo,
ne guadagniamo solo una vita senza vigore.
PALAMONE
Il tuo consiglio
è confermato dagli esempi. Quali strani relitti,
fin da quando eravamo scolari, possiamo osservare
aggirarsi per Tebe? Cicatrici coperte di stracci
sono la ricompensa del valoroso che anticipava
ai suoi ambiziosi fini onore e lingotti d’oro,
che malgrado le vittorie non ottenne, ed ora è schernito
dalla pace per cui s’è battuto; chi più farà offerte
all’altare di un Marte così maltrattato? Mi sanguina il cuore
quando vedo tali uomini, e vorrei che alla grande Giunone
tornasse un attacco dell’antica gelosia
per dar lavoro ai soldati , e la pace si purgasse
dalla propria indigestione, e risvegliasse
il suo cuore generoso, ora duro e chiuso
più di quanto non sia contesa o guerra.
ARCITE
Non vai un po’ fuori?
Non incontri altri relitti oltre ai soldati
nei vicoli e negli angoli di Tebe? Prima parlavi
come se vi vedessi rovine d’ogni tipo;
non scorgi altro che susciti la tua pietà
oltre al militare poco considerato?
PALAMONE
Sì, mi fa pena
decadenza ovunque la trovi, ma soprattutto
quella di chi ha sudato in onorevoli fatiche
ed è pagato con del ghiaccio per raffreddarsi.
ARCITE
Non è su questo
che ho avviato il discorso; questo è valore
che non è rispettato a Tebe. Io parlavo di Tebe
e come, se vogliamo conservare la virtù,
sia pericoloso vivere qui, dove ogni vizio
è tenuto in onore; dove ogni cosa all’apparenza buona
è un vizio certo, dove non essere esattamente come
sono loro, ci farebbe apparire forestieri, e
ad esser come loro, nient’altro che mostri.
PALAMONE
È in nostro potere –
se non temiamo che degli scimmioni c’istruiscano –
decidere il nostro comportamento. Perché mai dovrei
affettare l’andatura di un altro, cosa non attraente
quando si è sicuri di sé, od ammirarne
il modo di parlare, quando col mio
posso farmi capire abbastanza – e salvarmi pure,
dicendo la verità? Perché sono costretto
da qualche dovere gentilizio ad imitare
chi giura sul suo sarto, magari finché
il giurato diventa citatore? O spiegarmi perché,
se il mio barbiere non è alla moda, con lui
ci smena anche il mio povero mento, perché non è sforbiciato
giusto allo specchio di un tale favorito? Che regola c’è
che m’impone lo stocco dal mio fianco
di ciondolarmelo in mano, o di camminare in punta
ancor prima che la strada sia sporca? Io sarò
il primo cavallo di una muta, ma mai uno
che tiri sulla traccia degli altri. Queste povere piaghette
non richiedono un impacco; quel che mi squarcia il petto
quasi fino al cuore è…
ARCITE
Nostro zio Creonte.
PALAMONE
Lui;
un tiranno senza nessun freno, i cui successi
gli tolgono il timore degli dei, e la crudeltà assicura
che nulla c’è al di sopra del suo potere; quasi mette
la religione in crisi, e deifica solo
l’incostante fortuna; e attribuisce
i meriti dei suoi seguaci unicamente
alle sue decisioni e azioni; manda gli uomini alla guerra
e poi se ne arroga le conquiste, bottino e gloria; uno
che non teme di fare il male e non osa fare il bene.
Vorrei che il sangue in me che è anche suo
fosse succhiato via dalle mignatte! Potessero scoppiare
e cadermi di dosso con la sua peste.
ARCITE
Nobile cugino,
lasciamo la sua corte, sì che in nulla siamo complici
della sua infamia spudorata; il nostro latte
saprà di pascolo, e noi dovremo
essere o vili o ribelli, non suoi parenti
in sangue se non lo saremo nelle azioni.
PALAMONE
Parole sante.
Penso che l’eco dei suoi delitti abbia assordato
le orecchie della giustizia celeste; i pianti delle vedove
gli ritornano in gola, e non ricevono
la dovuta attenzione degli dei.
Entra Valerio.
Valerio.
VALERIO
E re vi vuole; ma non vi affrettate
finché la sua gran rabbia non si placa. Febo, quando
spezzò la frusta e inveì contro
i cavalli del sole, appena bisbigliò paragonato
alle sue urla furiose.
PALAMONE
Freme ad ogni venticello.
Ma cosa è successo?
VALERIO
Teseo, che quando minaccia atterisce, ha inviato
a lui una sfida mortale e proclama
rovina a Tebe; già è alle porte per suggellare
ciò che ha promesso in rabbia.
ARCITE
Che venga;
benché temiamo gli dei che rappresenta, non mette
in noi un iota di terrore. Eppure chiunque
riduce a un terzo la sua prestanza – ed è il caso di ciascuno di noi –
quando esita nell’azione, perché col cuore sa
che la sua causa è ingiusta.
PALAMONE
Lascia questi ragionamenti;
ora dobbiamo lealtà a Tebe, non Creonte.
Sebbene abbandonarlo sarebbe un disonore,
e un tradimento opporlo; perciò dobbiamo
stare dalla sua parte alla mercé del fato,
che ha deciso fino al nostro ultimo minuto.
ARCITE
Così dev’essere.
Questa guerra è già in corso, o ci sarà
per rifiuto di qualche condizione?
VALERIO
E già partita;
l’avviso ufficiale arrivò insieme
all’araldo.
PALAMONE
Rechiamoci dal re, che se portasse
un quarto almeno dell’onore in cui
il suo nemico arriva, il sangue che arrischiamo
sarebbe come un salutare salasso, non sperperato,
ma investito per un buon acquisto. Ma ahimè,
se le nostre mani agiscono senza il cuore, che danno
potrà fare il colpo che s’abbatte?
ARCITE
Sia l’esito,
l’arbitro che mai fallisce, a dirci
quando noi stessi già sapremo tutto, ora obbediamo
al comando della fortuna. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Entrano Piritoo, Ippolita ed Emilia.
PIRITOO
Qui separiamoci.
IPPOLITA
Signore, addio. Riferite i miei auguri
al nostro grande sire, sul cui successo io non oso
avanzare il più timido dubbio; benché gli auguri
un traboccante eccesso di valore, se mai fosse possibile,
per sopportare una fortuna avversa. Correte al suo fianco;
l’abbondanza non nuoce mai a chi ben l’amministra.
PIRITOO
Benché cosciente che il suo oceano non ha bisogno
delle mie povere gocce, tuttavia anch’esse
dovranno portare il loro contributo. [A Emilia] Gentile fanciulla,
che quegli ottimi sentimenti che gli dei infondono
nelle loro creazioni più riuscite continuino a regnare
nel vostro cuore prezioso.
EMILIA
Grazie, signore. Ricordatemi
alla maestà di nostro fratello, per la cui vittoria
io pregherò la grande Bellona; e poiché
nel nostro stato mortale le richieste non sono
comprese senza doni, a lei offrirò
ciò che a mio avviso lei gradisce. I nostri cuori
sono nel suo esercito, nella sua tenda.
IPPOLITA
Nel suo cuore.
Siamo state soldati, e non possiamo piangere
quando i nostri amici cingono l’elmo, o partono per mare,
o raccontano d’infanti impalati sulla lancia, o di donne
che han cucinato le loro creature – per poi mangiarle –
nelle lacrime salate versate nell’ucciderle; perciò se
v’aspettate di vedere in noi tali donnette,
aspetterete qui per sempre.
PIRITOO
Pace a voi dunque
mentre io perseguo questa guerra, così che poi
non dovrà più essere invocata. Esce.
EMILIA
Come il suo desiderio
segue l’amico! Dalla partenza, i suoi esercizi,
pur richiedendo impegno e abilità, passavano appena
un’esecuzione distratta, in cui né il vincere
lo faceva attento né il perdere gl’importava, e mentre
s’occupava d’una cosa con la mano, un’altra
ne seguiva con la testa – la sua mente unica nutrice
a questi gemelli così diversi. L’avete osservato
da quando partì il nostro sovrano?
IPPOLITA
Con molta pena;
e l’ho amato per questo. Insieme si sono accampati
in molti luoghi poveri ed infidi,
affrontando pericoli e strettezze; han superato
torrenti la cui ruggente, impetuosa furia
anche all’acqua più bassa era tremenda; ed hanno
combattuto insieme dove la morte stessa abita;
eppure il fato li ha sempre salvati. Il nodo del loro amore,
legato, tessuto, intrecciato così a lungo, così fedele,
e da una mano dall’arte così sottile,
potrà venir consunto, ma mai sciolto. Io penso
che Teseo non potrebbe arbitrare da sé
dividendo in due la propria coscienza e rendendo
uguale giustizia alle due parti, dire quale amore è più grande.
EMILIA
Senza dubbio uno dei due è più grande, e con ragione
sarebbe scortese dire che non siete voi. Conobbi
un tempo in cui gioivo d’una compagna di giochi.
Voi eravate alla guerra quando arricchì la tomba
lei che faceva il letto troppo orgoglioso; si congedò dalla luna –
che apparì pallida alla separazione – quando in età
eravamo entrambe undicenni.
IPPOLITA
Era Flavina.
EMILIA
Sì.
Voi parlate dell’amore di Piritoo e Teseo;
il loro ha più fondamento, è più maturo,
più collegato da solido giudizio, e il loro bisogno
l’uno dell’altro si può dire che irrighi
le loro intrecciate radici d’affetto. Ma io
e quella per cui sospiro e di cui parlavo eravamo esseri innocenti,
ci amavamo perché ci amavamo, e come gli elementi
che non sanno né come né perché, ma pure causano
effetti straordinari con la loro attività, così le nostre anime
facevano l’una per l’altra. Quel che lei amava
era da me approvato, l’inverso, condannato,
senza complicazioni; il fiore che coglievo
e mi mettevo tra i seni – che allora appena cominciavano
a sbocciare intorno al germoglio – lei desiderava
finché ne aveva un altro uguale, e l’affidava
alla stessa innocente culla, dove simili alla fenice
morivano nel profumo; sulla mia testa non v’era ornamento
che lei non imitasse; quelli scelti da lei – graziosi,
anche se forse messi senza studio – io copiavo
nel mio più serio abbigliamento; se il mio orecchio
aveva afferrato qualche nuova canzone, o per caso canticchiandone
ne improvvisavo una, era su quella nota
che cadeva la sua attenzione, anzi vi rimaneva
fino a ripeterla nel sonno. Questa rievocazione –
che, anche un bambino riconoscerebbe, dà un’idea assai imperfetta
dell’antico trasporto – vuol dimostrare
che il vero amore tra fanciulla e fanciulla può essere
maggiore che tra sessi diversi.
IPPOLITA
Siete senza fiato,
e tutta questa rapida tempesta è per dire
che – come la vergine Flavina – voi mai amerete
qualcuno che sia un uomo.
EMILIA
Sono sicura di no.
IPPOLITA
Andiamo, sorellina,
non devo crederti su questo punto,
anche se so che tu stessa ci credi,
più di quanto mi fiderei di un appetito malato
che prova ripugnanza e insieme desiderio. Ma certo, sorella,
se fossi aperta al vostro argomento,
avete detto abbastanza per distogliermi dal braccio
del nobilissimo Teseo, per il cui successo
vado ora dentro a pregare, con l’assoluta certezza
che noi, più del suo Piritoo, sediamo
nel posto più alto del suo cuore.
EMILIA
Non sono
contro la vostra fede, ma continuo nella mia. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA QUARTA
Trombe. Rumori di battaglia all’interno; poi una ritirata. Squilli trionfali. Quindi entra Teseo, vincitore, con un Araldo e seguito, e Palamone e Arcite portati su carri. Le tre Regine gli vanno incontro, e si buttano faccia a terra davanti a lui.
PRIMA REGINA
A te nessuna stella sia avversa.
SECONDA REGINA
E cielo e terra
ti siano amici per sempre.
TERZA REGINA
Ad ogni fortuna che può
esserti augurata, io grido il mio amen.
TESEO
Gli dei imparziali, che dall’alto dei cieli
scrutano noi, loro mortale gregge, notano chi sbaglia,
ed al tempo da loro scelto lo puniscono. Andate e cercate
i resti dei vostri morti re, ed onorateli
in tripla cerimonia; e perché nulla manchi
ai loro sacri riti, noi ve ne forniremo.
E quelli noi deleghiamo a servire
la vostra dignità, e a supplire in ogni cosa
ciò che la nostra fretta lascia incompiuto. Perciò addio,
e vi seguano gli occhi benevoli del cielo.
Escono le Regine con seguito.
Che sono quelli?
ARALDO
Uomini di alto rango, come si può giudicare
dalle loro vesti; prigionieri tebani ci hanno detto
che sono figli di due sorelle, e nipoti del re.
TESEO
Per l’elmo di Marte, li ho visti in battaglia,
simili a un paio di leoni, macchiati del sangue delle loro prede,
aprirsi varchi in truppe spaventate. Fissai la mia attenzione
costantemente su di loro, poiché offrivano uno spettacolo
degno dell’occhio di un dio. Chi era il prigioniero che mi rispose
quando chiesi i loro nomi?
ARALDO
Con licenza, si chiamano
Arcite e Palamone.
TESEO
Giusto; son loro, proprio loro.
Non sono morti?
ARALDO
No, ma neppure in vita; se fossero stati raccolti
appena ricevute le ultime ferite, sarebbe
stato possibile salvarli. Ma respirano ancora,
e sono ancora tra gli uomini.
TESEO
E tali allora trattateli.
Anche la sola feccia di costoro vale milioni di volte
il vino d’altri. Tutti i nostri chirurghi
radunate per curarli; i nostri unguenti più preziosi,
più che dosare, sprecateli; la loro vita ci preme
molto di più di tutte le ricchezze di Tebe. Piuttosto d’averli
liberi da questa condizione e com’erano stamane,
sani e in libertà, preferirei che morissero;
ma quarantamila volte meglio averli
prigionieri nostri che della morte. Portateli subito via
da questa nostra aria fresca, ad essi nociva, e fate per loro
tutto ciò che umanamente si può – e per noi anche di più,
poiché io so bene come terrori, furia, richieste d’amici,
provocazioni d’amore, zelo, sfide della dama,
desiderio di libertà, una febbre o una pazzia,
hanno imposto fatiche cui la natura non arriverebbe
senza una prepotenza, una malata ostinazione
che supera in forza la ragione. Per amor nostro
e per rispetto del grande Apollo, i nostri migliori
offrano al meglio le loro cure. Guidateci in città,
dove ristabilito l’ordine sconvolto, ci affretteremo
ad Atene precedendo l’armata. Trombe. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA QUINTA
Musica. Entrano le Regine con le bare dei loro cavalieri, in processione funebre, con seguito.
CANZONE
Urne ed essenze portate d’intorno;
sospiri e vapori oscurino il giorno;
il nostro dolore par più mortale del morire;
unguenti e incensi e facce meste,
sacre fiale riempite di lacrime,
e lamenti che volano alti per l’aere.
Venite tutti segni tristi e funerei
che son nemici del fuggente piacere;
qui raduniamo soltanto dolori,
qui raduniamo soltanto dolori.
TERZA REGINA
Questo funebre sentiero conduce alla tomba del vostro casato.
Vi riprenda la gioia; con lui dorma la pace.
SECONDA REGINA
E questo alla vostra.
PRIMA REGINA
Per di qua alla vostra. Gli dei offrono
mille diverse vie verso una sola fine certa.
TERZA REGINA
Questo mondo è una città fatta di vie tortuose
e la morte è il mercato dove ognuna converge.
Escono in direzioni diverse.
I due nobili cugini
(“The two noble kinsmen” – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V