(o “I due nobili congiunti”)
di William Shakespeare e John Fletcher
(“The two noble kinsmen” – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano Carceriere e Corteggiatore.
CARCERIERE
Posso disporre di poco finché sono in vita; qualcosa potrò assegnarvi, non molto. Ahimè, la prigione che governo, benché sia adatta per i nobili, raramente questi ci vengono; prima di un salmone, bisogna pescare un sacco di pesciolini. Si dice in giro che io sia più ricco di quanto a me appaia che la voce dica il vero. Magari fossi veramente come mi descrivono. Ma perbacco, quello che ho, sia tanto o sia poco, sarà sicuramente di mia figlia il giorno che muoio.
CORTEGGIATORE
Signore, io non chiedo di più di quello che offrite, e per vostra figlia scriverò nel contratto quello che ho promesso.
CARCERIERE
Be’, ne riparliamo quando queste feste son finite. Ma avete il suo pieno consenso? Vorrei esserne sicuro prima di dare il mio.
Entra la Figlia del Carceriere con della paglia.
CORTEGGIATORE
Ce l’ho, signore. Ma eccola che viene.
CARCERIERE
Il vostro amico qui ed io stavamo appunto parlando di voi riguardo al vecchio affare; ma per ora basta così. Appena sarà finita la confusione a palazzo, vedremo di concludere. Per il momento prendetevi cura dei due prigionieri; vi posso dire che sono due principi.
FIGLIA
Questa paglia è per la loro stanza. È un peccato che sono in prigione, ma sarebbe un peccato se fossero fuori. Io penso che hanno tanta pazienza da far vergognare la sfortuna; la prigione stessa è onorata d’averli e hanno tutto il mondo nella loro stanza.
CARCERIERE
Hanno fama di essere due uomini compiuti in tutto.
FIGLIA
Parola mia, la fama penso che qui balbetta, perché stanno almeno un gradino sopra a come si può descriverli.
CARCERIERE
Ho sentito che in battaglia si sono comportati da eroi.
FIGLIA
Dev’essere proprio così, perché sono nobili nella sconfitta. Mi chiedo quale aspetto avrebbero avuto se fossero stati vincitori, loro che con tale educazione quasi forzano la prigionia a sembrare libertà, la tristezza allegria e la disgrazia una sciocchezza su cui ridere.
CARCERIERE
Veramente?
FIGLIA
Mi sembra che si sentano prigionieri come io mi sento la duchessa d’Atene; mangiano bene, sono allegri, parlano di molte cose, ma mai della prigionia o della loro sfortuna. Eppure un mezzo sospiro, come soffocato prima ancora d’uscire, scappa ogni tanto a uno dei due; cui l’altro subito dà il rimbrotto, ma così dolcemente che vorrei io essere un sospiro ed essere rimproverato così, o almeno il sospirante ed essere consolata.
CORTEGGIATORE
lo non li ho mai visti.
CARCERIERE
Il Duca stesso li ha portati qui nel segreto della notte; per quale ragione non so.
Entrano sopra Palamone e Arcite.
Guardate, eccoli là; quello è Arcite che guarda fuori.
FIGLIA
No, signore, no, è Palamone! Arcite è il più basso dei due; lo potete scorgere in parte.
CARCERIERE
Andiamo, non fate segni. Non è noi che vorrebbero vedere. Via da qui!
FIGLIA
È una festa guardarli. Signore, come sono diversi gli uomini!
Escono il Carceriere, la Figlia, e il Corteggiatore.
PALAMONE
Come state, nobile cugino?
ARCITE
Voi come state, signore?
PALAMONE
Be’, in forze sufficienti per ridere alla sventura,
e sopportare gli eventi della guerra, ma siamo prigionieri
per sempre, temo, cugino.
ARCITE
Penso di sì,
e a quel destino ho pazientemente
disposto il resto della vita.
PALAMONE
O cugino Arcite,
dov’è ora Tebe? Dov’è la nostra nobile terra?
Dove sono i nostri amici e parenti? Mai più
avremo la consolazione di guardarli, mai di vedere
l’ardita gioventù competere nei giochi dell’onore,
impavesati dei pegni sgargianti delle loro dame,
come alte navi a vele spiegate; e poi gettarci in mezzo a loro
e come il vento dell’est lasciarli tutti dietro a noi
quasi fossero nuvole pigre; così Palamone e Arcite,
muovendosi appena e con sprezzatura
superavano le lodi della gente, vincevano gli allori,
prima che ci venissero augurati. Mai più
noi due brandiremo, come gemelli in onore,
le nostre armi, o sentiremo i focosi cavalli
come il mare in tempesta sotto a noi! Le nostre buone spade adesso –
migliori non ne portò il dio della guerra dagli occhi insanguinati –
strappate al nostro fianco, come l’età dovranno arrugginire,
e ornare i templi di quegli dei che ci sono avversi;
queste mani mai più l’estrarranno come fulmini
per folgorare eserciti interi.
ARCITE
No, Palamone,
questi sogni sono prigionieri con noi; siamo qui,
e qui il fiore della nostra gioventù dovrà appassire
come una primavera prematura; qui si troverà la vecchiaia,
e – quel che è più doloroso, Palamone – senza famiglia.
I dolci abbracci d’una amorosa moglie,
carichi di baci, armati di mille cupidi,
mai circonderanno il nostro collo; e non conosceremo
discendenza; copie di noi stessi non vedremo mai
a rallegrare l’età matura, e come ad aquilotti insegnar loro
a scrutare arditamente verso bagliori d’armi, e dire
‘Ricordate quel che furono i vostri padri, e vincete!’
Fanciulle dal dolce sguardo piangeranno il nostro esilio,
e malediranno nelle loro canzoni la fortuna cieca,
finché, vergognandosi, ella vedrà il torto che ha fatto
a gioventù e natura. Questo è il nostro mondo;
non avremo altro da conoscere qui che noi stessi,
sentiremo solo l’orologio che conta le nostre disgrazie.
La vite crescerà, ma noi non la vedremo;
l’estate verrà, e con lei ogni delizia,
ma il morto e freddo inverno abiterà qui per sempre.
PALAMONE
Troppo vero, Arcite. I nostri levrieri tebani,
che scuotevano l’antica foresta coi loro latrati,
non dovremo più richiamare, né più impugnare
i nostri acuti giavellotti, mentre l’infuriato cinghiale
fugge come un turcasso pàrtico il nostro inseguimento,
trafitto da ben temprate frecce. Tutte le belle attività,
cibo e nutrimento di animi nobili,
in noi due qui si spegneranno; noi moriremo –
che è la maledizione della fama – infine,
figli del dolore e dell’ignoranza.
ARCITE
Eppure, cugino,
anche dal profondo di queste sventure,
da tutto ciò che il fato può infliggerci,
io vedo sorgere due consolazioni, due perfette benedizioni,
se piacerà agli dei; tenere qui una coraggiosa pazienza,
e usufruire delle nostre disgrazie insieme.
Finché Palamone è con me, mi prenda un colpo
se penso che questa è la nostra prigione.
PALAMONE
Certamente,
è una grande fortuna, cugino, che i nostri destini
fossero appaiati l’uno all’altro. È verissimo, due anime
poste in due nobili corpi, soffrano pure
l’amarezza del fato, purché crescano insieme,
non s’abbatteranno mai, non possono, e se pure fosse possibile,
un coraggioso affronta la morte come il sonno, e tutto è finito.
ARCITE
E se facessimo buon uso di questo luogo
che tutti gli uomini odiano tanto?
PALAMONE
Come, nobile cugino?
ARCITE
Perché non considerare questa prigione come sacro asilo,
che ci protegga dalla corruzione di uomini inferiori?
Siamo giovani e ancora desideriamo le vie dell’onore,
che libertà e contatti volgari, veleno
degli spiriti puri, potrebbero come tentatrici
lusingarci a deviare da esse. Quali degni oggetti
possono esistere di cui le nostre fantasie
non possano appropriarsi? Ed essendo qui così insieme,
siamo una risorsa infinita l’uno per l’altro;
siamo moglie uno all’altro, sempre generatrice
di nuova prole d’amore; siamo padre, amici, compagni;
siamo, l’uno nell’altro, famiglia.
lo sono il vostro erede, e voi il mio; questo luogo
è il nostro patrimonio; nessun tirannico oppressore
oserà privarcene; qui con un po’ di pazienza
avremo vita lunga e piena di affetto. Vizi non c’insidiano;
la mano della guerra qui non colpisce alcuno, né i mari
inghiottiscono la loro gioventù. Se fossimo in libertà,
una moglie potrebbe dividerci legittimamente, o gli affari;
i litigi consumarci; la malignità di uomini perversi
insistere a cercarci. Potrei ammalarmi, cugino,
dove voi non potreste saperlo, e così morire
senza la vostra nobile mano a chiudermi gli occhi,
o pregare gli dei; mille occasioni,
se non fossimo qui, ci separerebbero.
PALAMONE
M’avete reso –
grazie, cugino Arcite – quasi invaghito
della mia prigionia. Quale disgrazia
è vivere in giro per il mondo e dappertutto!
È da bestia, mi sembra. Io qui trovo il palazzo;
sono sicuro, maggiore contentezza; e tutti quei piaceri
che lusingano la volontà degli uomini alla vanità
vedo ora chiaramente, e sono in grado
di dire al mondo che è soltanto un’ombra appariscente
che il vecchio Tempo passando si porta appresso.
Che sarebbe stato di noi, vecchi alla corte di Creonte,
dove il peccato è arbitro, lussuria e ignoranza
le virtù dei grandi uomini? Cugino Arcite,
se gli dei pietosi non ci avessero messi in questo posto,
saremmo morti come loro, vecchi malati, non compianti,
e con le maledizioni della gente per epitaffio.
Devo dire di più?
ARCITE
Io vi ascolterei ancora.
PALAMONE
Lo farete.
S’è mai parlato di due che s’amassero.
più di noi, Arcite?
ARCITE
Sicuramente no.
PALAMONE
Non credo possibile che la nostra amicizia
potrebbe mai lasciarci.
ARCITE
Fino alla morte non lo potrà;
[Entrano Emilia e la sua Donna in basso]
e dopo morti i nostri spiriti saranno condotti
tra quelli che amano in eterno.
[Palamone vede Emilia]
Parlate ancora, signore.
EMILIA
Questo giardino ha un mondo di delizie in sé.
Che fiore è questo?
DONNA
Si chiama narciso, signora.
EMILIA
Quello era un bel ragazzo, senza dubbio, ma uno sciocco
ad amare se stesso; non c’erano abbastanza ragazze?
ARCITE [a Palamone]
Vi prego, continuate.
PALAMONE
Sì.
EMILIA [alla Donna]
O erano tutte dure di cuore?
DONNA
Non avrebbero potuto con uno così bello.
EMILIA
Tu non lo saresti.
DONNA
Penso che non dovrei, signora.
EMILIA
Brava figliola;
ma bada bene alla tua bontà, comunque.
DONNA
Perché, signora?
EMILIA
Gli uomini sono cose matte.
ARCITE
Volete continuare, cugino?
EMILIA
Potresti ricamare questi fiori con fil di seta, ragazza?
DONNA
Sì.
EMILIA
Voglio un vestito pieno di quelli e questi qua.
Questo è un bel colore; non starebbe bene
su una gonna, ragazza?
DONNA
Graziosissimo, signora.
ARCITE
Cugino, cugino, che vi prende, signore? Allora, Palamone!
PALAMONE
Mai fin’adesso io fui in prigione, Arcite.
ARCITE
Insomma, che succede, amico?
PALAMONE
Guarda, e stupisci.
Cielo, è una dea.
ARCITE
Oh!
PALAMONE
Inchinati.
Costei è una dea, Arcite.
EMILIA
Di tutti i fiori
la rosa mi sembra il più bello.
DONNA
Perché, signora gentile?
EMILIA
È l’emblema perfetto di una fanciulla;
perché quando zefiro gentilmente l’accarezza,
come modestamente essa si schiude, e colora la luce
coi suoi casti rossori! Quando la tramontana s’avvicina,
rude e impaziente, ecco che lei, come la castità,
chiude le sue bellezze di nuovo nel bocciolo,
e lo lascia al rovo volgare.
DONNA
Eppure, buona signora,
talvolta la sua modestia ondeggia tanto
da cadere per questo; vergine,
se la fanciulla ha un po’ di rispetto, sarà restia
a seguire il suo esempio.
EMILIA
Sei una sfacciata.
ARCITE
È meravigliosamente bella.
PALAMONE
È tutta la bellezza del mondo.
EMILIA
Il sole si fa alto, andiamo dentro. Tieni questi fiori;
vedremo come l’arte può avvicinarsi ai loro colori.
Ho il cuore così pieno d’allegria, potrei mettermi a ridere.
DONNA
Io potrei mettermi a letto, son sicura.
EMILIA
E portartici qualcuno?
DONNA
Quello dipende dai patti, mia signora.
EMILIA
Be’, mettetevi d’accordo, allora.
Escono Emilia e la Donna.
PALAMONE
Che pensate di questa bellezza?
ARCITE
È cosa rara.
PALAMONE
È solo rara?
ARCITE
Sì, una bellezza impareggiabile.
PALAMONE
Non potrebbe un uomo ben perder se stesso per amarla?
ARCITE
Non posso parlare per voi; ma quanto a me,
Al diavolo i miei occhi! Adesso sento le mie catene.
PALAMONE
L’amate dunque?
ARCITE
E chi non l’amerebbe?
PALAMONE
E la desiderate?
ARCITE
Più della libertà.
PALAMONE
Io la vidi primo.
ARCITE
Ma questo è niente.
PALAMONE
Sarà qualcosa invece.
ARCITE
Anch’io la vidi.
PALAMONE
Sì, ma non dovete amarla.
ARCITE
Non lo farò, come voi fate, per adorarla
come cosa del cielo e dea beata,
io l’amo come donna, per goderla;
possiamo amare entrambi.
PALAMONE
Voi non l’amerete per niente.
ARCITE
Non amarla per niente? Chi me lo vieta?
PALAMONE
Io che la vidi per primo; io che primo presi possesso
con gli occhi miei di tutte quelle bellezze
in lei rivelate all’umanità. Se tu l’ami
o hai la speranza di render vani i miei desideri,
sei un traditore, Arcite, e un individuo
falso, come le tue pretese su di lei. Amicizia, parentela,
e ogni legame tra di noi io li rinnego,
se tu solo t’azzardi a pensarla.
ARCITE
Ebbene, l’amo,
e se la vita di tutta la mia famiglia dipendesse da ciò,
farei così lo stesso; l’amo con tutta l’anima.
Se per questo vi perderò, addio, Palamone! Lo ripeto
l’amo, e nell’amarla mi ritengo
degno e libero d’amarla
e con gli stessi diritti sulla sua bellezza
di qualsiasi Palamone o essere vivente
che sia figliolo d’uomo.
PALAMONE
Io ti ho chiamato amico?
ARCITE
Sì, e tale mi avete trovato; perché siete agitato così?
Lasciatevi trattare dispassionatamente. Non sono io
parte del vostro sangue, del vostro cuore? Voi m’avete detto
ch’io ero Palamone e voi eravate Arcite.
PALAMONE
Sì
ARCITE
Non posso io esser soggetto a quegli affetti,
quelle gioie, dolori, rabbie, paure che patisce il mio amico?
PALAMONE
Lo potete.
ARCITE
Perché allora vi comportereste così furtivo,
da estraneo, così all’opposto di un nobile cugino,
verso l’amore solamente? Dite la verità, mi considerate
indegno della visione di lei?
PALAMONE
No, ma sleale,
se insegui quella visione.
ARCITE
Perché un altro
vede per primo il nemico, debbo restare fermo,
incurante del mio onore, e rinunciare all’assalto?
PALAMONE
Sì, se quello è solo.
ARCITE
Ma mettete che quello
preferisca combattere con me?
PALAMONE
Aspetta che lo dica,
e poi usa la tua libertà, ma se la insegui,
che tu sia, come il maledetto che tradisce la patria,
per sempre infame.
ARCITE
Voi siete pazzo.
PALAMONE
Dovrò esserlo,
finché tu rinsavisci, Arcite; per me è importante,
e se in questa pazzia t’azzardo
e prendo la tua vita, sarà colpa tua.
ARCITE
Vergogna, signore,
vi comportate da bambino estremamente. Io l’amerò;
lo voglio, è mio dovere, ed oso farlo,
ed è tutto corretto.
PALAMONE
Oh se adesso, se adesso
tu traditore ed il tuo amico avessimo la fortuna
d’un’ora in libertà e d’impugnare
le nostre buone spade; t’insegnerei subito
che cosa sia rubare l’affezione di un altro!
Tu sei più vile in ciò d’un tagliaborse.
Se metti ancora la testa fuori da questa finestra,
sull’anima mia che ti c’inchiodo.
ARCITE
Non ci provare, scemo, non puoi, non ce la fai.
Metter fuori la testa? Ci getterò il mio corpo,
e salterò in giardino, appena la vedrò,
e mi pianterò tra le sue braccia alla faccia tua.
Entra il Carceriere sopra.
PALAMONE
Adesso basta; arriva il guardiano. C’è tempo
per spaccarti la testa con le mie catene.
ARCITE
Provaci.
CARCERIERE
Col vostro permesso, signori.
PALAMONE
Che c’è, buon guardiano?
CARCERIERE
Milord Arcite, dovete subito andare dal Duca.
E perché ancora non lo so.
ARCITE
Son pronto, guardiano.
CARCERIERE
Principe Palamone, devo privarvi per qualche tempo
della compagnia del vostro bel cugino.
Escono Arcite e il Carceriere.
PALAMONE
E me pure,
non appena vi piaccia, della vita. Perché lo cercano?
Forse la sposerà; è di bell’aspetto,
ed è probabile che il Duca abbia notato
sia la sua nobiltà che la persona. Ma la sua falsità!
Perché un amico diventa traditore? Se ciò
gli procurerà una moglie così nobile e bella,
gli uomini onesti mai più dovranno amare. Ancora una volta
vorrei almeno vedere quella bellezza; beato giardino,
e frutta, e fiori ancora più beati che fiorite
quando i suoi occhi splendidi si posano su voi! Vorrei essere,
per tutta la fortuna della mia vita di poi,
quell’alberello, quell’albicocco in fiore;
come crescerei, e butterei le mie braccia vogliose
dentro la sua finestra! Le porterei frutta
degna d’esser mangiata dagli dei; gioventù e piacere
mentre l’assaggia verrebbero su lei moltiplicati,
e se non è già divina, la farei
così vicina agli dei nella natura, che ne avrebbero paura;
e allora, son sicuro, mi amerebbe.
Entra il Carceriere.
Allora, guardiano?
Dov’è Arcite?
CARCERIERE
Esiliato. Il Principe Piritoo
ottenne per lui la libertà; ma mai più,
per giuramento e a pena della vita, dovrà mettere piede
in questo regno.
PALAMONE
È un uomo fortunato!
Rivedrà Tebe, e chiamerà alle armi
gli arditi giovani, che quando gli ordinerà la carica
si butteranno come fuoco. Arcite avrà fortuna
se oserà diventare un degno amante,
e pure in campo affrontare una battaglia per lei;
e se allora la perderà, sarà un freddo codardo.
Quante occasioni per dimostrare coraggio e conquistarla
purché sia il nobile Arcite; mille modi!
Fossi libero io, farei cose
di tale valorosa enormità che la signora,
questa timida vergine, si dovrebbe far uomo,
e cercare di possedermi!
CARCERIERE
Milord, per voi
ho pure quest’incarico –
PALAMONE
Scaricarmi la vita?
CARCERIERE
No, ma da questo luogo rimuovere Vostra Signoria;
le finestre sono troppo facili.
PALAMONE
L’inferno si prenda
chi mi vuole tanto male! Ti prego, uccidimi.
CARCERIERE
E poi essere impiccato?
PALAMONE
Per questa buona luce,
se avessi una spada ti ucciderei.
CARCERIERE
Perché mai, milord?
PALAMONE
Tu mi bombardi di tali miserabili notizie una dopo l’altra
che non sei degno di vivere. Non me ne vado.
CARCERIERE
Ma dovete, milord.
PALAMONE
Potrò vedere il giardino?
CARCERIERE
No.
PALAMONE
E allora è deciso. Non me ne vado.
CARCERIERE
Dovrò costringervi allora; e poiché siete pericoloso,
vi applicherò altri ferri.
PALAMONE
Avanti, buon guardiano.
Li agiterò in tal modo che non dormirete più;
vi farò una nuova moresca. Devo andare?
CARCERIERE
Non c’è altro da fare.
PALAMONE
Addio, cara finestra;
non possa mai il vento scortese farti male. O mia signora,
se hai mai provato cosa sia il dolore,
immagina come soffro. – Su, ora seppelliscimi.
Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Entra Arcite.
ARCITE
Bandito dal regno? È un beneficio,
una grazia per cui gli devo render grazie; ma bandito
dal godere di quel viso per cui muoio,
oh, questa fu una punizione crudele, una morte
oltre l’immaginazione; una vendetta
che, neppure fossi vecchio e malvagio, tutti i miei peccati
potrebbero mai farmi cascare addosso. Palamone,
ora sei tu in vantaggio; tu resterai a vedere
i suoi occhi splendenti sorgere ogni mattina alla tua finestra,
e inondarti di vita; ti nutrirai
della dolcezza di una bellezza nobile
che la natura mai fece di meglio, né mai farà.
Buoni dei, quale felicità è toccata a Palamone!
Venti a uno che arriverà a parlarle,
e se lei è gentile quanto è bella,
so che sarà sua; con la lingua egli sa placare
tempeste, e fare le orride rocce innamorare. Come sia sia,
la morte è il peggio; non lascerò lo stato.
So che il mio è solo un mucchio di rovine,
e là non c’è rimedio. Se vado, egli l’avrà.
Decido dunque per un travestimento che compierà
o terminerà il mio destino. Bene o male che vada, son contento;
la vedrò e sarò a lei vicino, o sarò morto.
Entrano quattro Rustici e uno con una ghirlanda davanti a loro.
PRIMO RUSTICO
Maestri, io ci sarò, questo è sicuro.
SECONDO RUSTICO
Anch’io ci sarò.
TERZO RUSTICO
E anch’io.
QUARTO RUSTICO
E allora, eccomi qua, ragazzi; al peggio è una sgridata.
Si fermi l’aratro per oggi; fischierò il recupero
sulla coda delle ronzine domani.
PRIMO RUSTICO
Sono convinto
che avrò la moglie gelosa come una tacchina;
ma non fa niente, io ci sto, e lei borbotti.
SECONDO RUSTICO
Saltale addosso domani notte e forniscila bene,
ed è subito pace.
TERZO RUSTICO
Ma sì, mettile
una bacchetta in pugno, e la vedrai
imparare una lezione nuova, e far la brava ragazza.
Ci saremo tutti, allora, per il calendimaggio?
QUARTO RUSTICO
Esserci?
E chi lo mancherebbe?
TERZO RUSTICO
Ci sarà Arcade.
SECONDO RUSTICO
E Senese,
e Ricade, i migliori ragazzi che mai ballarono
sotto un albero verde; e le ragazze le conoscete, eh!
Ma il nostro delicato don, il maestro di scuola,
ci sarà? Che ne dite? Perché è lui che dirige, lo sapete.
TERZO RUSTICO
Quello si mangia un abicì piuttosto di mancare. Andiamo,
la storia è troppo avanti tra lui
e la figlia del conciapelli per lasciar perdere ora;
e lei dovrà vedere il Duca, e poi dovrà ballare.
QUARTO RUSTICO
Ce la faremo?
SECONDO RUSTICO
Tutti i ragazzi d’Atene
ci soffieranno dietro ai pantaloni! [Si mette a ballare]
Ed io sarò qui
ed io sarò lì, per la nostra città, e poi di nuovo qui
e poi di nuovo là! Ehi, ragazzi, hurrah per i tessitori!
PRIMO RUSTICO
Ma bisognerà farlo nel bosco.
QUARTO RUSTICO
Oh, scusate.
SECONDO RUSTICO
Assolutamente, così dice la nostra cosa di studi;
dove egli stesso farà un sermone al Duca
molto stupefacente a nostro beneficio. È un grande nel bosco;
ma portalo in pianura, e la sua scienza perde le tracce.
TERZO RUSTICO
Vedremo i giochi, e poi ognuno al suo posto;
e, cari compagni, facciamo le prove senz’altro
prima che le signore ci vedano, e facciamole bene,
e Dio sa cosa ne potrà venir fuori.
QUARTO RUSTICO
D’accordo; finiti i giochi, toccherà a noi.
Forza, ragazzi, e in gamba!
ARCITE
Scusate, onesti amici;
dove siete diretti, prego?
QUARTO RUSTICO
Dove?
Ma senti, che domanda!
ARCITE
Sì, è una domanda
per me che non so.
TERZO RUSTICO
Ai giochi, amico.
SECONDO RUSTICO
Dove siete cresciuto per non saperlo?
ARCITE
Non lontano, signore.
E questi giochi sono oggi?
PRIMO RUSTICO
Eccome se ci sono,
e tali che non vedeste mai. Il Duca stesso
ci sarà in persona.
ARCITE
Cosa sono le gare?
SECONDO RUSTICO
Lotta e corsa. [A parte] Bel tipo questo qui.
TERZO RUSTICO
Tu non ci vieni?
ARCITE
Non ancora, signore.
QUARTO RUSTICO
Allora, signore,
fate con comodo. – Andiamo, ragazzi.
PRIMO RUSTICO
Mi dà da pensare.
Quest’uomo ha l’anca per il colpo di rovescio;
guardate, il corpo sembra fatto su misura.
SECONDO RUSTICO
Che m’impicchino, però
se oserà provarci; che l’impicchino, pappa di prugne!
Quello lottare? Quello fa uova arrosto! Su, sbrighiamoci, ragazzi.
Escono i quattro Rustici e il portatore di ghirlanda.
ARCITE
Qui mi si offre un’occasione
che non avrei osato sperare. Sapevo come far bene la lotta,
i migliori la chiamavano eccellente; e correre
più veloce di quanto il vento su un campo di grano,
piegando le spighe piene, mai volasse. Tenterò
e ci andrò in umile travestimento; chissà
che la mia fronte non sia cinta d’alloro,
e la fortuna mi favorisca a un posto
dove io possa sempre restare nella vista di lei?Esce.
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entra la Figlia del Carceriere sola.
FIGLIA
Perché dovrei amare questo signore? È improbabile
che egli mai s’affezionerà a me; io sono inferiore,
mio padre il volgare guardiano della sua prigione,
e lui un principe. Sposarlo, nessuna speranza;
fargli da concubina, è sciocco. Basta, perciò!
In che situazioni siamo spinte noi ragazze
quando arriviamo ai quindici! Prima lo vidi;
vedendolo, pensai che era un bell’uomo;
c’è tanto in lui da piacere a una donna –
se a lui così piacesse concederlo – quanto mai
questi occhi videro finora. Poi, ne provai pietà,
e così avrebbe fatto ogni ragazza, sulla mia coscienza,
che mai sognò, o promise la sua verginità
a un bel ragazzo. Eppoi l’amai,
estremamente l’amai, infinitamente l’amai;
eppure aveva un cugino, anche bello come lui;
ma nel mio cuore c’era Palamone, e là,
Signore, che tumulto ci mantiene! Sentirlo
cantare la sera, che paradiso! Eppure,
le sue canzoni sono tristi. Che parlasse così bene
mai vi fu gentiluomo; quando io entro
a portargli l’acqua la mattina, prima
inchina il suo nobile corpo, poi mi saluta, così:
“Bella, gentile fanciulla, buon mattino; la tua dolcezza
ti procuri un felice marito.” Una volta mi baciò;
che mi fece amar di più le mie labbra dieci giorni –
Vorrei che lo facesse ogni mattina! È molto infelice,
ed io altrettanto a veder la sua pena.
Che dovrei fare per fargli sapere che l’amo?
Perché me lo godrei così volentieri. E se mi azzardassi
a liberarlo? Che dice la legge poi? Ecco qua
per la legge o la famiglia! Lo farò:
e stanotte, o domani, egli mi amerà. Esce.
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
Brevi squilli di tromba e grida all’interno. Entrano Teseo, Ippolita, Piritoo, Emilia, Arcite vestito da contadino, con una ghirlanda, e altri contadini e seguito.
TESEO [ad Arcite]
Avete ben meritato; non ho visto,
dopo Ercole, un uomo dai muscoli più solidi.
Quel che siate, a correre e lottare siete il migliore
dei nostri tempi.
ARCITE
Sono orgoglioso di piacervi.
TESEO
Quale nazione vi dette i natali?
ARCITE
Questa, ma in regione remota, principe.
TESEO
Siete un gentiluomo?
ARCITE
Mio padre diceva così,
e a tale gentilezza mi dette educazione.
TESEO
Siete il suo erede?
ARCITE
Il suo minore, sire.
TESEO
Vostro padre
è certo fortunato, allora. Che prova chi siete?
ARCITE
Un po’ di ogni nobile attività;
sapevo come si tiene un falcone, e s’incita
un nutrito latrare di cani; non m’azzardo a lodare
la mia prestanza a cavallo, ma chi mi conobbe
la diceva mia migliore dote; infine, e più importante,
vorrei mi si pensasse un soldato.
TESEO
Siete perfetto.
PIRITOO
In fede mia, un uomo completo.
EMILIA
È così.
PIRITOO
Che ve ne pare, signora?
IPPOLITA
Son piena d’ammirazione;
non ho visto un uomo così giovane, così nobile –
se dice il vero – della sua condizione.
EMILIA
È certo
che sua madre fu una donna bellissima;
la sua faccia, direi, va in quella direzione.
IPPOLITA
Ma il suo corpo
e il bollente spirito denunciano un animoso padre.
PIRITOO
Ammirate la sua virtù, che, come un sole nascosto,
irrompe dai suoi abiti dimessi.
IPPOLITA
È nato bene, è certo.
TESEO
Cosa v’indusse a cercare questo posto, signore?
ARCITE
Nobile Teseo,
ad acquistare fama, e servire al mio meglio
una ben meritata meraviglia quale tu sei;
perché solo alla tua corte, di tutte al mondo,
risiede l’onore schietto.
PIRITOO
Tutto quello che dice è nobile.
TESEO
Signore, vi siamo molto grati per la vostra fatica,
e non sarà vano il vostro desiderio; Piritoo,
disponete di questo bravo gentiluomo.
PIRITOO
Grazie, Teseo.
[ad Arcite]
Qualunque cosa siate siete mio, ed io vi assegno
ad un servizio nobilissimo, a questa signora,
questa risplendente vergine; prego onorate la sua bontà.
Avete onorato il suo bel compleanno con le vostre qualità,
ed in premio, siete suo; baciate la sua bella mano, signore.
ARCITE
Signore, siete un nobile donatore. [A Emilia] Carissima bellezza,
così lasciate che sigilli la mia giurata fede.
Le bacia la mano.
Se il vostro servo,
la vostra più indegna creatura, appena v’offenda,
ordinategli di morire; lo farà.
EMILIA
Sarebbe troppo crudele.
Se meritate bene, signore, lo vedrò presto.
Voi siete mio;
e alquanto meglio del vostro rango vi tratterò.
PIRITOO
Vedrò che siate equipaggiato, e poiché dite
che siete cavaliere, debbo pregarvi
nel pomeriggio di montare; però è uno focoso.
ARCITE
Lo preferisco, principe; eviterò così
d’irrigidirmi in sella.
TESEO [a Ippolita]
Cara, dovrete esser pronta,
e voi, Emilia, e voi, amico, e tutti,
domani prima del sole, per fare ossequio
a Maggio fiorito, nel bosco di Diana. Messere,
servite bene la vostra signora; Emilia, confido
che non verrà appiedato.
EMILIA
Sarebbe un peccato, sire,
finché ho cavalli. [Ad Arcite] Fate la vostra scelta, e quello
che vi occorrerà in futuro, dovrete solo farmelo sapere;
se mi servite fedelmente, v’assicuro
mi troverete una padrona affezionata.
ARCITE
Se non lo faccio,
ch’io mi ritrovi con quello che mio padre di più odiava,
vergogna e botte.
TESEO
Andate in testa al corteo; l’avete meritato.
Così sarà; riceverete tutti i tributi
dovuti all’onore conquistato, sarebbe ingiusto altrimenti. –
Sorella, mi si maledica, avete un servitore
che, se io fossi donna, farebbe da padrone;
ma voi siete discreta.
EMILIA
In questo, spero, assai discreta, sire.
Trombe. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA QUINTA
Entra la Figlia del Carceriere sola.
FIGLIA
Che tutti i duchi e tutti i diavoli ruggiscano pure;
lui è in libertà. Ho arrischiato per lui,
e l’ho condotto fuori. Ad un boschetto
a un miglio da qui l’ho mandato, dove un cedro
più alto degli altri si spande come un platano,
proprio accanto a un ruscello, e là si terrà nascosto,
finch’io gli porterò lime e cibo, perché ancora
non s’è liberato dei suoi braccialetti di ferro. O amore,
che bambino di cuore saldo sei! Mio padre
preferiva affrontare il freddo ferro prima di farlo.
Io l’amo oltre l’amore, ed oltre la ragione,
o la saggezza, o la sicurtà; gliel’ho fatto sapere.
Non m’importa, sono disperata. Se la legge
mi scopre, e poi condanna per questo, ci saranno ragazze,
fanciulle di cuore puro, che canteranno il mio elogio,
e diranno alla storia che la mia morte fu nobile,
quasi una martire. La via che prenderà
intendo che sarà anche la mia; certo non può
essere così disumano da lasciarmi qui?
Se lo facesse, alle ragazze non sarà più così facile
credere negli uomini. Ancora però non mi ha ringraziata
per ciò che ho fatto, no, neppure un bacio,
e questo, mi sembra, non è una bella cosa; e quasi
ho dovuto convincerlo a tornare un uomo libero,
tanto protestava per il torto che faceva
a me e a mio padre. Lo stesso, spero,
quando ci avrà pensato sopra, questo mio amore
metterà più radici dentro a lui. Faccia
quel che vorrà di me, purché mi tratti bene;
perché così dovrà trattarmi, o griderò che lui,
ed anche al suo cospetto, non è un uomo. Ora
lo fornirò del necessario, e prenderò i miei vestiti,
e per ogni sentiero della terra m’avventurerò
purché lui sia con me; accanto a lui, come un’ombra
sempre resterò. Entro un’ora il putiferio
si scatenerà per la prigione; ed io allora
sarò a baciare l’uomo che cercheranno. Addio, padre;
procurati molti altri prigionieri come lui, e figlie come me,
e presto potrai fare il guardiano di te stesso. Ed ora a lui.
Esce.
I due nobili cugini
(“The two noble kinsmen” – 1613)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V