(“The Merchant of Venice” 1594 – 1597)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Fanfara di cornette. Entra il principe del Marocco, un moro di pelle bruna tutto vestito di bianco, con tre o quattro persone al seguito simili a lui, e Porzia, Nerissa e il loro seguito.
MAROCCO
Non mi disdegnate per la mia carnagione,
l’ombrato emblema del sole brunìto,
cui io sono vicino e prossimo parente.
Portatemi la più bianca creatura del nord,
dove a stento il fuoco di Febo scioglie i ghiaccioli,
e entrambi, per amor vostro, incidiamoci la carne
per mostrare di chi è il sangue più rosso, il suo o il mio.
Io vi dico, signora, che questo mio aspetto
ha atterrito i valorosi. Giuro, sul mio amore,
che l’hanno amato, invece, le più stimate vergini
delle nostre regioni. Non cambierei questo colore
se non per rubare i vostri pensieri, mia gentile regina.
PORZIA
In fatto di scelte, non sono guidata solamente
dagli esigenti consigli dei miei occhi di donna.
Inoltre, la lotteria del mio destino mi preclude
il diritto di scegliere con la mia volontà.
Ma se mio padre non mi avesse posto limiti
e costretta, con la sua saggezza, a concedermi
in sposa a chi mi vincerà nel modo che vi ho detto,
voi sareste, illustre principe, non meno gradito
ai miei occhi di tutti quelli che son venuti
per il mio affetto.
MAROCCO
Proprio per questo vi ringrazio.
Quindi vi prego di condurmi agli scrigni
a tentare la mia fortuna. Per questa scimitarra,
che ha ucciso il Sofì e un principe persiano
che tre volte batté in campo il sultano Solimano,
io piegherò lo sguardo degli occhi più fieri,
batterò lo spirito più ardito della terra,
strapperò all’orsa i cuccioli poppanti,
sì, sfiderò il leone quando ruggisce alla preda,
per vincere voi, signora. Ma, ahimè!
se Ercole e Lica si giocassero ai dadi
chi dei due è il più forte, la miglior gettata,
per caso, potrebbe riuscire alla mano più debole:
così Alcide è battuto dalla sua furia,
e così potrei io, guidato dalla cieca Fortuna,
perdere ciò che uomo men degno potrebbe ottenere,
e ne morirei di dolore.
PORZIA
Dovete rischiare la sorte:
non tentare affatto la scelta oppure,
prima di scegliere, giurare che se sbagliate
non parlerete mai più di matrimonio
ad una signora. Quindi riflettete bene.
MAROCCO
Non lo farò. Su, portatemi alla mia sorte.
PORZIA
Prima al tempio; dopo cena
farete il vostro azzardo.
MAROCCO
Allora sarà il fato
a far di me l’uomo più felice o più sventurato!
Cornette. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entra Lancillotto Gobbo, solo.
LANCILLOTTO
Certo la mia coscienza mi darà il permesso di scappare da quest’ebreo del mio padrone. Il demonio mi sta alle costole e mi tenta dicendomi, “Gobbo, Lancillotto Gobbo, buon Lancillotto” o “buon Gobbo” o “buon Lancillotto Gobbo, usa le gambe, datti una spinta e scappa via”. La mia coscienza dice, “No, sta’ attento, onesto Lancillotto, sta’ attento, onesto Gobbo”, o, come ho già detto, “onesto Lancillotto Gobbo, non scappare, prendi a calci quest’idea di scappare”. Ma ecco che il molto coraggioso demonio mi ordina di far fagotto; “Via!” dice il demonio, “vattene” dice il demonio, “in nome del cielo, tira fuori il coraggio” dice il demonio “e scappa”. Beh, la mia coscienza, attaccata al collo del mio cuore, mi dice molto saggiamente, “Mio onesto amico Lancillotto”, poiché sono il figlio di un onest’uomo, o meglio di una onesta donna, perché in realtà mio padre puzzava un poco, un che di attaccaticcio, aveva un certo odore – beh, dice la mia coscienza, “Lancillotto, non muoverti”. “Muoviti”, dice il demonio. “Non muoverti”, dice la mia coscienza. “Coscienza”, dico io, “mi consigli bene”. “Diavolo”, dico io, “mi consigli bene”. A farmi guidare dalla mia coscienza, resterei coll’ebreo mio padrone, che, Dio mi perdoni, è una specie di diavolo; e a scappare dall’ebreo, mi farei guidare dal demonio che, con rispetto parlando, è il diavolo in persona. Certo l’ebreo è proprio il diavolo incarnato; e, in coscienza, la mia coscienza non è che una specie di coscienza incallita da mettersi a consigliarmi di restare con l’ebreo. Il demonio mi dà il consiglio più da amico. Scapperò, demonio; le mie calcagna stanno al tuo comandamento; scapperò.
Entra il vecchio Gobbo con un canestro.
GOBBO
Signor giovanotto, voi, vi prego, qual è la strada per il signor ebreo?
LANCILLOTTO (a parte)
O cielo! Questo è il mio padre legittimamente generato, che, più che sabbia davanti agli occhi, ha fitta ghiaia, e non mi riconosce. Voglio mettermi in confusione con lui.
GOBBO
Signor gentiluomo, vi prego, qual è la strada per il signor ebreo?
LANCILLOTTO
Girate a destra alla prima svolta, ma alla primissima a sinistra, e per carità alla prima di tutte non girate da nessuna parte, ma girate giù e di traverso alla casa dell’ebreo.
GOBBO
Per i santi di Dio, sarà una strada dura da azzeccare! Sapete dirmi se un tale Lancillotto, che sta con lui, sta con lui o no?
LANCILLOTTO
Parlate voi del giovane signor Lancillotto? (A parte) Attenti ora, ora faccio venir giù i torrenti. Parlate voi del giovane signor Lancillotto?
GOBBO
Non signore, signore, ma il figlio di un pover’uomo. Suo padre, anche se sono io a dirlo, è un onest’uomo molto molto povero, e, sia ringraziato Iddio, se la cava bene.
LANCILLOTTO
Bene, suo padre sia quel che vuole, parliamo del giovane signor Lancillotto.
GOBBO
L’amico di vossignoria, Lancillotto, signore.
LANCILLOTTO
Ma vi prego, ergo buon vecchio, ergo vi supplico, parlate del giovane signor Lancillotto.
GOBBO
Di Lancillotto, se piace a vossignoria.
LANCILLOTTO
Ergo, il signor Lancillotto. Non parlate del signor Lancillotto, vecchio mio, perché il giovane gentiluomo, in conformità con i Fati e i Destini e tali strani detti, le Tre Sorelle e tali branche del sapere, è in verità deceduto, o, come voi direste in termini piani, è andato in cielo.
GOBBO
Maria, Dio non voglia! Il ragazzo era il bastone della mia vecchiaia, proprio il mio puntello.
LANCILLOTTO
Ho l’aspetto di una mazza o di un palo, un bastone o un puntello? Mi riconoscete, padre?
GOBBO
Ahimè, non vi riconosco, giovane gentiluomo! Ma vi prego ditemi, il mio ragazzo, pace all’anima sua, è vivo o morto?
LANCILLOTTO
Non mi riconoscete, padre?
GOBBO
Ahimè, signore, c’è sabbia sui miei occhi, non vi riconosco.
LANCILLOTTO
Beh, in verità anche se aveste occhi non mi riconoscereste: è un padre saggio quello che riconosce il suo proprio figlio. Bene, vecchio, vi darò notizie di vostro figlio. (S’inginocchia) Datemi la vostra benedizione. La verità verrà alla luce, l’assassinio non può rimaner nascosto a lungo – il figlio di un uomo sì, ma alla fine la verità verrà fuori.
GOBBO
Vi prego, signore, alzatevi; son sicuro che non siete Lancillotto il mio ragazzo.
LANCILLOTTO
Vi prego, non ci scherziamo più sopra, ma datemi la vostra benedizione: io sono Lancillotto, quello che era il vostro ragazzo, è vostro figlio, e sarà il vostro bambino.
GOBBO
Non posso pensare che siete mio figlio.
LANCILLOTTO
Io non so cosa pensare, ma io sono Lancillotto, il servo dell’ebreo e sono sicuro che Ghita vostra moglie è mia madre.
GOBBO
Il suo nome è Ghita davvero. Giuraddio, se tu sei Lancillotto, sei carne e sangue mio. Perdio, sia lode a lui, che barba hai fatto! Hai più peli al mento di quanti ne ha sulla coda Dobbin il mio cavallo da tiro.
LANCILLOTTO
Sembra, allora, che la coda di Dobbin cresca all’incontrario. Sono sicuro che l’ultima volta che l’ho visto aveva più peli nella coda di quanti ne ho io in faccia.
GOBBO
Dio, come sei cambiato! Andate d’accordo tu e il tuo padrone? Gli ho portato un regalo. Andate d’accordo?
LANCILLOTTO
Sì, sì, ma per parte mia, poiché ho deciso di puntar tutto sulla fuga, non pianterò le tende finché non avrò corso per un bel pezzo. Il mio padrone è un vero ebreo. Dargli un regalo? Dategli un capestro! Muoio di fame al suo servizio. Potete contarmi con le costole tutte le dita che ho. Padre, sono contento che siete venuto. Date per conto mio il vostro regalo a un certo signor Bassanio che dà davvero meravigliose livree nuove. Se non entro al suo servizio, scapperò per tutta la terra che Dio ha fatto. O che meravigliosa fortuna, eccolo che viene! Da lui, padre, ché sono anch’io ebreo, se servirò ancora quell’ebreo.
Entra Bassanio, con Leonardo e una o due persone al seguito.
BASSANIO
Puoi far così, ma in fretta, che la cena sia pronta al più tardi per le cinque. Guarda di consegnare queste lettere, fa preparare le livree e prega Graziano di venir subito a casa mia.
Esce un servo.
LANCILLOTTO
Sotto, padre.
GOBBO
Dio benedica Vossignoria!
BASSANIO
Molte grazie. Vuoi qualcosa da me?
GOBBO
Ecco mio figlio, signore, un povero ragazzo.
LANCILLOTTO
Non un povero ragazzo, signore, ma il servo di un ricco ebreo, che vorrebbe, signore, come mio padre specificherà…
GOBBO
Lui, signore, ha come si direbbe, una grande infezione a servire.
LANCILLOTTO
In verità, a farla breve e lunga, io servo l’ebreo, e ho il desiderio, come mio padre specificherà…
GOBBO
Il suo padrone e lui, con tutto il rispetto per Vossignoria, non mangiano proprio alla stessa tavola.
LANCILLOTTO
In breve, la verità vera è che l’ebreo avendomi fatto torto mi spinge, come mio padre, essendo spero un vecchio, vi fruttificherà…
GOBBO
Ho qui un piatto di piccioni che vorrei offrire a Vossignoria, e la mia richiesta è…
LANCILLOTTO
A farla brevissima, la richiesta è impertinente a me stesso, come Vossignoria apprenderà da questo onesto vecchio, e anche se lo dico io, anche se è vecchio, pure, pover’uomo, è mio padre.
BASSANIO
Parli uno per tutti e due. Che volete?
LANCILLOTTO
Servirvi, signore.
GOBBO
Questo è il vero dissenso della questione, signore.
BASSANIO
Ti conosco bene, la tua richiesta è accolta.
Il tuo padrone Shylock mi ha parlato oggi,
e ti ha proposto per un avanzamento, se avanzamento
è lasciare il servizio di un ricco ebreo
per entrare al seguito di un così povero gentiluomo.
LANCILLOTTO
Il vecchio proverbio si spartisce molto bene fra il mio padrone Shylock e voi, signore. Voi avete “la grazia di Dio”, signore, e lui ha “quel che basta”.
BASSANIO
Dici bene. Va’, vecchio, con tuo figlio;
tu prendi congedo dal tuo vecchio padrone
e trova la mia abitazione.
(A un servo) Dategli una livrea
più guarnita dei suoi compagni. Che sia fatto.
LANCILLOTTO
Sotto, padre. Non so procurarmi un servizio, no! Non riesco a frenare la mia lingua, bah! Se c’è uno in Italia con una palma di mano migliore della mia per giurare su un libro, io avrò buona sorte! Ma via! Ecco qui una linea della vita bella semplice, e qui una sciocchezzuola di mogli, ahimè, quindici mogli è un nonnulla; undici vedove e nove fanciulle è un’entrata normale per un uomo. E poi scampare tre volte all’annegamento e rischiare la vita sull’orlo di un letto di piume, sono scampi da nulla. Beh, se la Fortuna è donna, è una buona giovincella per questa faccenda. Venite, padre, prenderò congedo dall’ebreo in un batter d’occhio.
Esce Lancillotto col vecchio Gobbo.
BASSANIO
Ti prego, buon Leonardo, pensaci tu.
E dopo aver comprato e ben stivato queste cose,
torna in fretta, perché stanotte faccio festa
con i miei più stimati conoscenti. Sbrigati, va’.
LEONARDO
Farò del mio meglio.
Entra Graziano.
GRAZIANO
Dov’è il tuo padrone?
LEONARDO
È lì che passeggia. Esce.
GRAZIANO
Signor Bassanio!
BASSANIO
Graziano!
GRAZIANO
Ho da farti una richiesta.
BASSANIO
Già accordata.
GRAZIANO
Non mi devi dir di no, devo venire con te a Belmonte.
BASSANIO
Beh, se devi – ma ascolta, Graziano,
tu sei troppo avventato, brusco e ardito di lingua,
qualità che ti si addicono certo felicemente
e, ad occhi come i nostri, non risultano difetti,
ma dove non ti si conosce, beh, appaiono
un po’ sfrenate. Abbi cura, ti prego,
di temperare con fredde gocce di moderazione
il tuo spirito balzano, che i tuoi modi avventati
non mi mettano in cattiva luce nel posto dove vado
facendomi perdere le mie speranze.
GRAZIANO
Signor Bassanio, ascoltami:
se non mi metto un abito sobrio,
non parlo con riguardo, non bestemmio che ogni tanto,
non porto in tasca libri di preghiera, non prendo un’aria compunta;
di più, se non mi calco il cappello sugli occhi, così,
mentre vien detto il ringraziamento, e non sospiro e dico “amen”,
se non osservo tutte le regole della creanza,
come uno che si è studiato un’apparenza grave,
per compiacere sua nonna, non fidarti più di me.
BASSANIO
Bene, vedremo come ti comporti.
GRAZIANO
Ma escludo stasera; non dovrai valutarmi
da quanto faremo stasera.
BASSANIO
No, sarebbe un peccato.
Ti pregherei anzi di mettere l’abito
più allegro e ardito, perché abbiamo amici
che vogliono divertirsi. Ma a dopo,
ho qualcosa da fare.
GRAZIANO
E io devo andare da Lorenzo e gli altri,
ma verremo da te all’ora di cena. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Entrano Gessica e Lancillotto il clown.
GESSICA
Mi dispiace che tu voglia lasciare così mio padre.
La nostra casa è un inferno e tu, diavolo allegro,
le rubavi un po’ del suo tedio.
Ma addio, ecco un ducato per te.
E, Lancillotto, presto a cena vedrai
Lorenzo, che è ospite del tuo nuovo padrone;
dagli questa lettera; fallo di nascosto.
E così addio; non vorrei che mio padre
mi vedesse parlare con te.
LANCILLOTTO
Addio! Le lacrime mi esibiscono la lingua, bellissima pagana, dolcissima ebrea! Se un cristiano non fa il furfante per prenderti, mi sbaglio di grosso. Ma addio! Queste stupide gocce annegano un po’ il mio virile spirito. Addio! Esce.
GESSICA
Addio, buon Lancillotto.
Ahimè, che odioso peccato è il mio,
vergognarmi di essere figlia di mio padre!
Ma se sono figlia del suo sangue,
non lo sono dei suoi modi. O Lorenzo,
se mantieni la promessa, finirà in me questa contesa,
diventerò cristiana e tua amorosa sposa.
ATTO PRIMO – SCENA QUARTA
Entrano Graziano, Lorenzo, Salerio e Solanio.
LORENZO
Allora, ce la svigneremo durante la cena,
ci maschereremo a casa mia, e torneremo
nel giro di un’ora.
GRAZIANO
Non abbiamo fatto i preparativi giusti.
SALERIO
Non abbiamo ancora fissato i portatorce.
SOLANIO
È cosa da poco, se non si organizza con eleganza;
meglio rinunciarvi, a mio parere.
LORENZO
Non sono che le quattro, abbiamo due ore
per equipaggiarci.
Entra Lancillotto con una lettera.
Quali nuove, amico Lancillotto?
LANCILLOTTO
Se vi piacerà aprire questa, potrà significarvelo.
LORENZO
Conosco la mano. In fede mia, una bella mano,
e più bianca della carta su cui ha scritto
è la mano che vi scrisse.
GRAZIANO
Nuove d’amore, in fede mia!
LANCILLOTTO
Col vostro permesso, signore.
LORENZO
Dove te ne vai?
LANCILLOTTO
Perdio, signore, a invitare il mio vecchio padrone, l’ebreo, a cenare stasera dal mio nuovo padrone, il cristiano.
LORENZO
Aspetta, prendi questo, e di’ alla gentile Gessica
che non mancherò. Parlale di nascosto.
Esce Lancillotto.
Su, signori,
volete prepararvi per questa mascherata stanotte?
Io ho trovato un portafiaccola.
SALERIO
Sì perdio, mi ci metto subito.
SOLANIO
E anch’io.
LORENZO
Mi troverete con Graziano,
tra un’ora circa, a casa di Graziano.
SALERIO
Bene, si farà così. Esce con Solanio.
GRAZIANO
Non era della bella Gessica quella lettera?
LORENZO
Devo per forza raccontarti tutto. Mi ha indicato
come portarla via dalla casa di suo padre,
e quanto oro e quanti gioielli si è procurati,
e quale vestito da paggio ha pronto.
Se mai l’ebreo suo padre andrà in cielo,
sarà per merito della sua figlia gentile;
e mai oserà la sfortuna sbarrarle il passo,
a meno che non lo faccia col pretesto
che è figlia di un ebreo infedele.
Su, vieni con me, e leggi questa intanto.
La bella Gessica sarà il mio portafiaccola.
Esce con Graziano.
ATTO PRIMO – SCENA QUINTA
Entrano Shylock l’ebreo e Lancillotto, suo servitore d’un tempo, il clown.
SHYLOCK
Bene, lo vedrai, la giudicheranno i tuoi occhi
la differenza tra il vecchio Shylock e Bassanio…
Ehi, Gessica! Non potrai più rimpinzarti
come hai fatto con me… Ehi, Gessica!…
e dormire e russare e ridurti i vestiti in stracci…
Ehi, Gessica, dico!
LANCILLOTTO
Ehi, Gessica!
SHYLOCK
Chi ti ordina di chiamare? Io non ti ordino di chiamare.
LANCILLOTTO
Vossignoria mi diceva sempre che non sapevo far nulla senza ordini.
Entra Gessica.
GESSICA
Mi chiamate? Cosa desiderate?
SHYLOCK
Sono invitato a cena fuori, Gessica,
eccoti le mie chiavi. Ma perché dovrei andarci?
Non mi invitano per affetto, mi lusingano;
ma io ci andrò per odio, per nutrirmi
a spese del prodigo cristiano. Gessica, ragazza mia,
bada alla mia casa. Mi ripugna proprio andare.
C’è del male che bolle in pentola contro la mia pace,
perché ho sognato sacchi di denaro stanotte.
LANCILLOTTO
Vi supplico, signore, andate. Il mio giovane padrone si aspetta
il vostro rimproccio.
SHYLOCK
Ed io il suo.
LANCILLOTTO
E loro hanno cospirato insieme. Non dirò che vedrete una mascherata, ma se la vedrete, allora non è stato per caso che il mio naso s’è messo a sanguinare lo scorso Lunedì Nero, alle sei del mattino, che cadeva quell’anno il Mercoledì delle Ceneri quand’erano quattro anni nel pomeriggio.
SHYLOCK
Cosa, ci saranno mascherate? Ascoltami, Gessica:
spranga le porte, e, quando sentirai il tamburo
e il vile pigolìo del pifferaio dal collo torto,
non arrampicarti alle finestre allora
e non sporgere la testa sulla strada
a guardare folli cristiani dalle facce dipinte;
ma chiudi le orecchie della mia casa, voglio dire le mie finestre;
che il suono della futile vanità non entri
nella mia casa austera. Per il bastone di Giacobbe,
giuro che non ho voglia di cenare fuori stasera,
ma andrò. Va’ avanti, briccone.
Di’ che verrò.
LANCILLOTTO
Andrò avanti, signore.
Padrona, guardate dalla finestra tuttavia:
di qui un cristiano dovrà passare
che l’ebrea non potrà che amare. Esce.
SHYLOCK
Che dice quello stupido della stirpe di Agàr?
GESSICA
Queste parole, “Addio, padrona”, nient’altro.
SHYLOCK
Quel buffone è un brav’uomo, ma mangia troppo,
è lento come una lumaca ad imparare, e dorme di giorno
più di un gatto selvatico. Niente fuchi nel mio alveare;
perciò me ne libero; e me ne libero
per darlo a uno che vorrei aiutasse a scialacquare
la sua borsa di soldi imprestati. Beh, Gessica, ritirati.
Forse tornerò immediatamente.
Fa’ come ti dico; chiuditi dietro le porte.
Ben serrato, ben trovato:
per l’animo frugale un proverbio mai invecchiato. Esce.
GESSICA
Addio; e se la mia fortuna non sarà avversa,
io un padre, voi una figlia avrete persa. Esce.
ATTO PRIMO – SCENA SESTA
Entrano quelli della mascherata, Graziano e Salerio.
GRAZIANO
Questo è il portico dove Lorenzo
ci ha chiesto di aspettarlo.
SALERIO
L’ora è quasi passata.
GRAZIANO
E fa meraviglia che egli sia in ritardo,
perché gli amanti corrono sempre più dell’orologio.
SALERIO
Oh, dieci volte più veloci le colombe di Venere
volano a suggellare nuovi patti d’amore
che non a mantenere la fedeltà già stipulata!
GRAZIANO
Ciò è vero sempre. Chi s’alza da un banchetto
col pungente appetito con cui s’è seduto?
Dov’è il cavallo che ripercorre
i suoi tediosi passi con la foga scatenata
con cui prima li mosse? Tutte le cose che ci sono,
son con più ardore inseguite che godute.
Com’è simile a un cadetto o a un figliol prodigo
il vascello pavesato che salpa dal suo porto natìo,
avvolto e abbracciato dalle brezze sgualdrine.
Com’è simile al figliol prodigo quando ritorna,
le costole snudate dal maltempo e le cenciose vele,
sparuto, lacerato, e immiserito dalle raffiche sgualdrine.
Entra Lorenzo.
SALERIO
Ecco che arriva Lorenzo; ne riparleremo dopo.
LORENZO
Cari amici, scusate il mio lungo ritardo.
Non io, ma i miei affari vi han fatto aspettare.
Quando piacerà anche a voi rubarvi una moglie,
vi aspetterò altrettanto a lungo. Avvicinatevi.
Abita qui il mio padre ebreo. Ehi di casa!
Entra Gessica in alto, vestita da ragazzo.
GESSICA
Chi siete? Ditemelo per maggior certezza,
anche se potrei giurare di conoscere la vostra voce.
LORENZO
Lorenzo, il tuo amore.
GESSICA
Lorenzo, certo, e il mio amore davvero,
perché chi amo tanto? E ora chi se non tu,
Lorenzo, sa se io sono tua?
LORENZO
Il cielo e i tuoi pensieri testimoniano che lo sei.
GESSICA
Ecco, prendi questo scrigno, ne vale la pena.
Son contenta che sia notte, tu non guardarmi,
perché mi vergogno molto del mio cambio.
Ma l’amore è cieco, e gli amanti non possono vedere
le scaltre follie che essi stessi commettono;
che, se potessero, Cupìdo stesso arrossirebbe
a vedermi così trasformata in un ragazzo.
LORENZO
Scendi, che devi farmi da portafiaccola.
GESSICA
Cosa? Devo reggere il moccolo alla mia vergogna?
Essa è davvero, di per sé, troppo troppo chiara.
Questo, amore, è un compito che mette allo scoperto,
ed io dovrei restare in ombra.
LORENZO
E ci resti, dolcezza.
nel tuo amabile costume da ragazzo.
Ma vieni, presto,
ché la segreta notte gioca a fare la fuggiasca,
e noi siamo attesi alla festa di Bassanio.
GESSICA
Sprango le porte, mi faccio d’oro
con un altro po’ di ducati, e sono subito da te.
Esce dall’alto.
GRAZIANO
Per questo mio cappuccio, gentile e non giudea.
LORENZO
Ch’io sia dannato se non l’amo con tutto il cuore,
perché è saggia, se la giudico bene,
e bella, se i miei occhi meritano fede,
e fedele, quale si è dimostrata;
e quindi, come è, saggia, bella e fedele,
ella sarà insediata nel mio animo devoto.
Entra Gessica.
Ah, sei arrivata? Su, signori, andiamo allora.
I compagni di mascherata ci aspettano a quest’ora.
Esce con Gessica e Salerio.
Entra Antonio.
ANTONIO
Chi è là?
GRAZIANO
Signor Antonio?
ANTONIO
Via, via, Graziano! Dove sono tutti gli altri?
Sono le nove, tutti i nostri amici vi aspettano.
Niente mascherate stanotte. Il vento s’è levato.
Bassanio salirà a bordo immediatamente.
Ho mandato venti uomini a cercarvi.
GRAZIANO
Ne son felice. Non m’attira maggiore diletto
che spiegar le vele stanotte, lontan diretto. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SETTIMA
(Suono di trombe) Entra Porzia con il principe del Marocco e i loro seguiti.
PORZIA
Andate ad aprire le tende e mostrate
i vari scrigni a questo nobile principe.
Ora fate la vostra scelta.
MAROCCO
Questo primo, d’oro, porta questa iscrizione,
“Chi sceglie me, otterrà ciò che desiderano molti”.
Il secondo, d’argento, reca questa promessa,
“Chi sceglie me, avrà quanto si merita”.
Questo terzo, d’ottuso piombo, ha un avviso altrettanto cupo,
“Chi sceglie me, dovrà dare e azzardare tutto quello che ha”.
Come saprò se scelgo quello giusto?
PORZIA
Quello che contiene il mio ritratto, principe;
se scegliete quello, io sarò vostra.
MAROCCO
Un dio guidi il mio giudizio! Vediamo:
voglio riesaminare le iscrizioni.
Cosa dice questo scrigno di piombo?
“Chi sceglie me, dovrà dare e azzardare tutto quello che ha”.
Dovrà dare – per cosa? per del piombo, azzardare per del piombo!
Questo scrigno minaccia: l’uomo che azzarda tutto
lo fa nella speranza di un buon profitto.
Un’aurea mente non s’abbassa alla bella mostra delle scorie.
Quindi non darò né azzarderò niente per del piombo.
Cosa dice l’argento col suo colore verginale?
“Chi sceglie me, avrà quanto si merita”.
Quanto si merita. Soffermati qui, Marocco,
e pesa il tuo valore con mano imparziale.
Se vieni valutato secondo la tua stima,
tu meriti abbastanza, e tuttavia “abbastanza”
può non arrivare fino alla signora;
e tuttavia dubitare dei miei meriti
non sarebbe che uno stupido svilir me stesso.
Quanto io merito. Ebbene, è la signora!
Per la mia nascita la merito e per le mie fortune,
per le mie virtù e per le qualità della mia educazione;
ma, più ancora, per il mio amore io la merito.
E se non mi perdessi oltre, ma scegliessi qui?
Vediamo ancora una volta questo detto inciso nell’oro:
“Chi sceglie me, otterrà ciò che desiderano molti”.
Certo, è la signora, tutto il mondo la desidera.
Dai quattro angoli del mondo vengono
a baciare questa effige, questa santa mortale che respira.
I deserti ircani e le distese selvagge
dell’immensa Arabia sono, ora, come grandi strade
per i principi che vengono a contemplare la bella Porzia.
Il regno marino, il cui ambizioso volto
sputa in faccia al cielo, non è barriera che fermi
gli spiriti forestieri, che lo passano
come un ruscello per vedere la bella Porzia.
Uno di questi tre contiene il suo divino ritratto.
Possibile che il piombo lo contenga? Sarebbe una dannazione
pensare un pensiero così vile: troppo volgare metallo
per racchiudere il suo sudario nell’oscura tomba.
O dovrò pensare che ella sia murata nell’argento,
che vale dieci volte meno dell’oro puro?
Oh pensiero peccaminoso! Mai così ricca gemma
fu incastonata in meno che oro. In Inghilterra
hanno una moneta che reca l’effige di un angelo
stampata in oro, ma quella vi è incisa sopra;
mentre qui dentro in un letto d’oro
giace un angelo. Datemi la chiave.
Qui faccio la mia scelta, e possa aver fortuna.
PORZIA
Ecco, prendetela, principe; e se vi giace la mia immagine,
allora sono vostra.
MAROCCO
Per l’inferno! Che c’è qui?
La Morte carogna, con un rotolo di carta
nella vuota occhiaia. Leggerò quel che c’è scritto.
Non è oro tutto quel che luce,
il proverbio te lo dice.
Molti han perso l’esistenza
mirando all’apparenza.
Racchiude vermi il dorato legno.
Fossi tu stato, oltre che audace, degno,
giovin di membra, vecchio di intelletto,
tale responso non avresti letto.
Addio, la tua domanda ebbe freddo effetto.
Freddo in verità, e lavoro perduto;
addio allora, calore, gelo benvenuto.
Porzia, addio! Ho il cuore troppo afflitto
per un tedioso congedo. Così parte chi è sconfitto.
Esce con il suo seguito. Fanfara di cornette.
PORZIA
Una felice liberazione. Via, accostate la tenda.
Mi scelgano alla sua stessa maniera
altri della sua pelle nera. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA OTTAVA
Entrano Salerio e Solanio.
SALERIO
Certo, amico, ho visto Bassanio spiegar le vele,
e insieme a lui è andato Graziano;
e sono certo che Lorenzo è sulla loro nave.
SOLANIO
Quella canaglia d’ebreo con i suoi urli ha svegliato il doge
che è andato con lui a perquisire la nave di Bassanio.
SALERIO
È arrivato troppo tardi, la nave aveva spiegato le vele,
ma al porto c’è chi ha dato a capire al doge
che Lorenzo e la sua amorosa Gessica
sono stati visti assieme in una gondola.
D’altronde, Antonio ha assicurato il Doge
che non erano con Bassanio sulla sua nave.
SOLANIO
Non ho mai udito passione così confusa,
così strana e violenta, e così mutevole,
come quella che il cane ebreo ha urlato per le strade.
“Mia figlia! Oh, i miei ducati! Oh, mia figlia!
Fuggita con un cristiano! Oh, i miei ducati cristiani!
Giustizia! La legge! I miei ducati e mia figlia!
Un sacco pieno, due sacchi pieni di ducati,
di doppi ducati, rubatimi da mia figlia!
E gioielli, due pietre, due ricche pietre preziose,
rubate da mia figlia! Giustizia! Trovate la ragazza!
Ha le pietre con sé, e i ducati!”
SALERIO
E tutti i ragazzi di Venezia gli vanno dietro
gridando le sue pietre, sua figlia e i suoi ducati.
SOLANIO
Stia attento il buon Antonio a rispettare la scadenza,
o pagherà lui per questo.
SALERIO
Giusto, ben ricordato.
Parlavo ieri con un francese che m’ha detto
che, nello stretto di mare che separa
i francesi dagli inglesi, s’è perduta
una nave dal nostro paese con un carico prezioso.
Ho pensato ad Antonio quando me l’ha detto
e ho sperato in cuor mio che non fosse la sua.
SOLANIO
Faresti meglio a dire ad Antonio quel che hai sentito,
ma fallo cautamente, per non addolorarlo.
SALERIO
Signore più gentile non calpesta il mondo.
Ho visto Bassanio e Antonio separarsi;
Bassanio gli diceva che avrebbe affrettato
il suo ritorno; e lui ha risposto, “Non farlo;
non sciupare per causa mia il tuo affare, Bassanio,
ma aspetta che il tempo dia i suoi frutti.
E, quanto alla mia obbligazione con l’ebreo,
non farla entrare nella tua mente innamorata.
Sta’ allegro, e impiega i tuoi più scelti pensieri
nel corteggiamento e nelle manifestazioni d’amore
che là ti sembreranno più opportune.”
E a questo punto, gli occhi gonfi di lacrime,
girando il volto, ha teso una mano dietro di sé
e con un affetto straordinariamente intenso
ha stretto la mano di Bassanio; e così si sono lasciati.
SOLANIO
Io credo che egli ami il mondo solo per lui.
Ti prego andiamo a trovarlo
per animare con qualche diletto
la tristezza che ha abbracciato.
SALERIO
Facciamolo. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA NONA
Entrano Nerissa e un servo.
NERISSA
Presto, presto, mi raccomando, apri subito la tenda!
Il Principe d’Aragona ha fatto giuramento
e viene ora a fare la sua scelta.
Fanfara di cornette. Entrano il Principe d’Aragona con il seguito e Porzia.
PORZIA
Guardate, ecco gli scrigni, nobile principe.
Se scegliete quello che mi contiene,
verranno subito celebrati i nostri riti nuziali;
ma se fallite, senza dire altro, mio signore,
dovrete andarvene di qui immediatamente.
ARAGONA
Sono obbligato dal giuramento ad osservare tre cose:
primo, non rivelare mai a nessuno
quale scrigno ho scelto; poi, se manco
lo scrigno giusto, non corteggiare mai più
in vita mia fanciulla per sposarla;
infine,
se la fortuna mi fallisce nella scelta,
lasciarvi immediatamente e partire.
PORZIA
Su questi obblighi giurano tutti quelli che
vengono a fare il loro azzardo sulla mia indegna persona.
ARAGONA
E così mi sono preparato. Buona fortuna, ora,
alla speranza del mio cuore! Oro, argento e vile piombo.
“Chi sceglie me, dovrà dare e azzardare tutto quello che ha”.
Dovrai aver miglior aspetto prima che io dia o azzardi.
Che cosa dice il cofanetto d’oro? Ah, vediamo,
“Chi sceglie me, otterrà ciò che desiderano molti”.
Ciò che desiderano molti: quel “molti” può significare
la sciocca moltitudine che sceglie dall’aspetto,
non apprendendo più di quanto l’occhio stolto insegna,
che non penetra all’interno, ma fa come il rondone
che costruisce sulle mura esposte alle intemperie,
proprio in balìa della cattiva fortuna.
Io non sceglierò ciò che desiderano molti,
perché non mi accordo con gli spiriti volgari
e non mi schiero con le barbare moltitudini.
A te, dunque, argentea casa di tesori.
Dimmi ancora una volta che iscrizione rechi:
“Chi sceglie me, avrà quanto si merita”.
E ben detto anche, perché chi andrà in giro
a ingannare la fortuna e ad acquistare onore
senza il sigillo del suo merito? Nessuno presuma
di rivestire una dignità non meritata.
Oh se posizione, rango, carica, non fossero
ottenuti con la corruzione, e se il limpido onore
venisse acquistato dal merito di chi se ne riveste!
Allora quanti si metterebbero il cappello
che ora stanno a testa nuda!
Quanti prenderebbero ordini che ora li danno!
Quanti vili bifolchi sarebbero sradicati
di fra le vere piante dell’onore! E quanto onore
verrebbe tirato fuori dalla pula e dalla rovina dei tempi
per essere dipinto a nuovo! Bene, alla mia scelta.
“Chi sceglie me avrà quanto si merita”.
Io rivendico il mio merito. Datemi una chiave per questo,
e subito disserro qui la mia fortuna.
Apre lo scrigno d’argento.
PORZIA
Pausa troppo lunga per ciò che vi trovate.
ARAGONA
Che c’è qui? Il ritratto di un ammiccante idiota
che mi presenta un rotolo di carta! Lo leggerò.
Quanto diverso tu sei da Porzia!
Quanto diverso dalle mie speranze e dai miei meriti!
“Chi sceglie me, avrà quanto si merita”!
Non ho meritato altro che la testa di un buffone?
È questo il mio premio? Non sono di più i miei meriti?
PORZIA
Commetter reato e giudicare sono funzioni distinte,
e di natura opposta.
ARAGONA
Che c’è qui?
Il fuoco sette volte l’ha provato:
sette volte quel giudizio è temprato
che nella scelta non ha mai errato.
C’è chi dà molti baci ad un ritratto
e gioia di un’ombra ne ha solo tratto.
Esiste lo sciocco, ormai è accertato,
che, al par di questo, è sopra inargentato.
La moglie che vuoi portati a letto,
avrà il suo capo il mio stesso aspetto.
Vattene dunque, sei licenziato.
Sempre più sciocco mi dimostrerò
ogni minuto che qui rimarrò.
Con testa d’idiota ho corteggiato,
ma con due me ne vado scornato.
Bella, addio! Terrò il giuramento,
di portar con pazienza il mio tormento.
Esce con il suo seguito.
PORZIA
Così la candela ha bruciato la farfalla.
Oh questi sciocchi che stanno a meditare! Quando scelgono,
han la saggezza, con tutto il loro ingegno, di sbagliare!
NERISSA
Non è eresia l’antico dettato:
forca e moglie dipendono dal fato.
PORZIA
Su, chiudi la tenda, Nerissa.
Entra un messaggero.
MESSAGGERO
Dov’è la mia signora?
PORZIA
Qui, che vuole il mio signore?
MESSAGGERO
Signora, è smontato alla vostra porta
un giovane veneziano, che viene
ad annunciare l’arrivo del suo signore,
del quale porta tangibili saluti,
ossia, oltre ad ossequi e parole cortesi,
regali di ricco valore. Non avevo ancora veduto
un così aggraziato ambasciatore d’amore.
Giorno d’aprile mai giunse così dolce
a mostrar vicina la preziosa estate,
come questo araldo che precede il suo signore.
PORZIA
Basta così, ti prego, ho quasi paura
che tra un momento mi dirai che è tuo parente,
tanto ingegno festivo impieghi a lodarlo.
Vieni, vieni, Nerissa, sono ansiosa di vedere
il messo del rapido Cupido che arriva così cortese.
NERISSA
Bassanio, Signore, ama se vuoi che così sia! Escono.
Il mercante di Venezia
(“The Merchant of Venice” 1594 – 1597)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V