(“A Winter’s tale” 1611)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano Ermione, Mamillio, (e) dame del seguito.
ERMIONE
Prendete con voi il ragazzo: è così noioso
che non lo sopporto più.
PRIMA DAMA
Venite, mio grazioso signore,
sarò io la vostra compagna di giochi?
MAMILLIO
Non voi, no.
PRIMA DAMA
E perché mio dolce signore?
MAMILLIO
Voi mi baciate forte, e mi parlate come
se fossi ancora piccolo. Preferisco voi.
SECONDA DAMA
E perché mai, mio signore?
MAMILLIO
Non perché
le vostre ciglia son più nere; però le ciglia nere, dicono,
stanno meglio a certe donne, purché non siano
troppo folte, ma in semicerchio, oppure
a mezza luna, come fatte con una penna.
SECONDA DAMA
Chi v’ha insegnato questo?
MAMILLIO
L’ho imparato sulla faccia delle donne. Ora vi prego,
di che colore avete i sopraccigli?
PRIMA DAMA
Blu, mio signore.
MAMILLIO
Via, questo è uno scherzo: blu ho veduto
il naso d’una donna, ma non i sopraccigli.
PRIMA DAMA
Sentite un po’,
la regina vostra madre s’arrotonda; uno di questi giorni
avremo un nuovo bel principino da servire,
e allora giocherete con noi, solo
se lo vogliamo.
2° DAMA
È diventata ultimamente
un bel palloncino: Dio la benedica!
ERMIONE
Ma senti queste! Venite, signore, eccomi
di nuovo a voi: prego, sedeteci accanto,
e raccontateci una storia.
MAMILLIO
La volete allegra o triste?
ERMIONE
Allegra quanto volete.
MAMILLIO
Una storia triste è più adatta all’inverno: ne so una
di spiriti e folletti.
ERMIONE
Sentiamo quella, buon signore.
Su, sedete, su, e fate il possibile
per spaventarmi con i vostri spiriti: siete bravissimo.
MAMILLIO
C’era un uomo –
ERMIONE
Sì, ma sedete qui: avanti.
MAMILLIO
Che abitava vicino a un cimitero: la racconto piano,
così quei grilli là non la sentiranno.
ERMIONE
Be’, allora,
dimmela all’orecchio.
(Entra Leonte, con Antigono, nobili e altri.)
LEONTE
L’avete incontrato là? Col seguito? E Camillo, pure?
UN NOBILE
Dietro il bosco di pini li ho incontrati,
mai visto uomini andar così di fretta: li ho seguiti
cogli occhi fino alle loro navi.
LEONTE
E così son confermato
nella mia condanna! Il mio sospetto era verità!
Ah, se potessi ancora dubitare! Quanta maledizione
nella mia conferma! Un ragno può trovarsi
nella tazza, e uno può bere, e andarsene,
senza esserne avvelenato (perché il suo sapere
non è infetto); ma se si mostra
l’aborrito ingrediente all’occhio suo, se lo s’informa
di cosa ha bevuto, la gola gli sconquassa, e i fianchi,
il vomito violento. Io ho bevuto e ho visto il ragno.
Camillo è stato in questo il suo aiutante, il suo mezzano:
c’è un complotto contro la mia vita, la mia corona;
tutti i miei sospetti sono veri: il falso impostore
che io assoldai, era da lui già stato assoldato:
lui rivelò il mio piano, ed io rimango
straziato; sì, un giochino
da rigirarsi come voglion loro. Come son state aperte
le porte?
UN NOBILE
Per la grande autorità di lui
che spesso già aveva dato ordini simili
a nome vostro.
LEONTE
Lo so fin troppo bene.
Datemi il ragazzo: son contento che non l’abbiate allattato;
anche se ha la mia impronta, fin troppo del vostro sangue
avete messo in lui.
ERMIONE
Cos’è questo, uno scherzo?
LEONTE
Portate via il ragazzo; non deve venirle vicino;
portatelo via; e che lei si trastulli
con quello di cui è incinta; perché è Polissene
che ti ha gonfiata a questo modo.
(Esce Mamillio, con una dama.)
ERMIONE
Avrei solo da dire che non è vero,
e giuro che credereste alla mia parola,
comunque siate disposto a dir di no.
LEONTE
Voi, miei signori,
guardatela, osservatela bene: fareste appena in tempo
a dire “è una bella donna”, che subito
l’onestà del vostro cuore vi farà aggiungere:
“peccato che non sia perbene, degna d’onore”;
lodatela per questa sua forma esterna
(che veramente merita alti elogi) ma poi
l’alzar di spalle, gli “ah” e gli “eh”, le piccole marchiature
che usa la calunnia – Oh no, mi sbaglio,
che la carità usa; perché la calunnia marchierebbe
anche la virtù in persona – queste spallucciate, gli “ah” ed “eh”,
appena abbiate detto “è bella”, s’intromettono
prima che possiate dire “è onesta”: ma si sappia,
per bocca di chi più ne deve soffrire:
ella è un’adultera!
ERMIONE
Se ciò lo dicesse un furfante
(il più incallito furfante di questo mondo)
sarebbe ancora più furfante per questo; voi, mio signore,
fate solo un errore.
LEONTE
Voi, mia signora, avete preso per errore
Polissene per Leonte. O tu cosa…
no, non chiamerò così una persona del tuo rango,
perché la vostra barbarie, valendosi del mio precedente,
non usi lo stesso linguaggio per ogni grado,
dimenticando la giusta distanza
tra il principe e il mendicante. Io ho detto
che è un’adultera; e ho detto con chi:
inoltre, è colpevole di tradimento, e Camillo è
suo complice, e uno che sa anche
ciò che ella stessa dovrebbe vergognarsi di sapere,
insieme al suo scellerato complice, ed è che
ella è una scambia-letto, volgare quanto quelle
cui il popolino dà i titoli più crudi; già, e sapeva
anche di questa loro fuga.
ERMIONE
Sulla mia vita, no,
non ne sapevo niente. Quanto vi affliggerà,
quando conoscerete di più, d’avermi così
insultata in pubblico! Mio gentile signore,
non potrete certo rendermi giustizia, allora,
dicendo soltanto che avete sbagliato.
LEONTE
No: se io sbaglio,
con le fondamenta su cui costruisco,
allora la terra non è grande abbastanza
per la trottola di uno scolaretto. Portatela in prigione!
Chi la difende sarà colpevole sicuramente
solo che apra bocca.
ERMIONE
Un pianeta malefico influisce:
devo portar pazienza finché i cieli si mostrino
in aspetto più benigno. Miei buoni signori,
non sono facile alle lagrime, com’è comune
al nostro sesso, e la mancanza di questa vana rugiada
seccherà la vostra pietà: ma io porto qui
quel dignitoso dolore che brucia molto più
di quanto le lagrime anneghino: prego voi tutti, miei signori,
giudicatemi coi pensieri più adeguati con cui la vostra carità
vorrà ispirarvi; e così sarà fatta
la volontà del re.
LEONTE
Sarò obbedito?
ERMIONE
Chi viene con me? Prego vostra maestà
di lasciarmi le mie donne, poiché, vedete,
la mia condizione lo richiede. Non piangete, sciocchine,
non ce n’è motivo: quando saprete che la vostra padrona
ha meritato la prigione, allora spargete lagrime
alla mia uscita: questa prova cui vado incontro
mi darà più rispetto. Addio, mio signore:
non ho mai desiderato di vedervi dispiaciuto, ma ora
penso che lo farò. Venite, donne; avete il permesso.
LEONTE
Andate, eseguite i nostri ordini: via!
(Esce la regina, sotto scorta; e le dame.)
UN NOBILE
Vostra altezza vi supplico, richiamate la regina.
ANTIGONO
Siate ben certo di quello che fate, sire, affinché la vostra giustizia
non si dimostri violenza, in cui tre grandi soffrirebbero,
voi stesso, la vostra regina, vostro figlio.
UN NOBILE
Per lei mio signore,
son pronto a rischiar la vita, e lo farò, sire,
se vorrete accettarla; la regina è immacolata
agli occhi del cielo, e vostri – voglio dire
per quello di cui l’accusate.
ANTIGONO
Se sarà provato
che non è così, io metterò le stalle dove ora
alloggio mia moglie; la porterò in giro al guinzaglio;
non le crederò al di là di quello che vedo e tocco:
perché ogni pollice di donna a questo mondo,
anzi, ogni pezzettino di carne femminile è falso,
se lei lo è.
LEONTE
Tacete.
UN NOBILE
Mio buon signore…
ANTIGONO
È per voi che parliamo, non per noi:
vi ha messo su un qualche metti-male
che andrà all’inferno per questo: vorrei saper chi è
questo furfante, lo maltratterei per bene. Se l’onore di lei è incrinato,
io ho tre figlie: la maggiore di undici;
la seconda e la terza, nove e circa cinque:
se è vero, la pagheranno. Sul mio onore
le castrerò tutte; non vedranno i quattordici
per generare bastardi: sono le mie eredi,
ma preferisco restare senza discendenza
piuttosto che rischiare da loro figli illegittimi.
LEONTE
Basta; smettete.
Voi sentite questa faccenda con l’olfatto spento
come il naso di un morto: ma io la vedo e la tocco
come voi sentite se faccio così; e insieme vedete
gli organi dei sensi.
ANTIGONO
Se è così,
non ci serve una tomba per seppellire l’onestà:
non ce n’è più un granello per ingentilire l’aspetto
di questo enorme letamaio.
LEONTE
Dunque, non mi si crede?
UN NOBILE
Preferirei non si credesse a voi che a me, signore,
in questo caso: e sarei più contento
se si confermasse l’onor suo che il vostro sospetto,
per quanto ciò vi possa rincrescere.
LEONTE
Insomma, perché mai
dobbiamo discutere con voi, invece di seguire
il nostro forte impulso? La nostra autorità
non richiede i vostri consigli, solo la nostra naturale bontà
vi mette a parte di ciò; e se voi, per scemenza,
vera o finta, non sapete o non volete
accettare la verità, come noi, sappiate allora
che non ci occorre più il vostro consiglio: la questione,
la perdita, il guadagno, la soluzione, è tutto
giustamente affare nostro.
ANTIGONO
E io, mio signore, vorrei
che aveste giudicato in silenzio,
senza aperte rivelazioni.
LEONTE
Come poteva essere?
Tu sei rincretinito dall’età,
o sei nato imbecille. La fuga di Camillo,
aggiunta alla loro intimità,
(che era evidente quanto nessuna che mai destasse sospetto,
e cui mancava solo la vista, nient’altro che la prova
d’aver visto, ogni altra circostanza
confermando il fatto) ci obbliga a fare così.
Tuttavia, per maggiore conferma
(poiché in un’azione di questa importanza sarebbe
assai deplorevole decidere d’impulso), ho già spedito
alla sacra Delfo, al tempio d’Apollo,
Cleomene e Dione, dei quali conoscete
la più adeguata perizia: essi ora dall’Oracolo
ci porteranno tutto; questo consiglio spirituale ricevuto,
mi fermerà o spingerà avanti. Ho fatto bene?
UN NOBILE
Ben fatto, mio signore.
LEONTE
Per quanto io sia soddisfatto e non m’occorra più
di quel che so, l’Oracolo, tuttavia,
metterà ad altri il cuore in pace, come costui
la cui ignorante credulità non vuole
arrendersi all’evidenza. Così abbiamo deciso
di negare a lei accesso alla nostra persona,
affinché non porti a termine il tradimento
dei due fuggiaschi. Venite, seguiteci;
dobbiamo parlare in pubblico, poiché questa storia
ci sconvolgerà tutti.
ANTIGONO (a parte)
Sì, per il molto ridere, a mio giudizio,
se la schietta verità venisse fuori. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Entrano Paolina, un gentiluomo, (e seguito).
PAOLINA
Il governatore della prigione, chiamatelo;
Fategli sapere chi sono. Buona signora,
non c’è corte in Europa degna di te;
che fai tu dunque in prigione?
(Entra il carceriere.)
Orsù, buon signore,
mi conoscete, no?
IL CARCERIERE
Una gran signora
che io tengo in alta stima.
PAOLINA
Vi piaccia allora
condurmi dalla regina.
IL CARCERIERE
Non posso, signora:
ho ordini precisi, e contrari.
PAOLINA
Quanta briga
per impedire all’onestà e all’onore
l’accesso di visite gentili! È possibile, prego,
vedere le sue donne? Una di esse? Emilia?
IL CARCERIERE
Abbiate la bontà, signora,
di allontanare il vostro seguito, ed io
condurrò fuori Emilia.
PAOLINA
Vi prego, chiamatela.
Voi ritiratevi.
(Escono il gentiluomo e il seguito.)
IL CARCERIERE
In più, signora,
io devo esser presente al vostro colloquio.
PAOLINA
Va bene: sia: fa pure. (Esce il carceriere.)
Tante storie per fare apparire macchiata l’innocenza
da superare l’arte dei tintori.
(Entra il carceriere, con Emilia.)
Cara gentildonna,
come sta la nostra graziosa signora?
EMILIA
Come una così nobile e sventurata
possono stare insieme: tra spaventi e dolori
(che mai una signora delicata ne sopportò di maggiori)
ella, un po’ prima del tempo, s’è sgravata.
PAOLINA
Un maschio?
EMILIA
Una femmina; e una bella creatura,
sana, e piena di vita: la regina ne ha
grande conforto; dice; “Mia povera prigioniera,
sono innocente come te.”
PAOLINA
Son pronta a giurarlo:
queste nefaste, lunatiche stramberie del re,
sian maledette!
Bisogna che lo sappia, e lo saprà: è un compito
che s’addice meglio a una donna. Me ne occuperò io:
e se non gliela canto bene, mi caschi la lingua,
che non possa mai più far da trombetta
alla mia rabbia paonazza. Vi prego, Emilia,
esprimete la mia devozione alla regina:
se vorrà affidarmi la sua piccola neonata,
la mostrerò al re, e m’impegno ad essere
il suo più fervido avvocato. Chissà
che non si commuova alla vista dell’infante:
spesso il silenzio della pura innocenza
persuade, dove falliscono le parole.
EMILIA
Degnissima signora,
la vostra lealtà e bontà sono così evidenti
che non potrà mancare alla vostra generosa impresa
un lieto fine: non c’è donna al mondo
più adatta per questa missione. Prego la signoria vostra
d’attendere nella stanza accanto, io informerò subito
della vostra nobilissima offerta la regina,
che oggi già batteva su questo progetto,
ma non osava proporlo a persone di fiducia
per paura di un rifiuto.
PAOLINA
Ditele, Emilia,
che userò tutta la mia lingua; se la saggezza che ne uscirà
sarà pari all’ardimento del mio cuore, non si dubiti
del mio successo.
EMILIA
Che siate benedetta!
Vado dalla regina: vi prego, venite di là.
IL CARCERIERE
Signora, se piacerà alla regina affidarvi l’infante,
io non so in cosa potrò incorrere,
non avendo ricevuto istruzioni.
PAOLINA
Non dovete temere, signore:
questa bambina era prigioniera dell’utero, ed ora,
per legge e procedimento della grande natura,
ne è stata liberata ed affrancata; non è oggetto
della collera del re; né è colpevole
(se ci sono colpe) dei trascorsi della regina.
IL CARCERIERE
Lo credo bene.
PAOLINA
Non abbiate paura: sul mio onore,
starò tra voi e il rischio. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
(Leonte solo.)
LEONTE
Né di notte, né di giorno, non ho riposo: è debolezza
prendersela tanto: debolezza e nient’altro.
Se la causa non fosse in vita, – parte di essa,
lei l’adultera: poiché il re seduttore
è ben al di là del mio braccio, oltre la mira
e la portata della mia mente: sicuro da complotti: ma lei
posso averla in pugno: mettiamo che scompaia,
distrutta dal fuoco, una metà del mio sonno
forse ritornerebbe. (Entra un servitore.) Chi va là?
SERVITORE
Mio signore!
LEONTE
Come sta il ragazzo?
SERVITORE
Ha riposato bene questa notte;
si spera che la malattia sia finita.
LEONTE
Quanta nobiltà
di fronte al disonore di sua madre!
Subito è sfiorito, e crollato, ha sofferto profondamente,
si è presa e legata la vergogna dell’atto su se stesso,
ha perso la vivacità, l’appetito, il sonno,
è crollato in un languore. Lasciami solo: va,
vedi come sta. (Esce il servitore.) Vergogna, vergogna! Non devo pensare a lui;
lo stesso pensiero delle mie vendette su di lui
si ritorce su di me: già in sé troppo potente,
oltre che in vassalli ed alleati; lascialo stare
fino al momento buono. La vendetta immediata
prendila su di lei. Camillo e Polissene
ridono di me; si divertono con la mia disgrazia:
non riderebbero se potessi raggiungerli, come
non riderà lei, che è in mio potere.
Entra Paolina, (portando un neonato, con Antigono, nobili e servitori che cercano di trattenerla).
UN NOBILE
Non dovete entrare.
PAOLINA
Aiutatemi, piuttosto, buoni signori:
O temete, ahimè, la sua ira di tiranno più
della vita della regina? Una gentile anima innocente,
più pura di quanto lui sia geloso.
ANTIGONO
Basta così.
SERVITORE
Signora, non ha dormito stanotte, e ha ordinato
di non far passare nessuno.
PAOLINA
Calmatevi, buon signore;
io vengo a portargli il sonno. Siete voi
che gli strisciate intorno come ombre, e sospirate
ad ogni suo inutile lamento; siete voi
che nutrite la causa della sua insonnia.
Io vengo con parole salutari quanto vere,
oneste, come salute e verità, a purgarlo di quell’umore
che gl’impedisce il sonno.
LEONTE
Cos’è questo baccano, eh?
PAOLINA
Nessun baccano, mio signore; ma un necessario colloquio
riguardo ai compari di battesimo per vostra maestà.
LEONTE
Come?
Via questa donna impertinente! Antigono,
ti avevo incaricato di tenerla lontana da me,
sapevo che ci avrebbe provato.
ANTIGONO
Così le ho detto, mio signore,
a evitare il vostro dispiacere e il mio castigo,
di non farvi visita.
LEONTE
Ma come, non sai frenarla?
PAOLINA
Da tutte le cose disoneste sì: in questa –
a meno che lui non segua il vostro esempio,
imprigionarmi perché sprigiono onore – state certo,
che non mi lascerò comandare.
ANTIGONO
Ecco ora, sentitela:
quando vuol correre io le do briglia;
e non c’è verso che inciampi.
PAOLINA
Mio buon sire, a voi vengo, –
e, vi supplico d’ascoltarmi, io che mi professo
la vostra leale serva, il vostro medico,
la vostra più devota consigliera, e che pure oso
d’apparir meno tale, nel confortare i vostri mali,
di quanti sembrano più fidati; – dico, dunque, che vengo
da parte della vostra buona regina.
LEONTE
Buona regina!
PAOLINA
Buona regina, sire, buona regina: buona regina dico,
e lo proverei con le armi, se solo fossi
un uomo, il più meschino dei vostri.
LEONTE
Portatela via.
PAOLINA
Chi non ha riguardo per i propri occhi
mi tocchi per primo: me ne vado da me;
ma prima, farò la mia ambasciata. La buona regina
(perché buona lo è) vi ha partorito una figlia;
eccola; (mette giù il neonato) la raccomanda alla vostra benedizione.
LEONTE
Fuori!
Strega mascolina! Via di qui, dalla porta:
ruffiana scaldaletti!
PAOLINA
Non è così:
io di queste cose sono ignorante quanto voi
nel darmi questo titolo: e onesta almeno
quanto voi siete matto; il che è sufficiente, ve lo garantisco,
per passare per onesti, in questo mondo.
LEONTE
Traditori!
Che aspettate a buttarla fuori? Dalle il bastardo,
vecchio scimunito! Sottomesso alla sottana, sgallottato
giù da madama Gallina. Prendi il bastardo,
prendilo, ti dico! Dallo alla tua befana.
PAOLINA
Per sempre
siano disonorate le tue mani, se tocchi
la principessa dopo l’ingiusta ingiuria
di cui l’ha ricoperta!
LEONTE
Ha paura di sua moglie.
PAOLINA
Vorrei che anche voi ne aveste; allora di sicuro
chiamareste vostri i vostri bambini.
LEONTE
Un nido di traditori!
ANTIGONO
Non io, per la sacra luce.
PAOLINA
Ed io neppure;
e nessun altro qui, se non un solo, lui stesso; perché lui
solo consegna alla calunnia, la cui lama
è più tagliente della spada, il sacro onore suo,
della regina, del suo erede, e della sua bambina;
e non c’è verso (e come stanno le cose,
è una maledizione che non si possa costringerlo)
di strappargli quest’idea fissa, che è marcia
come mai è stata sana quercia o pietra.
LEONTE
Puttana
di lunga lingua! Prima batte il marito,
e adesso morde me! Non è mia questa marmocchia;
è frutto di Polissene.
Via di qui, e con quella che l’ha partorita,
buttatela insieme nel fuoco!
PAOLINA
È vostra;
e potremmo applicare a voi il vecchio proverbio:
“somiglia tanto a voi, purtroppo!”. Guardate signori,
anche se in piccolo, è la copia
esatta del padre: occhi, naso e bocca;
l’aggrottare le ciglia, la fronte, il labbro perfino,
le graziose fossette sul mento e sulla guancia, il sorriso;
fin nella forma della mano, unghie, dita:
e tu buona madre Natura, che l’hai fatta
tanto simile a chi l’ha generata, se presiedi
anche all’ordine della mente, tra tutti i colori
non metterci il giallo, che lei non sospetti, come lui,
che i suoi bambini non siano del marito!
LEONTE
Strega immonda!
E tu, buono a nulla, meriti d’essere impiccato,
che non sei capace di farla tacere.
ANTIGONO
Impiccate ogni marito
che non riesca in quest’impresa e non vi resterà
neanche un suddito.
LEONTE
Ancora una volta portatela via.
PAOLINA
Il sire più indegno e snaturato
non potrebbe far peggio
LEONTE
Ti farò bruciare.
PAOLINA
Fate pure:
è più eretico chi accende il fuoco,
di quella che ci brucia dentro. Non vi chiamo tiranno;
ma questo crudelissimo trattamento della vostra regina –
senz’altro fondamento nell’accusa
se non le vostre sconquassate fantasie – puzza
di tirannide, e vi farà ignobile,
anzi abbietto al mondo.
LEONTE
Per l’obbedienza che mi dovete,
portatela fuori da questa stanza! Se io fossi un tiranno,
sarebbe ancora in vita? Non oserebbe chiamarmi così,
se mi sapesse tale. Portatela via!
PAOLINA
Prego, non mi spingete; me ne vado.
Guardate la vostra bambina, mio signore; è vostra: Giove le dia
un migliore spirito guida! Giù le mani voialtri!
Voi, a compiacerlo così nella sua follia,
non gli farete del bene, nessuno di voi.
Va bene, va bene: addio; ce ne andiamo. Esce.
LEONTE
Tu, traditore, hai messo su tua moglie a farmi questo.
Mia figlia? Che idea! Anzi tu, che hai
il cuore così tenero verso di lei, prendila
e falla bruciare subito;
proprio a te dico, a nessun altro che a te. Eseguisci:
e entro un’ora portami notizia che è fatto,
e con testimoni fidati, o ti toglierò la vita,
e tutto il resto che tu chiami tuo. Se rifiuti
e vuoi affrontare il mio sdegno, dillo;
il cervello bastardo con le mie proprie mani
farò schizzar fuori. Va’, portala al fuoco;
poiché tu hai messo su tua moglie.
ANTIGONO
Non l’ho fatto, sire:
questi signori, miei nobili pari, se a loro piacerà,
potranno discolparmi.
NOBILI
È così, mio sovrano,
lui non ha colpa, se lei è venuta qui.
LEONTE
Bugiardi tutti.
UN NOBILE
Supplico vostra altezza di farci miglior credito:
vi abbiamo sempre servito fedelmente: e supplichiamo
di così stimarci: e in ginocchio vi chiediamo
(in ricompensa dei nostri devoti servigi
passati e a venire) di desistere da questo proposito,
che essendo così orribile e sanguinoso, deve per forza
condurre a un esito nefasto. Tutti c’inginocchiamo.
LEONTE
Sono una piuma per ogni vento che spira:
dovrò vivere per vedere questa bastarda inginocchiarsi
e chiamarmi padre? Meglio bruciarla adesso
che maledirla poi. Ma sia: che viva.
Eppure, nemmen questo. Voi signore, venite qua,
voi ch’eravate così teneramente zelante
con Madama Chioccia, vostra comare,
per salvar la vita alla bastarda – perché bastarda è,
sicuro come questa barba è grigia – cosa siete pronto a rischiare
per salvare la vita alla marmocchia?
ANTIGONO
Qualsiasi cosa, sire,
nei limiti della mia capacità,
e delle regole dell’aristocrazia, almeno tanto –
impegnerò il poco sangue che mi resta
per salvare l’innocente: ogni cosa possibile.
LEONTE
Sarà possibile. Giura su questa spada
che obbedirai il mio comando.
ANTIGONO
Lo farò, mio signore.
LEONTE
Nota ed esegui: m’intendi? Perché se fallisci
in qualche particolare, sarà non solo
la morte per te, ma per tua moglie lingua-sozza
(che per questa volta perdoniamo). Noi t’ingiungiamo,
come nostro vassallo, di prendere con te
questo bastardo femmina e di portarlo
in qualche remoto e deserto luogo, ben fuori
dal nostro regno, e di abbandonarlo là
(senza altra pietà) alle sue risorse
e alla benignità del clima. Poiché esso
è venuto a noi per estranea ventura, io ti ordino
secondo giustizia, a rischio della perdita dell’anima
e del tormento del corpo, di consegnarlo da estraneo
a qualche luogo dove il caso lo salvi o lo finisca. Prendilo.
ANTIGONO
Giuro che lo farò; anche se una morte rapida
sarebbe stata più pietosa. Vieni, povera infante;
qualche potente voce ispiri corvi e avvoltoi
ad esser tue nutrici! Lupi ed orsi, si dice,
dimenticando la loro ferocia, han già compiuto
tali opere buone. Signore, prosperate
più di quanto meriti quest’azione; e il cielo
contro quest’empietà, lotti al tuo fianco,
povera cosina, condannata a perderti! Esce (con la bambina).
LEONTE
No: non alleverò
il frutto d’un altro.
Entra un servitore.
SERVITORE
Piaccia a vostra altezza: corrieri
da coloro che avete mandati all’oracolo,
son qui da un’ora: Cleomene e Dione,
felicemente arrivati da Delfo, sono entrambi sbarcati,
e s’affrettano alla corte.
UN NOBILE
Compiacetevi, sire,
son stati rapidi oltre ogni attesa.
LEONTE
Ventitré giorni
sono stati in viaggio: il rapido ritorno è un segno
che il grande Apollo vuole al più presto
rivelarci la verità sul fatto. Preparatevi, signori;
convocate un tribunale, che si giudichi
la nostra infedelissima consorte; visto che è stata
in pubblico accusata, le sarà fatto
un giusto e pubblico processo. Finch’ella vive
il cuore mi sarà di peso. Lasciatemi.
E pensate ai miei ordini. Escono.
Il racconto d’inverno
(“A Winter’s tale” 1611)
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Atto I
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Atto III
Atto IV
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