(“The Taming of the Shrew” 1590 – 1593)
Introduzione – Trama
Prologo
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
Entra Grumio.
GRUMIO
All’inferno tutti i cavalli sfiancati, tutti i padroni pazzi e tutte le strade infangate! C’è mai stato uno più malridotto? C’è mai stato uno più inzaccherato? C’è mai stato uno più stanco? Mi mandano avanti ad accendere il fuoco e loro vengono dopo per scaldarsi. Be’, se non fossi un piccoletto che si scalda subito, le labbra mi si congelerebbero ai denti, la lingua al palato e il cuore alla pancia, prima che arrivi a un fuoco che mi scongeli. Ma io mi scalderò soffiando sul fuoco, visto che con questo tempo uno più grande di me si raggelerebbe. Ehilà, Curzio!
Entra Curzio.
CURZIO
Chi è che chiama così freddamente?
GRUMIO
Un pezzo di ghiaccio. Se non ci credi, per scivolarmi dalla spalla al calcagno ti basterebbe la rincorsa fra la testa e il collo. Un fuoco, buon Curzio.
CURZIO
Vengono il padrone e sua moglie, Grumio?
GRUMIO
Sì, Curzio, sì – perciò fuoco, fuoco, e non buttarci su acqua.
CURZIO
È una bisbetica così bollente come dicono?
GRUMIO
Lo era, Curzio, prima di questa gelata. Ma sai che l’inverno doma uomini, donne e bestie, e infatti ha domato il mio vecchio padrone, la mia nuova padrona e anche me, collega Curzio.
CURZIO
Ma va là, pollicino. Io non sono una bestia.
GRUMIO
E io sarei un pollicino? Le tue corna sono lunghe un piede, e io non sono da meno. Ma vuoi fare questo fuoco, o dovrò lamentarmi di te con la padrona, la cui mano, visto che ora è a portata di mano, assaggerai presto, con fredda consolazione, per la lentezza con cui ci riscaldi?
CURZIO
Ti prego, buon Grumio, dimmi, come va il mondo?
GRUMIO
Gelidamente, Curzio, in ogni lavoro tranne il tuo; fuoco, perciò. Fa’ il tuo dovere e avrai il dovuto, perché il padrone e la padrona sono quasi morti gelati.
CURZIO
Il fuoco è gia pronto; allora, le notizie, buon Grumio.
GRUMIO
Be’,”Ehi, Jack, ecco le nuove”, la conosci, no? Tutte le notizie che vuoi.
CURZIO
Dai, sempre colle tue birbonerie.
GRUMIO
Il fuoco, il fuoco, perché ho preso un gran freddo. Dov’è il cuoco? La cena è pronta, la casa riassettata, avete steso le canne, spazzato le ragnatele, i servi hanno i nuovi abiti di fustagno, le calze bianche, e sono tutti vestiti a nozze? Garzoni e bicchieri sono puliti di dentro, servette e boccali puliti di fuori, messe le tovaglie, e tutto in ordine?
CURZIO
È tutto pronto; perciò, ti prego, le notizie.
GRUMIO
Prima sappi che il mio cavallo è stanco, e il padrone e la padrona sono tombolati.
CURZIO
Come?
GRUMIO
Giù di sella nel fango, ed è una storia lunga.
CURZIO
Raccontala, buon Grumio.
GRUMIO
Porgi l’orecchio.
CURZIO
Ecco.
GRUMIO
To’. [Lo colpisce.]
CURZIO
Questo è sentire una storia, non udirla.
GRUMIO
E infatti è una storia tutta da sentire; e la mia botta solo per bussare al tuo orecchio e implorare ascolto. Adesso comincio. Imprimis, scendevamo da una collina tutta fangosa, col padrone che cavalcava dietro la padrona…
CURZIO
Tutti e due su un cavallo?
GRUMIO
A te che ti frega?
CURZIO
Ma il cavallo.
GRUMIO
E allora raccontala tu. Ma se non mi avessi contrariato, avresti sentito come il cavallo di lei è caduto, con lei sotto; avresti sentito in che pantano, come si è tutta inzaccherata, come lui l’ha lasciata col cavallo sopra, come mi ha picchiato perché il cavallo era inciampato, come lei si è trascinata nel fango per togliermi il padrone di dosso, come lui imprecava, e lei implorava come non aveva mai fatto prima, come io piangevo, come i cavalli sono scappati, come la sua briglia si è spezzata, come io ho perduto la groppiera – con molte altre cose degne di memoria che ora moriranno nell’oblio, e tu scenderai senza il loro beneficio nella tomba.
CURZIO
A sentir questa, lui è più bisbetico di lei.
GRUMIO
Sì, e lo scoprirete tu e tutti i temerari come te appena arriverà a casa. Ma perché parlo di questo? Chiama Nataniele, Giuseppe, Nicola, Filippo, Walter, Giulebbe e gli altri. Che abbiano i capelli ben pettinati, le giacche blu ben spazzolate e le giarrettiere non scompagnate; che facciano l’inchino con la gamba sinistra, e non si azzardino a toccare un pelo della coda del cavallo del padrone senza essersi prima baciate le mani. Sono tutti pronti?
CURZIO
Sì.
GRUMIO
Chiamali.
CURZIO
Ehi, mi sentite? Dovete venire incontro al padrone per far buon viso alla padrona.
GRUMIO
Ma un viso ce l’ha anche lei.
CURZIO
E chi non lo sa?
GRUMIO
Tu, a quanto pare, che chiami la gente a farle buon viso.
CURZIO
Li chiamo perché le prestino omaggio.
GRUMIO
Ma lei non viene a chieder nulla in prestito.
Entrano quattro o cinque Servi.
NATANIELE
Bentornato, Grumio.
FILIPPO
Come va, Grumio?
GIUSEPPE
Ehilà, Grumio.
NICOLA
Amico Grumio.
NATANIELE
Come andiamo, vecchio.
GRUMIO
Bentrovato, tu. Come va, tu. Ehilà, tu. Amico, tu. E basta coi saluti. Allora, elegantoni, è tutto pronto, tutte le cose a posto?
NATANIELE
Tutte le cose a posto. Quant’è vicino il padrone?
GRUMIO
È già qui, ormai sceso da cavallo. Perciò non… Zitti, sacraboldo. Sento il padrone.
Entrano Petruccio e Caterina.
PETRUCCIO
Dove sono quei ribaldi? Nessuno alla porta
a tenermi le staffe e prendermi il cavallo?
Dove sono Nataniele. Gregorio, Filippo?
TUTTI I SERVI
Qui, qui, signore, qui signore.
PETRUCCIO
Qui signore, qui signore, qui signore!
Teste di rapa e zotici screanzati!
Come, nessuna accoglienza? Nessun riguardo?
Nessun omaggio? Dov’è quel furfante
scervellato che ho mandato avanti?
GRUMIO
Qui, signore, scervellato come prima.
PETRUCCIO
Razza di bifolco! Figlio di puttana
d’un mulo da mulino. Non ti ho ordinato
di venirmi incontro nel parco
e di portare con te questi furfanti?
GRUMIO
La giacca di Nataniele, signore, non era pronta,
e gli scarpini di Gabriele non erano impuntati
nel tacco; non c’era il nero per tingere
il cappello di Pietro, e il pugnale di Walter
non usciva dal fodero. Nessuno era a posto
tranne Adamo, Raffo e Gregorio. Il resto
eran sbrindellati, vecchi, degli straccioni;
così come sono, vi son però venuti incontro.
PETRUCCIO
Andate, ribaldi, e portatemi la cena. Escono i Servi.
[Canta.] Dov’è la vita che una volta vivevo?
Dove sono quelle…
Siediti, Kate, e benvenuta. Cibo, cibo, cibo, cibo!
Entrano i Servi con la cena.
Ah, era ora! Su, allegra, cara e dolce Kate.
Toglietemi gli stivali, malnati! Forza, farabutti!
[Canta.] Con questa pioggia e con questo vento
chi è che bussa al mio convento?
Ah, malnato! Mi sradichi il piede. To’, [Lo picchia.]
e sta’ più attento quando togli l’altro.
Allegra, Kate. Dell’acqua qui. Uelàaa!
Entra uno con l’acqua.
Dov’è il mio spaniel Troilo? Via, sciagurato.
E dite a mio cugino Ferdinando di venir qui.
Uno, Kate, che devi baciare e conoscere bene.
Dove sono le mie pantofole? E mi date dell’acqua?
Vieni, Kate, lavati, e benvenuta di cuore.
Porco figlio di puttana, vuoi farlo cadere?
[Picchia il Servo.]
CATERINA
Pazienza ti prego, non l’ha fatto apposta.
PETRUCCIO
Zuccone, bastardo, furfante senza testa.
Vieni, Kate, siediti, so che hai fame.
Dici tu la preghiera, dolce Kate, o devo farlo io?
Cos’è questo? Montone?
PRIMO SERVO
Sì.
PETRUCCIO
Chi l’ha portato?
PIETRO
Io.
PETRUCCIO
È bruciato, e anche tutto il resto.
Che cani siete! Dov’è quel furfante del cuoco?
Come osate, farabutti, portarlo dalla dispensa
e servirlo così a me che lo detesto?
Ecco, prendetevelo voi, piatti, tazze e tutto.
[Getta il cibo e i piatti su di loro.]
Idioti scriteriati e schiavi villanzoni!
Cosa, borbottate? Vi farò vedere io. [Escono i Servi.]
CATERINA
Ti prego, marito, non t’inquietare così.
La carne era buona, se ti accontentavi.
PETRUCCIO
Ti dico, Kate, era bruciata e rinsecchita,
e mi è espressamente vietato di toccarla,
perché ingenera bile e innesca l’ira;
e faremmo meglio a digiunare entrambi,
perché già di natura siamo collerici,
senza alimentarla con carne stracotta.
Abbi pazienza, domani si rimedierà,
e per stasera ci faremo compagnia digiunando.
Vieni, ti porto alla tua stanza nuziale. Escono.
Entrano Servi da varie parti.
NATANIELE
Pietro, hai mai visto niente di simile?
PIETRO
La uccide con le sue stesse armi.
Entra Curzio.
GRUMIO
Dov’è?
CURZIO
In camera sua,
a farle una predica sulla continenza,
e sbraita, e smoccola, e sgrida, che lei, poveretta,
non sa da che parte stare, guardare, parlare,
e pare una appena risvegliatasi da un sogno.
Via, via, ché sta venendo qui. [Escono.]
Entra Petruccio.
PETRUCCIO
Così ho cominciato da politico il mio regno,
e spero di concluderlo con successo.
Ora la mia falchetta è affamata e a pancia vuota,
e finché non si piega non verrà saziata,
ché se no non guarda più al suo specchietto.
Ho un altro modo per ammaestrare la mia selvaggia,
perché risponda e venga al richiamo del padrone,
ed è di tenerla sveglia, come si fa coi falchi
che frullano e sbattono le ali senza obbedire.
Oggi non ha toccato cibo, e non ne toccherà;
iernotte non ha dormito, e stanotte non dormirà;
come col cibo, qualche difetto immaginario
troverò su come è stato fatto il letto,
e butterò qua il guanciale, là il capezzale,
da una parte la coperta, dall’altra le lenzuola.
Sì, e in mezzo allo sconquasso farò credere
che sia per la cura premurosa che ho di lei.
In conclusione, veglierà tutta la notte,
e se appena si appisola, io sbraito e strillo,
e col fracasso la terrò costantemente sveglia.
Ecco come uccidere una moglie con le gentilezze,
così stroncherò il suo umor pazzo e caparbio.
Chi sa modo migliore di domare una bisbetica
parli adesso; è una questione d’etica. Esce.
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
Entrano Tranio e Ortensio.
TRANIO
È possibile, amico Licio, che madonna Bianca
si sia invaghita d’altri che Lucenzio?
Vi dico, signore, che mi prende per il naso.
ORTENSIO
Signore, per convincervi di quanto vi ho detto,
state da parte e osservate come l’ammaestra.
Entrano Bianca [e Lucenzio].
LUCENZIO
Ebbene, signora, profittate di quel che leggete?
BIANCA
E voi che leggete, maestro? Prima chiarite questo.
LUCENZIO
Leggo quel che professo; L’arte di amare.
BIANCA
E possiate riuscir padrone della vostra arte.
LUCENZIO
E voi, mia cara, padrona del mio cuore.
ORTENSIO
Caspita, che progressi. Che ne dite, vi prego,
voi che giuravate che madonna Bianca
non amava nessuno al mondo come Lucenzio.
TRANIO
O amor sprezzante, donne incostanti!
Vi dico, Licio, che è incredibile.
ORTENSIO
Basta equivoci, io non sono Licio,
né un musicista come sembro, ma uno
che spregia di vivere camuffato così
per una donna che lascia un gentiluomo
e fa un dio di un tale miserabile.
Sappiate, signore, che io mi chiamo Ortensio.
TRANIO
Signor Ortensio, ho sentito spesso
del vostro sincero amore per Bianca,
e poiché i miei occhi sono testimoni
della sua leggerezza, se voi acconsentite
rinnego con voi per sempre l’amore di Bianca.
ORTENSIO
Guardate come si baciano e amoreggiano!
Signor Lucenzio, ecco la mia mano; qui giuro
di non corteggiarla più, e la ripudio
come indegna di tutti i passati favori
che le ho stupidamente tributato.
TRANIO
E qui io faccio lo stesso sincero giuramento
di non sposarla mai, anche se m’implorasse.
Puah! In che modo bestiale amoreggia con lui.
ORTENSIO
La ripudiassero tutti, tranne lui!
Io, per mantenere fermamente il voto,
sposerò entro tre giorni una ricca vedova
che mi ama fin da quando io ho amato
questa falchetta altera e disdegnosa.
Con questo, addio, signor Lucenzio.
La bontà delle donne, non il bel sembiante,
conquisterà il mio amore; così mi congedo
risoluto a tener fede al mio giuramento. [Esce.]
TRANIO
Signora Bianca, vi benedica la grazia
che spetta al caso beato d’una innamorata!
Ah, vi ho colta sul fatto, signora mia,
e vi ho ripudiata assieme a Ortensio.
BIANCA
Tranio, scherzate; ripudiata da entrambi?
TRANIO
Sì, signora.
LUCENZIO
Eccoci sbarazzati di Licio.
TRANIO
Già, adesso si prende una vedova allegra,
da corteggiare e sposare in un sol giorno.
BIANCA
Dio gli conceda felicità.
TRANIO
Sì, e la domerà.
BIANCA
Lo dice lui, Tranio.
TRANIO
Be’, è andato alla scuola per domatori.
BIANCA
La scuola per domatori? Esiste un posto simile?
TRANIO
Sì, signora, e Petruccio è il maestro,
che insegna a puntino come si faccia
a domare una bisbetica e stregarne la linguaccia.
Entra Biondello.
BIONDELLO
Padrone, padrone, sto all’erta da tanto
che sono stanco morto; ma alla fine ho scorto
un galantuomo di vecchio stampo scendere il colle
che farà al caso nostro.
TRANIO
Che cos’è, Biondello?
BIONDELLO
Un mercante, padrone, o un pedante,
non so bene; ma ben vestito, dall’incedere
e dal portamento proprio come un padre.
LUCENZIO
Che ne facciamo, Tranio?
TRANIO
Se è credulone e si beve la mia storia
lo renderò felice di impersonare Vincenzo
e dare garanzie a Battista Minola
come se fosse il vero Vincenzo.
Rientrate con l’amata e lasciate fare a me.
[Escono Lucenzio e Bianca.]
Entra un Pedante.
PEDANTE
Dio vi salvi, signore.
TRANIO
E voi, signore. Benvenuto.
Andate lontano, o siete giunto alla meta?
PEDANTE
Alla meta per una settimana o due,
signore. Ma poi proseguirò fino a Roma
e di lì a Tripoli, se Dio mi darà vita.
TRANIO
Di che paese siete, di grazia?
PEDANTE
Di Mantova.
TRANIO
Di Mantova? Santo cielo, Dio ci scampi!
E venite a Padova, incurante della vita?
PEDANTE
Della vita? Come, di grazia? È una cosa seria.
TRANIO
C’è la morte per chiunque di Mantova
venga a Padova. Non ne sapete il motivo?
Le vostre navi sono bloccate a Venezia,
e per una bega personale col vostro Duca,
il Doge l’ha pubblicamente proclamato.
È strano, ma se non foste appena arrivato
lo avreste sentito proclamare dappertutto.
PEDANTE
Ahimè, signore, per me è ancora peggio!
Perché io ho delle lettere di cambio
da Firenze, e le devo incassare qui.
TRANIO
Be’, signore, per farvi una cortesia
posso far questo, darvi un buon consiglio;
ma prima ditemi, siete mai stato a Pisa?
PEDANTE
Sì, signore, sono stato spesso a Pisa,
rinomata per la serietà dei cittadini.
TRANIO
Conoscete uno di loro, un certo Vincenzo?
PETRUCCIO
Non lo conosco, ma ne ho sentito parlare,
un mercante di incomparabile ricchezza.
TRANIO
È mio padre, signore, e a dire il vero,
d’aspetto vi assomiglia parecchio.
BIONDELLO
[A parte.] Come una mela a un’ostrica, stessa cosa.
TRANIO
Per salvarvi la vita in questo frangente,
vi farò questo favore per amor suo,
e non considerate vostra minor fortuna
assomigliare tanto al signor Vincenzo.
Assumerete il suo nome e il suo rango
e alloggerete amichevolmente a casa mia.
Badate di recitare la parte come si conviene.
Voi mi capite, signore. Resterete così
finché avrete sbrigato gli affari in città.
Se è una cortesia, signore, accettatela.
PEDANTE
Oh, signore, accetto, e vi terrò in eterno
patrono della mia vita e della mia libertà.
TRANIO
Allora venite con me ad attuare il piano.
Questo, intanto, vi rendo noto; mio padre
è atteso da un giorno all’altro a Padova
per garantire una dote matrimoniale
fra me e la figlia qui di un certo Battista.
Di tutte queste circostanze vi darò conto.
Venite con me, vi abbiglierò come si deve. Escono.
ATTO QUARTO – SCENA TERZA
Entrano Caterina e Grumio.
GRUMIO
No, no, davvero, non ho il coraggio.
CATERINA
Più mi maltratta, più mostra malvolere.
Ma come, mi ha sposata per affamarmi?
I mendicanti che alla porta di mio padre
chiedono l’elemosina, la ricevono subito,
o trovano altrove chi gli fa la carità.
Ma io, che non ho mai saputo implorare,
né ho mai avuto bisogno d’implorare,
sono morta di fame, barcollo dal sonno,
tenuta sveglia a improperi e nutrita di strilli.
E quel che mi rode più di queste privazioni,
è che lo fa spacciandolo per perfetto amore,
come se a dormire o a mangiare incorressi
in malattia mortale o morte immediata.
Ti prego, va’ a prendermi qualcosa da mangiare,
non importa cosa, basta che sia roba sana.
GRUMIO
Che ne direste di un piede di bue?
CATERINA
Ottimo, ottimo. Ti prego, portamelo.
GRUMIO
Ho paura che sia cibo che infiamma la bile.
Che ne direste di trippa alla graticola?
CATERINA
Mi piace, mi piace. Portamela, buon Grumio.
GRUMIO
Non so, ho paura che infiammi la bile.
Che ne direste del manzo con la senape?
CATERINA
Un piatto che mangio proprio volentieri.
GRUMIO
Sì, ma la senape riscalda un po’ troppo.
CATERINA
E allora il manzo, senza la senape.
GRUMIO
No, così no. O prendete la senape
o Grumio non vi darà neanche il manzo.
CATERINA
Allora tutt’e due, o solo una, quel che vuoi.
GRUMIO
Be’, allora la senape senza manzo.
CATERINA
Via, vattene, falso gaglioffo ingannatore, Lo picchia.
che mi nutri di cibo solo a parole.
Un canchero a te e a quelli come te,
che esultano della mia disgrazia!
Va’, vattene, ti dico.
Entrano Petruccio e Ortensio con del cibo.
PETRUCCIO
Come sta la mia Kate? Giù di corda, tesoro?
ORTENSIO
Come va, signora?
CATERINA
A bocca asciutta, ecco.
PETRUCCIO
Su con la vita, fammi buon viso.
Ecco, guarda, amore, con quanta cura
ti preparo io stesso da mangiare e te lo porto.
Sono sicuro, dolce Kate, che questa cortesia
merita un grazie. Come, neanche una parola?
Ah, allora non ti piace, e tutto il mio daffare
non è servito a nulla. To’, porta via il piatto.
CATERINA
No, vi prego, lasciatelo qui.
PETRUCCIO
Il servizio più umile merita un grazie,
e così il mio, prima che tu tocchi cibo.
CATERINA
Vi ringrazio, signore.
ORTENSIO
Signor Petruccio, vergogna! Siete da biasimare.
Venite, signora Kate, vi terrò compagnia.
PETRUCCIO
[A parte.] Mangialo tutto tu, Ortensio, se mi ami. –
Buon pro ti faccia al tuo cuore gentile.
Kate, sbrigati a mangiare. E ora, dolcezza mia,
ce ne ritorneremo a casa di tuo padre
a far festa agghindati come i migliori,
con vesti e cappelli di seta, preziosi anelli,
collari e polsini e gonne a sboffo e orpelli,
scialli e ventagli e doppi cambi di crinolina,
bracciali d’ambra, collane, e roba sopraffina.
Allora, hai mangiato? Il sarto aspetta fuori,
per agghindarti coi suoi splendidi tesori.
Entra il Sarto.
Entra, sarto, vediamo questi ornamenti.
Sciorina la veste.
Entra il Merciaio.
Tu che porti, messere?
MERCIAIO
Ecco il cappello ordinato da Vossignoria.
PETRUCCIO
Ma come, è stato modellato su una ciotola!
Una terrina di velluto! Puah! È uno schifo.
È una conchiglia, un guscio di noce, una burla,
una baia, una bolla, una cuffia da neonato.
Portalo via! Su, dammene uno più grande.
CATERINA
Non lo voglio più grande. Questo è di moda,
e le gentildonne portano cappelli così.
PETRUCCIO
Quando sarai gentile, ne avrai uno anche tu,
ma non prima.
ORTENSIO [A parte.]
Non sarà tanto presto.
CATERINA
Ma signore, confido d’aver licenza di parlare,
e parlerò. Non sono una bimba, una poppante.
Gente meglio di voi m’ha lasciato dir la mia,
e se voi non volete, tappatevi le orecchie.
Sfogherò con la lingua l’ira che ho nel cuore,
o soffocandola il mio cuore si spezzerà,
ed io piuttosto che si spezzi darò sfogo,
pieno sfogo alle parole, come voglio.
PETRUCCIO
Sì, hai ragione, che schifo di cappello,
una crostina, un nulla, una frittella di seta;
che non ti piaccia fa crescere il mio amore.
CATERINA
Amore o non amore, il cappello mi piace,
e avrò quello, oppure nessun altro.
PETRUCCIO
E la veste? Già. Su, sarto, faccela vedere.
[Esce il Merciaio.]
O santo cielo! Che mascherata è questa?
E questa, cos’è? Una manica? Ma è un cannoncino.
Con gli spacchi su e giù come una torta di mele?
E tagli, tagliuzzi, crepe, squarci e sbreghi,
come un braciere bucherellato da un barbiere.
Che nome del diavolo, sarto, dai a questo?
ORTENSIO [A parte.]
Vedo che non avrà né cappello né veste.
SARTO
Mi avete ordinato di fare un lavoro a puntino,
secondo gli ultimi dettami della moda.
PETRUCCIO
Sì, caspita. Ma se ti ricordi,
non ti ho ordinato di sfigurarlo coi dettami.
Va’, vattene a casa saltando tutti i fossi,
ché salterai il mio ordine, messere.
Non lo voglio. Fila! Fanne quel che vuoi.
CATERINA
Non ho mai visto una veste meglio tagliata,
più elegante, più graziosa o più ammirevole.
Forse volete far di me una pupattola.
PETRUCCIO
Giusto, lui vuol far di te una pupattola.
SARTO
Lei dice che Vossignoria vuol far di lei una pupattola.
PETRUCCIO
O che mostruosa arroganza! Tu menti,
gomitolo di filo, ditale, metro, tre quarti.
mezzo metro, quarto di metro, due pollici,
pulce, pidocchietto, grillo d’inverno, tu!
Mi sfidi a casa mia con una matassa di refe?
Vattene, straccetto, scampolo, sbrendolo,
o ti misurerò io con il tuo metro,
e in vita tua ci penserai prima di cianciare.
Io ti dico che hai sfigurato quella veste.
SARTO
Vossignoria si sbaglia; la veste è fatta
proprio come il mio padrone ha specificato.
Grumio ha dato l’ordine come andava fatta.
GRUMIO
Io non gli ho dato l’ordine, ma la stoffa.
SARTO
Ma come avevate detto che andava fatta?
GRUMIO
Perbacco, signore, con ago e filo.
SARTO
Ma non avevate richiesto di tagliarla?
GRUMIO
Tu hai foderato molte cose.
SARTO
Sì.
GRUMIO
Non sfoderar con me. Tu hai misurato molti uomini; non misurarti con me. Meglio non sfoderare e misurarsi con me. Ti dico che ho detto al tuo padrone di tagliare la veste, ma non di tagliarla a pezzi. Ergo, tu menti.
SARTO
Ma questa è la nota che lo comprova.
PETRUCCIO
Leggila.
GRUMIO
La nota mente nella strozza se dice che ho detto così.
SARTO [Legge.]
“Imprimis, una veste aperta sulla sottana.”
GRUMIO
Padrone, se ho mai detto una veste aperta sulla sottana, cucitemi nella sottana e bastonatemi a morte con un rocchetto di filo marrone. Io ho detto una veste.
PETRUCCIO
Procedi.
SARTO
“Con una mantellina a campana.”
GRUMIO
Ammetto la mantellina.
SARTO
“Con la manica a sboffo.”
GRUMIO
Ammetto due maniche.
SARTO
“Le maniche fantasiosamente tagliate.”
PETRUCCIO
Ah, ecco l’infamia.
GRUMIO
Errore di procedura, signore, errore di procedura! Io ho ordinato che le maniche fossero tagliate, e poi ricucite; e lo proverò in singolar tenzone, anche se hai il mignolo armato di ditale.
SARTO
Quello che dico è vero; e se tu fossi dove dico io, te la farei vedere.
GRUMIO
Sono a tua disposizione. Prenditi l’asta, dammi il tuo metro, e non risparmiarmi.
ORTENSIO
Bontà del cielo, Grumio, non avrà scampolo.
PETRUCCIO
Be’, signore, in breve, la veste non fa per me.
GRUMIO
Avete ragione, signore, è fatta per la mia padrona.
PETRUCCIO
Su, levala di torno, che ne disponga il tuo padrone.
GRUMIO
Non ti azzardare, gaglioffo! Levare la veste della mia padrona perché ne disponga il tuo padrone!
PETRUCCIO
Qual è l’insinuazione in questo, messere?
GRUMIO
Ah, signore, l’insinuazione è più profonda di quanto pensiate. Levare la veste della mia padrona perché ne disponga il suo padrone? Oh, vergogna, vergogna!
PETRUCCIO [A parte.]
Ortensio, di’ che salderai tu il conto. –
Via, vattene via, non voglio più sentirti.
ORTENSIO [A parte.]
Sarto, ti pagherò la veste domani.
Non offenderti per le sue sfuriate.
Via, ti dico, e salutami il tuo padrone. Esce il Sarto.
PETRUCCIO
Be’, vieni, Kate, andremo da tuo padre
con questi umili ma onesti vestiti.
Avremo la borsa piena e le vesti povere,
perché è l’animo che arricchisce il corpo,
e come il sole sbuca tra le nuvole più cupe,
così l’onore spunta sotto l’abito più vile.
Forse la ghiandaia vale meno dell’allodola
perché questa ha le penne molto più belle?
O la vipera è migliore dell’anguilla
perché la sua pelle maculata appaga l’occhio?
Oh no, buona Kate; né tu sei sminuita
da questi poveri vestiti e umile arnese.
Se lo ritieni una vergogna, da’ la colpa a me.
E dunque, allegra! Partiremo subito
per far festa e banchettare da tuo padre.
[A Grumio.] Va’ a chiamare gli uomini, partiamo subito;
e conduci i nostri cavalli in fondo al viale,
monteremo là, fin lì andremo a piedi.
Vediamo, penso che saranno le sette,
dovremmo arrivare per l’ora di pranzo.
CATERINA
Vi assicuro, signore, sono quasi le due,
e sarà ora di cena prima che ci si arrivi.
PETRUCCIO
Saranno le sette prima che monti a cavallo.
Qualunque cosa dica o faccia o intenda fare,
continui a contrariarmi. Sospendete, signori,
oggi non partirò, e quando lo farò
sarà l’ora che dirò io.
ORTENSIO
Di questo passo
questo prode vorrà comandare al sole. [Escono.]
ATTO QUARTO – SCENA QUARTA
Entrano Tranio, e il Pedante vestito da Vincenzo.
TRANIO
Signore, ecco la casa. Volete che bussi?
PEDANTE
Sì, che altro? E se non m’inganno
Il signor Battista si ricorderà di me
quasi vent’anni fa a Genova
dove alloggiavamo al Pegaso.
TRANIO
Bene, e in ogni caso comportatevi
con l’austerità che compete a un padre.
PEDANTE
State sicuro.
Entra Biondello.
Qui c’è il vostro servo, signore.
Sarebbe bene che venisse istruito.
TRANIO
Non temete per lui. Messer Biondello,
ora fa’ bene il tuo dovere, ti consiglio.
Fa’ conto che sia il vero Vincenzo.
BIONDELLO
Ah, non temete per me.
TRANIO
Ma hai fatto la commissione a Battista?
BIONDELLO
Gli ho detto che vostro padre era a Venezia,
e che lo aspettavate a Padova quest’oggi.
TRANIO
Bravo. Prendi e fatti un goccetto.
Arriva Battista. Datevi contegno, signore.
Entrano Battista e Lucenzio.
Signor Battista, sono felice di incontrarvi. –
Signore, ecco il gentiluomo di cui vi parlavo.
Vi prego, siate un buon padre per me ora,
datemi Bianca in cambio dei miei beni.
PEDANTE
Piano, figliolo.
Con vostra licenza, signore, giunto a Padova
per incassare dei debiti, mio figlio Lucenzio
mi ha informato d’un’importante questione
d’amore fra vostra figliola e lui.
E per il bene che sento dire di voi
e per l’amore che lui ha per vostra figlia,
e lei per lui, per non tardare troppo,
con sollecitudine paterna do il mio consenso
alle sue nozze; e se voi approvate
non meno di me, pattuiti certi accordi,
mi troverete pronto e disposto
a concordare sulla conclusione.
Perché non posso far difficoltà con voi,
signor Battista, di cui sento dire tanto bene.
BATTISTA
Signore, perdonatemi quel che ho da dire.
La vostra schiettezza e brevità mi piacciono.
È vero che vostro figlio qui Lucenzio
ama mia figlia, e lei ama lui, oppure
dissimulano entrambi bene i loro sentimenti.
Perciò se voi vi limitate a dire
che lo tratterete come un padre
passando a mia figlia una congrua dote,
affare fatto, tutto è sistemato,
vostro figlio avrà mia figlia col consenso.
TRANIO
Vi ringrazio, signore. Dove pensate sia meglio
che ci fidanziamo e scambiamo garanzie
che vengano approvate da entrambi i contraenti?
BATTISTA
Non a casa mia, Lucenzio, perché sapete
che i muri hanno orecchie, e io ho molti servi.
Inoltre, il vecchio Gremio sta sempre all’erta
e potremmo anche venire interrotti.
TRANIO
Allora nel mio alloggio, se preferite.
Mio padre abita là; e là, questa sera,
concluderemo l’affare in privato e bene.
Mandate il vostro servo a chiamare vostra figlia.
Il mio andrà subito a cercare lo scrivano.
Purtroppo, con un preavviso così breve,
mi sa che avrete magro e inadeguato desinare.
BATTISTA
Per me va bene. Cambio, corri a casa
e di’ a Bianca di prepararsi subito.
Dille, ti prego, quello che è successo;
che il padre di Lucenzio è giunto a Padova
e lei potrebbe diventare moglie di Lucenzio.
[Esce Lucenzio.]
BIONDELLO
Prego Dio che sia così con tutto il cuore.
TRANIO
Lascia stare Dio, e corri via subito. Esce [Biondello].
Entra Pietro [un Servo].
Signor Battista, faccio strada? Benvenuto!
Mi sa che a tavola avrete solo una pietanza.
Venite, signore, ci rifaremo a Pisa.
BATTISTA
Vi seguo. Escono.
Entrano Lucenzio e Biondello.
BIONDELLO
Cambio.
LUCENZIO
Cosa dici, Biondello?
BIONDELLO
Avete visto il mio padrone ammiccare e ridere?
LUCENZIO
E allora, Biondello?
BIONDELLO
Be’ niente. Ma mi ha lasciato qui a spiegarvi il significato o la morale dei suoi segni e accenni.
LUCENZIO
Ti prego di moralizzarmeli.
BIONDELLO
Ecco qua; Battista è al sicuro, sta parlando col falso padre d’un falso figlio.
LUCENZIO
Ebbene?
BIONDELLO
Voi condurrete a cena sua figlia.
LUCENZIO
E allora?
BIONDELLO
Il vecchio prete alla chiesa di San Luca è a vostra disposizione a tutte le ore.
LUCENZIO
E tutto questo che significa?
BIONDELLO
Non saprei, tranne che sono indaffarati a stipulare una garanzia fasulla. Voi garantitevi lei, cum privilegio ad imprimendum solum. Alla chiesa! Portate il prete, il chierico e dei testimoni abbienti e onesti. Se non è quel che cercate, non ho altro da dire, ma dite addio a Bianca per l’avvenire.
LUCENZIO
Ascolta, Biondello…
BIONDELLO
Non posso trattenermi. Conoscevo una ragazza che si sposò un pomeriggio andando in giardino a raccogliere prezzemolo per farcire un coniglio. Potrebbe capitare anche a voi; e così vi saluto, signore. Il mio padrone mi ha incaricato di andare a San Luca e di avvisare il prete di tenersi pronto per quando arriverete voi con la vostra appendice. Esce.
LUCENZIO
Posso e voglio, se lei è d’accordo.
Ma sarà contenta, perché allora dubitare?
Accada quel che accada, la prenderò di petto;
se Cambio non me la porta, sarà una disdetta. Esce.
ATTO QUARTO – SCENA QUINTA
Entrano Petruccio, Caterina, Ortensio [e Servi].
PETRUCCIO
Forza, per Dio, si rivà da nostro padre.
Santo cielo, guarda come splende la luna!
CATERINA
La luna? Il sole! Non è la luna che splende.
PETRUCCIO
Io dico che è la luna che splende.
CATERINA
E io so che è il sole che splende.
PETRUCCIO
Per il figlio di mia madre, e cioè me,
sarà luna, stella o quel che voglio io,
prima ch’io parta per andare da tuo padre. –
[Ai servi.] Avanti, riportate a casa i cavalli. –
Sempre contraddetto e contraddetto, non fa altro.
ORTENSIO
Dite come dice lui, o non andremo mai.
CATERINA
Avanti, prego, visto che siamo arrivati fin qui,
e sia luna, o sole o quel che voi volete.
E se volete chiamarla candeletta di sego,
d’ora in poi vi giuro che lo sarà per me.
PETRUCCIO
Io dico che è la luna.
CATERINA
Io so che è la luna.
PETRUCCIO
Ma no, tu menti. È il sole benedetto.
CATERINA
Allora, Dio benedetto, è il sole benedetto.
Ma non è il sole, quando dite che non lo è,
e la luna cambia quando cambiate parere.
Quello che vorrete chiamarlo esso sarà,
e giusto quello sarà per Caterina.
ORTENSIO
Va’ là, Petruccio, hai vinto la battaglia.
PETRUCCIO
Bene, proseguiamo. Così deve rotolare la boccia,
e non in modo snaturato contro l’inclinazione.
Ma zitti, arriva della gente.
Entra Vincenzo.
[A Vincenzo.] Buon giorno, gentile signora, dove andate?
Dimmi, cara Kate, e dimmi sinceramente,
hai mai visto più avvenente gentildonna?
Che contrasto di bianco e rosso sulle sue guance!
Quali stelle ravvivano il cielo con una bellezza
pari a quegli occhi su quel viso celestiale?
Vezzosa damigella, ancora una volta buon giorno.
Cara Kate, abbracciala per la sua bellezza.
ORTENSIO
Farà infuriare quell’uomo, farlo passare per donna.
CATERINA
Bella, fresca, soave e fiorente verginella,
dove te ne vai, o qual è la tua dimora?
Felici i genitori d’una bimba così bella,
e più felice colui a cui la buona stella
ti assegnerà come amabile sposa.
PETRUCCIO
Ma come, non sarai impazzita, Kate.
Questo è un vecchio grinzoso, sfiorito,
e non una fanciulla come dici tu.
CATERINA
Perdona, vecchio padre, i miei occhi fallaci,
che sono stati così abbacinati dal sole
da farmi apparir verde tutto quel che vedo.
Ora mi avvedo che sei un vecchio venerando.
Perdona, ti prego, il mio assurdo errore.
PETRUCCIO
Sì, buon vecchio nonno, e dicci intanto
dove viaggi; se nella nostra stessa direzione,
saremo felici della tua compagnia.
VINCENZO
Bel signore, e voi, mia gaia signora,
che con la vostra strana accoglienza
mi avete assai stupito, mi chiamo Vincenzo,
abito a Pisa e mi reco a Padova, a visitare
un mio figliolo che non vedo da tempo.
PETRUCCIO
Come si chiama?
VINCENZO
Lucenzio, gentil signore.
PETRUCCIO
Felice incontro; e ancor più per tuo figlio.
Ora per legge, oltre che per la veneranda età,
posso chiamarti mio riverito padre.
La sorella di mia moglie (questa signora)
a quest’ora ha sposato tuo figlio. Non stupirti,
e non affliggerti; ella è di buona reputazione,
ha una ricca dote ed è di nobile lignaggio;
inoltre ha tutte le qualità che si confanno
alla sposa d’un nobile gentiluomo.
Lascia che abbracci il vecchio Vincenzo
e andiamo dal tuo onesto figliolo
che si rallegrerà molto del tuo arrivo.
VINCENZO
Ma è vero, oppure vi divertite,
da allegri viandanti, a fare uno scherzo
a chi incontrate lungo la strada?
ORTENSIO
Ti assicuro, padre, che è così.
PETRUCCIO
Su, vieni con noi e accertatene tu,
il nostro primo scherzo ti ha reso sospettoso.
Escono [tutti meno Ortensio].
ORTENSIO
Be’, Petruccio, tutto questo mi incoraggia.
Dalla mia vedova! E se fa la riottosa,
hai insegnato a Ortensio come si soggioga. Esce.
La bisbetica domata
(“The Taming of the Shrew” 1590 – 1593)
Introduzione – Trama
Prologo
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V