(“The Taming of the Shrew” 1590 – 1593)
Introduzione – Trama
Prologo
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entrano Caterina e Bianca.
BIANCA
Buona sorella, non far torto a me e a te stessa,
legandomi e trattandomi da schiava.
A me ripugna. E per quest’altri fronzoli,
slegami le mani, li toglierò da sola,
sì, quello che indosso, fino alla sottanella,
oppure farò ciò che mi ordini di fare,
sapendo bene il mio dovere verso i maggiori.
CATERINA
Di tutti i tuoi pretendenti ti ordino di dirmi
chi preferisci. Guarda di non mentire.
BIANCA
Credimi, sorella, fra tutti gli uomini al mondo
non ho mai visto finora quel volto speciale
che potrebbe piacermi più di tutti gli altri.
CATERINA
Menti, civetta. Non è Ortensio?
BIANCA
Se piace a te, sorella, ecco ti giuro
che io stessa perorerò perché l’abbia tu.
CATERINA
Allora magari preferisci i soldi.
Vorrai Gremio per tenerti in ghingheri.
BIANCA
È per lui che mi detesti tanto?
Ma allora scherzi, e adesso capisco
che finora hai soltanto scherzato.
Ti prego, sorella Kate, slegami le mani.
CATERINA
È stato tutto uno scherzo, come questo. La percuote.
Entra Battista.
BATTISTA
Ehi, ehi, damigella, cos’è quest’insolenza?
Scostati, Bianca. Poverina, piange.
Va’ a cucire; gira alla larga da lei.
Vergogna, creatura d’animo diabolico,
perché maltratti chi non ti ha fatto nulla?
Quando mai ti ha presa a male parole?
CATERINA
Mi rode il suo silenzio, e mi vendicherò. Insegue Bianca.
BATTISTA
Come, sotto i miei occhi? Bianca, va’ di là. Esce [Bianca].
CATERINA
Ah, ce l’avete con me? Adesso lo vedo,
è il vostro tesoro, deve avere un marito,
e io ballare scalza il giorno delle nozze,
guidar scimmie all’inferno per come l’amate.
Non parlatemi, mi siederò a piangere
finché non trovi il modo di fargliela pagare. [Esce.]
BATTISTA
Ci fu mai padre di famiglia così afflitto?
Ma chi arriva?
Entrano Gremio, Lucenzio [travestito da Cambio] vestito da povero, Petruccio con [Ortensio travestito da Licio e] Tranio [travestito da Lucenzio] col suo paggio [Biondello], con un liuto e dei libri.
GREMIO
Buon giorno, caro Battista.
BATTISTA
Buon giorno, caro Gremio. Salute a voi, signori.
PETRUCCIO
E a voi, signore. Di grazia, non avete
una figlia di nome Caterina, bella e virtuosa?
BATTISTA
Ho una figlia, signore, di nome Caterina.
GREMIO
Siete troppo brusco, andate per gradi.
PETRUCCIO
Voi mi fate torto, signor Gremio; permettete.
Io sono un gentiluomo di Verona, signore,
che udendo della sua bellezza e del suo spirito,
della sua affabilità e timorosa modestia,
delle sue doti eccelse e mansuetudine,
osa sfacciatamente presentarsi come ospite
a casa vostra, per verificare coi suoi occhi
ciò che ha così spesso udito decantare.
E per guadagnarmi la vostra accoglienza
io qui vi offro uno dei miei uomini, [Presenta Ortensio.]
conoscitore di musica e di matematica,
per rifinirne l’istruzione in quelle scienze
delle quali so che non è a digiuno.
Accettatelo, o mi farete torto.
Si chiama Licio, nato a Mantova.
BATTISTA
Siete il benvenuto, signore, e pure lui,
per amor vostro. Ma quanto a mia figlia
Caterina, ahimè, so che non fa per voi.
PETRUCCIO
Vedo che non intendete separarvi da lei,
o che la mia compagnia non vi è gradita.
BATTISTA
Non fraintendetemi; dico le cose come stanno.
Di dove siete, signore? Come posso chiamarvi?
PETRUCCIO
Mi chiamo Petruccio, figlio di Antonio,
uomo ben noto in tutta Italia.
BATTISTA
Lo conosco bene. Benvenuto in grazia sua.
GREMIO
Con tutto il rispetto, Petruccio, vi prego,
fate parlare anche noi poveri questuanti.
Sgomberare! Siete quanto mai invadente.
PETRUCCIO
Scusatemi, signor Gremio, io miro al sodo.
GREMIO
Non dubito, signore, che poi maledirete il nodo.
Buon vicino, questo è un dono da apprezzare, ne sono sicuro. Per manifestare analoga cortesia, anch’io, che vi sono più debitore di ogni altro, vi faccio omaggio di questo giovane studioso [presenta Lucenzio] che ha a lungo studiato a Reims, conoscitore di greco, di latino e di altre lingue quanto l’altro lo è di musica e di matematica. Si chiama Cambio. Vi prego di accettare i suoi servigi.
BATTISTA
Mille ringraziamenti, signor Gremio. Benvenuto, buon Cambio. [A Tranio.] Ma, gentile signore, dall’aspetto vi direi straniero. Posso ardire di sapere il motivo della vostra venuta?
TRANIO
Perdonate, signore, ma l’ardire è mio,
ché, essendo straniero in questa città,
mi faccio pretendente di vostra figlia,
di Bianca, la bella e virtuosa.
Né mi è ignota la vostra risoluzione
di far prima sposare la maggiore.
Io non chiedo che questa libertà,
una volta accertati i miei natali,
d’essere accolto fra gli altri pretendenti
e avere accesso e favore al par di loro.
E per l’educazione delle vostre figliuole
io qui vi offro un modesto strumento,
e questo pacchetto di libri greci e latini.
Se li accettate, ne aumenterà il valore.
BATTISTA
Vi chiamate Lucenzio? E di dove, vi prego?
TRANIO
Di Pisa, signore, figlio di Vincenzo.
BATTISTA
Un uomo di peso a Pisa. Per fama
lo conosco bene. Siete il benvenuto, signore.
[A Ortensio.] Prendete il liuto, e voi [A Lucenzio.] i libri.
Andrete subito dalle vostre allieve.
Ehi, di casa!
Entra un Servo.
Tu conduci questi signori
dalle mie figlie, e di’ a entrambe
che sono i loro precettori, e li trattino bene.
[Escono il Servo, Ortensio, Lucenzio, Biondello.]
Noi andremo a fare due passi nel giardino,
e poi a pranzo. Siete più che benvenuti,
e così vi prego di considerarvi tutti.
PETRUCCIO
Signor Battista, il mio affare urge,
e mica posso venire ogni giorno a far la corte.
Conoscevate bene mio padre, e in lui me,
unico erede delle sue terre e dei suoi beni,
che ho accresciuto e non depauperato. Allora
ditemi, se otterrò l’amore di vostra figlia,
quale dote mi spetterà sposandola?
BATTISTA
Metà delle mie terre alla mia morte,
e ventimila zecchini all’atto delle nozze.
PETRUCCIO
E per questa dote io le garantirò,
in caso di vedovanza, se mi sopravvive,
tutte le mie terre e ogni altra rendita.
Stendiamo perciò i contratti, che i patti
sian mantenuti da entrambe le parti.
BATTISTA
Sì, appena ottenuta la cosa basilare,
ossia il suo amore; ché sta tutto lì.
PETRUCCIO
Allora è niente. Perché vi dico, padre,
ch’io sono perentorio quanto lei è fiera;
e quando due fuochi furiosi s’incontrano,
consumano ciò che alimenta la lor furia.
Un focherello ingrossa con un alito di vento,
ma le folate violente estinguon fuoco e tutto.
Così farò con lei, e così lei mi cederà;
io sono rude e non corteggio da bambino.
BATTISTA
Corteggiala pure, e buona fortuna.
Ma armati contro le male parole.
PETRUCCIO
Sì, sarò impervio come le montagne
contro i venti, che non vacillano
anche se quelli soffiano in eterno.
Entra Ortensio con la testa rotta.
BATTISTA
Che c’è, amico mio, perché sei così pallido?
ORTENSIO
È per paura, vi assicuro, se sono pallido.
BATTISTA
Ebbene, mia figlia riuscirà buona musicista?
ORTENSIO
Penso che riuscirebbe meglio come soldato.
Il ferro può resistere con lei, non i liuti.
BATTISTA
Come, non l’hai rotta all’arte del liuto?
ORTENSIO
No, lei ha rotto il liuto in testa a me.
Le avevo solo detto che sbagliava i tasti
e piegato la mano per insegnarle la diteggiatura,
e lei con spirito impazientissimo e diabolico
“Tasti, li chiami”, mi dice,”ti faccio tastar io”.
E a quelle parole me lo sbatté sul capo,
e la mia crapa s’infilò nello strumento,
e restai lì imbambolato per un po’
come alla gogna, guardando di tra il liuto
mentre mi dava dello strimpellatore da strapazzo
e musico stonato, con mille altri improperi
come se se li fosse studiati per maltrattarmi.
PETRUCCIO
Caspita, parola mia, una ragazza in gamba.
L’amo dieci volte più di prima. Oh,
non vedo l’ora di far due chiacchiere con lei.
BATTISTA
Su, vieni con me e non ti abbattere.
Continua gli esercizi con mia figlia minore;
lei è pronta ad apprendere e grata pei favori.
Signor Petruccio, volete venire con noi,
o che mandi da voi mia figlia Kate?
PETRUCCIO
Mandatela, vi prego. Escono tutti tranne Petruccio.
L’aspetterò qui,
e quando arriva la corteggerò con un certo estro.
Mettiamo che sbraiti, io le dirò imperterrito
che canta con la soavità d’un usignolo.
Se fa il cipiglio, dirò che ha il viso luminoso
come le rose mattutine fresche di rugiada.
Se sta zitta e non spiccica parola,
allora loderò la sua loquacità
e dirò che la sua eloquenza mi commuove.
Se mi manda a quel paese, la ringrazierò
come se m’invitasse a star da lei per un mese.
Se rifiuta di sposarsi, non vedrò l’ora
di pubblicare i bandi e celebrar le nozze.
Ma eccola che viene. E ora a te, Petruccio.
Entra Caterina.
Buon giorno, Kate – così vi chiamate, sento dire.
CATERINA
L’avrete sentito, ma siete duro d’orecchio;
chi parla di me mi chiama Caterina.
PETRUCCIO
Mentite, in fede; vi chiamano solo Kate,
e la gagliarda Kate, talvolta l’indemoniata Kate;
ma Kate, la più vezzosa della Cristianità,
Kate di Castel Kate, la mia squisitissima Kate,
ché tutte le squisitezze sono Kate, ecco, Kate,
vi dico questo, Kate, consolazione mia,
sentendo lodare la tua mitezza in ogni città,
decantare le tue virtù e proclamar la tua beltà,
anche se non così a fondo come meriti,
son mosso di persona a chieder la tua mano.
CATERINA
Mosso, alla buon’ora! Che chi ti ha mosso qui
ti rimuova di qui. Ho subito capito
che eravate un mobile.
PETRUCCIO
Cosa sarebbe, un mobile?
CATERINA
Uno sgabello.
PETRUCCIO
Hai azzeccato. Su, sieditici sopra.
CATERINA
I somari son fatti per portare, e così voi.
PETRUCCIO
Le donne son fatte per portare, e così voi.
CATERINA
Mica uno sfiancato par vostro, se alludete a me.
PETRUCCIO
Ahimè, buona Kate, io non voglio gravarti!
sapendoti così giovane e leggera…
CATERINA
Troppo leggera per un tanghero come voi,
e tuttavia ponderata quanto il mio peso.
PETRUCCIO
Quanto il tuo peso? Bzz!
CATERINA
Giusto, calabrone.
PETRUCCIO
O tortora lenta, se ti aggiusta un calabrone.
CATERINA
Sì, una tortora che si mangia il calabrone.
PETRUCCIO
Su, su, vespaccia; siete troppo rabbiosa.
CATERINA
Se sono una vespa, attento al pungiglione.
PETRUCCIO
Il semplice rimedio è di strapparlo.
CATERINA
Sì, se lo sciocco trovasse dove sta.
PETRUCCIO
Chi non sa dove la vespa ce l’ha?
Nella coda.
CATERINA
Nella lingua.
PETRUCCIO
Quale lingua?
CATERINA
La vostra, che cianciate di coda; vi saluto.
PETRUCCIO
Che, la mia lingua in coda a voi? Avanti,
buona Kate. Io sono un gentiluomo…
CATERINA
Vediamo. Lo colpisce.
PETRUCCIO
Giuro che ve le suono, se ci riprovate.
CATERINA
E così resterete senza blasone.
Se mi colpite, non siete un gentiluomo,
e se non lo siete, non avete blasone.
PETRUCCIO
Araldica, Kate? Oh, mettimi nel tuo albo d’oro.
CATERINA
Con che cimiero, la cresta di gallo del buffone?
PETRUCCIO
Un gallo senza cresta, se Kate sarà la mia gallina.
CATERINA
Non il mio gallo, gracchiate troppo da cappone.
PETRUCCIO
Su, avanti, Kate; non storcere la faccia.
CATERINA
La storco quando vedo dell’agro.
PETRUCCIO
Be’, qui non ce n’è, perciò non storcerla.
CATERINA
C’è, c’è.
PETRUCCIO
Mostramelo.
CATERINA
Ci vorrebbe uno specchio.
PETRUCCIO
Vuoi dire la mia faccia?
CATERINA
Ci coglie, il giovinetto.
PETRUCCIO
Sì, per San Giorgio, troppo giovane per te.
CATERINA
Ma avete le rughe.
PETRUCCIO
Per le troppe cure.
CATERINA
Io non me ne curo.
PETRUCCIO
Su, ascolta, Kate… così non te la scampi.
CATERINA
Se resto vi faccio infuriare. Lasciatemi andare.
PETRUCCIO
Neanche per sogno. Vi trovo gentilissima.
Vi avevan descritto ruvida, scontrosa, musona,
e ora scopro quelle voci menzognere;
perché sei ilare, allegra e cortesissima,
lenta di lingua ma soave come i fior primaverili.
Non sai accigliarti, guardare di traverso,
né morderti il labbro come fan le riottose,
né trovi gusto a contrariare quando parli.
Intrattieni i corteggiatori con mitezza,
con conversari gentili, affabili e garbati.
Perché si dice in giro che Kate zoppica?
Mondo calunniatore! Kate è dritta e snella
come il rametto di nocciolo, e scura di colore
come le noci, e più dolce dei gherigli.
Fa’ veder come cammini; tu non claudichi.
CATERINA
Gli ordini, scemo, dalli a chi comandi.
PETRUCCIO
Ha mai Diana adornato un boschetto
come Kate questa stanza col suo passo regale?
Oh, sii tu Diana, e lei sia Kate,
così che Kate sia casta e Diana licenziosa!
CATERINA
Dove avete studiato questi bei discorsi?
PETRUCCIO
Sono estemporanei, dal senno di mia madre.
CATERINA
Madre assennata, ma figlio scimunito.
PETRUCCIO
Non sono saggio?
CATERINA
Sì, tenetevi al caldo.
PETRUCCIO
Dolce Caterina, lo voglio fare nel tuo letto.
Perciò, mettendo da parte tutte queste ciance,
ed in parole povere; tuo padre ha acconsentito
a che tu sia mia moglie; la dote è concordata;
e che tu voglia o non voglia, io ti sposerò.
Io sono il marito, Kate, che fa per te;
per questa luce che illumina la tua beltà
– quella beltà che mi ti fa apprezzare –
tu non dovrai sposare altri che me.
Io sono quello nato per domarti, Kate,
e cambiarti da gatta selvatica in una Kate
remissiva come tutte le altre della casa.
Entrano Battista, Gremio, Tranio.
Ecco che viene tuo padre. Niente dinieghi;
io devo e voglio avere per moglie Caterina.
BATTISTA
Ebbene, signor Petruccio, com’è andata con mia figlia?
PETRUCCIO
Benissimo, signore, benissimo; come altro?
Era impossibile che andassi a vuoto.
BATTISTA
E quanto a te, figliola? Sei di malumore?
CATERINA
Mi chiamate figlia? Mi avete mostrato
un tenero riguardo paterno, vi assicuro,
a volermi sposare a un mezzo matto,
un ribaldo svitato che fa la voce grossa,
e crede di averla vinta a forza di improperi.
PETRUCCIO
Ecco, padre; voi e tutti gli altri
che sparlavano di lei, sbagliavate di grosso.
Se è indiavolata, lo fa per calcolo,
non è riottosa, ma mite come una colomba.
Non è focosa, ma temperata come il mattino.
Per pazienza risulterà una seconda Griselda,
e per castità come Lucrezia romana.
E per concludere, ci siamo accordati così bene,
che domenica è il giorno fissato per le nozze.
CATERINA
Prima vorrò vederti impiccato, domenica.
GREMIO
Senti, senti, Petruccio, dice che prima vuol vederti impiccato.
TRANIO
E sarebbe andata bene? Allora buonanotte per noi.
PETRUCCIO
Abbiate pazienza, signori, io la scelgo per me;
se lei ed io siamo contenti, voi che c’entrate?
Abbiamo pattuito a quattr’occhi fra noi due
che in compagnia farà ancora la bisbetica.
Vi dico che è incredibile credere
quanto mi ama. Oh, garbatissima Kate!
Mi si attaccava al collo e mi tempestava
di baci su baci, e promesse su promesse,
che in un baleno ha conquistato il mio amore.
Oh, voi siete dei novizi! È strabiliante
vedere come un poveretto sprovveduto
può domare la più diabolica bisbetica
quando un uomo e una donna restano soli.
Dammi la mano, Kate, andrò a Venezia
a comprare i vestiti pel giorno delle nozze.
Provvedete alla festa, padre, e agli inviti.
Vorrò che la mia Caterina sia uno splendore.
BATTISTA
Non so cosa dire, ma datemi la mano.
Dio vi renda felici; Petruccio, affare fatto.
GREMIO, TRANIO
Amen, diciamo noi; faremo da testimoni.
PETRUCCIO
Padre, moglie, signori miei, addio,
vado a Venezia; domenica arriva presto.
Avremo anelli, addobbi e belle cose,
e baciami, Kate; domenica saremo sposi.
Escono Petruccio e Caterina.
GREMIO
Si è mai concluso matrimonio così in fretta?
BATTISTA
Signori, io ora faccio la parte del mercante
che si avventura in un affare azzardato.
TRANIO
Era merce che ferma si deteriorava,
ora vi frutterà, o si perderà in mare.
BATTISTA
Il guadagno che cerco è un’unione pacifica.
GREMIO
Senza dubbio lui ha fatto una pesca pacifica.
Ma ora, Battista, vostra figlia minore;
questo è il giorno che noi tanto aspettavamo.
Io sono vostro vicino e il primo pretendente.
TRANIO
E io sono uno che ama Bianca più di quanto
possan testimoniare parole o pensieri concepire.
GREMIO
Sbarbatello, tu non puoi averla cara come me.
TRANIO
Barbagrigia, il tuo amore gela.
GREMIO
Ma il tuo frigge.
Fatti in là, sventatello, è l’età che nutrisce.
TRANIO
Ma agli occhi delle dame, la gioventù fiorisce.
BATTISTA
Calma, signori, comporrò questa contesa.
Il premio si conquista coi fatti, e chi di voi
può assicurare a mia figlia la dote maggiore
avrà la mano di Bianca. Signor Gremio,
dite, voi che cosa potete assicurarle?
GREMIO
Intanto, come sapete, la mia casa di città
è fornitissima d’oro e d’argenteria,
di bacili e brocche per lavar le sue manine;
tutte le mie tappezzerie sono di Tiro.
Ho forzieri d’avorio stipati di zecchini,
e in cassoni di cipresso trapunte di Arras,
costosi arredi, tendaggi e baldacchini,
panni fini, cuscini turchi tempestati di perle,
sontuosi drappi di Venezia ricamati d’oro,
peltro e ottone, e tutto ciò che compete
al governo d’una casa. Inoltre alla fattoria
ho cento mucche da latte per la mungitura,
centoventi buoi grassi nelle stalle,
e tutto in proporzione a questa dote.
Io sono d’età avanzata, devo ammetterlo,
e se morissi domani tutto questo è suo,
se lei sarà solo mia finché vivrò.
TRANIO
Quel “solo” viene a puntino. Sentite me, signore;
io sono l’erede e il solo figlio di mio padre.
Se mi è data vostra figlia per moglie,
le lascerò tre o quattro case equivalenti,
entro le mura della ricca Pisa, a qualsivoglia
il vecchio signor Gremio possieda a Padova,
inoltre, duemila ducati l’anno di terra fertile;
tutto ciò sarà suo appannaggio vedovile.
Be’, vi ho messo alle strette, signor Gremio?
GREMIO
Duemila ducati l’anno di terra!
[A parte.] Tutta la mia non ammonta a tanto. –
Avrà anche questo, e inoltre una ragusea
che è ora alla fonda nella rada di Marsiglia.
Be’, vi ho tolto il fiato con la ragusea?
TRANIO
Gremio, è noto che mio padre possiede
non meno di tre grosse ragusee, due galeazze
e dodici galee calafatate. Le garantirò queste,
e il doppio di qualsiasi altra cosa tu le offra.
GREMIO
Io ho offerto tutto, non ho altro,
e non può avere più di tutto quel che ho.
Se io vi vado bene, avrà me e il mio.
TRANIO
Allora la ragazza è mia e solo mia
in forza della vostra promessa. Gremio è battuto.
BATTISTA
Devo ammettere che la vostra offerta
mi batte; vostro padre le dia la garanzia
e sarà vostra. Altrimenti, perdonatemi,
se moriste prima di lui, dov’è la dote?
TRANIO
È un puro cavillo. Lui è vecchio, io giovane.
GREMIO
E i giovani non possono morire, come i vecchi?
BATTISTA
Orbene, signori, così ho deciso;
sapete che domenica prossima si sposerà
mia figlia Caterina; Bianca sposerà voi
la domenica dopo, se avrò la garanzia;
se no sarà del signor Gremio. E con ciò
mi congedo e vi ringrazio entrambi.
GREMIO
Addio, buon vicino. Esce [Battista].
Ah, io non ti temo.
Bamboccio, giocator d’azzardo, che sciocco
sarebbe tuo padre a darti tutto, e in età matura
sedersi alla tua tavola. Ah, è una fanfaluca!
Una vecchia volpe italiana è più avveduta. Esce.
TRANIO
Un canchero alla tua vizza pellaccia di birba!
Pure ti ho tenuto testa con un dieci.
Ho in mente di avvantaggiare il mio padrone.
Non vedo perché il supposto Lucenzio
non si trovi un padre, un supposto Vincenzo.
Ed è un bel prodigio; di solito i padri
generano i figli; ma in questo corteggiamento
figlio genererà padre, se regge il mio talento. Esce.
La bisbetica domata
(“The Taming of the Shrew” 1590 – 1593)
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