La bisbetica domata – Atto III

(“The Taming of the Shrew” 1590 – 1593)

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La bisbetica domata - Atto III

ATTO TERZO – SCENA PRIMA

Entrano Lucenzio, Ortensio e Bianca.

LUCENZIO

Basta, menestrello. Vi fate troppo audace, signore.

Avete già scordato il benvenuto

che vi ha dato sua sorella Caterina?

ORTENSIO

Ma, pedante attaccabrighe, questa qui

è la patrona delle armonie celesti.

Concedetemi perciò la precedenza

e quand’avremo passato un’ora di musica

avrete altrettanto per la vostra lezione.

LUCENZIO

Strampalato somaro, che neppure sapete

il motivo per cui la musica fu inventata!

Non fu per rinfrescare la mente umana

dopo gli studi o le fatiche quotidiane?

Lasciatemi perciò istruirla in filosofia

e dopo, ammannitele la vostra armonia.

ORTENSIO

Messere, non tollero queste tue bravate.

BIANCA

Ma signori, mi fate doppiamente torto

litigando su quanto è di mia scelta.

Non sono una scolaretta che si sculaccia,

non mi farò legare a orari e imposizioni,

ma studierò le lezioni come piace a me.

E per troncare ogni contesa, sediamoci qui.

Voi prendete lo strumento, e intanto suonate;

la sua lezione finirà prima che sia accordato.

ORTENSIO

Smetterete quando avrò il tono giusto?

LUCENZIO

Questo non sarà mai. Intonate lo strumento.

BIANCA

Dov’eravamo rimasti?

LUCENZIO

Qui, signora;

Hic ibat Simois, hic est Sigeia tellus,

                Hic steterat Priami regia celsa senis.

BIANCA

Fate la traduzione.

LUCENZIO

Hic ibat, come vi ho detto prima – Simois, io sono Lucenzio – hic est, figlio di Vincenzo di Pisa – Sigeia tellus, così travestito per ottenere il vostro amore – Hic steterat, e quel Lucenzio che viene a corteggiarvi – Priami, è il mio servo Tranio – regia, assumendo le mie vesti – celsa senis, per ingannare il vecchio pantalone.

ORTENSIO

Madama, il mio strumento è accordato.

BIANCA

Sentiamo. Ma no! Il sol stona.

LUCENZIO

Sputate nel foro, e accordate ancora.

BIANCA

Adesso vediamo se lo so tradurre io; Hic ibat Simois, io non vi conosco – his est Sigeia tellus, non mi fido di voi – Hic steterat Priami, attento che non ci senta – regia, non fatevi illusioni – celsa senis, non disperate.

ORTENSIO

Madama, adesso è accordato.

LUCENZIO

Ma non il basso.

ORTENSIO

Il basso va bene, ma non quel basso furfante.

[A parte.] Com’è focoso e audace quel pedante.

Sulla mia vita, fa la corte alla mia amata.

Pedascule, guarda che ti tengo d’occhio.

BIANCA

Col tempo potrò credervi, ma non mi fido.

LUCENZIO

Non diffidate… di certo l’Eacide

era Aiace, così chiamato dal nonno.

BIANCA

Devo credere al mio maestro; se no, v’assicuro,

starei ancora a discutere su questo dubbio.

Ma lasciamo stare. Ora, Licio, a voi.

Buon maestro, non prendetevela, vi prego,

se ho scherzato così con tutti e due.

ORTENSIO

[A Lucenzio.] Potete far quattro passi, e darmi agio.

Non so dare lezioni di musica a tre.

LUCENZIO

Siete così puntiglioso, signore? Bene, aspetterò…

[A parte.] E ad occhi aperti perché, se non mi sbaglio,

il nostro bel musico si sta innamorando.

ORTENSIO

Madama, prima che tocchiate lo strumento

per apprendere l’ordine della mia diteggiatura,

devo cominciare con i rudimenti dell’arte,

per insegnarvi la scala nel modo più rapido,

più piacevole, preciso ed efficace

che sia mai stato usato da un mio pari.

Ed eccolo bene esposto per iscritto.

BIANCA

Ma io ho imparato la scala già da tanto.

ORTENSIO

Leggete comunque la scala di Ortensio.

BIANCA

Do, sono la base di ogni accordo;

Re, per perorare d’Ortensio la passione;

Mi, Bianca, prendi lui come tuo marito;

Fa, che ti ama con grande trasporto;

Sol, una chiave, due note compone;

La, abbi pietà o sono finito.”

La chiamate una scala? Bah, non mi piace!

Preferisco quella vecchia. Non sono tanto sventata

da cambiar buone regole con bislacche trovate.

Entra un Servo.

SERVO

Padrona, vostro padre vi prega di lasciare i libri

e aiutare a decorare la stanza di vostra sorella.

Sapete che domani è il giorno delle nozze.

BIANCA

Addio, cari maestri, devo andarmene.

[Escono Bianca e il Servo.]

LUCENZIO

In tal caso, signora, non ho motivo di restare. [Esce.]

ORTENSIO

Ma io ho motivo di spiare questo pedante.

Mi pare che abbia l’aria dell’innamorato.

Ma se i tuoi pensieri, Bianca, volan così bassi

da volger lo sguardo peregrino ad ogni specchietto,

che ti si prenda chi vuole. Se vai allo sbando

allora Ortensio ti ripagherà… cambiando. Esce.

ATTO TERZO – SCENA SECONDA

Entrano Battista, Gremio, Tranio, Caterina, Bianca, [Lucenzio] e altri del Seguito.

BATTISTA

Signor Lucenzio, questo è il giorno fissato

per le nozze di Petruccio e Caterina,

eppure non si sa nulla di nostro genero.

Che dirà la gente? Sarà una burla

l’assenza dello sposo col prete che aspetta

di celebrare i riti della cerimonia nuziale!

Che dice Lucenzio di questa nostra onta?

CATERINA

L’onta è solo mia. Io sono forzata

a dare la mia mano, controvoglia,

a un buzzurro scapestrato, stravagante,

uno che a corteggiare va di fretta

ma per sposarsi se la prende comoda.

Ve lo dicevo che era un matto da legare,

che coi modi bruschi celava brutti scherzi.

E per passare da buontempone, ne corteggia

a migliaia, fissa il giorno delle nozze,

organizza la festa, invita gli amici,

espone i bandi, senza sognarsi di sposare

chi ha corteggiato. Ora tutti segneranno a dito

la povera Caterina, e andran dicendo

“To’, ecco la moglie di quel pazzo di Petruccio,

se mai avrà voglia di venirsela a sposare!”

TRANIO

Pazienza, buona Caterina, e anche voi, Battista.

In fede mia, Petruccio ha buone intenzioni,

qualunque caso gli faccia mancare di parola.

Anche se è brusco, so che è molto saggio;

anche se allegro, nella sostanza è onesto.

CATERINA

Ah, ma se Caterina non l’avesse mai visto!

Esce in lacrime [con Bianca e il Seguito].

BATTISTA

Va’, figliola, non posso biasimarti se ora piangi,

una tale offesa farebbe stizzire una santa,

figuriamoci una bisbetica impaziente come te.

Entra Biondello.

BIONDELLO

Padrone, padrone, ecco le nuove! E nuove così vecchie che non ne avete mai sentite.

BATTISTA

Nuove e anche vecchie? Come può essere?

BIONDELLO

Be’, non sono nuove sentire dell’arrivo di Pe-truccio?

BATTISTA

È arrivato?

BIONDELLO

Ma no, signore.

BATTISTA

E allora?

BIONDELLO

Arriva.

BATTISTA

Quando sarà qui?

BIONDELLO

Quando starà dove sono io e vi vedrà lì.

TRANIO

Ma dimmi, e le tue nuove così vecchie?

BIONDELLO

Be’, Petruccio se ne viene con un cappello nuovo e un vecchio farsetto; un paio di brache vecchie rivoltate tre volte; un paio di stivali che son serviti da portacandele, uno con fibbia e l’altro coi lacci; una vecchia spada rugginosa presa dall’armeria del paese, con l’elsa spezzata e il fodero senza puntale; due bretelline rotte; su un cavallo sfiancato, con una vecchia sella mangiata dalle tarme e staffe scompagnate, in preda al cimurro e con la schiena rotta, afflitto dal lamprasco, infettato di ulcere, coperto di galle, spacciato dallo spavenio, sfigurato dall’itterizia, stralunato dagli stranguglioni, stravolto dalle vertigini, mangiato dai vermi, sciancato a tergo e slogato alle spalle, con le anteriori storte e un morso malmesso, con una cavezza di pelle di pecora che a forza di strappi per non farlo inciampare si è rotta infinite volte ed è tenuta assieme coi nodi; con un sottopancia rabberciato sei volte e una groppiera da donna di velluto con su bellamente imbullettate le iniziali del suo nome e qua e là rammendata con lo spago.

BATTISTA

E chi viene con lui?

BIONDELLO

Oh, signore, il suo lacchè, bardato in tutto e per tutto come il suo cavallo; con una calza di lino su una gamba e un calzerotto di lana grossa sull’altra, e giarrettiere di cimosa rossa e blu, un vecchio cappello col vezzo di quaranta infiorettature infilate a mo’ di piuma; un mostro, un vero mostro dall’abito, non certo un paggio cristiano o il lacchè di un gentiluomo.

TRANIO

È un umore balzano che lo induce a questo. Spesso però va in giro mal vestito.

BATTISTA

È un sollievo che venga, comunque sia.

BIONDELLO

Ma, signore, non viene mica.

BATTISTA Non avevi detto che veniva?

BIONDELLO

Chi? Che Petruccio veniva?

BATTISTA

Sì, che Petruccio veniva.

BIONDELLO

No, signore. Ho detto che veniva il suo cavallo, con lui sopra.

BATTISTA

Ma è tutt’uno.

BIONDELLO

No, per Santiago,

scommetto un baiocco

cavallo e cavaliere

son più di uno

ma non troppo.

Entrano Petruccio e Grumio.

PETRUCCIO

Su, dove sono questi galanti? Chi ci riceve?

BATTISTA

Siete il benvenuto, signore.

PETRUCCIO

Eppur non vengo bene.

BATTISTA

Eppur non zoppichi.

TRANIO

E non siete ben vestito come vorrei.

PETRUCCIO

Non è meglio che mi affretti anche così?

Ma dov’è Kate? Dov’è la mia bella sposa?

Come sta mio padre? Gentili, sembrate accigliati.

E perché questa bella accolta sbarra gli occhi

come davanti a chissà qual portento,

a una cometa o a un insolito prodigio?

BATTISTA

Ma è il giorno delle nozze, signore, lo sapete.

Prima ci rattristava il timore che non veniste,

e ora ancor più vedervi così malmesso.

Vergogna, via quest’abito, un’onta

al vostro rango e un pugno nell’occhio

in questa nostra solenne cerimonia!

TRANIO

E diteci quale importante circostanza

vi ha fatto ritardare così a lungo

mandandovi qui così diverso da voi stesso.

PETRUCCIO

È tedioso narrarlo, e duro udirlo.

Basti che son venuto a mantener la parola

sebbene costretto a deviare in qualche punto,

del che mi scuserò con maggior agio

in modo da soddisfarvi tutti quanti.

Ma dov’è Kate? Da troppo le sto lontano.

La mattina passa, dovremmo essere in chiesa.

TRANIO

Non presentatevi alla sposa così conciato,

andate nelle mie stanze, mettetevi un mio abito.

PETRUCCIO

No, credetemi; mi presenterò così.

BATTISTA

Ma non vorrete sposarla così, spero.

petruccio

Affè mia, proprio così. Basta perciò parole;

è me che sposa, non i miei vestiti.

Potessi restaurare ciò che di me consumerà

come posso cambiare queste povere bardature,

sarebbe bene per Kate e meglio per me.

Ma che sciocco sono a cianciare con voi

invece di dare il buongiorno alla mia sposa

e suggellare quel nome con un bacio d’amore.

Escono [Petruccio e Grumio].

TRANIO

Ha un intento col suo folle abbigliamento.

Lo convinceremo, se sarà possibile,

a mettersi meglio prima d’andare in chiesa.

BATTISTA

Lo seguo per vedere come va a finire.

Escono [Battista, Gremio, Biondello, il Seguito].

TRANIO

Ma all’amore di lei occorre aggiungere

l’approvazione di suo padre, e per ottenerla,

come ho già prima detto a Vostra signoria,

mi procurerò un uomo – chiunque sia,

non importa molto, lo addestreremo noi –

che faccia la parte di Vincenzo di Pisa

e qui a Padova dia garanzie di somme

anche superiori a quelle già promesse.

Così vi godrete in pace quel che sperate

e sposerete la dolce Bianca col consenso.

LUCENZIO

Se non fosse che il mio collega precettore

sorveglia strettamente i passi di Bianca,

forse sarebbe meglio sposarsi di nascosto;

fatte le nozze, dicano pure tutti di no,

mi terrei il mio a dispetto di tutti.

TRANIO

Questo dovremo valutarlo con calma,

stando all’erta per l’occasione favorevole.

Metteremo nel sacco Gremio barbagrigia,

il padre ficcanaso, Minola, l’esperto

musico, l’amoroso Licio; e tutto

per amore del mio padron Lucenzio.

Entra Gremio.

Signor Gremio, venite dalla chiesa?

GREMIO

Con tanta gioia quanta lasciando la scuola.

TRANIO

E la sposa e lo sposo tornano a casa?

GREMIO

Lo sposo, dite? Uno stalliere, meglio,

e ringhioso, e la ragazza se ne accorgerà.

TRANIO

Peggio di lei? Andiamo, è impossibile.

GREMIO

Sì, è un diavolo, un diavolo incarnato.

TRANIO

Lei è un diavolo, anzi, una diavolessa.

GREMIO

Macché È una pecorella, una colomba,

una povera innocente, al suo confronto.

Vi dico, signor Lucenzio, quando il prete

chiese se Caterina voleva esser sua moglie,

“Sì, sacraboldo”, disse lui, con un moccolo

così forte che il prete esterrefatto

lasciò cadere il libro, e mentre si chinava

per raccoglierlo, lo sposo stralunato

gli appioppò un tal ceffone che giù

caddero prete e libro, libro e prete.

“E adesso li tiri su chi vuole”, fa quello.

TRANIO

E la ragazza che ha detto quando si rialzò?

GREMIO

Tremava tutta, e lui pestava e bestemmiava

come se il parroco volesse abbindolarlo.

Ma dopo molte altre sceneggiate

chiede del vino e “Un brindisi!”, urla,

come se fosse stato a bordo a tracannare

con gli altri marinai dopo una tempesta;

butta giù il moscato, e le sopette

le getta in faccia al sacrestano sol perché

aveva una barbetta rada da affamato

e pareva chiedergliele mentre lui beveva.

Fatto questo, prende la sposa per il collo

e la bacia in bocca con uno schiocco così forte

che al distacco tutta la chiesa ne riecheggia.

A questa vista venni via per la vergogna,

e dietro di me se ne viene tutta la congrega.

Non s’è mai visto un matrimonio così pazzo.

Udite, udite! Sento suonare i menestrelli. Suon di musica.

Entrano Petruccio, Caterina, Bianca, Battista, Ortensio, [con Grumio e il Seguito].

PETRUCCIO

Signori e amici, vi ringrazio per il disturbo.

So che oggi pensate di pranzare con me,

e avete preparato un gran banchetto nuziale,

ma il fatto è che devo andarmene di fretta

e perciò qui intendo prendere congedo.

BATTISTA

Possibile che vogliate partire questa sera?

PETRUCCIO

Devo partire prima che faccia sera.

Non stupitevi; se sapeste i miei impegni

insistereste ch’io vada, e non che resti.

Onesti compagni, ringrazio tutti voi

che mi avete visto donare me stesso

a questa moglie così paziente, dolce e virtuosa.

Pranzate con mio padre, bevete alla mia salute,

io devo andarmene; dico addio a tutti voi.

TRANIO

Vi preghiamo di restar fin dopo il pranzo.

PETRUCCIO

Non è possibile.

GREMIO

Ve ne prego.

PETRUCCIO

Non è possibile.

CATERINA

Ve ne prego io.

PETRUCCIO

Mi compiaccio.

CATERINA

Vi compiacete di restare?

PETRUCCIO

Mi compiaccio che mi preghiate di restare;

ma non di restare, per quanto mi preghiate.

CATERINA

Se mi amate, rimanete.

PETRUCCIO

Grumio, i cavalli.

GRUMIO

Sì, signore, son pronti; la biada se li è pappati.

CATERINA

Quand’è così,

tu fa’ come vuoi, ma io oggi non vengo.

No, neanche domani, finché non mi garba.

La porta è aperta, signore, quella è la strada,

puoi andartene finché hai le scarpe nuove.

Quanto a me, non andrò finché non mi garba.

Mi figuro che risulterai un marito scorbutico,

se ti impunti così fin dall’inizio.

PETRUCCIO

Oh, Kate, fa la brava, ti prego, non ti arrabbiare.

CATERINA

Invece mi arrabbierò; tu che c’entri?

Padre, state calmo; resterà finché voglio io.

GREMIO

Ahimè, signore, adesso cominciano le storie.

CATERINA

Signori, procediamo al banchetto nuziale.

Vedo che la donna vien resa uno zimbello

se lei non ha la forza di resistere.

PETRUCCIO

Loro procederanno, Kate, al tuo comando.

Obbedite alla sposa, voi del seguito.

Andate al banchetto, fate baldoria,

trincate a piena gola alla sua verginità,

impazzate e gioite, o impiccatevi pure.

Ma la mia bella Kate se ne viene con me.

No, non gonfiate il petto, non pestate i piedi,

non sgranate gli occhi, non inquietatevi;

sarò ben padrone di quel che è mio.

Lei è roba mia, mia proprietà, mia casa,

mie masserizie, mio campo, mio granaio,

mio cavallo, mio bue, mio asino, mio tutto;

eccola lì. La tocchi chi ne ha il coraggio!

Procederò contro chi sia tanto temerario

da bloccarmi la strada a Padova. Grumio,

snuda la spada, siamo assaliti da predoni,

salva la tua padrona se sei un uomo.

Non temere, dolcezza mia, non ti toccheranno,

Kate. Ti farò da scudo contro un milione.

Escono Petruccio, Caterina [e Grumio].

BATTISTA

Sì, lasciateli andare, una coppia di tranquilli!

GREMIO

Se non se ne andavano, sarei morto dalle risa.

TRANIO

Non s’è mai visto matrimonio più balzano.

LUCENZIO

E voi che pensate di vostra sorella, signora?

BIANCA

Che matta com’è, fa coppia con un matto.

GREMIO

Vi assicuro, Petruccio s’è Kattizzato.

BATTISTA

Amici e vicini, benché sposa e sposo

manchino d’occupare i loro posti a tavola,

sapete che leccornie non mancano al banchetto.

Lucenzio, voi occuperete il posto dello sposo,

e Bianca prenda il posto di sua sorella.

TRANIO

La dolce Bianca farà pratica da sposa?

BATTISTA

Certo, Lucenzio. Su, signori, andiamo. Escono.

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