Anche “La commedia degli equivoci”
(“The Comedy of errors” 1590 – 1594)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
Entrano un [secondo] mercante, [Angelo l’] orafo, e una guardia.
SECONDO MERCANTE
Da Pentecoste avete questo debito;
finora non vi ho certo importunato,
né ora lo farei, ma sto partendo
per la Persia, ho bisogno di denaro,
vi prego di pagare; o, mi dispiace,
ve la vedrete con questo ufficiale.
ANGELO
Proprio la somma che vi devo, Antifolo
la deve a me; gli ho appena consegnato
un monile, e alle cinque, siamo intesi,
riceverò il denaro. Vi dispiace
seguirmi a casa sua? Potrò pagarvi
e vi ringrazierò.
Entrano Antifolo di Efeso [e] Dromio [di Efeso] provenienti dalla casa della prostituta.
GUARDIA
Non c’è bisogno
di andarci: sta venendo proprio qui.
ANTIFOLO E.
Io vado dall’orefice; tu, intanto,
va’ a comprare una corda, che mi serve
per mia moglie e i suoi servi, a ricompensa
di avermi chiuso fuori casa. Ah, ecco,
l’orafo è qui. Va’ pure, e quella corda
portala a casa, più presto che puoi.
DROMIO E.
Già, io compro la corda e mi assicuro
mille frustate l’anno! Esce.
ANTIFOLO E.
Ho fatto bene
a fidarmi di Voi: ho atteso invano
gioiello e gioielliere. Pensavate
che la nostra amicizia rimanesse
legata troppo a lungo alla catena?
ANGELO
Avete sempre voglia di scherzare.
Ecco il conto: notate il peso in oro,
la finezza dell’opera, i carati,
per tre ducati in più di quel che devo
al signore laggiù. Vogliamo dunque
soddisfarlo all’istante? Sta partendo,
non può aspettare più.
ANTIFOLO E.
Ma questa somma
non l’ho con me, e del resto, un altro impegno
mi trattiene in città. Mio buon signore,
passate a casa mia, con la catena,
e chiedete a mia moglie di pagarla;
forse anch’io ci sarò, e prima di voi.
ANGELO
Portatele voi stesso la catena,
in questo caso.
ANTIFOLO E.
Ma potrei far tardi.
ANGELO
E va bene, ridatemela. L’avete?
ANTIFOLO E.
Veramente, dovete averla voi;
se no, quale denaro pretendete?
ANGELO
Datemi la catena, ve ne prego;
questo signore non può stare a perdere
i venti e le maree, da troppo tempo
io lo sto trattenendo.
ANTIFOLO E.
Ora capisco:
voi usate, signore, questo trucco
per la vostra mancanza di parola!
Dovrei sgridarvi perché al Porcospino
voi non siete venuto; ed ora, astuto,
mi attaccate per primo!
SECONDO MERCANTE
Il tempo vola:
io vi prego, signore, di affrettarvi.
ANGELO
Ma lo sentite come mi risponde?
La catena!
ANTIFOLO E.
L’ho detto: alla consegna
avrete i vostri soldi da mia moglie.
ANGELO
Sapete bene, ve l’ho appena data:
rendetemela dunque, o almeno un cenno
di ricevuta.
ANTIFOLO E.
Basta, questo scherzo
va troppo per le lunghe. La catena
dove sarebbe? la si può vedere?
SECONDO MERCANTE
Proprio non posso perdere altro tempo
con commedie del genere. O pagate
o affido la questione all’ufficiale.
ANTIFOLO E.
Io pagarvi? Ma se non vi conosco!
ANGELO
Pagategli quel tanto che dovete
a me, per la catena!
ANTIFOLO E.
Oh, certo, sì:
una catena che non ho mai visto!
ANGELO
E che vi ho dato una mezz’ora fa!
ANTIFOLO E.
È una bugia. Mi fate torto a dirlo.
ANGELO
E il torto che voi fate a me è più grande,
se pensate alla mia reputazione.
SECONDO MERCANTE
Bene. Ufficiale, arrestate quest’uomo.
GUARDIA
Certo. In nome del duca, ora, seguitemi.
ANGELO
La mia reputazione ormai è in gioco:
consentite a pagare questa somma
o vi denuncio io a questo ufficiale.
ANTIFOLO E.
Dovrei pagare quel che non ho avuto?
Prova un po’ ad arrestarmi, se hai coraggio!
ANGELO
Guardia, questo è per voi. Presto, in prigione!
Io non permetterei a mio fratello
di offendermi con tanta improntitudine.
GUARDIA
Vi dichiaro in arresto; avete udito
su quale accusa.
ANTIFOLO E.
Bene, vi ubbidisco,
poi pago la cauzione; e allora, attento:
sarete voi che pagherete caro,
con tutto l’oro che avete in bottega!
ANGELO
C’è una giustizia a Efeso, signore!
E ve ne accorgerete, non ne dubito!
Rientra Dromio di Siracusa dal porto.
DROMIO S.
Padrone, c’è un battello di Epidamno
già pronto per salpare: aspetta solo
che arrivi il proprietario. Ho caricato
tutto il bagaglio a bordo, e ho comperato
olio, acquavite e balsamo. Le vele
son già levate, il vento, favorevole,
soffia lieve da terra; mancan solo
il capitano della nave, e voi.
ANTIFOLO E.
E adesso ci mancava questo pazzo.
Quale battello di Epidamno, e dove?
DROMIO S.
Al porto: mi ci avete inviato voi
a cercare un passaggio su una nave.
ANTIFOLO E.
Sei ubriaco. Ti ho detto soltanto
di comprare una corda, e a quale scopo.
DROMIO S.
Allo scopo, suppongo, di impiccarmi.
Padrone, si è parlato di un imbarco!
ANTIFOLO E.
Ne parleremo un’altra volta, quando
potrò insegnarti meglio a stare attento.
Adesso corri da Adriana, sciocco,
e dalle questa chiave: nel forziere,
quello coperto col tappeto turco,
ci sono dei ducati; che li mandi.
Spiegale che per via mi hanno arrestato,
che occorre una cauzione. Su, furfante,
fila via svelto. E noi, alla prigione.
Escono [tutti tranne Dromio di Siracusa].
DROMIO S.
Da Adriana. Vuol dire in quella casa
dove abbiamo pranzato, e una donzella
ha avanzato pretese su di me.
Per fortuna la sua circonferenza
per le mie braccia è troppo grande. In ogni caso,
ci devo andare, anche se non ne ho voglia;
noi servi ci dobbiamo rassegnare,
conta sol quel che vogliono i padroni. Esce.
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
Entrano Adriana e Luciana.
ADRIANA
Dunque, Luciana, ha osato dire questo?
L’hai guardato negli occhi, per capire
se parlava sul serio, oppure no?
Arrossiva? Era pallido? Il suo viso
sembrava triste o gaio? Hai osservato
sul suo volto le tracce ed i riflessi
delle meteore in lotta nel suo cuore?
LUCIANA
Anzitutto ha negato che tu avessi
qualche diritto su di lui.
ADRIANA
Vuol dire
che per disprezzo non li riconosce.
LUCIANA
Poi mi giurava di essere un estraneo.
ADRIANA
E pur mentendo qui diceva il vero.
LUCIANA
Io ho perorato la tua causa.
ADRIANA
E lui?
LUCIANA
L’amore che chiedevo ti mostrasse
lo prometteva a me.
ADRIANA
Con quali accenti?
LUCIANA
Con parole che in altre circostanze
mi avrebbero turbata, lo confesso.
Diceva che ero bella, che ammirava
le mie parole…
ADRIANA
Eran parole dolci?
LUCIANA
Ti prego, sii paziente…
ADRIANA
No, non posso,
e non voglio nemmeno. So frenare
il cuore, non la lingua; e allora dico
che è un mostro, vecchio, vizzo, storpio, orrendo;
brutto in viso, nel corpo repellente,
e poi è rozzo, stupido, malvagio,
peggio ancora di dentro che all’aspetto.
LUCIANA
Non vedo allora perché sei gelosa.
Te ne sei liberata, e lo rimpiangi?
ADRIANA
Quel che penso è diverso, lo confesso,
da quel che dico; io voglio che agli occhi
delle altre donne sembri ancor peggiore;
grido come l’uccello per cacciare
ogni intruso dal nido, ma in segreto
fra gli insulti continuo ad aspettarlo.
Entra Dromio di Siracusa.
DROMIO S.
Presto, borsa, forziere, su, muovetevi!
LUCIANA
Non hai più fiato?
DROMIO S.
Ho fatto una gran corsa.
ADRIANA
Ma dov’è il tuo padrone? Come sta?
DROMIO S.
Sta nel Tartaro, peggio che all’inferno.
Se l’è preso un demonio in uniforme
col cuore abbottonato nell’acciaio:
quel mostro non conosce la pietà;
è un lupo, o peggio, un tipo che si maschera
da amico, e se ti batte sulla spalla
sei perduto; t’incalza in ogni vicolo,
nei fossi, nelle zone più segrete;
sembra segua altre piste, e le tue orme
continua ad annusare; poi ti acchiappa
e all’inferno ti sbatte prima ancora
che suonino le trombe del giudizio.
ADRIANA
Ma di cosa si tratta?
DROMIO S.
Non lo so,
l’hanno arrestato e basta.
ADRIANA
Chi l’accusa?
DROMIO S.
Chi lo accusa non so, ma ho visto bene
quel bufalo che l’ha portato via.
Volete darmi i soldi del riscatto
che sono nel forziere?
ADRIANA
Va’, sorella. Esce Luciana.
Mi stupisce che fosse indebitato
a mia insaputa. Era un’obbligazione?
DROMIO S.
Era obbligato, sì, legato stretto,
da una catena. Sentite che suona?
ADRIANA
La catena?
DROMIO S.
No, suona la campana.
Sarebbe ormai ora che partissi.
L’ho lasciato alle due, già suona l’una.
ADRIANA
Ora il tempo va indietro, questa è nuova.
DROMIO S.
Oh, se incontra una guardia come quella
volta le spalle e scappa per paura.
ADRIANA
Come se fosse in debito. Che sciocco!
DROMIO S.
Non lo sapete? Il tempo è in bancarotta,
ogni stagione chiude in fallimento.
E poi è un ladro. Non è forse vero
che cammina furtivo, notte e giorno?
Ladro, fallito: se vede uno sbirro
come stupirsi se ritorna indietro
almeno un’ora al giorno?
Rientra Luciana.
ADRIANA
Ecco il denaro.
Va’ ora, Dromio, riportami il padrone,
subito, a casa. Sai, sorella, sento
un tormento nel cuore, e una speranza. Escono.
ATTO QUARTO – SCENA TERZA
Entra Antifolo di Siracusa.
ANTIFOLO S.
Tutti quelli che incontro mi salutano
come se fossi un loro vecchio amico;
e tutti, poi, mi chiamano per nome.
Chi mi offre dei soldi, chi mi invita,
chi mi è grato di qualche gentilezza,
o mi offre qualcosa da comprare.
Un sarto, proprio adesso, mi ha chiamato
in negozio, mi ha preso le misure,
mi ha mostrato la stoffa, che sostiene
di avere comperato su mio ordine.
Certo si tratta di magie, e qui attorno
si aggirano stregoni di Lapponia.
Entra Dromio di Siracusa.
DROMIO S.
Padrone, ecco l’oro che mi avete mandato a prendere. E dove avete messo quell’immagine di nostro padre Adamo tutta rivestita in pelle?
ANTIFOLO S.
Che oro è questo? e di che Adamo parli?
DROMIO S.
Non quell’Adamo che custodiva il giardino dell’Eden; voglio dire, il custode della galera. Quello che si riveste con la pelle del vitello grasso ucciso in onore del figliol prodigo, e che vi stava sempre dietro come un angelo nero, e vi ordinava di dare un bel saluto alla vostra libertà.
ANTIFOLO S.
Continuo a non capirti.
DROMIO S.
Eppure non mi sembra tanto difficile. Parlo di quel custode avvolto come un violino in una custodia di cuoio; quello stesso, padrone, che se incontra qualcuno stanco di vagabondare, gli fa prendere fiato e lo fa riposare in cella; oppure, se lo vede un po’ malconcio, gli dà un bell’abito a strisce che non si consuma mai; e arresta senza mai arrestarsi, e fa roteare la mazza come fosse una moresca.
ANTIFOLO S.
Parli di un ufficiale delle guardie?
DROMIO S.
Sì, signore, parlo di quel sergente di ferro, che non dimentica mai di mettervi ai ferri se voi vi dimenticate di pagare i debiti; e che pensa che tutti debbano andare a letto presto, perché a tutti dà la buona notte e buon riposo.
ANTIFOLO S.
D’accordo, d’accordo, riposati un po’ anche tu dalle tue scempiaggini. Ci sono navi in partenza stanotte? Possiamo andarcene?
DROMIO S.
Ma certo, padrone, ve l’ho detto poco fa che stava partendo quel bel battello di nome Subito, ma poi quel sergente vi ha messo i bastoni fra le ruote e ora dovete accontentarvi della goletta Ritardo. Ecco gli angeli che mi avete mandato a chiamare perché vi liberassero.
ANTIFOLO S.
Poveretto, è impazzito, come me.
Del resto, qui vaghiamo nelle tenebre.
Che una forza divina ci soccorra
mostrandoci la via della salvezza.
Entra una prostituta.
PROSTITUTA
Signor Antifolo, piacere di vedervi.
Dunque avete incontrato il gioielliere:
è questa la catena che mi avete
promesso?
ANTIFOLO S.
Via, demonio, non tentarmi!
DROMIO S.
Sarebbe questo il diavolo, padrone?
ANTIFOLO S.
Credo di sì.
DROMIO S.
Io credo che sia anche peggio; credo sia la madre che ha partorito il diavolo, e che venga a noi nelle vesti di una donnina leggera. Sapete bene che le donne spesso si lamentano che la loro vita è pesante, il che equivale a dire, Dio fa’ di me una donna leggera. Agli uomini, è stato scritto, appaiono come angeli di luce, ma si tratta della luce della fiamma, e la fiamma brucia. Ne consegue che una donna quanto più è leggera tanto più facilmente ti appicca il fuoco eterno. State alla larga, padrone, da quella donna.
PROSTITUTA
Piace scherzare, a voi e al vostro servo!
Volete unirvi a me? La cena è pronta.
DROMIO S.
Padrone, se accettate, preparatevi a una pappa calda e munitevi di un cucchiaio lungo così.
ANTIFOLO S.
Perché mai, Dromio?
DROMIO S.
Meglio un lungo cucchiaio se volete stare a cena col diavolo.
ANTIFOLO S. [alla prostituta]
Via, demonio, non accetto inviti a cena.
Sei una strega, come tutti gli altri.
Ti ordino di lasciarmi e di sparire.
PROSTITUTA
D’accordo, allora datemi l’anello
che io vi ho dato a pranzo, o la catena
promessa proprio in cambio dell’anello:
non vi disturberò, state tranquillo.
DROMIO S.
Certi demoni chiedono soltanto
unghie, spilli, una goccia del tuo sangue,
un capello, un gingillo, oppure il nocciolo
di una ciliegia; lei è più vorace,
vorrebbe una catena. State attento;
state attento, padrone: sarà il diavolo
che un capo ne terrà, per spaventarci.
PROSTITUTA
Ridatemi l’anello, ve ne prego,
oppure la catena: spero proprio
non vogliate ingannarmi.
ANTIFOLO S.
Via, vi ho detto,
non voglio streghe intorno. Andiamo, Dromio.
DROMIO S.
Brutta la vanità, dice il pavone.
Voi lo sapete bene, mia signora.
Escono Antifolo e Dromio.
PROSTITUTA
Non c’è alcun dubbio, è diventato pazzo:
altrimenti non si comporterebbe
in questo modo. Quel mio anello vale
ben quaranta ducati, e mi ha promesso
in cambio una catena: ora lo nega.
La ragione per cui dico che è pazzo
oltre a quello che ho udito poco fa
è la storia pazzesca che ha narrato
oggi a pranzo: diceva che le porte
della sua casa erano tutte chiuse
e che non lo facevano passare.
È chiaro che sua moglie, spaventata
dai suoi furori, ha chiuso a bella posta.
Meglio ci vada io stessa, a casa sua,
e spieghi un po’ a sua moglie che, impazzito,
oggi lui mi ha costretta a farlo entrare,
mi ha strappato l’anello dalla mano:
mi sembra la migliore soluzione,
a quaranta ducati io non rinuncio. Esce
ATTO QUARTO – SCENA QUARTA
Entrano Antifolo di Efeso, carceriere.
ANTIFOLO E.
Non temere, non cerco di scappare,
prima che me ne vada avrai la somma
pari a quella per cui mi hanno arrestato.
Ma moglie oggi è un po’ strana, un po’ bisbetica;
forse non presterà fede al mio servo,
non vorrà, sul momento, neanche credere
che a Efeso io sia stato incarcerato.
Le sembrerà pazzesco, dico io.
Entra Dromio di Efeso, con un pezzo di corda.
Ma ecco il servo, che arriva col denaro.
Hai quello che ti ho chiesto?
DROMIO E.
Oh sì, con questa
potrete ripagare tutti quanti.
ANTIFOLO E.
E il denaro?
DROMIO E.
È servito per la corda.
ANTIFOLO E.
Cinquecento ducati, per la corda?
DROMIO E.
A quel prezzo potevo comperarne
almeno cinquecento.
ANTIFOLO E.
Ma a che scopo
ti avrei mandato a casa?
DROMIO E.
Per la corda,
e con questa ritorno.
ANTIFOLO E.
E con la corda
ti darò il bentornato. [Lo picchia.]
CARCERIERE
Buon signore, un poco di pazienza!
DROMIO E.
Io ho bisogno di pazienza, ché sono nei guai…
CARCERIERE
Frena la lingua!
DROMIO E.
Perché non dite a lui ‘frena le mani’?
ANTIFOLO E.
Che figlio di puttana, insensato, furfante!
DROMIO E.
Oh, se fossi insensato davvero, e insensibile! Non sentirei i colpi sulla testa.
ANTIFOLO E.
Sei sensibile solo alle frustate perché sei un somaro!
DROMIO E.
Ah, qui davvero vi do ragione. Sono un asino: lo dimostrano le mie orecchie allungate. Lo servo dal momento in cui sono nato, e dalle sue mani non ho ricevuto in cambio che botte. Quando ho freddo mi riscalda con le botte, quando ho caldo mi rinfresca con le sberle; così mi sveglia quando dormo, mi fa scattare in piedi quando mi siedo, mi sbatte fuori dalla porta se devo uscire, e mi dà il benvenuto quando rientro a casa; e me la porto sul groppone, questa bella gragnuola di nerbate, come una zingara si porta il suo marmocchio; e il giorno che mi avrà azzoppato non mi resterà che trascinarmela di porta in porta chiedendo l’elemosina.
Entrano Adriana, Luciana, la prostituta, e un maestro di scuola, Pinch.
ANTIFOLO E.
Oh, finalmente, arriva qui mia moglie!
DROMIO E.
Signora mia, respice finem, traduzione: attenta come va a finire; come direbbe il pappagallo, il cappio è pronto, il cappio è pronto…
ANTIFOLO E.
Ma non la finirai mai di cianciare? Lo picchia.
PROSTITUTA
Che cosa dite? È pazzo o non è pazzo?
ADRIANA
Questa violenza lo conferma, temo.
Buon dottor Pinch, voi siete un esorcista:
riportatelo presto alla ragione,
e saprò compensarvi lautamente.
LUCIANA
Poveretto, che sguardi, che cipiglio!
PROSTITUTA
Notate questo tremito: un demonio
è entrato in lui.
PINCH
Su, datemi la mano,
voglio sentirvi il polso.
ANTIFOLO E.
Ecco la mano,
te la faccio sentire sulla guancia. [Lo schiaffeggia.]
PINCH
Satana, tu che alberghi entro quest’uomo,
ordino che tu ceda alle mie preci
e rapido ritorni giù al tuo inferno,
e sprofondi nel buio: lo comando
in nome d’ogni santo che è nel cielo.
ANTIFOLO E.
Smettila, sciocco, ché non sono matto.
ADRIANA
Se fosse vero, anima infelice!
ANTIFOLO E.
Son questi i tuoi clienti, svergognata?
Questo vecchietto dalla faccia gialla
se la spassava oggi a casa mia
mentre per me le porte ingiustamente
erano chiuse, e non potevo entrare?
ADRIANA
Ma tu hai pranzato a casa, lo sa Dio,
e ci fossi rimasto fino a ora!
Ti saresti evitato ogni calunnia,
e la vergogna che ci umilia.
ANTIFOLO E.
A casa?
[A Dromio] Di’ tu, furfante: è a casa che ho pranzato?
DROMIO E.
A dire il vero no, signore.
ANTIFOLO E.
Di’: e le porte?
Non erano sbarrate, e io chiuso fuori?
DROMIO E.
È vero, sì, sbarrate, tutto vero.
ANTIFOLO E.
E questa donna, non mi ha insolentito?
DROMIO E.
Posso giurarlo, vi ha trattato male.
ANTIFOLO E.
E poi non è arrivata anche la sguattera
con altri insulti ed altre offese?
DROMIO E.
Oh, sì,
altro che, la vestale di cucina
ci si è messa anche lei, con altre ingiurie.
ANTIFOLO E.
Non è vero che sono andato via
tutto infuriato?
DROMIO E.
Altro che, le mie ossa
si ricordano bene quella furia.
ADRIANA
Pensate che sia giusto assecondarlo?
PINCH
Male non fa. Lo prende pel suo verso,
e dandogli ragione un po’ lo acquieta.
ANTIFOLO E.
Tu hai pagato l’orefice: volevi
che fossi incarcerato.
ADRIANA
Non è vero:
ti ho mandato per Dromio quel denaro
necessario a pagare la cauzione.
DROMIO E.
Denaro a me? Tante belle parole,
ma giuro, neanche il becco di un quattrino.
ANTIFOLO E.
Non ti ho mandato a chiederle una borsa
di ducati?
ADRIANA
Ma certo, e glieli ho dati.
LUCIANA
Posso testimoniare che lo ha fatto.
DROMIO E.
E io ho due testimoni: il primo è Dio,
e l’altro il venditore di cordami.
Mi avete chiesto solo questa corda.
PINCH
Servo e padrone sono indemoniati,
quel pallore sinistro è chiaro sintomo.
Vanno legati, in una stanza buia.
ANTIFOLO E. [ad Adriana]
Per questo oggi tu mi hai chiuso fuori?
[a Dromio] E tu perché non parli di quell’oro?
ADRIANA
Giuro, marito mio, non ti ho lasciato
fuori dall’uscio.
DROMIO E.
Giuro anch’io: quell’oro
non l’ho visto; ma è vero che la porta
era sbarrata, come dite voi.
ADRIANA
Menti, bugiardo, in tutte e due le cose.
ANTIFOLO E.
Menti, puttana, in tutto; e sei d’accordo
con una banda abbietta di cialtroni
per far di me un oggetto di disprezzo.
Ma con le unghie ti strappo quegli occhi
che godono a vedermi in questo stato.
ADRIANA
Legatelo, vi prego, su, legatelo!
Non lasciate che mi venga vicino!
Entrano tre o quattro persone che cercano di legarlo, Antifolo reagisce.
PINCH
Ci vuole qualcun altro! È troppo forte
il demonio che è in lui!
LUCIANA
Ah, poveretto,
com’è pallido!
ANTIFOLO E.
Voi volete uccidermi?
Tu, guardia, non hai niente da obbiettare?
Sono tuo prigioniero, e tu permetti
che mi portino via?
CARCERIERE
Prego, lasciatelo:
il prigioniero è mio, non lo toccate.
PINCH
Legate il servo, che è matto anche lui.
[Dromio viene legato.]
ADRIANA
Tu, carceriere, provi forse gusto
se un infelice fa del male agli altri
ed a se stesso?
CARCERIERE
Se lo lascio andare
sono poi io a rispondere del debito.
ADRIANA
Ci penso io. Tu pensa solamente
a venire con me dal creditore.
Lo pagherò io stessa, non appena
saprò di che si tratta. Buon dottore,
che sia portato a casa sano e salvo.
Ah, che brutta giornata!
ANTIFOLO E.
Ah, che brutta puttana!
DROMIO E.
Padrone, consolatevi: ché adesso
sono proprio legato a voi per sempre!
ANTIFOLO E.
Ma taci un po’. Mi vuoi fare ammattire?
DROMIO E.
E voi volete forse esser legato
così, per niente? Su, fate un po’ il matto!
Gridate ‘diavolo!’
LUCIANA
Che Dio li aiuti!
Le parole insensate che pronunciano!
ADRIANA
Oh, portatelo via! Sorella, andiamo.
Escono [tutti tranne il] Carceriere, Adriana, Luciana, e la prostituta.
Potete dirmi ora chi lo accusa?
CARCERIERE
Angelo, un orafo: lo conoscete?
ADRIANA
Sì, lo conosco. Che somma gli deve?
CARCERIERE
Ben duecento ducati.
ADRIANA
Ma perché?
CARCERIERE
Per un gioiello, una catena d’oro
che gli aveva ordinato.
ADRIANA
Ah sì, ricordo:
me l’aveva promessa, e non l’ho avuta.
PROSTITUTA
Quando è venuto a casa mia, furioso,
a me ha preso un anello, quello stesso
che gli ho visto ora al dito; e poco dopo
l’ho visto ancora: aveva una catena.
ADRIANA
Può darsi: io non l’ho vista. Carceriere,
portatemi dall’orafo: vorrei
vederci un poco chiaro in questa storia.
Entrano Antifolo [di Siracusa] e Dromio [di Siracusa], con le spade sguainate.
LUCIANA
Oh, santo cielo, sono ancora liberi!
ADRIANA
E con le armi in pugno! Chiama aiuto,
che vengano a legarli!
CARCERIERE
Via, ci ammazzano!
Escono tutti [tranne Antifolo S. e Dromio S.], terrorizzati, e più in fretta che possono.
ANTIFOLO S.
Queste streghe, lo vedo, hanno paura
delle spade.
DROMIO S.
Ma sì, è scappata via
quella che vi voleva per marito.
ANTIFOLO S.
Forza, al Centauro. Prendiamo i bagagli,
poi a bordo, più presto che possiamo.
DROMIO S.
Abbiate pazienza, forse si potrebbe restare ancora per una notte. Non credo proprio che ci faranno del male. L’avete visto: ci parlano con gran gentilezza, ci offrono dell’oro. Alla fin fine, sono gente proprio ospitale, e se non fosse per quella montagna di carne in calore che mi vuole per marito, quasi quasi me ne resterei qui e mi trasformerei in stregone anch’io.
ANTIFOLO S.
Non resterei neanche se mi offrissero
tutta questa città. Su, svelto, andiamo. Escono.
La commedia degli errori
Anche “La commedia degli equivoci”
(“The Comedy of errors” 1590 – 1594)
Introduzione – Riassunto
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