Anche “La commedia degli equivoci”
(“The Comedy of errors” 1590 – 1594)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano Antifolo di Efeso, il suo servo Dromio, Angelo l’orafo, e Balthazar, il mercante.
ANTIFOLO E.
Buon signor Angelo, ci scuserete;
ma mia moglie s’infuria se ritardo.
Che sono rimasto qui, nella bottega,
perché lavoravate al suo monile;
le si può dire, e che lo avrà domani.
Ma ecco qui quel furfante che ha il coraggio
di raccontare che l’ho malmenato,
che lo accusavo di avermi rubato
mille scudi, che non mi ricordavo
di aver casa né moglie… Eri ubriaco?
DROMIO E.
Dite quel che volete, lo so io,
voi mi avete picchiato, e ne ho le prove,
ché se la pelle fosse pergamena,
e i colpi inchiostro, la vostra scrittura
confermerebbe allora ogni parola.
ANTIFOLO E.
Tu sei un bel somaro.
DROMIO E.
Così pare,
con tutte le frustate che mi prendo
e i torti che mi fanno; e lo vorrei,
così risponderei con altri calci,
e voi stareste attento alle mie zampe
gridando “attenti all’asino”…
ANTIFOLO E.
Mi sembra,
che siate triste, signor Balthazar.
Io spero di allietarvi alla mia mensa.
BALTHAZAR
La mensa non importa, è il benvenuto
che mi rallegra.
ANTIFOLO E.
E io conto davvero
che troverete sulla nostra tavola
non solo benvenuti.
BALTHAZAR
Carne e pesce
si possono trovare dappertutto.
ANTIFOLO E.
Ma anche i complimenti, che son fatti
soltanto di parole.
BALTHAZAR
Poco cibo,
tanta allegria: è questa la ricetta
per una festa.
ANTIFOLO E.
Oh sì, se l’invitato
non ha pretese e l’ospite è un po’ avaro.
Io spero accetterete di buon grado
quel che vi offro – niente di speciale,
ma offerto, questo sì, con tutto il cuore.
Un momento: la porta è chiusa. Fai aprire.
DROMIO E.
Nina, Marianna, Betta, Giulia, Rosa!
DROMIO S. [dall’interno]
Bestia, stolto, cappone, idiota, feccia!
Va’ via da quella porta, o almeno taci.
Che vuoi fare, a chiamar tante ragazze,
quando una è già di troppo? Via di lì!
DROMIO E.
Che bestia di portiere! C’è il padrone
fuori in strada che aspetta!
DROMIO S. [dall’interno]
Digli pure
che se ne torni indietro, se non vuole
prendersi freddo ai piedi.
ANTIFOLO E.
Chi è che parla
lì dentro? Presto, aprite questa porta!
DROMIO S. [dall’interno]
Certo, signore, ditemi perché
e io vi dirò allora dove e quando.
ANTIFOLO E.
Quando? Perché? Ma io non ho cenato
DROMIO S. [dall’interno]
E vuole dire che digiunerete.
Tornate un po’ quando siete invitato.
ANTIFOLO E.
Chi sei tu che pretendi di vietarmi
l’ingresso in casa mia?
DROMIO S. [dall’interno]
Sono il portiere,
per oggi, almeno; e il mio nome è Dromio.
DROMIO E.
Anche il nome, villano, mi hai rubato,
non solo il mio lavoro. A ben vedere,
dal primo non ho avuto grande credito,
dall’altro solo biasimo; se oggi
tu fossi stato Dromio al posto mio,
avresti volentieri barattato
nome e faccia con quelli di un somaro.
Entra Luce [in alto].
LUCE
Cos’è questo fracasso? Chi è al portone?
DROMIO E.
Fai entrare il signore.
LUCE
È troppo tardi,
dillo un po’ al tuo padrone.
DROMIO E.
Ti rispondo
con un modo di dire: può infilarsi
qui dentro il mio bastone?
LUCE
Eccoti un altro
modo di dire: prova a indovinare!
DROMIO S. [dall’interno]
Brava Luce, hai risposto proprio bene!
ANTIFOLO E.
Mi senti, ora, sciocchina? E dunque apri!
LUCE
Oh, credevo di avervi già invitato!
DROMIO S. [dall’interno]
E siete voi che avete detto no!
DROMIO E.
E va bene, coraggio. Ah, che bel Colpo!
ANTIFOLO E.
Sgualdrina, fammi entrare!
LUCE
Ah sì? Perché?
DROMIO E.
Su, signore, picchiate a quella porta!
LUCE
Forte, più forte, fino a farvi male!
ANTIFOLO E.
Te ne farò pentire, poi, più tardi,
se butto giù la porta!
LUCE
E perché mai?
C’è una gogna in città, che basta e avanza!
Entra Adriana [in alto].
ADRIANA
Chi è che fa tanto chiasso in casa mia?
DROMIO S. [dall’interno]
Questa vostra città, per dire il vero,
è infestata da un sacco di bricconi.
ANTIFOLO E.
Sei arrivata, moglie? Finalmente!
ADRIANA
Vostra moglie, pezzente? Andate via!
[Esce con Luce.]
DROMIO E.
Ma se voi ubbidite, mio padrone,
cosa resta da fare a un servitore?
ANGELO
Io non vedo una mensa, o un benvenuto.
BALTHAZAR
Si è discusso qual fosse più importante,
fra le due cose, ed ora a mani vuote
eccoci qua.
DROMIO E.
Signore, i vostri ospiti
stanno ancora aspettando il benvenuto.
ANTIFOLO E.
C’è qualcosa nell’aria, che ci blocca
qui sulla soglia.
DROMIO E.
Voi parlate d’aria,
con le vesti leggere che indossiamo?
Dentro c’è un pasto caldo, e voi qui fuori
restate al freddo: un uomo può infuriarsi
come una bestia a vedersi trattare
in questo modo!
ANTIFOLO E.
Portami qualcosa,
riusciremo a spaccare il chiavistello!
DROMIO S. [dall’interno]
Sì, spacca tutto, e io ti rompo la testa!
DROMIO E.
Cominciamo col rompere il silenzio,
ché le parole sono fatte d’aria:
meglio con il davanti che col retro!
DROMIO S. [dall’interno]
Sei tu che finirai tagliato a pezzi!
E per l’ultima volta, via di qua!
DROMIO E.
Ecco, l’hai detto per l’ultima volta,
e dunque fammi entrare.
DROMIO S. [dall’interno]
Certamente,
quando gli uccelli non avran più penne,
e i pesci non avranno più le pinne!
ANTIFOLO E.
Basta, al lavoro. Dammi un grimaldello.
DROMIO E.
Ma che sarebbe? Un pesce o un uccello?
Se è un pesce, via, togliamogli le pinne,
se è un uccello spenniamolo; e allora
chissà che non riusciamo ad accordarci.
ANTIFOLO E.
Va’, presto. Io ti ho detto un grimaldello,
una sbarra di ferro. Corri, via!
BALTHAZAR
Pazienza, mio signore; non così.
Ci rimettete la reputazione,
e attirate sospetti sull’onore
di vostra moglie, mai fin qui discusso.
In breve, voi avete già esperienza
di quanto virtuosa sia, e modesta;
dev’esserci un motivo a voi ignoto,
e senza dubbio lei saprà spiegarvi
perché troviamo la porta sbarrata.
Ora ascoltate: andiamo via di qui,
a pranzo, alla Taverna della Tigre;
poi, verso sera, verrete da solo
a chiedere ragione del mistero.
Se riuscite a buttare giù la porta,
in pieno giorno, davanti alla gente,
che commenti malevoli, che lazzi
volgari ci farebbero i passanti!
Le calunnie poi circolano, rovina
delle reputazioni intemerate;
vi seguono insidiose nella tomba
d’una generazione all’altra; la menzogna
non lascia più la casa ove s’insedia.
ANTIFOLO E.
Avete vinto. Me ne andrò in silenzio,
e cercheremo a dispetto di tutto
di finir la giornata in allegria.
Conosco una ragazza assai socievole,
di bell’aspetto, e anche spiritosa,
un po’ selvaggia, eppure gentilissima;
pranzeremo da lei. Questa ragazza,
mia moglie spesso mi rimproverava
di frequentarla; e giuro, fino a oggi,
non era vero affatto. [Ad Angelo] Andate a prendere
quel monile, che ormai sarà finito;
e portatelo poi al Porcospino:
è là che vive. Voglio regalarglielo,
non foss’altro che per fare un dispetto
a mia moglie. Signore, fate presto.
Se a casa mia mi trattano così,
troverò qualcun altro che mi accolga.
ANGELO
D’accordo, ci sarò, fra circa un’ora.
ANTIFOLO E.
Grazie. Potrà costarmi, questo scherzo.
Escono.
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entrano Luciana e Antifolo di Siracusa.
LUCIANA
Può essere tu abbia già scordato
quali siano i doveri di un marito?
Così presto sfiorisce, dunque, Antifolo,
l’amore appena dati i primi frutti?
Così invece di accrescersi rovina?
Se hai sposato Adriana per denaro,
almeno pei suoi beni usa un riguardo;
se ami un’altra, allora fingi un poco,
dissimula il tuo amore in qualche modo;
che mia sorella non ti legga in viso
il tuo segreto, o che la lingua stessa
non ti tradisca; parla con dolcezza,
guardala con affetto, il vizio occulta
dietro apparenza di virtù; la maschera
sia sempre amabile, per quanto nero il cuore;
e di candore ammanta i tuoi peccati.
Quale bisogno c’è che lei lo sappia?
Quale è il ladro che ostenta i suoi misfatti?
Sarebbe doppio crimine tradirla
la notte e rivelarlo a colazione.
La vergogna può essere onorata
senza alcun fondamento, se si è accorti
ma il male che ci fanno si raddoppia
con parole offensive. Ahimè, a noi donne,
basta poco per renderci contente:
ci dite che ci amate, e date a un’altra
il vostro braccio; a noi basta la manica.
Continuiamo a girare, poverette,
dentro l’orbita vostra; voi potete
farci muovere a vostro piacimento.
Rientra in casa, cognato, sii cortese,
e mostra a mia sorella un po’ d’affetto;
non è un delitto fingere, se la dolcezza
consente di arrivare a un po’ di pace.
ANTIFOLO S.
Signora, io non conosco il vostro nome,
né so per qual miracolo sappiate
come mi chiamo io. Ma il vostro fascino
e la vostra saggezza vi rivelano
più divina che umana: questo so.
Ditemi voi quello che devo fare,
quel che devo pensare; il mio sentire
è grossolano, avvolto negli errori
di una natura debole, terrena,
superficiale: perché mai cercate
di innalzarlo a dispetto dei suoi limiti,
in un regno per me del tutto incognito?
Forse siete una dea? Forse potete
insegnarmi a rinascere? D’accordo,
trasformatemi; io a questo non mi oppongo.
Ma finché io rimango quel che sono,
rifiuto quella donna lamentosa,
vostra sorella, come moglie; a lei
non devo nulla; e certo nel suo letto
non entrerò, ché è solo a voi che penso.
Non indurmi, sirena, col tuo canto
ad affogare nel mare di lacrime
di quella donna; canta per te stessa,
e ti amerò. Quei tuoi capelli d’oro
sciogli sui flutti argentei; in questo letto
fra le tue braccia io sarò felice
di giacere, sapendo che la morte
è conquista gloriosa e appagamento.
E l’amore, se è effimero e se è beve,
si estingua pure, se a me verrai meno.
LUCIANA
Ma tu sei pazzo! stai farneticando!
ANTIFOLO S.
Pazzo d’amore, certo. Non so come.
LUCIANA
È una follia che nasce dai tuoi occhi.
ANTIFOLO S.
Perché ho guardato il sole da vicino.
LUCIANA
Fissa altrove il tuo sguardo, e rinsavisci.
ANTIFOLO S.
Tanto varrebbe che chiudessi gli occhi
e fissassi le tenebre.
LUCIANA
Perché
dici d’amarmi? Dillo a mia sorella!
ANTIFOLO S.
A sua sorella!
LUCIANA
Dunque a lei!
ANTIFOLO S.
Oh, no!
è a te che penso, a te che dei miei occhi
sei la pupilla, il cuore del mio cuore;
quel che mi nutre, quel che spero e bramo.
mio cielo in terra, vero paradiso…
LUCIANA
È a mia sorella che dovresti dirlo.
ANTIFOLO S.
Prendi tu stessa il nome di sorella:
sono parte di te, ti amerò sempre.
Non hai marito ancora, io non ho moglie;
dammi la mano.
LUCIANA
Aspettami un momento:
chiediamo a mia sorella se è d’accordo. Esce.
Entra Dromio di Siracusa.
ANTIFOLO S.
Come mai, Dromio, corri così svelto?
DROMIO S.
Mi conoscete, allora? Sono Dromio? E vostro servo? sono io? me stesso?
ANTIFOLO S.
Ma sì, sei Dromio, il mio servo, te stesso.
DROMIO S.
No, sono un asino; non appartengo a me, ma a una donna; sono fuori di me.
ANTIFOLO S.
Fuori di te? Di quale donna parli?
DROMIO S.
Altro che fuori di me, signore! Pare che io sia proprietà di una donna, che sostiene di avere diritti su di me, e mi ossessiona; finirà per mangiarmi in un boccone.
ANTIFOLO S.
Quali diritti accampa su di te?
DROMIO S.
Quelli che voi accampate sul vostro cavallo, né più né meno; e mi corre dietro come una bestia – voglio dire, non è che lei mi voglia perché sono una bestia: la bestia è lei, e a tutti i costi mi vuole per sé.
ANTIFOLO S.
Ma chi sarebbe?
DROMIO S.
Ah, persona di tutto rispetto: qualunque cosa si dica di lei, bisogna sempre premettere “con rispetto parlando”. È una ben scarsa fortuna quella che mi aspetta, anche se a ben vedere si tratta di un matrimonio ricco e succulento.
ANTIFOLO S.
In che senso, succulento?
DROMIO S.
Nel senso che lei è la sguattera di cucina, tutta unta di grasso; in mancanza d’altro posso sempre utilizzarla come lampada a olio e illuminarmi la via per scappare più in fretta. Garantisco che i suoi stracci imbevuti di sego riscalderebbero la povera Polonia per tutto l’inverno. E se vive fino al giorno del giudizio, continuerà a bruciare almeno una settimana più a lungo di tutto il resto del mondo.
ANTIFOLO S.
Ma a vederla, che aspetto ha?
DROMIO S.
È scura in faccia come le mie scarpe, ma certo non altrettanto pulita. Perché? Perché lei suda tanto che nel suo liquame si affonda fino alle caviglie.
ANTIFOLO S.
Per questo basterebbe un po’ d’acqua e sapone.
DROMIO S.
No, signore, ce l’ha nella pelle: non basterebbe il diluvio di Noè.
ANTIFOLO S.
Come si chiama?
DROMIO S.
Nellina, signore; ma bisognerebbe dire Nellona. Un metro e tre quarti non sarebbero sufficienti a misurare il suo giro di fianchi.
ANTIFOLO S.
Dunque una creatura di una certa stazza?
DROMIO S.
Non più lunga dalla testa ai piedi che da un fianco all’altro. Perfettamente sferica, come il globo. Volendo, ci si può studiare la geografia, ché ci si trovano tutti i paesi del mondo.
ANTIFOLO S.
In quale parte del suo corpo si trova l’Irlanda?
DROMIO S.
Ah, signore, in fondo alla schiena. Ci sono certi acquitrini…
ANTIFOLO S.
E la Scozia?
DROMIO S.
Nel palmo della mano, arido e roccioso com’è.
ANTIFOLO S.
La Francia?
DROMIO S.
Nella fronte, tutta una pustola, in guerra contro i pochi capelli che ha in testa.
ANTIFOLO S.
E l’Inghilterra?
DROMIO S.
Ho cercato qualcosa di bianco che somigliasse a una scogliera, ma non ho trovato niente del genere. Ma dovrebbe trovarsi dalla parte del mento, visto che vi cola un canale d’acque salate simile a quello che ci divide dalla Francia.
ANTIFOLO S.
La Spagna?
DROMIO S.
Mi dispiace, non l’ho vista, ma ne ho sentito anche troppo l’odore nel suo alito.
ANTIFOLO S.
Ci sono anche l’America, le Indie?
DROMIO S.
Come no, padrone: nel suo naso, ricco di rubini, diamanti, zaffiri, cadenti a pioggia nella calda cavità della Spagna, la quale dal canto suo manda intere flotte di galeoni a far bottino nelle sue narici.
ANTIFOLO S.
E che mi dici del Belgio, dei Paesi Bassi?
DROMIO S.
Ah, signore, così in basso non ho avuto il coraggio di guardare. Ma per concludere, questa megera, che deve pur conoscere un po’ di arti divinatorie, non solo mi reclama per sé, ma mi chiama Dromio, giura che ho promesso di sposarla, mi ha elencato con precisione certe caratteristiche delle mie parti intime, il segno che ho sulla spalla, il neo sul collo, la verruca sul braccio sinistro – tanto che, terrorizzato, sono fuggito da lei come fuggirei da una strega:
Non fosse per la fede che ho nel cuore, tosto
mi avrebbe trasformato in cagnolino,
e mi avrebbe legato giù in cucina,
a girare ben bene il girarrosto.
ANTIFOLO S.
Corri via, presto, allora, verso il porto,
e guarda un po’ se il vento è favorevole.
Io non resto qui a Efeso stanotte.
Se c’è un battello pronto per salpare,
vieni al mercato a dirmelo, ti aspetto
da quelle parti. Tutti ci conoscono,
ed a noi tutto è ignoto: sarà meglio
non perder tempo e andarcene di qui.
DROMIO S.
Fuggo a gambe levate da un orso per salvarmi
così da quella che mi sta addosso per sposarmi. Esce.
ANTIFOLO S.
Questa è città di streghe, di misteri:
è dunque tempo che la lasci. Quella
che mi chiama marito, la detesto
con tutta l’anima; invece la sorella,
piena com’è di grazia e di parole
dolci e suadenti, mi ha quasi portato
a tradire me stesso. Ma non voglio
macchiarmi di una colpa di tal genere;
non udrò più quel canto di sirena.
Entra Angelo con il monile.
ANGELO
Ecco, signor Antifolo.
ANTIFOLO S.
È il mio nome.
ANGELO
Lo so bene, signore, e qui vi porto
quel monile che prima al Porcospino
dovevo consegnarvi, ma non era
finito ancora.
ANTIFOLO S.
Che ne dovrei fare?
ANGELO
Quel che volete; io l’ho fatto per voi.
ANTIFOLO S.
Per me, signore? Io non l’ho ordinato.
ANGELO
Non una volta o due, ma almeno venti!
Ora potete darlo a vostra moglie,
che ne sarà contenta; e questa sera
verrò a trovarvi, e voi mi pagherete.
ANTIFOLO S.
Meglio per voi riscuotere all’istante;
più tardi non vedreste né il gioiello
né il denaro.
ANGELO
Il signore scherza sempre.
A più tardi. Esce.
ANTIFOLO S.
Non so cosa pensare.
Ma nessuno sarebbe tanto sciocco
da rifiutare un regalo del genere.
Gli uomini, qui, non debbono sforzarsi
a lavorare; trovano per strada
doni d’oro e d’argento. Me ne vado
al mercato, per incontrare Dromio;
poi, col primo battello, via di qua. Esce.
La commedia degli errori
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