La tempesta – Atto I

(“The tempest”  1611/1612)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

La tempesta - Atto I

Personaggi
ALONSO, Re di Napoli.
SEBASTIANO, suo fratello.
PROSPERO, Duca legittimo di Milano.
ANTONIO, suo fratello, Duca usurpatore di Milano.
FERDINANDO, figlio del Re di Napoli.
GONZALO, vecchio, onesto Consigliere.
ADRIANO E FRANCESCO, nobili.
CALIBAN, schiavo selvaggio e deforme.
TRINCULO, buffone.
STEFANO, cantiniere ubriacone.
CAPITANO d’una nave.
NOSTROMO.
MARINAI.
MIRANDA, figlia di Prospero.
ARIEL, spirito dell’aria.
IRIS, CERERE, GIUNONE, NINFE, FALCIATORI, spiriti.

LA SCENA. Un’isola disabitata

ATTO PRIMO – SCENA PRIMA

(Su una nave in mare.)

Si ode un rumore tempestoso di tuoni e fulmini.

Entrano il Capitano e il Nostromo.

CAPITANO

Nostromo!

NOSTROMO

Sono qui, capitano: che c’è?

CAPITANO

Bravo. Chiama i marinai – su, presto, datti da fare o finiremo in secca. Muoversi, muoversi!

Esce.

 

Entrano Marinai.

NOSTROMO

Su, cuori miei! Animo, ragazzi, animo! Svelti, svelti! Imbrigliate la gabbia! Pronti al fischio del capitano. E tu soffia fino a scoppiare, purché ci lasci spazio per la manovra!

Entrano Alonso, Sebastiano, Antonio, Ferdinando, Gonzalo e altri.

ALONSO

Buon nostromo, mi raccomando. Dov’è il capitano? Sta attento alla ciurma.

NOSTROMO

Vi prego, ora, tornate giù.

ANTONIO

Dov’è il capitano, nostromo?

NOSTROMO

Non lo sentite? Qui date fastidio – tornatevene in cabina. Così date una mano alla burrasca.

GONZALO

Su, sii buono, calmati.

NOSTROMO

Quando si calma il mare. Via di qui! A questi cavalloni urlanti che importa del nome di Re? In cabina! Silenzio! Non seccateci più.

GONZALO

Va bene, ma rammenta chi hai a bordo.

NOSTROMO

Nessuno che ami più di me stesso. Voi siete un consigliere: ebbene, se riuscite a ordinare il silenzio agli elementi e a farli stare subito tranquilli, noi non tocchiamo più una fune. Avanti, usate la vostra autorità. Se non ci riuscite, ringraziate il Cielo per aver vissuto tanto tempo e preparatevi in cabina al disastro, se è destino. Forza, ragazzi! E voi fuori dai piedi, dico. Esce.

GONZALO

Costui mi conforta assai – su di lui non c’è nessun segno di futuro annegamento. Ha l’aria di chi deve finire sulla forca. Orsù, Fato benigno, tieni duro col capestro: rendi la corda del suo destino la nostra gomena di salvezza, perché quella che abbiamo ci serve a poco. Se non è nato per essere impiccato, siamo nei guai. Escono.

Rientra il Nostromo.

NOSTROMO

Calate l’albero! Presto! Più giù, più giù! Venite all’orza e date la vela maestra! (Un grido dall’interno) Al diavolo queste urla! Fanno più strepito di noi e dell’uragano.

Rientrano Sebastiano, Antonio e Gonzalo.

Ancora voi? Che ci fate, qui? Dobbiamo lasciar perdere tutto e annegare? Avete intenzione di colare a picco?

SEBASTIANO

Ti venga un cancro in gola, cane urlante, miscredente, senza cuore!

NOSTROMO

Lavorate voi, allora.

ANTONIO

Ti possano impiccare, bastardo! Ti possano impiccare, te e i tuoi schiamazzi, figlio di puttana insolente! Sei tu che hai paura di annegare, non noi.

GONZALO

Garantisco io che non annegherà, anche se la nostra nave fosse un guscio di noce e facesse acqua come una puttana sfondata.

NOSTROMO

Serrate, serrate! Abbassate le vele – andiamo al largo! Serrate!

Entrano Marinai, inzuppati d’acqua.

MARINAI

Siamo perduti! Preghiamo, preghiamo! Siamo perduti! Tutti!

NOSTROMO

Come! E con la gola secca?

GONZALO

Il Re e il Principe pregano. Uniamoci a loro. La loro sorte è anche la nostra.

SEBASTIANO

Sono fuori di me.

ANTONIO

Sono stati questi ubriaconi a truffarci la vita.

Questo farabutto sboccato…

Potessi annegare lentamente

Sciacquato da dieci maree!

GONZALO

Eppure finirà sulla forca,

Anche se ogni goccia giurasse il contrario

E si allargasse all’infinito per inghiottirlo.

[(Suoni confusi all’interno) “Pietà di noi” –

“Andiamo a pezzi, andiamo a pezzi”

“Addio, moglie mia, addio, figli miei!”

“Addio, fratello!” “A pezzi, a pezzi!”]

ANTONIO

Andiamo dal Re per affondare tutti insieme.

SEBASTIANO

Andiamo a dirgli addio.

Escono (Antonio e Sebastiano).

GONZALO

Darei mille iugeri di mare per un acro di terreno sterile, coperto di eriche, ginestre, sterpi, qualsiasi cosa. Sia fatta la volontà del Cielo! Però avrei preferito una morte asciutta. Escono.

ATTO PRIMO – SCENA SECONDA

(L’isola. Davanti alla grotta di Prospero.)

Entrano Prospero e Miranda.

MIRANDA

Se con la vostra Arte, mio carissimo padre,

Avete gettato le acque selvagge

In questo fragore,

Ora calmatele. Sembra che il cielo

Voglia rovesciare fetida pece

Ma il mare

Montando fino alle guance delle nubi

Spegne il fuoco.

Oh, come ho sofferto

Con quelli che vidi soffrire!

Una splendida nave

(Che certo aveva dentro nobili creature)

Tutta a pezzi.

Ah, come quel gridare

Mi ha battuto sul cuore.

Povere anime, tutte perdute.

Se avessi avuto il potere di un dio

Avrei sprofondato il mare nella terra

Prima che s’ingoiasse il bel veliero

Con il suo carico di umani.

PROSPERO

Calma. Non aver più paura.

Di’ al tuo cuore pietoso

Che non è stato fatto nessun male.

MIRANDA

Oh, giorno di dolore!

PROSPERO

Nessun male.

Nulla ho fatto se non per il tuo bene,

Per te, unica mia, per te, mia figlia,

Che non conosci chi sei,

Né di dove io venga,

Né che sono molto più di Prospero,

Padrone di una poverissima grotta

E tuo non meno misero padre.

MIRANDA

Non ho mai pensato

A conoscere di più.

PROSPERO

È tempo invece

Che io ti dica di più. La tua mano mi aiuti

A deporre questo mantello di magia. Così.

(Depone il manto.)

Là, mia Arte, riposa.

E tu asciuga gli occhi: sii serena.

Lo spettacolo orrendo del naufragio

Che in te ha toccato l’essenza della pietà

L’ho concertato io

Con tale sapienza e misura dell’Arte

Che non c’è un’anima…

No, nemmeno un capello fu strappato

A coloro che tu udisti, dalla nave, gridare,

A coloro che tu vedesti affondare.

Siedi: ora devi sapere di più.

MIRANDA

Molte volte avete cominciato

A dirmi chi sono

Ma poi vi arrestavate

Lasciandomi con un’inutile domanda

E concludendo: “Aspetta, ancora no”.

PROSPERO

Ma adesso l’ora è giunta.

Ed è l’attimo stesso che ti impone

Di prestarmi orecchio.

Ubbidisci. Sta attenta.

Riesci a ricordare un tempo

Prima del nostro arrivo a questa grotta?

Credo di no, perché allora

Non avevi tre anni.

MIRANDA

Certo che posso, padre.

PROSPERO

E che ricordi? Un’altra casa, o persona?

Dammi l’immagine di qualsiasi cosa

Che sia rimasta nella tua memoria.

MIRANDA

È molto lontana – simile a un sogno,

Più che una certezza

Garantita dalla memoria.

Una volta non avevo

Quattro o cinque donne intorno a me?

PROSPERO

Le avevi, Miranda, anche di più.

Ma come può, questo,

Vivere ancora nella tua mente?

Che altro vedi, indietro,

Nel buio, nell’abisso del tempo?

Se hai un ricordo

Di prima che arrivassi qui

Forse puoi anche ricordare

Come ci arrivasti.

MIRANDA

No, questo no.

PROSPERO

Dodici anni fa, Miranda, dodici anni fa

Tuo padre era il Duca di Milano

E principe potente.

MIRANDA

Signore, non siete voi mio padre?

PROSPERO

Tua madre era un modello di virtù e diceva

Che tu eri mia figlia; e tuo padre

Era il Duca di Milano; e la sua unica erede

E principessa

Era di stirpe non meno illustre.

MIRANDA

O cielo! E quale vile trama

Ci costrinse a partire?

O è stato un bene, invece?

PROSPERO

L’uno e l’altro, figliola, l’uno e l’altro.

Per una vile trama, come dici,

Fummo strappati di lì,

Ma giungere qui è stato un bene.

MIRANDA

Il cuore mi sanguina, se penso

A tutti gli affanni che vi ho dato,

Di cui non ho memoria. Vi prego, avanti!

PROSPERO

Mio fratello – e tuo zio, di nome Antonio –

(Ah, dimmi se un fratello

Può essere tanto malvagio!)

Lui che dopo di te io amavo

Più d’ogni altro al mondo, e al quale

Lasciai la guida del mio stato, che allora

Era la prima di tutte le Signorie,

E Prospero il primo Duca,

Celebrato per dignità,

Senza confronti nelle Arti liberali…

E poiché queste erano l’unica mia cura

Affidai il governo a mio fratello

E mi estraniai dal mio ruolo,

Trasportato, rapito in studi segreti.

Tuo zio, falso… mi stai ascoltando?

MIRANDA

Con la massima attenzione, signore,

PROSPERO

Avendo perfettamente appreso

Come concedere favori e come negarli,

Chi promuovere, e chi punire

Per eccesso di ambizione,

Ricreò – si può dire – le creature

Che erano state mie. O le sostituì,

O ne formò di nuove. E, possedendo la chiave

Sia del governo sia dei governanti,

Accordò tutti i cuori dello stato

Alla musica più gradita al suo orecchio.

E così divenne l’edera

Che nascondeva il mio tronco di principe

Succhiandone il vigore. Ma tu ascolti?

MIRANDA

Oh sì, buon signore!

PROSPERO

Allora ascolta bene. Io,

Così trascurando ogni fine mondano,

Consacratomi in solitudine

Ad educare la mia mente,

A studiare cose

Al di là di ogni comprensione del volgo,

Destai nel mio falso fratello

Una natura malvagia.

E la mia fiducia, come un buon genitore,

Generò in lui una doppiezza contraria

Grande quanto la mia fiducia stessa

Che era davvero senza limiti,

Una fiducia senza confini! E lui,

Ormai padrone non solo dei miei beni

Ma di quant’altro il mio potere

Era in grado di esigere,

Come chi, a forza di mentire,

Induce la propria memoria

A peccare talmente contro il vero

Da credere alla sua stessa menzogna…

Lui credette d’essere realmente il Duca,

Dato che mi sostituiva, ed eseguiva

Gli atti esterni della regalità,

Con ogni prerogativa… Così,

Crescendo la sua ambizione… Mi senti?

MIRANDA

Il vostro racconto, signore,

Guarirebbe dalla sordità.

PROSPERO

Affinché non vi fosse più uno schermo

Tra la parte che recitava

E chi sostituiva in quella parte,

Doveva per forza diventare

Il vero Duca di Milano… Io, poveruomo,

La mia biblioteca era un ducato

Già fin troppo vasto… lui,

Mi crede ormai incapace

Di governo temporale, s’accorda,

Nella sua sete di potere,

Col re di Napoli, s’impegna

A pagargli un tributo annuo,

A fargli omaggio,

A rendere la sua più piccola corona

Suddita di quella grande di lui,

Costringendo il Ducato, fin qui mai sottomesso

– Ah! povera Milano! –

Al più ignobile inchino.

MIRANDA

O Cielo!

PROSPERO

Pensa adesso al patto e alle sue conseguenze

E poi dimmi

Se quello era un fratello.

MIRANDA

Peccherei

Se giudicassi men che nobilmente

Vostra madre. Ventri onesti

Hanno generato cattivi figli.

PROSPERO

E ora i termini del patto.

Questo Re di Napoli, mio nemico inveterato,

Accoglie la richiesta di mio fratello

E promette

In cambio dell’omaggio

E di non so quale tributo

Di estirpare immediatamente dal Ducato

Me e i miei, e consegnare

La bella Milano, con tutti gli onori,

A mio fratello. E a questo fine,

Assoldata una schiera di traditori,

In una mezzanotte predestinata

Antonio aprì le porte di Milano

E, in un’oscurità di morte,

I suoi sicari

Trascinarono via me e te.

E tu piangevi.

MIRANDA

Ahimè, pietà.

Per quel pianto di allora che non ricordo

Ora piango di nuovo. È un racconto

Che mi torce gli occhi.

PROSPERO

Ascolta ancora un po’

E ti condurrò all’azione che ci aspetta ora,

Senza la quale

Questa storia non avrebbe scopo.

MIRANDA

Ma perché non ci uccisero subito?

PROSPERO

Domanda giusta, ragazza mia:

È il mio stesso racconto a provocarla.

Ebbene, cara,

Il mio popolo mi amava ancora tanto

Che non osarono farlo,

Né suggellare l’impresa

Con un marchio di sangue. Preferirono

Dipingere i loro infami disegni

Con colori più tenui. In breve,

Ci caricarono di fretta su una barca,

Ci trasportarono per qualche lega

In alto mare. Qui avevano apprestato

La carcassa marcita di un vascello,

Senza sartie, albero, vela. Persino i topi,

istintivamente, l’hanno abbandonata.

E qui ci lasciano a gridare

Al mare che ci ruggiva contro,

A sospirare ai venti, la cui pietà,

Ricambiando i sospiri, ci faceva soffrire

Per troppo amore.

MIRANDA

Ahimè, che peso sono stata per voi!

PROSPERO

Oh no! Eri un angelo –

Proprio tu mi hai salvato.

Mentre io coprivo il mare

Di gocce amarissime

E gemevo sotto il mio peso,

Tu sorridevi con una forza

Che ti infondeva il cielo.

Tu mi hai dato il coraggio

Di sopportare il futuro.

MIRANDA

In che modo approdammo?

PROSPERO

Divina Provvidenza.

Avevamo cibo e acqua

Che un nobile napoletano, Gonzalo,

Al quale era affidato il comando dell’impresa,

Ci diede, per spirito di carità,

Insieme a ricche vesti, lini, drappi

E altre cose necessarie

Che ci furono poi di grande aiuto.

E non solo. Sapendo

Come amavo i miei libri

Fu così umano da portarmi, dalla mia biblioteca,

Quelli che sono per me

Più preziosi del mio ducato.

MIRANDA

Come vorrei conoscere quell’uomo!

PROSPERO

Ora io mi alzo. Tu, quieta, riposa,

E ascolta la fine della nostra odissea.

Arrivammo a quest’isola: e qui io sono stato

Il tuo maestro di scuola.

Hai imparato più di altre principesse

Che hanno più tempo per le ore frivole

Ma precettori meno affettuosi.

MIRANDA

Il Cielo ve ne renda grazie. Ma ditemi

– È un pensiero che continua

A battermi dentro – perché

Avete sollevato il mare?

PROSPERO

Sappi anche questo.

Per uno strano caso, la Fortuna generosa

(Ora mia amata signora)

Ha portato su questa stessa spiaggia

I miei nemici, e con la mia scienza del futuro

Scopro che il mio zenith dipende

Da una stella di buon auspicio

La cui influenza non devo ignorare

Ma invece afferrare subito

Perché altrimenti

Le mie fortune declineranno per sempre.

Ma ora non domandare più.

Stai avanzando nel sonno.

È un sonno buono. Lasciati andare

So che non hai scelta.

(Miranda si addormenta.)

Avanti, servo, vieni. Avanti!

Eccomi, sono pronto, ora.

Qui vicino, mio Ariel. Vieni!

Entra Ariel.

ARIEL

Ehilà, gran maestro!

Mio venerabile signore, salve!

Eccomi qua per eseguire

Quello che piace a te.

Si tratti di volare, nuotare,

Tuffarsi nel fuoco, cavalcare

I ricci delle nubi –

Al tuo comando imperioso

Si piega Ariel

Con tutti i suoi aiuti.

PROSPERO

Spirito, hai inscenato a dovere

La tempesta che ti avevo ordinato?

ARIEL

Punto per punto. Sono salito

A bordo della nave del re

E ora a prua ora a poppa, ora sul ponte,

In ogni cabina, ho fiammeggiato terrore:

A volte mi dividevo e bruciavo

In molti luoghi contemporaneamente –

Sull’albero maestro,

Sulle antenne e il bompresso,

Ardevo come fiamme diverse

E poi mi radunavo e riunivo di nuovo.

I lampi di Giove,

Messaggeri dei tremendi tuoni,

Non erano più rapidi di me,

Né come me veloci più della vista.

Il fuoco e gli scoppi

Di sulfureo fragore sembravano assediare

Il possente Nettuno e far tremare

Le sue onde superbe. Proprio così,

E scuotere il suo terribile tridente.

PROSPERO

Mio prode spirito!

E chi, in questo finimondo,

Fu tanto saldo, tanto costante,

Da non farsi infettare la ragione?

ARIEL

Non c’era anima

Che non fosse presa dalla mattana

E non facesse

Scene di tragedia.

Tutti, tranne i marinai,

Si gettarono nel pelago schiumante

E abbandonarono il. vascello

Che ardeva tutto delle mie fiamme.

L’infante del Re, Ferdinando,

Con i capelli dritti

– Erano stecchi, non capelli! –

Fu il primo a saltare, gridando,

“L’inferno è vuoto,

E tutti i diavoli sono qui!”

PROSPERO

E bravo il mio spirito! Ma non eravate

Vicini alla riva?

ARIEL

Attaccati, padrone.

PROSPERO

E dimmi, Ariel,

Sono davvero salvi tutti?

ARIEL

Nemmeno un capello si è perduto.

E sugli abiti che li tenevano a galla

Non c’è nemmeno una macchia.

Sono più nuovi di prima.

Come mi avevi ordinato,

Li ho sparpagliati, in plotoni,

Per tutta l’isola. Il figlio del Re

L’ho sbarcato da solo

E l’ho lasciato

A rinfrescare l’aria coi sospiri

In un angolo remoto

Dove se ne sta seduto

Con le braccia conserte,

Malinconicamente – così.

PROSPERO

E la nave del Re, e i marinai,

Dove li hai sistemati?

E il resto della flotta?

ARIEL

All’ancora, la nave del Re.

Nella baia profonda

In cui tu una volta mi evocasti,

A mezzanotte,

Perché ti procurassi rugiada

Dalle Bermude tormentate dai venti.

Ecco dov’è nascosta. I marinai,

Li ho stivati tutti sotto i boccaporti

E li ho messi a dormire

Aggiungendo un incanto alla fatica.

In quanto al resto della flotta,

Tutte le navi che avevo disperso

Si sono riunite di nuovo

E solcano le onde del Mediterraneo

Tornando tristemente verso Napoli.

Credono di aver visto naufragare

La nave del Re, e annegare

Il corpo di Sua Maestà.

PROSPERO

Ariel, hai eseguito perfettamente

La tua parte. Ma c’è altro lavoro.

Che ore sono?

ARIEL

Metà del giorno è passata.

PROSPERO

Di due clessidre almeno.

Il tempo tra adesso e le sei

Dev’essere speso da entrambi

Nel modo più proficuo.

ARIEL

Ancora lavoro? Dal momento

Che mi assegni altre fatiche

Lascia che ti ricordi ciò che hai promesso

E che tu non hai eseguito affatto!

PROSPERO

Come? Fai i capricci?

E che pretendi?

ARIEL

La mia libertà.

PROSPERO

Prima del tempo stabilito? Mai.

ARIEL

Ricorda, ti prego,

Che ti ho reso degni servigi,

Non ti ho mai mentito,

Non ho commesso errori,

Ti ho servito sempre

Senza brontolare e di buon grado.

E tu hai promesso

Di condonarmi un anno intero.

PROSPERO

Dimentichi da quale tormento

Ti ho liberato?

ARIEL

No.

PROSPERO

Invece sì, e credi che sia gran cosa

Calpestare il fango del fondo salato,

Correre sull’aspro vento del Nord,

Lavorare per me nelle vene della terra

Quando è indurita dal gelo.

ARIEL

Nossignore.

PROSPERO

Menti, cosa malvagia. Hai scordato

La turpe strega Sycorax

Che per vecchiaia e perfidia

S’era incurvata tutta come un cerchio?

L’hai scordata?

ARIEL

Nossignore.

PROSPERO

Sì, invece. Dov’era nata? Parla, rispondi.

ARIEL

In Algeri, padrone.

PROSPERO

Ah, davvero? Una volta al mese

Devo ricordarti quello che sei stato,

Visto che lo dimentichi.

Sycorax, questa strega maledetta,

Per i suoi innumerevoli misfatti

E le stregonerie tremende ed inaudite,

Venne bandita, come sai, da Algeri.

Per un’unica cosa che fece

Le risparmiarono la vita. Non è così?

ARIEL

Sissignore.

PROSPERO

Questa cagna dagli occhi bui

Fu sbarcata qui incinta

E qui lasciata dai marinai.

Tu, mio schiavo, eri allora

– Sei stato tu a raccontarmelo –

Al suo servizio. E poiché

Eri uno spirito troppo delicato

Per eseguire ordini

Così bassi e odiosi,

Quando ti rifiutasti di obbedire

Alla sua autorità, lei,

Con l’aiuto dei suoi ministri più potenti

E in preda a implacabile furia,

Ti confinò nella spaccatura di un pino.

E in questa morsa dolorosamente

Rimanesti imprigionato una dozzina d’anni.

Nel frattempo lei moriva,

Lasciandoti là dentro –

Dove tu urlavi lamenti

Rapidi come pale di mulino.

Quest’isola, allora –

All’infuori del figlio

Che lei depose sullo strame,

Un nato di strega tutto una macchia –

Non era onorata

Da alcuna forma umana.

ARIEL

Sì, suo figlio Caliban.

PROSPERO

Appunto, stupido! Sto parlando di lui,

Di quel Caliban che è ora al mio servizio.

Tu sai bene in quale tormento ti trovai.

I tuoi lamenti facevano piangere i lupi

E penetravano il petto

Degli orsi sempre irosi. Era una pena

Da infliggere ai dannati e che Sycorax

Non poteva più revocare.

Quando arrivai qui e ti udii,

Fu la mia Arte che fece spalancare

La bocca del pino

E ti permise di uscire.

ARIEL

Grazie, padrone.

PROSPERO

Se mai ti provi a brontolare ancora

Spacco una quercia e ti rinserro

Nelle sue viscere nodose

A urlare per altri dodici inverni.

ARIEL

Perdono, padrone.

Ubbidirò agli ordini e prometto

Che spiriterò da bravo.

PROSPERO

Fa così, e fra due giorni

Sarai libero.

ARIEL

Viva, mio nobile padrone!

E cosa devo fare? Dimmi,

Cosa devo fare?

PROSPERO

Diventa una Ninfa del mare: visibile

Solo a te stesso e a me, invisibile

A ogni altra pupilla.

Va, rivesti questa forma

E torna qui.

Lavora presto e bene. Esce (Ariel).

Svegliati, cuore mio, svegliati!

Hai dormito profondo. Sveglia.

MIRANDA

La stranezza del vostro racconto

Mi ha dato sonnolenza.

PROSPERO

Su, scuotila via. Andiamo da Caliban,

Il mio schiavo,

Che non ci dà mai una risposta civile.

MIRANDA

È un selvaggio, padre, e non voglio vederlo.

PROSPERO

Sia come sia, non possiamo farne a meno.

Ci accende il fuoco, ci procura la legna

E fa cose che ci arrecano profitto. Ehi, tu, schiavo!

Caliban, tu, fango, parla!

CALIBAN (Dall’interno)

La legna basta, dentro.

PROSPERO

Vieni fuori, dico!

C’è altro lavoro per te.

Ti muovi, tartaruga? E allora?

Rientra Ariel in forma di Ninfa marina.

Magnifica entrata!

Mio geniale Ariel,

Una parola all’orecchio.

ARIEL

Sarà fatto, signore. (Esce)

PROSPERO

E tu, schiavo velenoso, generato dal demonio

In coppia con tua madre scellerata,

Fuori immediatamente!

Entra Caliban.

CALIBAN

Addosso a tutti e due cadano gocce

Di brina maligna come quella

Che mia madre da una palude marcia

Con penna di corvo raccoglieva!

Che un vento di scirocco possa soffiare su di voi

E riempirvi di piaghe!

PROSPERO

Per questo, ti assicuro, stanotte

Avrai crampi e fitte nei fianchi

Da toglierti il fiato. Spiriti malvagi

In forma di porcospini verranno

Nella vastità della notte a tormentarti,

Ti copriranno di buchi più fitti

Delle celle di un alveare. E ogni puntura

Sarà più dolorosa di quella delle api.

CALIBAN

Prima devo mangiare.

Quest’isola è mia. Mi venne

Da Sycorax, mia madre. E tu me l’hai presa.

Appena arrivato mi accarezzavi

E mi tenevi nel cuore,

Mi davi acqua con dentro i mirtilli

E mi insegnavi a nominare

La luce più grande e quella più piccola

Che bruciano di giorno e di notte –

Allora ti amavo, e ti mostravo

Tutte le qualità dell’isola,

Le sorgenti d’acqua dolce,

I fossi d’acqua salata,

I luoghi sterili e quelli fertili…

Maledetto me per averlo fatto!

Che tutti gli incantesimi di Sycorax,

Rospi, scarafaggi, pipistrelli,

Vi cadano addosso! Perché ora

Io sono tutti i sudditi che avete,

Io che prima ero il mio proprio Re.

E voi mi stipate

In questa dura roccia.

Da tutto il resto dell’isola

Mi avete escluso.

PROSPERO

Tu, schiavo bugiardo,

Che solo la frusta commuove,

Mai la dolcezza!

Io ti ho trattato, letame che sei,

Con cura umana. Ti ho dato una casa

Nella mia stessa grotta

Finché un giorno hai tentato di violare

L’onore di mia figlia!

CALIBAN

Oh! Magari l’avessi fatto.

Tu me l’hai impedito,

Avrei popolato quest’isola

Di tanti Calibani.

MIRANDA

Odioso schiavo, su cui nessuna

Impronta di bontà potrà fermarsi:

Solamente di male sei capace.

lo ho avuto pietà di te.

Mi sono sforzata di farti parlare

E ogni ora ti insegnavo

Una cosa o l’altra.

Quando tu, selvaggio,

Non conoscevi ciò che pensavi

Ma balbettavi come un bruto,

Io ho dato alle tue intenzioni

Parole che te le fecero conoscere.

Ma la tua razza abbietta, anche se imparavi,

Aveva in sé qualcosa che le nature buone

Non possono tollerare. E perciò giustamente

Sei stato confinato in questa roccia,

Tu che meritavi assai più di una prigione.

CALIBAN

Mi avete insegnato

A parlare come voi: e quel che ho guadagnato

È questo: ora so maledire.

Vi roda la peste rossa

Per avermi insegnato la vostra lingua!

PROSPERO

Via di qui, figlio di strega!

Portaci legna da ardere e fa presto.

Ti aspetta altro lavoro.

Scrolli le spalle, canaglia?

Se trascuri

O fai malvolentieri

Ciò che ti ordino

Ti tormenterò coi crampi dei vecchi,

Riempirò tutte le tue ossa di dolori,

Ti farò urlare in modo tale

Che alle tue grida

Tremeranno le belve.

CALIBAN

Ti prego, no.

(A parte) Devo ubbidire: la sua Arte

E così potente da piegare Setebos,

E dio di mia madre,

E farne un suo vassallo.

PROSPERO

Bene, schiavo! Via di qui!

Esce Caliban.

Rientra Ariel, invisibile, suonando e cantando. Lo segue Ferdinando.

Canto di Ariel.

Su queste sabbie dorate

         Danzate

         E le mani intrecciate.

         Dopo un bacio

         E un inchino

         Ecco calmate

         Le acque infuriate.

         Leggeri

         I piedi posate

         E cantate,

         Dolci spiriti,

         Il ritornello: dai, dai!

Ritornello   Bau, bau.

ARIEL

I cani da guardia,

         Abbaiano.

Ritornello   Bau, bau!

ARIEL

Dai, dai! E adesso

         Sento il gallo

         Cantare a squarciagola

         Chicchirichì.

Ritornello   Chicchirichì.

FERDINANDO

Dove può essere questa musica?

Nell’aria o sulla terra?

Non suona più: certo è al seguito

Di qualche nume dell’isola.

Seduto su una riva

Mentre piangevo ancora il naufragio

Del Re mio padre

Questa musica mi strisciò accanto sulle acque

Placando la loro furia e la mia angoscia

Con la sua dolce melodia.

L’ho seguita, o, piuttosto,

Mi ha trascinato qui. Ma è svanita.

Ecco, no, ricomincia.

Canto di Ariel

ARIEL

A cinque tese sott’acqua

         Tuo padre giace.

         Già corallo

         Son le sue ossa

         Ed i suoi occhi

         Perle.

         Tutto ciò che di lui

         Deve perire

         Subisce una metamorfosi marina

         In qualche cosa

         Di ricco e di strano.

         Ad ogni ora

         Le ninfe del mare

         Una campana

         Fanno rintoccare.

Ritornello   Din-don!

ARIEL

Ecco, la sento: Din! Don!

FERDINANDO

La canzone ricorda mio padre annegato.

No, non è cosa umana, né suono

Che possiede la terra.

Ora lo sento sopra di me.

PROSPERO

Spalanca il frangiato

Sipario dei tuoi occhi e dimmi

Cosa vedi laggiù.

MIRANDA

Che cos’è, uno spirito?

Mio Dio, come si guarda intorno!

Che splendida figura, padre.

Ma è uno spirito.

PROSPERO

No, piccola. Mangia e dorme

E ha gli stessi sensi che abbiamo noi,

Proprio gli stessi.

Il giovane che tu vedi

È scampato al naufragio

E se non fosse stato appena toccato

Dal dolore (cancro della bellezza)

Potresti dire che è un bell’uomo.

Ha perso i suoi compagni

E vaga in giro per ritrovarli.

MIRANDA

Io dico che è una cosa divina

Perché mai in natura ho visto

Nulla di più perfetto.

PROSPERO (a parte)

Tutto procede

Come l’animo mio suggerisce.

Spirito, gentile spirito,

Due giorni ancora

E ti libererò, per questo.

FERDINANDO

Tu sei certo la dea,

Che queste note accompagnano.

Ti prego, dimmi

Se quest’isola è la tua dimora

E insegnami

Come posso viverci anch’io.

Ma la mia prima e ultima domanda, è:

O meraviglia,

Sei tu fanciulla o no?

MIRANDA

Meraviglia no, signore,

Fanciulla sì, certamente.

FERDINANDO

La mia lingua! Cielo!

Sarei il primo tra coloro

Che parlano questa lingua

Se mi trovassi là dove è parlata.

PROSPERO

Come? Il primo?

Cosa saresti se ti sentisse

Il Re di Napoli?

FERDINANDO

Quello che sono,

Un uomo come gli altri, e solo,

Che si stupisce

Di sentirti parlare di Napoli.

Il Re mi ascolta

E proprio per questo io piango:

Napoli sono io,

Che con questi occhi,

Mai da allora asciutti,

Ho visto il Re mio padre naufragare.

MIRANDA

Oh no! Per pietà!

FERDINANDO

Sì, in fede mia, con tutta la sua corte

E, fra gli altri, il Duca di Milano

Col suo nobile figlio.

PROSPERO (a parte)

Il Duca di Milano

E la sua ancor più nobile figlia

Potrebbero smentirti,

Se fosse il caso.

Si sono scambiati gli occhi

Al primo sguardo.

Mio delicato Ariel,

Sarai libero, per questo.

(A Ferdinando) Una parola, signore.

Temo che ci sia un equivoco.

Una parola.

MIRANDA

Perché mio padre parla

In modo così scortese?

È il terzo uomo che vedo

Il primo per il quale sospiro.

La pietà lo induca

A farmi seguire il mio destino.

FERDINANDO

Se sei vergine,

E se il tuo affetto non si posa altrove,

Ti farò Regina di Napoli.

PROSPERO

Calma, signore. Ancora una parola.

(A parte) Sono l’una dell’altro.

Ma corrono un po’ troppo

E devo ostacolarli.

Una vittoria troppo facile

Toglie valore al premio.

(A Ferdinando) Ancora una parola.

Ti ordino di ascoltarmi:

Tu qui usurpi

Il titolo che non hai

E sei sbarcato su quest’isola

Da spia, per sottrarla a me,

Suo signore.

FERDINANDO

No, come è vero che sono un uomo.

MIRANDA

In un simile tempio

Non può albergare nulla di male!

E se lo spirito del male

Avesse una dimora così bella

Le creature del bene farebbero a gara

Per abitare con lui.

PROSPERO

Seguimi. E tu non parlare

A sua difesa: è un traditore.

Vieni. Ti legherò il collo e i piedi

Berrai acqua di mare –

Il tuo cibo saranno molluschi d’acqua dolce,

Radici secche e i gusci

Dove si cullano le ghiande. Seguimi.

FERDINANDO

No. Lotterò

Contro questa violenza

Fino a che il mio nemico

Non si dimostrerà il più forte!

Estrae la spada ma un incantesimo lo immobilizza.

MIRANDA

Caro padre, attento a giudicarlo

Così sommariamente – è un cavaliere,

E non ha paura.

PROSPERO

Dico! Il mio piede

Mi fa da tutore?

E tu, spia, rinfodera la spada!

Fingi di colpire ma non osi.

La sua coscienza è posseduta dalla colpa.

Abbassa la guardia.

Con questa verga

Ti posso disarmare quando voglio

E farti cadere l’arnese.

MIRANDA

Vi scongiuro, padre!

PROSPERO

Via di qui!

Non aggrapparti alle mie vesti.

MIRANDA

Pietà, signore. Garantisco per lui.

PROSPERO

Silenzio! Un’altra parola

E avrai la mia collera

Se non il mio odio. Ma come!

Fai l’avvocato di un impostore? Basta!

Tu credi che non ci siano

Altre forme oltre la sua

Perché hai visto soltanto

Caliban e lui: sciocca!

In confronto a tanti uomini

Lui è un Caliban

E angeli gli altri.

MIRANDA

I miei sentimenti, allora,

Sono i più umili: non ambisco vedere

Un uomo più bello.

PROSPERO

Su, ubbidisci: i tuoi muscoli

Sono tornati all’infanzia

E non hanno più forza.

FERDINANDO

È così.

Il mio vigore, come in un sogno,

È, tutto inceppato. Eppure

La perdita di mio padre

La spossatezza che sento

Il naufragio di tutti i miei amici

Le minacce di quest’uomo

Che mi tiene prigioniero,

Sarebbero cose lievi

Se dalla mia prigione

Potessi, una volta al giorno,

Contemplare questa fanciulla:

Gli uomini liberi

Usino pure tutti gli angoli della terra –

In una prigione come questa

Io ho abbastanza mondo.

PROSPERO (a parte)

Funziona.

(A Ferdinando) Avanti, tu!

(ad Ariel) Hai lavorato bene, mio finissimo Ariel!

Seguimi. Ascolta

Ciò che devi ancora fare per me.

MIRANDA

Coraggio. Mio padre è migliore

Delle sue parole. Ciò che ha detto

È inconsueto, in lui.

PROSPERO

Sarai libero

Come i venti di montagna: ma prima

Esegui i miei ordini

Esattamente.

ARIEL

Parola per parola.

PROSPERO

Avanti, seguimi! E tu non difenderlo. Escono.

La tempesta
(“The tempest” – 1611-1612)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

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