(“Merry Wives of Windsor” 1599 – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano Evans e il Semplice.
EVANS
Io pregoti ora, caro famiglio di mastro Slender, e di nome mio amico Semplice, da che parte hai guardato per codesto messere Caio, che si dice Dottore in Medicina?
SEMPLICE
Per la messa, signore, dalla parte del Piccolo Parco, dalla parte del Grande Parco, da tutte le parti: dalla parte di Windsor vecchia e da ogni parte salvo da quella di città.
EVANS
Io desidero molto ardentemente che tu guardi pure da quella parte.
SEMPLICE
Ora lo fò, messere. [Va a parte.]
EVANS
Penedetta l’anima mia, come son pieno di collere, come palpetto per l’emozione! Sarò lieto se m’ha fregato. E quante melancolie! Io gli vo’ sbattere i sua pitali sulla cucuzza di malandrino, appena vedo la buona occasione per sto lavoro. Penedetta l’anima mia!
[Canticchia.]
A’ ruscelletti alle cui cascate
pennuti canori fan serenate;
là ci faremo pei letti di rose,
e pen mille mazzetti odorosi.
A’ ruscelletti…
Che Iddio mi perdoni! Ho gran voglie di piancere.
[Canticchia.]
Pennuti canori fan serenate –
Quando che l’ero in Babilonia –
e poi mille mazzetti odorosi.
Ai ruscelletti ecc.
SEMPLICE
Eccolo lì che viene da questa parte, don Ugo!
EVANS
Beh s’accomodi pure…
[Canticchia.]
Ai ruscelletti alle cui cascate…
Iddio protegga i giusti! – Che armi è lui?
SEMPLICE
Niente armi, messere. Ecco lì il mio padrone, e mastro Shallow con un altro messere. Dalla parte di Frogmore, e vengono qua saltando la staccionata.
EVANS
Pregoti, passami la sottana, o sennò tientila in braccio.
Entrano Page, Shallow e Slender.
SHALLOW
Allora, messere il curato? Buondì, don Ughetto. Togliere i dadi al giocatore, e il suo libro a un buon lettore, è una cosa da fare stupore.
SLENDER
Ah, la dolce Annetta!
PAGE
Salute a voi, don Ughetto.
EVANS
Penedetti per Sua mercé, tutti quanti voialtri.
SHALLOW
Ma che domine, Verbo e Stocco? Li studiate ambedue messer curato?
PAGE
E poi come un giovinotto, in farsetto e braghe in una giornata così cruda e reumatica?
EVANS
Ci son motivi e cagioni di ciò.
page Noi siamo venuti a cercarvi per fare una buona azione, messer curato.
EVANS Pravissimi. Cosa è?
PAGE
C’è un gentiluomo laggiù, uno molto onorato, che per avere aùto forse un torto da qualcheduno, si trova più in urto che mai con la propria pazienza e gravità.
SHALLOW
Sòrbole ho ben vissuto anni ottanta e passa, e non ho mai sentito d’un uomo della sua qualità, coltura e gravità, che tanto si stacchi dal suo proprio decoro.
EVANS
Chi è costui?
PAGE
Io penso lo cognoscete: è messer Caio, celebre mastro medico francioso.
EVANS
Dio onnipotente e strazio del cuor mio per la Sua passione! Tanto valeva dirmi d’una scodella di pappa.
PAGE
Ma perché mai?
EVANS
Lui conosce men d’una pappa il sua Ibocrate e sua Galeno, e per giunta è un malandrino, un pappone codardo che più codardo non se ne truova.
PAGE
Oe, scommetto che è proprio lui che si doveva scontrar col dottore.
SLENDER
Ah, la dolce Annetta!
SHALLOW
Pare così dal suo armamento. Teneteli scompagnati ché qua giugne il dottore Caio.
Entrano l’oste, Caio [e Rugby.]
PAGE
Suvvia, messer curato, rinfoderate la durlindana.
SHALLOW
E voi fatelo pure, caro dottore mio.
OSTE
Disarmateli, sù, che s’azzuffino solo a parole. Tengano sane le membra, e macellino il nostro inglese.
CAIO
Prego farmi parlare un motto con l’orecchia di voi. Perché mai non volere incontrare uh-me?
EVANS [A parte a Caio]
Pregovi, usate pazienza. [Forte.] Alfine ci siete!
CAIO
Vacca boia, voi siete il codardo; il bastardo; il Giannino babuino.
EVANS [A parte a Caio]
Ve ne prego, non diventiamo zimbelli per gli umori degli altri. Io vi vorrei amico e in un modo o nell’altro mi farò perdonare. [Forte.] Io vi spacco il pitale sulla cucuzza di giullare!
CAIO
Diable! Coso Rugby, oste mio della Cartella, non ho forse aspettare lui per fare di lui polpette? Non ho forse aspettare lui al luogo che avevo fissato?
EVANS
Ma quant’è vero che sono puon cristiano, ora sentite qua, qua è il luogo fissato! Lo può testimonianza l’oste mio della Carrettiera.
OSTE
Statevi cheti, dico! Galles e Gallia, francioso e galloso, salvalanime e campacarni.
CAIO
Uh, cotesta l’è buona, eccelante.
OSTE
State cheti vi dico. State a sentire l’oste vostro della Giarrettiera. Sono un furbone io? Sono un sagace? Sono forse un Machiavello? Dovrò perdere il mio dottore? No, l’è lui che mi dà pozioni e mozioni. Dovrò perdere il mio pievano? Il mio pastore? Il mio don Ughetto? No, l’è lui che mi dà prieghi e dinieghi. Qua la mano, mondano, sù. Qua la tua mano, ultramondano. Ragazzuoli di mente fina, io v’ho uccellati ambedue: v’ho spediti ai posti sbagliati. Or son possenti i vostri cuori, le vostre pellacce sono sane, e tutto finisca in decotto di vin di Spagna. Sù, portate al monte de’ pegni i loro acciari. Seguite me, bambocci di pace; seguite, seguite, seguite. Esce.
SHALLOW
Affogaggine, un oste matto. Appresso di lui, messeri, appresso.
SLENDER
Oh, la mia dolce Annetta!
[Escono Shallow, Slender e Page.]
CAIO
Uh, alfine capisco ciòS Avete pigliato per fessi noi, ah, ah?
EVANS
Peh, fa pene così: ha fatto di noi i corbelli suoi. Io vi desidero d’essere amici. E ora mettiamo le crape assieme, onde essere vendetta di quel tignoso rognoso furpone di compagnone, l’oste nostro della Cartiera.
CAIO
Porca vacca, con tutto il cuore. Lui promettere me portare dove stare l’Annetta Paggio. Vacca, me puranco uccellare.
EVANS
Pene, gli spacco le curatelle. Prego seguire. [Escono.]
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entra] madonna Page [seguendo] Robin.
MADONNA PAGE
Ma no, non fermarti, cavalierino; una volta chiudevi la marcia, ora tu fai da battistrada. Quale delle dua cose tu ami di più, guidare i miei occhi o adocchiare i talloni del principale?
ROBIN
Ostia, preferisco andarvi davanti da uomo, che seguir lui da nano.
MADONNA PAGE
Ah piccolo adulatore! Ora lo vedo, farai il cortegiano.
[Entra Ford.]
FORD
Madonna Page, bene incontrata. Dove ve n’andate?
MADONNA PAGE
Veramente, compare, a veder vostra moglie. Trovasi in casa?
FORD
Certo, ed è così sola che quasi si muore per difetto di compagnia. Io credo che se i vostri mariti fussero morti, vi sposereste voialtre dua.
MADONNA PAGE
Ih, potete starne sicuro – con altri duo mariti.
FORD
E dove l’avete preso sto bel galletto da banderuola?
MADONNA PAGE
Io non ricordo mai come domine vien chiamato quello da cui mio marito l’ha aùto. Birba, come si ciama il cavalier tuo padrone?
ROBIN
Ser John Falstaff.
FORD
Ser John Falstaff?
MADONNA PAGE
Esatto, proprio lui; io non so mai azzeccare quel nome. Mio marito ha montata una tal comunella con costui! Allora è in casa la vostra moglie?
FORD
È in casa, è in casa.
MADONNA PAGE
Con vostra licenza compare. Io sto in ponte finché non la vedo. [Escono madonna Page e Robin.]
FORD
Ma dove tiene il cervello Page? Gli occhi ce l’ha? Gli funziona la zucca? Di sicuro gli stanno a sonniferare: certo che uso non ne fa. Ma corpo di Bacco, questo moccioso ti fionda una lettera a venti miglia come un cannon che tiri a raso a duecento passi. Lui t’allunga le propensioni della sua mogliera. Lui ti stuzzica e favorisce la sua furbacchioneria: e adesso costei se ne va da mogliama, e con lei il bamboccio di Falstaff. Ma chiunque la sentirebbe codesta acquata cantar nel vento. E con lei il galoppino di Falstaff! Che lacciuoli magnifici! Belli e messi in atto; e le nostre mogli fellone se ne vanno assieme al ninferno. Ma cribbio io lo piglio in castagna, appoi ti strazio la moglie, strappo il velo posticcio di castità da quella furbastra di monna Page, e suo marito lo svergogno in piazza come stambecco sicuro e beato; e tutti i miei cognoscenti applauriranno a ste brusche misure. [Un orologio batte l’ora.] Quest’orologio mi dà l’imbeccata, e la certezza mi ordina: a caccia! Li drento casa scoverò Falstaff. Io ne vo’ trar più lodi che sghignazzate, dacché lui è lì drento sicuro com’è sicuro che la terra è salda. Forza, io vado.
Entrano Page, Shallow, Slender, l’oste, Evans, Caio [e Rugby.]
SHALLOW, PAGE e ALTRI
Ben trovato, maestro Ford.
FORD [A parte]
Bella brigata, parola mia. [Forte.] Ho buona roba in casa, e pregovi entrare tutti da me.
SHALLOW
Mastro Ford, me dovrete scusarmi.
SLENDER
E me pure, messere: si ha l’impegno di desinare con la madonna Annetta, e non vorrei mancarlo per più grana che non so dire.
SHALLOW
S’è fatta la gran manfrina su un parentado fra l’Anna Page e questo mio nipote qui, e oggi stesso ne avremo riscontro.
SLENDER
Io spero d’avere il vostro sì, babbo Page.
PAGE
L’avete, messere Slender, io son tutto per voi. Però mia moglie, ser dottore, ella è per voi tutta quanta.
CAIO
Placido, vacca boia, e la ninfa l’è amore-a-me. Spiccia la balia mi dice sciò.
OSTE
Adagio, e dove lo mettete il nostro giovine mastro Fenton? Lui sa danzare, lui sa prillare, ha negli occhi la gioventù; lui scrive versi, lui parla a festa, ha il prefumo d’aprile e maggio. Lui vi buggera, lui la spunta, nei sua bocci è la sua vittoria.
PAGE
Non certo col mio consenso, ci potete contare. Il gentiluomo non ha un quattrino. Se la faceva con Poins e con quel Principe matto. Egli è d’un cerchio troppo elevato, egli sa troppe cose. No, non lo farà un bel nodo alle sue fortune col ditino del mio capitale; se vuol pigliarsela, doh, se la pigli così com’è. La roba mia sta al cenno del mio consenso, e il mio consenso non va in quel senso.
FORD
Io ve ne prego di cuore, qualcuno di voi venga a casa mia a desinare con me. Oltre al mangiare avrete il divertimento: vi vo’ mostrare una mostruosità. Ser dottore, voi ci dovete venire, e pure voi, mastro Page, e voi don Ughetto.
SHALLOW
Orbé, statevi bene. Avremo più spazio per far la corte in casa di mastro Page. Escono Shallow e Slender.
CAIO
Vanne a casa, John Rugby; io verrò presto.
[Esce Rugby.]
OSTE
Andate sani, cuoricini miei. Io men vò dal mio onesto cavaliere, e con lui trincherò malvasia. Esce.
FORD [A parte]
Farò prima io, sono certo, a trincare con lui alla spinetta, e lo farò ballare. Volete venire, signori?
TUTTI
Forza, andiamo a vedere sto mostro. Escono.
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entrano madonna Ford e madonna Page.
MADONNA FORD
Ehi, John! Ehi, Robert!
MADONNA PAGE
Presto, presto, è la cesta del bucato…
MADONNA FORD
Ora, ora, sta’ salda. Ehi tu, Robin, io dico!
[Entrano John e Robert con una cesta.]
MADONNA PAGE
Forza, forza, di qua.
MADONNA FORD
Lì, poggiatela lì.
MADONNA PAGE
Digli che devono fare; ma alla svelta.
MADONNA FORD
Mamma mia, ve l’ho detto: John e Robert, state pronti qui dietro nel casotto della birra, e quando vi chiamo di colpo venite fuori, e senza perdere tempo e senza esitare, caricatevi a spalla questa cesta. Ciò fatto, via con essa in tutta fretta, portatela al prato di Datchet dove fanno il candeggio, e svuotatela giù nel guazzo, lì vicino al Tamigi.
MADONNA PAGE
Oh, lo saprete fare a pennello?
MADONNA FORD
Gliel’ho spiegato le mille volte, non gli mancano le istruzioni. – Ora andate, e tornate quando vi chiamo. [Escono John e Robert.]
MADONNA PAGE
Eccolo, il piccolo Robin.
[Entra Robin.]
MADONNA FORD
Di’, falchetto, che nuove ci porti?
ROBIN
Il mio padrone Ser John è alla porta di dietro, madonna Ford, e vi vuol vedere.
MADONNA PAGE
Ehi fiascherino, non ci hai mica tradite?
ROBIN
No, ve lo giuro. Il principale non sa nulla che voi siete qua, e m’ha minacciato di mettermi in libertà senza fine se vi dico qualcosa. Giura che mi caccia via.
MADONNA PAGE
Bravo il mio giovinotto: tener la bocca chiusa ti farà da sarto, e ti darà giacchetta e calze nuove. – Io vò a nascondermi.
MADONNA FORD
Vai. – Tu va’ dal padrone e digli che sono sola. [Esce Robin.] Comare, ricordati l’imbeccata.
MADONNA PAGE
Non temere. Se non fò a puntino fischiami pure.
MADONNA FORD
E allora, via: trattiamo a dovere questo nebbiaio malsano, questo grosso popone d’acqua; gl’insegneremo a distinguere tortore e taccole. [Esce madonna Page.]
Entra Falstaff.
FALSTAFF
Alfin t’ho colto, mio celestial gioiello? Orben, ch’io schiatti ormai, ho vissuto abbastanza: questa è la cima della scalata mia. Ah, beata quest’ora!
MADONNA FORD
Dolce Ser John!
FALSTAFF
Madonna Ford, io alloppiar non saccio, ed io non so cianciar, madonna Ford. Or dirotti un disìo peccaminoso: vorrei che il tuo marito schiattasse, e lo vo’ dire innanzi al sere eccelso: io ti farei mia sposa.
MADONNA FORD
Io vostra sposa, Ser John? Ahimè, sarei una misera sposa.
FALSTAFF
Che la Corte di Francia me ne mostri l’eguale. Io vedo già il tuo occhio emulare il diamante. Tu hai il bell’arco giusto del cipiglio che s’addice a una chioma a vascello, o a vela gonfia, od a qualsiasi chioma ch’è di moda in Venezia.
MADONNA FORD
A un bel fazzolettone, cavaliere. Il mio cipiglio non s’addice ad altro, e forse manco a quello.
FALSTAFF
Sei tiranna nel dir cosìV Faresti una ninfa di corte senza pari, e il fermo incesso del tuo piè darebbe un moto stupendo al passo tuo nel semicerchio del guardinfante. Io veggio qual saresti se la Fortuna – quella nimica tua – fusse – e non la Natura – amica tua. Via, non lo puoi celare.
MADONNA FORD
Credetemi, di tutto questo in me non c’è nulla.
FALSTAFF
Cosa m’ha fatto amarti? Che ciò ti persuada che un non so che di straordinario è in te. Suvvia, non so alloppiare e dirti che tu sei cotesto e quello, come tanti di questi balbettosi bocciolini di rosa che ti vengono quali femmine in panni di maschi, e spandono prefumi come la via dell’Erbe in piena estate. Non so farlo, ma t’amo, e non altre che te; e tu lo meriti.
MADONNA FORD
Sere, non m’ingannate. Io ho paura che amiate monna Page.
FALSTAFF
Sarebbe come dire ch’io amo spasseggiarmela in fronte alla galera de’ debiti, la qual m’è odiosa come il fetore d’un forno di calcinaccia.
MADONNA FORD
Va bene, i Cieli sanno quanto v’amo, e ve ne accorgerete prima o poi.
FALSTAFF
Persevera a pensarla così: ne sarò degno.
MADONNA FORD
Sì, ma vi voglio dire, pure voi; o non la penserò sempre a quel modo.
[Entra Robin.]
ROBIN
Madonna Ford, madonna Ford! C’è monna Page sull’uscio, tutta affanni e sudori, la faccia abbaruffata, e dice che ha bisogno di parlarvi all’istante.
FALSTAFF
Non mi deve vedere. Mi ficco dietro l’arazzo.
MADONNA FORD
Ah sì, vi prego; è come una cicala.
Falstaff si caccia dietro l’arazzo.
[Entra madonna Page.]
Ma che succede? Cosa mi vuoi dire?
MADONNA PAGE
O monna Ford, che cosa avete fatto? Siete disonorata, subissata, e spacciata per sempre!
MADONNA FORD
Ma di cosa si tratta, cara comare Page?
MADONNA PAGE
Giorno proprio sfigato, monna Ford! Voi che avete una perla di marito, dargli tale cagione di sospetto!
MADONNA FORD
Quale cagione di sospetto?
MADONNA PAGE
Quale cagion di sospetto? Uh, vergognatevi! M’ero proprio sbagliata su di voi.
MADONNA FORD
Ah Madre mia, che succede?
MADONNA PAGE
Ma sta per arrivar vostro marito, mia cara, con tutti i gendarmi di Windsor! Cercano un gentiluomo che lui dice trovarsi qui, adesso, in questa casa, col vostro consenso, per profittarsi male della sua assenza. Proprio morta siete!
MADONNA FORD
Iddio non voglia!
MADONNA PAGE
Pregate Iddio che non sia vero, che tenete quest’uomo in casa! Ma che vostro marito stia per venire è certo e stracerto, per cercare costui con mezza Windsor alle calcagna. Io son corsa avanti per avvertirvi. Se vi sapete pulita, graziaddio ne sono felice. Ma se avete un amico qui, fatelo uscire, fatelo subito uscire e fuggire. Non restatemi lì imbambolata, richiamate ogni senso, difendete il vostro buon nome o addio per sempre alla bella vita.
MADONNA FORD
Che devo fare? C’è un gentiluomo qui, un mio caro amico; ed io non temo tanto la mia vergogna quanto il rischio che corre lui. Darei piuttosto le mille sterline per averlo fuori da sta casa.
MADONNA PAGE
Ma porca miseria, volete lasciarlo perdere sto “dareste” e “dareste”? Vostro marito è qui a due passi! Pensate a qualche partito per farlo fuggire; in casa non potete celarlo. Ah come m’avete delusa! Guarda, lì c’è una cesta. S’ei fusse di ragionevoli dimensioni, potrebbe ficcarcisi dentro. E sopra di lui mucchiarci panni sozzi, come andasse a bucato. Anzi, – visto che ora è tempo di candeggiare – coi vostri due famigli mandatelo a’ lavatoi.
MADONNA FORD
È troppo grosso per starci. Che posso fare?
FALSTAFF [Sbucando fuori]
Fà un po’ vedere, fà un po’ vedere, oh, fà un po’ vedere. Io mi ci ficco, io mi ci ficco. Date retta all’amica, io mi ci ficco.
MADONNA PAGE
Misericordia, Ser John Falstaff? – Son queste le vostre proteste, cavaliere?
FALSTAFF
Son cotto di te; aiutami a scappare. Aspetta che mi ci ficco. Ma guarda un po’…
Si ficca nella cesta; lo coprono co’ panni sporchi.
MADONNA PAGE
Naccherino, aiuta a coprire il tuo padrone. – Monna Ford, chiamate i vostri famigli. – Tu, cavalier buggerone!
MADONNA FORD
John, venite! Robert! John!
[Entrano John e Robert.]
Qua, togliete sù questi panni, svelti. La pertica dove sta? E ché, barcollon barcolloni? Portateli a’ lavatoi ai prati di Datchet. Sbrigatevi, andate.
[Entrano Ford, Page, Caio ed Evans.]
FORD
Entrate vi prego: se il sospetto è senza cagione, pigliatevi pure spasso di me, pigliatemi allora per fesso, ché l’ho meritato. – Oibò, questo che è, dove portate sta roba?
JOHN
Al lavatoio, perdina.
MADONNA FORD
Ma dico, che t’impicci dove la portano? Ci manca che metti il becco pure nel mio bucato.
FORD
Becco! Ah se potessi anch’io mandare il becco al bucato! Becco, becco, becco! Ma sicuro, becco. Becco, parola mia. E l’è pur tempo di foia, lo si vedrà! [Escono John, Robert e Robin con la cesta.] Signori, stanotte ho fatto un sogno. Vi dirò che cosa ho sognato. Qua, qua, ecco le chiavi. Salite nelle mie stanze: cercate, frugate, scovate. Staneremo la volpe, vi giuro. Ma prima gli tappo la via d’uscita. [Chiude la porta a chiave.] Là! E ora la scappucciata!
PAGE
Amico mio, lasciate andare. Vi state facendo troppo torto.
FORD
Proprio così, compare Page. – Andiamo di sopra, signori, ora comincia lo spasso. Seguitemi, signori. [Esce.]
EVANS
Ah questi l’è propio umori strafaganti e gelosie!
CAIO
Vacca, non essere moda di Francia; non è mica geloso in Francia.
PAGE
Ebbene, amici, seguiamolo. Vediamo come va a finire la caccia. [Escono Page, Caio ed Evans.]
MADONNA PAGE
Oh, non s’è fatte a una volta sola due magnifiche burle?
MADONNA FORD
Io non so proprio che mi diverta di più, uccellar mio marito o uccellare Ser John.
MADONNA PAGE
E che strizza s’è preso, quando tuo marito ha chiesto che c’era dentro la cesta!
MADONNA FORD
Ho una mezza idea che avrà bisogno d’un bagno – e così buttarlo nell’acqua gli farà bene.
MADONNA PAGE
Alle forche, canchero sporcaccione! Vorrei che tutta la razza si ritrovasse in codesti lecceti.
MADONNA FORD
Io credo che mio marito ha qualche sospetto speciale che Falstaff fusse davvero qui, ch’io sinora non l’ho mai visto così infardato di gelosia.
MADONNA PAGE
Io ora t’invento qualcosa per appurarlo, e intanto faremo altre beffe a Falstaff; non basterà un’abluzione al suo male di foia.
MADONNA FORD
E se gli rimandassimo quella grulla baldracca, la monna Spiccia? Con qualche bella scusa per averlo versato in acqua, e per dargli un’altra speranza, che l’abbindoli a un altro castigo?
MADONNA PAGE
Sì, faremo così: lo mandiamo a chiamare per le otto di crai, per avere le nostre scuse.
[Rientrano Ford, Page, Caio ed Evans.]
FORD
Non lo trovo. Forse quell’animale s’è vantato di ciò che non ha possuto fare.
MADONNA PAGE [A parte a madonna Ford]
Hai sentito?
MADONNA FORD
Bel modo di trattarmi, messer Ford, non vi pare?
FORD
Sì, mi pare.
MADONNA FORD
Il Cielo vi renda migliore dei vostri pensieri!
FORD
Amen!
MADONNA PAGE
Vi fate un grandissimo torto, compare Ford.
FORD
Dite, dite, ch’io l’ho meritato.
EVANS
Se c’è qualcuno porghese nella casa, e nelle camere, e nelle casse, e nei cassettoni, che Domineddio mi perdoni nella ciornata del Giudizio!
CAIO
Vacca, e io non più: non c’è nissuni.
PAGE
Andiamo, andiamo, compare Ford, ma non vi vergognate? Quale spirito, quale diavolo vi suggerisce queste fantasticherie? Un’infezione di questa natura non la vorrei per tutto l’oro del castello di Windsor.
FORD
Colpa mia, messer Page. Ne patisco io.
EVANS
Voi ne patite per prutta coscienza. Vostra mogliera è donne oneste come volessimo tra cinquemila, e cinquecento per giunta.
CAIO
Vacca, io la vedo l’essere donna onesta.
FORD
Ben, v’ho promesso un pranzo. Venite, venite, facciamo due passi nel parco. Vi prego di compatirmi. Dopo vi spiego perché l’ho fatto. Venite, moglie, venite, madonna Page, vi prego di compatirmi. Ve ne prego davvero, compatitemi.
PAGE
Andiamo dunque, signori – [A parte.] Ma certo lo sfotteremo. – Io v’invito doman mattina a casa mia a colazione; e doppo andremo assieme ad uccellare – ho un gran bel falco per il cespuglio. L’è inteso così?
FORD
Tutto quel che volete voi.
EVANS
Se viene uno, con me saranno due.
CAIO
Se esserci uno o due, sarò-ah lo sterco.
FORD
Andiamo compare Page. [Esce con Page.]
EVANS
Pregovi ora, ricordanza domanimmatina per quel masnadiero pidocchioso dell’oste.
CAIO
Ciò è bene, porca vacca; con tutto il mio cuore!
EVANS
Pestione pidocchioso, con sue peffe e sue paie!
Escono.
ATTO TERZO – SCENA QUARTA
Entrano Fenton e Anna Page.
FENTON
Vedo che non so avere l’affetto di tuo padre;
perciò non mandarmi più da lui, Nannina mia.
ANNA
Ahimè, e allora?
FENTON
Ebbene, sii te stessa.
Egli m’obbietta ch’io son troppo nobile,
e che avendo spillato, con le mie spese,
tutto il mio capitale, ora m’industrio
soltanto a rappezzarlo con la ricchezza sua.
Ed oltre a questo, oppone altre barriere –
le mie pazzie trascorse, le compagnie selvagge –
e mi dice che l’è cosa impossibile
ch’io ami te, se non per ciò che hai.
ANNA
Forse ti dice il vero.
FENTON
No, che Iddio m’aiuti per il tempo avvenire!
Sebbene, io lo confesso, la roba di tuo padre
fu la mia prima spinta, Annetta, a corteggiarti,
poi, nel farti la corte, io t’ho trovata
di più valore assai che pezzi in oro
o le somme d’argento nei sacchi sigillati;
è la ricchezza che tu sei, ch’io voglio
arraffarmi ora.
ANNA
Mio gentil signore,
sforzati ancora a ricercar l’affetto
di mio padre; ripròvaci, mio caro.
Se poi gli sforzi, se la più sommessa
istanza non l’ottiene, ebbene, allora…
Ma vien di qui, c’è gente! [Parlano a parte.]
[Entrano Shallow, Slender e monna Spiccia.]
SHALLOW
Madonna Spiccia, tagliate quei conversari. Mio nipote ha la lingua e vuole usarla.
SLENDER
Ci vo’ provare, o azzecco il centro o spacco. Occhio d’Iddio, ci vò giusto per prova.
SHALLOW
Oh ma non farti terrorizzare ora.
SLENDER
Ma che tu dici, da lei? Io me ne fotto, però mi fa paura.
MONNA SPICCIA [Ad Anna]
Sentite qua, c’è mastro Slender che vuol dirvi qualcosa.
ANNA
Vengo. [A parte.] Costui è l’eletto di mio padre.
Ah che mucchio di triste carenze e di sconcezze
può apparir bello con trecento all’anno!
MONNA SPICCIA
E come vive il signorino Fenton? Una parola con voi, di grazia.
SHALLOW [A Slender]
Eccola, arriva. Nipote mio, coraggio! Ah figliolo, tu avesti pure un padre!
SLENDER
Io ebbi un padre, signorina Annetta; mio zio qua può narrarvene delle belle. Zio, ti prego, racconta alla signorina Annetta di quella volta che il babbo rubò dua oche in un pollaio. Ti prego, zietto.
SHALLOW
Madonna Annetta, mio nipote vi ama.
SLENDER
Sòrbole! Più che femmina alcuna in contea.
SHALLOW
Egli vi manterrà come una vera signora.
SLENDER
L’è certo, meglio di chiunque, culo liscio o coda lunga, nel rango di scudiere si capisce.
SHALLOW
La controdote sarà di centocinquanta sterline.
ANNA
Buon mastro Shallow, via, lasciatelo far da sé.
SHALLOW
Per la Madosca, grazie, grazie per l’incoraggiamento. Ella ti vuol sentire, nipote. Vi lascio soli.
ANNA
Allora, mastro Slender.
SLENDER
Allora, madonna Annetta.
ANNA
Quali sono le vostre volontà?
SLENDER
Le mie volontà? Uh potta di Puccio! Questa l’è spiritosa davvero! Io non le ho ancora scritte le mie volontà, graziaddomine: ch’io non son creatura così acciaccata, Domineddio lodato.
ANNA
Mastro Slender, volevo dire, cos’è che volete da me?
SLENDER
Francamente, per conto mio, io vorrei da voi poco o nulla. Vostro padre e mio zio, sono loro che han fatto mosse. Se l’è la mia sorte, bene; e sennò, auguri a chi tocca! Come vanno le cose, possono dirvelo loro meglio di me. Lo potete chiedere a vostro padre: eccolo qua.
[Entrano Page e madonna Page.]
PAGE
Allora, mastro Slender: amalo, figlia mia. –
Ma dico, dico, che fa qui mastro Fenton?
A bazzicarmi per casa mi fate torto, signore.
Io già lo dissi a vossìa, la figlia l’ho sistemata.
FENTON
Via, mastro Page, non siate così impaziente.
MADONNA PAGE
Siate buono, signore, non state di torno a mia figlia.
PAGE
Non è partito per voi.
FENTON
Volete ascoltarmi, signore?
PAGE
No, caro mastro Fenton.
Entrate, compare Shallow. Venite, figliolo, entrate.
Sapendo come la penso mi fate torto, signore.
[Escono Page, Shallow e Slender.]
MONNA SPICCIA
Sù, parlate a madonna Page.
FENTON
Buona madonna Page, io amo vostra figlia
in modo onesto, e allora l’è per forza
che contro a tanti ostacoli, ripulse, scortesie,
debbo alzar la bandiera del mio amore
senza ritrarmi. Datemi il vostro assenso.
ANNA
Cara mamma, non darmi a quell’idiota.
MADONNA PAGE
Non ci penso nemmanco. È mia intenzione
cercarti uno sposo migliore.
MONNA SPICCIA [A parte]
Il che vuol dire
il mio padrone, il mastro dottor Caio.
ANNA
Povera me! È meglio piantarmi viva in terra
e bombardarmi a morte con le rape!
MADONNA PAGE
Via, non darti pena. Mastro Fenton,
non vi sarò né amica né nemica.
Vo’ sentir da mia figlia quanto vi vuole bene,
e appoi farò secondo come la trovo.
Per ora, signor mio, statevi bene:
deve tornare in casa; ché altrimenti
suo padre mi si arrabbia.
FENTON
Addio, gentile signora. Addio, Nannina.
[Escono madonna Page e Anna.]
MONNA SPICCIA
L’è tutto merito mio, vah. “Ma come”, ho detto, “volete buttare la figlia vostra a un deficiente, e ad un aggiustaossa? Ma date un’occhiata a mastro Fenton!” Merito mio.
FENTON
Grazie; e ti prego, stasera trova il modo
di dare quest’anello alla mia dolce Annetta.
Questo è per il disturbo.
MONNA SPICCIA
Iddio ti mandi la buona sorte ora! [Esce Fenton.] Che buon cuore che ha: una donna traverserebbe fuoco e acqua per un cuore così. Pure, io vorrìa che l’Annetta l’avesse il mio padrone; sennò vorrìa che l’avesse mastro Slender; oppure, perché no, che l’avesse mastro Fenton. Io farò quel ch’io posso per tutti e tre, perché così ho promesso, e vo’ mantenere parola, ma speciosamente sto con mastro Fenton. Bene, ora ho da fare quest’altra ambasciata a Ser John Falstaff, da parte delle mie due signore; ma che bestia che sono a pigliarmela fresca! Esce.
ATTO TERZO – SCENA QUINTA
Entra Falstaff.
FALSTAFF
Bardolph, dico!
[Entra Bardolph.]
BARDOLPH
Comandi, signore.
FALSTAFF
Vammi a prendere un quarto di bianco; e dentro un crostone caldo. [Esce Bardolph.] Avrò vissuto tanto per farmi menare in un corbello, come una carrettata di carnaccia di beccarìa, da scaricare in Tamigi? Beh, se m’addossano un’altra di ste uccellate, io mi faccio cavare e imburrare le cerevella, e le butto a un cane per strenna di capo d’anno. Quei manigoldi m’han versato in fiume con lo istesso rimorso che se affogassero la cucciolata d’una cagna cieca, quindici per figliata; e la mia stazza vi dice chiaro che ad affondare io ci metto una certa alacrità. Fusse il fondale più fondo ch’el Tartaro, io vò giù e lo tocco. Io di certo affogavo se non era che il litorale l’era bassotto e declinoso – una morte che aborro; poiché l’acqua ti gonfia l’uomo. E ve l’immaginate, la cosa ch’io fossi stato, quando che fussi gonfio! Io sarei stato una montagna di mummia.
[Entra Bardolph col vino.]
BARDOLPH
Qua c’è madonna Spiccia, sere, che vuole parlare con voi.
FALSTAFF
Dammi, ch’io versi del bianco sull’acqua del Tamigi: ho la pancia gelata, come s’avessi ingollato balle di neve quale suzzacchera per emollir le reni. Falla entrare.
BARDOLPH
Donna, entrate!
Entra monna Spiccia.
MONNA SPICCIA
Con vostra licenza. Vi chiedo mercé. Buona giornata a vossignoria.
FALSTAFF
Porta via questi calici. Sù da bravo, vammi a scaldare una brocca di vin di Spagna.
BARDOLPH
Con le uova, messere?
FALSTAFF
Semplice Spagna e basta. Niente sperma di pollo nel mio beveraggio. [Esce Bardolph.] Allora?
MONNA SPICCIA
O bella Madre, signore, io vengo a vossìa da parte di madonna Ford.
FALSTAFF
Madonna Ford! Di fiordi io sono ristucco. M’hanno versato nel fiordo. Ho il ventre farcito di fiordo.
MONNA SPICCIA
Malnaggia che non ne ha colpa, povero cuore d’oro! L’è tanto furiosa co’ sua famigli! Hanno frainteso le loro erezioni.
FALSTAFF
Ed io la mia, a voler fabbricare sulla promessa d’un cervello di gatta.
MONNA SPICCIA
Eh messere, lei si rattrista sì del fatto, che il cuore vi si rizzerebbe a vederlo. Stamattina il marito se ne va ad uccellare; lei vuole che torniate ancora una volta da lei, entro le otto e le nove. Devo portarle parola presto; lei saprà farvi ammenda, ve ne sincero io.
FALSTAFF
Ebbene, io la vò a trovare; dille così. E dille di sovvenirsi un uomo cos’è; rifletta sull’umana fralezza, e appoi giudichi del mio merito.
MONNA SPICCIA
Glielo dirò.
FALSTAFF
Brava. Tra le nove e le dieci, hai detto?
MONNA SPICCIA
Otto e nove, signore.
FALSTAFF
Bene, va’ pure. Non mancherò.
MONNA SPICCIA
La pace con voi, monsignore. Esce.
FALSTAFF
Io mi domando come mai messer Rivoletto non si fa vivo. M’ha fatto dire di starmene in casa. La sua pecunia mi è molto cara. Oh, eccolo qui.
Entra Ford in veste di Rivoletto.
FORD
Benedicite, sere.
FALSTAFF
Dunque, messer Rivoletto, venite per sapere cos’è successo tra me e la moglie di Ford?
FORD
Proprio così, ser John, sono qui per questo.
FALSTAFF
Messer Rivoletto, a voi non vendo vesciche: io fui a casa di lei all’ora da lei fissata.
FORD
E avete fatto seco, signore?
FALSTAFF
Ho fatto fiasco, messer Rivoletto.
FORD
Ma come mai, monsignore? Ha ella mutato parere?
FALSTAFF
No, messer Rivoletto, ma quel cornuto pecchione d’un suo marito, messer Rivoletto, che alberga in una perenne allerta di gelosia, m’arriva all’apice dell’abbocco, dopo ch’éramci avvinti, sbaciucchiati, giurati, e, diciamo così, dopo avere rappresentato il prologo alla commedia nostra. E ai sua calcagni un vero fottìo di sua compagnoni, lì vocati e aizzati dalla sua bile nera, nientedimanco per sgominare la casa in cerca del ganzo della mogliera.
FORD
Come, mentre eravate lì?
FALSTAFF
Mentr’ero lì.
FORD
E lui v’ha cercato senza potervi trovare?
FALSTAFF
State saldo che non è finita. Come fortuna volle, entra a un tratto una certa madonna Page; ci avverte dell’accostarsi di Ford; e appoi per sua trovata, e avendo madonna Ford perso la testa, mi trasferiscono fuori in una cesta di panni biechi…
FORD
Una cesta di panni?
FALSTAFF
Sì, una cesta di panni biechi! – mi ci stiparono drento tra camicie e sottane sudate, calze e calzini puzzolenti, tovaglioli bisunti che, messer Rivoletto, v’era il miscuglio più rivoltante di fetori schifosi che mai abbia offeso narice.
FORD
E quanto tempo ci siete restato?
FALSTAFF
Ah sentirete, messer Rivoletto, che cose mai ho sofferto per portare sta femmina al male, per il vostro bene. Mentr’ero così assettato e stivato nel cestone, una coppia di schiavi di Ford, sua scannapecore, viene evocata dalla loro padrona per traslocarmi a mò di bucato sino a’ chiassetti di Datchet; quelli mi lévano sui gropponi, e sull’uscio t’incappano in quel bisonte forsennato del loro capoccia, che gli chiede una volta o due cosa portassero nel cestone. Io tremmolavo per la fifa che a quel caprone lunatico non gli venisse in mente di frugarvi dentro; ma il destino, avendo fissato ch’ei fusse becco, gli fermò la mano. Bene, lui proseguì la sua caccia, e io me n’andai come roba sozza. Ma state saldo al seguito, messer Rivoletto: io ho patito i patemi di tre morti diverse. Prima, l’intollerabile cacarella d’essere smascherato da quel geloso impestato caprone col campanaccio; appresso, l’essere stretto come un verace stocco di Bilbao nel perimetro d’una mezzina, elsa a punta, tacco a cucuzza; e alfine l’esser tappato come un alcole forte con pannilini fetenti che fermentavano nel loro grasso – provate voi a immaginarlo – un uomo della mia stazza – pensateci un momento – che patisco il calore come una forma di burro, un omo che l’è in perenne dissoluzione e disgelo: è stato un vero miracolo se non son morto soffogato. E al colmo di questo bagno, quando l’ero più che mezzo stracotto nel grasso come uno stufato olandese, venire versato nel Tamigi e raffreddato in quei marosi, arroventato com’ero, come una scarpa di cavallo – ma pensateci un poco – tutto rovente e fischiante – pensateci un poco, messer Rivoletto!
FORD
Monsignore, in gran serietà, sono dispiaciuto che per il bene mio abbiate sofferto tutto codesto. Allora la mia intrapresa è davvero sfigata: voi non volete incignarla più?
FALSTAFF
Messer Rivoletto, io mi farò versare drento l’Etna, come lo sono stato drent’al Tamigi, prima che io la lasci così. Stamani il marito è andato ad uccellare; io ho aùto da lei un’altra imbasciata d’abboccamento. Tra le otto e le nove, questa è l’ora, messer Rivoletto.
FORD
Sono le otto passate, signore.
FALSTAFF
Così? M’affretto all’impegno allora. Voi venite a trovarmi quando meglio v’aggrada, e saprete come ho spedito; e la fine sarà coronata dal vostro farlo con lei. Adieu. Voi l’avrete, messer Rivoletto. Messer Rivoletto, voi incornicerete il Ford. Esce.
FORD
Dah! Ah! Sarà ch’io straveda? Sarà ch’io sogni? Sto io sonniferando? Messere Ford, svegliati. Sveglia, messere Ford: qua ti fanno un buco nell’abito buono, messere Ford. Ecco che cosa vuol dire avere moglie; ecco che cosa vuol dire avere panni e cestoni! Bene, io vo’ farmi conoscere per ciò che sono. Ora l’acchiappo io lo sporcaccione; è in casa mia; non mi può scappare; è impossibile che mi scappi; non può minga infilarsi tra gli spiccioli d’un borsellino, ovvero nel portapepe; però, per impedir che l’aiuti quel diavolone che gli fa strada, io frugherò nei più improbabili posti. Quel ch’io sono non posso evitarlo, ma l’essere ciò ch’io non vorrei non mi potrà ammansire. E s’io ho corna da farmi pazzo, avrò dalla mia il proverbio: incornerò come un toro pazzo. Esce.
Le allegre comari di Windsor
(“Merry Wives of Windsor” 1599 – 1601)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V