(“Macbeth” – 1605 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
DUNCAN, Re di Scozia
MALCOLM, suo figlio
DONALBAIN, suo figlio
MACBETH, Barone di Glamis, poi di Cawdor, poi Re di Scozia
BANQUO, barone scozzese
MACDUFF, barone scozzese
LENNOX, barone scozzese
ROSS, barone scozzese
MENTETH, barone scozzese
ANGUS, barone scozzese
CATHNESS, barone scozzese
FLEANCE, figlio di Banquo
SEYWARD, Conte di Northumberland
IL GIOVANE SEYWARD, suo figlio
SEYTON, scudiero di Macbeth
Un capitano
Un medico inglese
Un medico scozzese
Un portiere
Un vecchio
LADY MACBETH
LA MOGLIE DI MACDUFF
Una dama di compagnia di Lady Macbeth
Le tre sorelle del destino
Tre altre streghe
ECATE
Apparizioni
Tre sicari
Altri sicari
Nobili, gentiluomini, ufficiali, soldati
Persone dei seguiti, messaggeri
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Tuoni e lampi. Entrano tre streghe.
PRIMA STREGA
Noi tre ci rivediamo quando?
Con tuoni, pioggia, o lampi?
SECONDA STREGA
A baraonda finita,
a guerra persa e vinta.
TERZA STREGA
Prima di notte allora.
PRIMA STREGA
Dove?
SECONDA STREGA
Sopra la steppa.
TERZA STREGA
Per incontrarvi Macbeth.
PRIMA STREGA
Gattomammone, vengo!
SECONDA STREGA
Rospo chiama!
TERZA STREGA
Aspetta!
TUTTE
Brutto è il bello e bello il brutto.
Su, per la nebbia e l’aria unta.
Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Squilli di trombe all’interno.
Entrano il Re Duncan, Malcolm, Donalbain, Lennox, con il seguito, e incontrano un ufficiale insanguinato.
IL RE
Chi è quell’uomo che suda sangue?
Così conciato direi che porta
notizie fresche della rivolta.
MALCOLM
È l’ufficiale che s’è battuto da prode
per non farmi catturare. Salve,
amico valoroso! Racconta
al re ciò che sai dello scontro
quando l’hai lasciato.
UFFICIALE
Le sorti erano dubbie
come due nuotatori stremati
che l’uno s’aggrappa all’altro
e l’arte loro s’affoga.
Macdonwald lo spietato – un vero
rivoluzionario, e infatti addosso a lui
sciama l’infamia del mondo – aveva avuto
rinforzi, gente da piede e da cavallo,
dalle isole di ponente, e la sorte arrideva
alla sua causa dannata, quella puttana
d’un ribelle. Ma tutto serve a poco:
perché Macbeth, quel coraggioso – e il titolo
lo merita davvero – senza dare
un fico per la sorte, con la spada
che fumava di sangue, e quasi fosse
il ganzo della gloria, s’apre il passo
sino a quel cane, e senza dirgli né
buongiorno o buonanotte, te lo scuce
dall’ombelico alle ganasce e pianta
la testa sugli spalti.
IL RE
Cugino valoroso, e nobilissimo!
UFFICIALE
Ma è proprio quando il sole ricomincia
a raccostarsi a noi, è proprio da quel punto
che sgorgano tifoni disastrosi
per i navigli, e nubifragi orribili;
così da quella fonte dalla quale pareva
venirci del sollievo, ora trabocca
dolore. Senti, re di Scozia, sentimi!
Appena la giustizia armata di valore
forzò la pedonaglia leggera ad affidarsi
alle calcagna, il Signore Norreno
visto il punto propizio, con arnesi forbiti
e forze fresche lancia
un nuovo stormo.
IL RE
E questo non sconcerta
Banquo e Macbeth, i nostri comandanti?
UFFICIALE
Sicuro!
Come i passeri l’aquila, o il coniglio il leone.
A dire il vero parevano due colubrine
stipate a doppio scoppio,
tanto
doppiavano i colpi a coppia sul nemico.
Magari volevano farsi il bagno in quelle
ferite fetenti, o forse lasciare memoria
d’un altro Golgota, non so.
Ma svengo. Le ferite bisognano d’aiuto.
IL RE
Le parole che dici sono degne di te
come le tue ferite, queste e quelle
sanno d’onore. Presto, dei chirurghi.
Esce l’ufficiale sorretto da soldati.
Entrano Ross e Angus.
Ora chi arriva?
MALCOLM
Il nostro Barone di Ross.
LENNOX
Che fretta gli traspare dagli occhi! Si direbbe
uno che sta per dire novità strepitose.
ROSS
Dio salvi il Re!
IL RE
Da dove arrivi, nobile barone?
ROSS
Fife, gran Re,
dove i vessilli norvegesi insultano
il cielo, e soffiano gelo sui nostri. Il re norreno
in persona, con le sue orde immani
e per rincalzo un traditore ignobile,
quel Barone di Cawdor, cominciò
uno stormo pauroso.
Ma il nuovo sposo della Guerra, chiuso
nel ferro a tutta prova, gli fa sbattere il muso
contro chi sa tenergli testa, punta
contro punta ribelle, braccio contro
braccio, piegando il dèmone sfrenato,
e in breve la vittoria è nostra –
IL RE
Gioia grande!
ROSS
– sicché ora Sveno il Norvegese invoca
un armistizio, ma
non gli abbiamo permesso di seppellire i morti
finché non sborsa, all’isola di Colma,
talleri diecimila, da spartire alla gente.
IL RE
Quel barone di Cawdor non tradirà mai più
ciò che per noi è vita. Vada qualcuno, e ordini
che venga subito ucciso, e col suo titolo
salutate Macbeth.
ROSS
Lo farò io.
IL RE
Ciò che ha perduto lui, Macbeth l’ha vinto.
Escono.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Tuono. Entrano le tre streghe.
PRIMA STREGA
Dove sei stata, sorella?
SECONDA STREGA
A sterminare porci.
TERZA STREGA
E tu, sorella?
PRIMA STREGA
La moglie d’un marinaio aveva castagne
sulla pancia, e macina, macina, macina. «Da’ qua», dico.
«Via, strega!» mi strilla
quella culona rognosa.
Suo marito è andato ad Aleppo, capitano del Tigre.
Ma in un setaccio anch’io ci vo
e come un sorcio senza coda
farò, farò e farò.
SECONDA STREGA
Ti darò un vento.
PRIMA STREGA
Sei gentile.
TERZA STREGA
E un altro anch’io.
PRIMA STREGA
Tutti gli altri ce li ho io.
E anche i porti dove soffiano
e tutte le quarte che occupano
sulla rosa dei marinai.
Lo seccherò come fieno;
né notte né giorno il sonno
verrà sulle ciglia spioventi.
Vivrà come un uomo dannato.
Per nove volte nove
sette notti penose
si stremerà, smagrirà,
si affilerà.
Se la sua nave non può affondare
sarà sbattuta dai fortunali.
Guardate cos’ho!
SECONDA STREGA
Fa’ vedere!
PRIMA STREGA
Ho il pollice d’un timoniere
che naufragò nel rientrare.
Rullo di tamburo all’interno.
TERZA STREGA
Un tamburo, un tamburo!
Arriva Macbeth.
TUTTE
Le Sorelle Destinatrici,
vagabonde per terra e mare
mano in mano vanno così,
tondo tondo;
tre volte di là, tre di qua,
e per far nove ancora tre.
Zitte! La fattura c’è.
Entrano Macbeth e Banquo.
MACBETH
Mai visto un giorno così brutto e bello.
BANQUO
Quanto manca per Forres? Che son queste
cose grinzute in così sconce vesti
che non paiono gente di questa terra
eppure ci stanno sopra? Siete vive?
O siete comunque cosa
cui un uomo può fare domande? Sembrate capirmi,
ché subito ognuna poggia il dito fesso
sulle labbra di cartapesta.
Dovreste essere femmine, ma quelle barbe
m’impediscono di crederlo.
MACBETH
Parlate, se potete!
Che cosa siete?
PRIMA STREGA
Salute, Macbeth! Salute a te, Barone di Glamis!
SECONDA STREGA
Salute, Macbeth! Salute a te, Barone di Cawdor!
TERZA STREGA
Salute, Macbeth, che sarai re un domani!
BANQUO
Monsignore, perché trasalisci, e sembri temere
ciò che suona così bello? – In nome del vero,
siete allucinazioni, o proprio quello
che apparite alla vista? Il mio nobile compagno
lo salutate col titolo
che già possiede, e col pronostico grande
di nobiltà maggiore e di speranza d’un regno
da farlo apparire stupefatto. A me non dite niente.
Se vi è dato scrutare nei semi del tempo
e dire quale grano crescerà, quale no,
parlate dunque a me che non chiedo né temo
da voi né favori né odio.
PRIMA STREGA
Salve!
SECONDA STREGA
Salve!
TERZA STREGA
Salve!
PRIMA STREGA
Meno di lui, e più grande.
SECONDA STREGA
Non tanto felice, e assai più.
TERZA STREGA
Sarai padre di re, senza esserlo.
Salute a voi allora, Macbeth e Banquo!
PRIMA STREGA
Banquo e Macbeth, salute!
MACBETH
Fermatevi, sibille imperfette! Ditemi
di più! Sinell è morto, e per ciò
sono Signore di Glamis. Ma perché di Cawdor?
Il Signore di Cawdor vive e prospera. E essere
re, io, non è cosa da credersi –
non più che essere Cawdor. Ditemi da dove
traete queste novità strane, o perché
su questa brughiera desolata fermate
il nostro cammino con tali saluti
profetici? Parlate, ve lo ordino!
Le streghe svaniscono.
BANQUO
La terra ha bolle d’aria come l’acqua
e costoro erano bolle. Dove sono svanite?
MACBETH
Nell’aria; e ciò che pareva corporeo
s’è sfatto come fiato al vento. Fossero rimaste!
BANQUO
Ma c’erano davvero, queste di cui parliamo?
O abbiamo morso la radice insana
che imprigiona la mente?
MACBETH
I tuoi figli
saranno re.
BANQUO
Tu sarai re.
MACBETH
Sicuro,
e barone di Cawdor, non andava così?
BANQUO
Così, parole e musica. Chi arriva?
Entrano Ross e Angus.
ROSS
Macbeth, il re ha sentito con gioia
notizie del tuo successo; e riflettendo
sulla tua valentia nello scontrarti
con i ribelli, in lui stupore e lode
lottano a chi prevalga, il suo stupore
o la tua lode. Reso muto, mentre
ripensa al resto della tua giornata
ti vede in mezzo alle masnade del Nord
impassibile a fronte di ciò che fai tu stesso,
immagini strane di morte. Le staffette
venivano fitte come grandine,
e ognuna portava tue lodi, gran difensore del regno,
e gliele versava ai piedi.
ANGUS
Siamo qui
a dirti grazie da parte del sovrano,
non portiamo onorari.
ROSS
Ma come pegno di più grandi onori
il re mi disse, a nome suo, di chiamarti
Signore di Cawdor. Col quale titolo, dunque,
salve, Barone degnissimo, perché
il titolo è tuo.
BANQUO
Come! Il demonio può dire la verità?
MACBETH
Il barone di Cawdor vive. Perché mi vesti
di robe altrui?
ANGUS
Colui che è stato Cawdor
vive, ma una condanna pende sulla sua vita
che merita di perdere. S’era messo d’accordo,
pare, coi norvegesi, o aveva dato al ribelle
favori e aiuti segreti, o nei due modi
tramava la rovina della patria, non so;
l’ha distrutto un’accusa di alto tradimento
confessata e provata.
MACBETH (a parte)
Glamis, e Cawdor!
Il più deve seguire. – Grazie per le premure.
(a Banquo)
Non speri che i tuoi figli regneranno,
visto che chi mi diede la baronia di Cawdor
promise loro non meno?
BANQUO
Ma, se lo credi a fondo,
ciò può accenderti dentro l’uzzolo della corona
oltre alla baronia di Cawdor. Eppure è strano;
e spesso, per indurci alla rovina
i servi dell’Oscuro dicono la verità,
ci vincono con minuzie innocenti, per
tradirci nel più grave che segue. Cugini,
una parola, prego.
Si scostano.
MACBETH (a parte)
Due verità
son dette, quasi prologhi augurali
all’atto grandioso
che ha per tema l’impero. – Grazie, amici.
(a parte) Questa istigazione soprannaturale
non può essere male, non può essere bene. Se è male
perché m’ha dato un pegno di successo
cominciando con una verità? Sono
il signore di Cawdor.
Se è bene, perché cedo all’incitamento
la cui immagine orrenda mi fa rizzare i capelli
e smuove il cuore a battere al costato
in modo innaturale?
Le paure reali sono vinte
da fantasie paurose. Il mio pensiero
il cui assassinio è ancora soltanto immaginario
sconvolge tanto il mio singolo stato umano
che ogni funzione è oppressa
da quant’ho nella mente, e nulla è
tranne ciò che non è.
BANQUO
Guardate il nostro amico, com’è assorto.
MACBETH (a parte)
Se la sorte mi vuole re, la sorte
può bene incoronarmi
senza che muova un dito.
BANQUO
I nuovi onori
gli son venuti addosso come vestiti
appena fatti, e solo l’uso può
aiutarli a calzare.
MACBETH (a parte)
Sia come dev’essere.
Anche il giorno più duro l’ora e il tempo
se lo portano via.
BANQUO
Nobile Macbeth, siamo a tua disposizione.
MACBETH
Vi prego scusatemi. Il mio cervello sbadato
seguiva cose dimenticate. Signori,
le vostre cortesie son scritte dove
sfoglio ogni giorno le pagine e le leggo.
Andiamo dal re.
(a Banquo)
Pensa a ciò ch’è successo, e con più comodo,
quando il tempo l’avrà pesato, parliamone
a cuore aperto.
BANQUO
Molto volentieri.
MACBETH
Fino ad allora, basti! – Andiamo, amici.
Escono.
ATTO PRIMO – SCENA QUARTA
Squilli di trombe. Entrano il re Duncan, Lennox, Malcolm, Donalbain e il seguito.
RE
Cawdor è stato giustiziato?
I commissari non sono tornati ancora?
MALCOLM
Sire,
non ancora. Ma ho parlato con uno
che l’ha visto morire: ha riferito
che confessò il tradimento
molto sinceramente, implorò il perdono
di vostra altezza, e avviò
un pentimento profondo. Niente nella sua vita
l’onora come il modo in cui l’ha lasciata.
Morì come uno che avesse ben studiata
la scena della propria morte: gettare via
la cosa più cara che aveva
come un oggetto da niente.
RE
Non c’è arte
che insegni a scoprire nella faccia
com’è costruito un animo. Era un nobiluomo
di cui mi fidavo in pieno.
Entrano Macbeth, Banquo, Ross e Angus.
Mio insigne cugino!
Proprio ora il peccato della mia ingratitudine
mi pesava qui. Sei tanto avanti
che l’ala del premio più rapido è lenta
a raggiungerti. Avessi meritato di meno
ora il bilancio del dovere e del dare
penderebbe a mio favore, forse. Ma posso
dire soltanto: «Tu meriti più
di quanto potrei darti se ti dessi
più di quello che ho».
MACBETH
Il servizio
e la lealtà che vi devo si ripagano
attuandosi. La parte di vostra altezza
è prendere ciò che dobbiamo; e i nostri doveri
son figli e servi del vostro trono e stato:
fanno solo ciò che devono
facendo tutto per proteggere
il vostro amore e onore.
RE
Benvenuto.
Ho incominciato a piantarti, e mi darò da fare
per riempirti di fronde. – Nobile Banquo,
hai meritato non meno, e il tuo merito
va conosciuto non meno. Lascia che ti abbracci
e ti tenga sul cuore.
BANQUO
Se cresco qui
il raccolto è vostro.
RE
La mia felicità
è troppo, troppo piena, e vuole celarsi
dietro le lacrime. Figli, congiunti, baroni,
e quanti seguono nel rango, sappiate
che noi trasmetteremo il regno
al primogenito, Malcolm, che nominiamo da ora
Principe di Cumberland: questa sua investitura
non resterà solitaria, che anzi
segni di nobiltà brilleranno come stelle
su tutti i meritevoli. Noi da qui
andremo a Inverness a rafforzare
i nostri legami con te.
MACBETH
Il riposo è fatica se non è speso per voi.
Io stesso farò da araldo e allieterò
l’udito di mia moglie col vostro arrivo.
Perciò mi congedo umilmente.
RE
Nobile Cawdor!
MACBETH (a parte)
Principe di Cumberland! Questo è un inciampo
sul quale casco, o lo salto:
mi taglia la strada. Stelle,
nascondete le vostre fiaccole, la luce
non veda le mie voglie nere e fonde.
Gli occhi si chiudano sulle mani, e sia fatto
ciò che fatto temono di vedere. Esce.
RE
Vero, Nobile Banquo: è così, un coraggioso
e io mi nutro nel lodarlo.
È un banchetto per me. E ora seguiamo
la sua premura che corre a darci il benvenuto.
È un cugino senza pari.
Squilli di trombe. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA QUINTA
Entra la moglie di Macbeth, sola, leggendo una lettera.
LADY MACBETH
Mi sono apparse nel giorno della vittoria, e ho avuto la conferma più chiara che hanno cognizioni più che umane. Mentre bruciavo dalla voglia di fare altre domande, si cambiarono in aria e nell’aria svanirono. Mentre ero stordito dallo stupore, arrivarono messi dal Re, e tutti mi salutarono barone di Cawdor, proprio il titolo col quale prima queste Sorelle del Destino mi avevano riverito, portandomi poi nel tempo da venire con «Salve, tu che sarai re». Tanto ho creduto bene comunicarti, mia carissima compagna di gloria, che tu possa non perdere la tua parte di gioia restando all’oscuro di quale grandezza ti è promessa. Il che serbalo in cuore, e a presto.
Glamis lo sei, e Cawdor, e sarai
ciò che ti è promesso. Però temo la tua natura:
è troppo piena del latte dell’umana dolcezza
per scegliere la via più breve. Vorresti
essere grande, e non senza ambizione,
ma senza la malizia che dovrebbe accompagnarla.
Ciò che vuoi fortemente
lo vuoi da onesto, non vorresti far torto
eppure vuoi vincere a torto. Grande Glamis,
vuoi avere ciò che grida, «Devi far questo» per averlo,
e ciò che hai paura di fare, più che voglia
che non sia fatto. Vieni presto
che io possa versarti nell’orecchio i miei demoni
e col valore della mia lingua battere
ciò che ti tiene lontano dal cerchio d’oro
con cui il destino e l’aiuto metafisico
pare vogliano incoronarti.
Entra un messo.
Che notizie?
MESSO
Il re viene qui stasera.
LADY MACBETH
Cosa dici, sei pazzo?
Non è con lui il tuo padrone? Fosse vero,
ci avrebbe avvertiti, per preparare.
MESSO
Signora, è vero. Il barone è in arrivo;
uno dei miei compagni l’ha preceduto
e quasi morto d’affanno non aveva fiato
per mettere assieme l’annunzio.
LADY MACBETH
Curati di lui:
porta una grande notizia. Il messo esce.
È rauco anche il corvo
che gracchia l’ingresso fatale di Duncan
sotto le mie merlature. Venite, spiriti
addetti ai pensieri di morte, strappatemi
questo mio sesso, riempitemi,
dal cranio ai piedi, della ferocia più cruda.
Fatelo denso, il mio sangue, sbarrate la porta
e il passo al rimorso, che nessuna compunta
visita della natura faccia tremare
il mio impegno feroce, o si metta
tra di esso e la sua attuazione.
Venite ai miei seni di donna e mutate
il latte in fiele, agenti di morte che ovunque
servite, invisibili, la natura malvagia.
Vieni, notte cupa, e avvolgiti
nel fumo infernale più buio
che il mio coltello tagliente non veda
la ferita che fa, né il dio si sporga
dalla coltre di tenebra per gridarmi:
«Fermati, fermati»!
Entra Macbeth.
Grande Glamis, nobile Cawdor!
E ancora più grande nel saluto da venire!
La tua lettera m’ha portata di là
di questo presente ottuso, e ora sento
il futuro nell’attimo.
MACBETH
Mio amore carissimo,
Duncan viene qui stasera.
LADY MACBETH
E quando va via?
MACBETH
Domani, ha stabilito.
LADY MACBETH
Oh mai
sole vedrà quel domani!
Il tuo viso, signore, è come un libro
dove ognuno può leggere
cose strane. Per frodare il tempo
prendine l’aspetto. Portino il benvenuto
l’occhio, la mano, la lingua. Mostrati
come il fiore innocente, ma sii il serpe
lì sotto. A questi che arriva
bisogna provvedere; e tu metterai
nelle mie mani la grande opera di stanotte,
quella che a tutte le nostre notti e ai giorni
futuri darà, solo a noi, potere sovrano e dominio.
MACBETH
Ne riparleremo.
LADY MACBETH
Spiana soltanto il tuo viso.
Un viso turbato genera sempre sospetti.
Il resto, lascialo a me. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SESTA
Oboi e torce. Entrano il re Duncan, Malcolm, Donalbain, Banquo, Lennox, Macduff, Ross, Angus e gente del seguito.
IL RE
Questo castello ha un sito incantevole, l’aria
si offre dolce e sottile
ai nostri sensi delicati.
BANQUO
Quell’ospite dell’estate,
la rondine dei templi, facendone la sua casa,
prova che qui il respiro del cielo
è profumato di carezze. Non un aggetto, un fregio,
un alzato, un angolo adatto che l’uccello
non l’abbia a suo letto pendulo, a culla
feconda. Dove più figliano e tornano, ho notato
che l’aria è fine.
Entra Lady Macbeth.
IL RE
Oh ecco, ecco la nostra ospite onorata!
L’amore che ci segue è spesso molesto,
ma è sempre amore, e gli siamo grati. Con questo
v’insegno: pregate Dio che ci compensi
per le fatiche che vi procuriamo,
e ringraziate noi per il disturbo.
LADY MACBETH
Tutto il nostro servizio, fosse doppio
ad ogni punto, e inoltre raddoppiato,
sarebbe misera cosa se misurato
con gli onori profondi e vasti dei quali
vostra maestà ci riempie la casa.
Per quelli del passato e le recenti
dignità accumulate su essi, restiamo
i vostri eremiti.
IL RE
Dov’è il barone di Cawdor?
Gli siamo stati alle calcagna pensando
di fargli noi da forieri; ma lui
cavalca bene, e amore che punge e sprona
l’ha fatto arrivare primo. Bella e nobile
castellana, siamo i tuoi ospiti stanotte.
LADY MACBETH
I vostri eterni servitori
hanno solo in consegna e gente e vita e beni
per darne conto, quando vi piaccia, a vostra altezza,
e ridarvi il vostro.
IL RE
Datemi la mano.
Guidatemi dal mio ospite. Noi lo amiamo molto,
e molto ancora avrà dalla nostra grazia.
Col vostro permesso, mia ospite.
La bacia. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SETTIMA
Oboi. Torce. Entrano un maggiordomo e vari servitori con piatti e servizi, e attraversano la scena. Poi entra Macbeth.
MACBETH
Se tutto finisse, una volta fatto, sarebbe
bene farlo subito. Se l’assassinio potesse
intramagliare le conseguenze, e avere
successo con la sua fine –
che questo solo colpo fosse tutto
e la fine di tutto! – qui, soltanto
qui, su questa sponda e secca del tempo,
salteremmo l’eterno. Ma in questi casi
è qui che si è dannati – e non facciamo
che insegnar sangue, e il sangue appreso torna
a impestare l’artefice.
Questa giustizia equanime spinge le nostre labbra
a cercare i veleni che abbiamo sciolti nel calice.
Egli è qui tutelato due volte: primo,
perché gli sono parente e suddito,
due forti motivi contrari all’atto; poi
sono il suo ospite, e all’assassino dovrei
sbarrare la porta in faccia, e non
trarre il coltello io stesso. Inoltre,
questo Duncan è stato un re talmente
mite, così immacolato nel suo alto
ufficio, che le sue virtù arringheranno
come angeli dalle voci di tromba, contro
la dannazione profonda del suo omicidio;
e la Pietà come un neonato nudo
che cavalca l’uragano
o i cherubini del cielo che spronano
i corsieri invisibili dell’aria
dentro gli occhi di tutti avventeranno
il fatto atroce e le lacrime
affogheranno il vento.
Io non ho altro sprone da cacciare
nei fianchi al mio proposito
se non l’ambizione che volteggiando
eccede nel balzo e cade
dall’altra parte.
Entra Lady Macbeth.
Allora? Notizie?
LADY MACBETH
Ha quasi finito di cenare. Perché sei uscito?
MACBETH
Ha chiesto di me?
LADY MACBETH
E non lo sai?
MACBETH
Non andremo oltre in questa storia.
Mi ha appena coperto d’onori, ho acquistato
stima d’oro presso tutti, e questo vestito
dovrei portarlo indosso nuovo di zecca
non buttarlo così presto.
LADY MACBETH
Dunque era ubriaca
la speranza che ti vestiva? Da allora
ha dormito? E ora si sveglia a guardare
così verde e pallida
ciò che fece con slancio? Da ora in poi
giudico così il tuo amore. Hai paura
di essere nei tuoi atti e nel valore
ciò che sei nel desiderio? Vorresti avere
ciò che stimi la corona della vita,
e vivere da vile ai tuoi stessi occhi
accoppiando il «non oso» col «vorrei»
come i povero gatto della favola?
MACBETH
Pace, pace.
Io oso tutto ciò che si confà
a un uomo; chi osa di più non lo è.
LADY MACBETH
E allora
quale bestia t’ha fatto svelarmi il tuo progetto?
Quando osavi attuarlo, allora eri uomo;
e fossi di più ciò che eri, allora saresti
tanto più uomo. Né tempo né luogo
erano propizi allora, tu li volevi tali.
Lo sono diventati da sé, e questo adesso
ti abbatte. Io ho allattato, e conosco
com’è tenero amare il bimbo che mi succhia.
Ma mentre mi guardava sorridente
avrei strappato il capezzolo dalle gengive nude
e avrei fatto schizzare quel cervello
se l’avessi giurato, come tu
hai giurato.
MACBETH
E se fallissimo?
LADY MACBETH
Noi fallire!
Incocca bene la corda del tuo coraggio
e non falliremo. Quando Duncan
sarà addormentato – e certo il giorno duro
di viaggio lo inviterà a un sonno profondo –
quei suoi due guardacamera li stremerò
talmente di vino e crapula, che la loro memoria,
custode del cervello, andrà in fumo e
lo scrigno della ragione si ridurrà
a un alambicco. E quando la loro natura
cadrà così imbevuta in un sonno porcino
come nella morte, cosa non potremo fare
tu e io su Duncan inerte? Cosa non addossare
a quelle spugne, che assumeranno la colpa
del nostro grande scempio?
MACBETH
Partorisci
solo dei maschi! La tua tempra impavida
dovrebbe dare forma
solo a dei maschi. Chi potrà dubitare,
marchiati di sangue i due addormentati
nella sua stanza, usati i loro stessi pugnali,
che siano stati loro?
LADY MACBETH
E chi oserebbe
credere altro, quando ruggiremo
di pena e piangeremo sul morto?
MACBETH
Sono deciso.
E tutte le mie forze sono tese
a questo evento terribile.
Vieni, beffiamo i tempi con una scena di devozione:
la faccia falsa nasconda ciò ch’è falso nel cuore.
Escono.
Macbeth
(“Macbeth” – 1605-1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V