(“Macbeth” – 1605 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entra Banquo.
BANQUO
Ce l’hai fatta, ora: sei Re,
Cawdor, Glamis, tutto ciò che ti promisero
le Destinatrici; e ho paura
che tu abbia barato di brutto
per farcela. Però è stato detto
che niente sarebbe passato ai tuoi discendenti,
e io invece sarò radice e padre
di molti re. Se da loro viene
la verità, come la mostrano luminosa
in te, Macbeth, le loro parole,
ma allora proprio per queste verità
messe in atto su di te, non potrebbero
quelle, essere anche le mie profetesse
e nutrire la mia speranza? Ma zitto! Basta.
Squilli di trombe. Entrano Macbeth in vesti regali, Lady Macbeth, Lennox, Ross, nobili e seguito.
MACBETH
Ecco il nostro ospite d’onore.
LADY MACBETH
L’avessimo scordato
sarebbe stata una lacuna nella nostra
grande festa, del tutto imperdonabile.
MACBETH
Stasera daremo un pranzo di gala, monsignore,
ed io richiedo la vostra presenza.
BANQUO
Vostra altezza
mi comandi, piuttosto. A voi i miei doveri
sono legati in perpetuo
indissolubilmente.
MACBETH
Uscite a cavallo nel pomeriggio?
BANQUO
Sì, mio buon signore.
MACBETH
Vi avremmo chiesto altrimenti il vostro prezioso parere
che è stato sempre meditato e fecondo,
nel consiglio di oggi. Ma lo faremo domani.
Andate lontano?
BANQUO
Maestà, tanto da riempire il tempo
tra ora e il pranzo.
Se il mio cavallo non tiene il ritmo, dovrò
prendere in prestito alla notte
un’ora o due di buio.
MACBETH
Non mancate alla festa.
BANQUO
Non mancherò, signore.
MACBETH
Ci dicono che i nostri sanguinari cugini
si son piazzati in Inghilterra e Irlanda,
e non confessano il loro parricidio crudele,
nutrendo chi li ascolta di menzogne assurde.
Ma di questo domani, quando, con ciò, vaglieremo
affari di stato che ci impegnano tutti.
Ora, a cavallo. Vi rivedrò al ritorno
stasera. Fleance vi accompagna?
BANQUO
Sì, monsignore. È tempo che si vada.
MACBETH
Spero i vostri cavalli sian veloci e sicuri:
vi affido a quelle groppe. State bene! Esce Banquo.
Ciascuno sia padrone del suo tempo
fino alle sette di sera.
Noi resteremo soli fino all’ora di cena,
perché la compagnia sia più gradita.
Intanto, Dio sia con voi!
Escono i nobili e Lady Macbeth.
Tu, una parola!
quei tali aspettano che li riceva?
SERVO
Sì, mio signore, sono giù al portone.
MACBETH
Conducili da noi. Esce il servo.
Esser così è niente;
esser sicuri bisogna ! – La nostra paura di Banquo
è una spina profonda; e nella sua natura
regale è ciò che è da temere. Egli osa
molto, e a questa sua tempra indomabile
aggiunge oculatezza, che guida il suo coraggio
a colpo sicuro. Di nessuno io temo
la vita come la sua; e il mio dèmone
è umiliato dal suo, come quello
di Marc’Antonio, si dice, dal genio di Cesare.
Sgridò le tre sorelle, quando m’attribuirono
il nome di re, ordinò loro di parlargli.
E allora da profetesse lo salutarono
padre d’una serie di re.
Sulla mia testa posero una corona sterile,
e in questa grinfia misero uno scettro infecondo
che una mano d’estraneo mi strapperà perché
un figlio non può succedermi. Se è così
per la stirpe di Banquo ho insozzato la mia anima,
per loro ho assassinato l’amabile Duncan,
ho versato rancori nel calice della mia pace
solo per loro; e il mio gioiello eterno
l’ho ceduto al nemico di ogni uomo,
per farli re, il seme di Banquo re!
Ma allora, piuttosto, scendi in lizza, destino,
e combattiamo a oltranza. Chi è?
Entrano il servo e due sicari.
Torna alla porta e restaci finché ti chiamo. Il servo esce.
È stato ieri che vi ho parlato?
SICARI
Sì, vostra altezza.
MACBETH
Bene, e allora,
avete riflettuto sul mio discorso?
È stato lui, ricordàtelo, che in passato
vi ha tenuti così in basso, e voi
pensavate che fossimo noi, innocenti.
Questo ve l’ho provato nell’ultimo incontro;
ho passato in rassegna le prove dell’inganno,
con quali mezzi foste ostacolati, e chi
li adoperò, e ogni altra cosa che pure
ad uno scimunito, a una mente bacata
direbbe: «Questa è opera di Banquo».
PRIMO SICARIO
Ce l’avete detto.
MACBETH
Certo, e sono andato oltre, sino al punto
che ora ci fa rincontrare. La sopportazione
domina dunque tanto la vostra natura
da farvi accettare tutto? Siete
tanto evangelizzati da pregare
per questo galantuomo e i figli suoi,
per chi con mano dura v’ha piegati
sulla fossa, ed i vostri li ha fatti diventare
pezzenti in eterno?
PRIMO SICARIO
Siamo uomini, maestà.
MACBETH
Sicuro, nel catalogo passate per uomini,
come segugi e levrieri, cani spagnoli,
bastardi, botoli, spinoni, bracchi e lupi sono
segnati tutti come cani. Ma poi la lista dei prezzi
distingue i veloci, i lenti, i furbi,
il cane da guardia o da caccia, ognuno
secondo la dote che la natura benefica
gli ha messo dentro; e perciò riceve
qualifica speciale fuori dall’indice
che li registra tutti eguali. E così
è con gli uomini. Ora, se nella schiera
non v’è toccato un rango proprio infimo,
ditelo, ed io vi metterò in petto
qualcosa che fatto spazza via il nemico
vostro, e v’aggancia al cuore ed all’affetto
di noi che, lui vivendo, abbiamo salute malferma,
che morto lui sarà perfetta.
SECONDO SICARIO
Io sono uno, signore,
che i colpi vili e gli schiaffi del mondo
han tanto esasperato, che non m’importa
cosa faccio a suo scapito.
PRIMO SICARIO
E io un altro
così stanco di disgrazie, così sbattuto
dalla fortuna, che metterei la vita
a qualsiasi rischio: o cambiarla
o sbarazzarmene.
MACBETH
Lo sapete tutti e due:
Banquo è il nemico.
SICARI
Lo sappiamo, maestà.
MACBETH
Nemico mio anche, e così mortale
che ogni minuto della sua vita è un colpo
alla mia bocca dell’anima. Certo potrei
spazzarlo dalla mia vista con atto aperto
giustificato dal mio volere. Ma non posso
a causa di certi amici suoi e miei
alla cui devozione non rinuncio, anzi dovrò
piangere la caduta di chi abbatto.
Ecco perché sollecito il vostro aiuto,
e quest’affare lo maschero agli occhi di tutti
per molte gravi ragioni.
SECONDO SICARIO
Monsignore, faremo
quanto ci comandate.
PRIMO SICARIO
Anche a rischiare…
MACBETH
Lo zelo vi brilla negli occhi. Entro un’ora,
al massimo, vi saprò dire dove appostarvi
e a quale ora e a quale minuto: dev’essere
fatto stasera, e a qualche distanza dal palazzo,
e io ne resto fuori, sia inteso. E con lui
– per non lasciare l’opera ronchiosa e affazzonata –
anche il figlio Fleance, che gli fa compagnia,
e la cui sparizione non mi è meno vitale
di quella del padre, deve accettare la sorte
di quel momento nero. Decidete tra voi.
Io torno subito.
SICARI
Abbiamo deciso, maestà.
MACBETH
Vi vedo tra un momento. Restate in casa.
Escono i sicari.
Affare fatto! Banquo, se la tua anima deve
volare in cielo, vi volerà fra breve. Esce.
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entrano Lady Macbeth e un servo.
LADY MACBETH
Banquo ha lasciato la corte?
SERVO
Sì, signora, ma tornerà stasera.
LADY MACBETH
Va, riferisci al re che, a suo piacere,
gli vorrei parlare.
SERVO
Vado, signora. Esce.
LADY MACBETH
S’è dato tutto, s’è avuto niente
se ciò che abbiamo voluto non dà piacere.
È meglio essere ciò che abbiamo distrutto
che vivere poi in questa gioia dubbia.
Entra Macbeth.
Allora, signor mio? Perché startene solo
compagno di chimere tristissime,
e nella mente pensieri che dovevano morire
coi loro oggetti? Cose senza rimedio
non devono impensierire: il fatto è fatto.
MACBETH
Abbiamo ferito il serpe, non l’abbiamo ucciso;
Si rinsalderà e sarà se stesso,
e la nostra povera malizia
sarà esposta al suo dente, come prima.
Ma si scardini l’universo, soffrano ambedue i mondi
piuttosto che dover mangiare paura
ai pasti e dormire afflitti dai sogni
terribili che ci fanno tremare ogni notte.
Meglio essere coi morti
che noi per aver pace abbiamo mandati
nella pace, che star distesi sulla ruota
della mente in un supplizio incessante.
Duncan è nella sua tomba; dopo
il delirio della vita, dorme bene;
il tradimento ha fatto il suo peggio. Né acciaio
né veleno né perfidie in casa né masnade
straniere, niente può più toccarlo.
LADY MACBETH
Via,
mio caro, distendi quella faccia cupa,
sii allegro e gioviale coi tuoi ospiti stasera.
MACBETH
Lo sarò, amore, e siilo anche tu ti prego.
Riserva a Banquo tutta la tua attenzione,
onoralo con gli sguardi e con la voce.
Sono insicuri, i tempi, e dobbiamo
lavar l’onore in fiumi di lusinga
e fare della faccia la maschera del cuore
camuffando ciò che è.
LADY MACBETH
Basta con questo.
MACBETH
Ah mia cara, ho la mente piena di scorpioni!
Tu sai che Banquo e il suo Fleance son vivi.
LADY MACBETH
Sì ma in loro l’impronta della natura
non è eterna.
MACBETH
E questo mi conforta!
Li si può colpire. Su, allegra. Prima che il pipistrello
abbia finito il suo volo claustrale, prima che
al richiamo della Luna nera lo scarabeo
col ronzio sonnolento delle ali di scaglie
abbia sonato il suo notturno soporifero
sarà compiuto un evento che lascerà
un segno pauroso.
LADY MACBETH
Cosa verrà compiuto?
MACBETH
Tu restane innocente, pulcina mia,
finché applaudirai il fatto. Vieni, notte
che accechi, benda
l’occhio pietoso del giorno,
e con la tua invisibile mano feroce
fa a pezzi e annulla il grande patto
che mi fa pallido. La luce s’intenebra e il corvo
decolla verso il bosco dei suoi nidi.
Le buone cose del giorno cedono stanche alla quiete,
i neri agenti della notte s’alzano sulle prede.
Le mie parole ti sorprendono. Ma non temere.
Ciò che nel male nasce nel male cresce.
Su vieni con me ti prego. Escono.
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entrano tre sicari.
PRIMO SICARIO
Ma chi t’ha ordinato di unirti a noi?
TERZO SICARIO
Macbeth.
SECONDO SICARIO
Non c’è motivo di sospettarlo, ci ha detto
qual è il lavoro e cosa c’è da fare
giusto come doveva.
PRIMO SICARIO
Bene, resta;
a tramontana balugina ancora un filo di giorno.
Ora chi va in ritardo lavora di sprone
per trovare in tempo un albergo. S’avvicina
l’oggetto di questa veglia.
TERZO SICARIO
Attenti, sento i cavalli!
BANQUO (fuori scena)
Fateci luce, oh!
SECONDO SICARIO
È lui.
Gli altri che son segnati nell’elenco
sono già a palazzo.
PRIMO SICARIO
I cavalli se ne tornano.
TERZO SICARIO
C’è ancora un miglio quasi. Ma di solito
lui fa così. Come tutti, da qui al palazzo
vanno a piedi.
Entrano Banquo e Fleance con una torcia.
SECONDO SICARIO
Una torcia, una torcia!
TERZO SICARIO
È lui.
PRIMO SICARIO
State pronti!
BANQUO
Stanotte pioverà.
PRIMO SICARIO
E lascia piovere!
Attaccano Banquo.
BANQUO
Ah, tradimento! Scappa, Fleance,
scappa, scappa, scappa!
Mi vendicherai – Ah infame!
Banquo cade. Fleance fugge.
TERZO SICARIO
Chi ha spento la torcia?
PRIMO SICARIO
Non si doveva?
TERZO SICARIO
Ce n’è uno solo a terra; il figlio è scappato.
SECONDO SICARIO
Abbiamo perso la parte migliore dell’affare.
PRIMO SICARIO
Beh andiamo a riferire quant’è fatto.
Escono.
ATTO TERZO – SCENA QUARTA
Un banchetto imbandito. Entrano Macbeth, Lady Macbeth, Ross, Lennox, altri nobili e gente del seguito.
MACBETH
Sapete dove sedervi, accomodatevi. A tutti
un benvenuto cordiale.
NOBILI
Grazie, maestà.
MACBETH
Noi siederemo tra di voi, faremo la parte
dell’umile convitato.
Cammina tra i tavoli.
La nostra ospite tiene il seggio. A suo tempo
le chiederemo un benvenuto.
LADY MACBETH
Porgilo tu per me, Sire, a tutti gli amici:
il mio cuore dice: benvenuti!
Entra il primo sicario.
MACBETH
E loro, vedi, ti ringraziano
dal profondo del cuore: siete pari.
Io siedo qui, tra le due parti.
Non lesinate l’allegria. Fra un attimo
faremo un giro di brindisi.
Si alza e va a parlare al sicario.
C’è sangue sulla tua faccia.
PRIMO SICARIO
Allora è di Banquo.
MACBETH
Meglio addosso a te che dentro a lui.
È spacciato?
PRIMO SICARIO
Sire, ha la gola aperta;
gli ho fatto io il servizio.
MACBETH
Sei il migliore
tagliagola del mondo. Ma è anche bravo
chi ha servito Fleance. Se sei stato tu
sei insuperabile.
PRIMO SICARIO
Maestà, Fleance, c’è scappato.
MACBETH
Ahi, mi torna la febbre. Sarei stato perfetto,
intero come il marmo, saldo come la roccia,
largo e sconfinato come l’aria attorno;
ma ora sono in gabbia, in ceppi, in carcere,
incatenato dai dubbi, molestato da paure. –
Almeno Banquo è al sicuro?
PRIMO SICARIO
Mio buon signore, sì: è al sicuro nel fosso
con venti spacchi scalpellati in cranio,
il più leggero mortale.
MACBETH
Grazie per questo.
Il serpe adulto è steso. Il verme c’hè scappato
ha una natura che secernerà
col tempo il suo veleno, ma per ora
non ha denti. Puoi andartene. Domani
ci risentiamo. Il sicario esce.
LADY MACBETH
Mio signore e re,
tu trascuri i tuoi ospiti. Una festa
che nel suo farsi non confermi spesso
il benvenuto agli ospiti, non è
che un pranzo a pagamento. Per mangiare,
è meglio farlo a casa. Fuori casa
la cortesia è la salsa sulla carne,
o la festa è senz’anima.
MACBETH
Cara mia segretaria!
Buon appetito dunque e che il cibo vi piaccia
e vi porti salute!
LENNOX
Maestà, prego, si segga.
Entra il fantasma di Banquo e siede al posto di Macbeth.
MACBETH
Avremmo avuto sotto questo tetto
il fiore del paese, se ci fosse
con la sua nobile grazia, il nostro Banquo.
Però meglio accusarlo di poca cortesia
che compatirlo per un infortunio.
ROSS
Maestà, la sua assenza
macchia la sua promessa. Vostra altezza
vuole farci la grazia della sua
regale compagnia?
MACBETH
Ma non c’è posto.
LENNOX
Sire, c’è un posto riservato, qui.
MACBETH
Dove?
LENNOX
Qui mio buon Sire. Cos’è che vi turba?
MACBETH
Chi di voi ha fatto questo?
NOBILI
Che cosa, Maestà?
MACBETH
Non puoi dire
che sono stato io; e non scrollarmi
contro quelle tue ciocche insanguinate.
ROSS
Alziamoci, signori. Il re sta male.
LADY MACBETH (scende dal trono)
Restate seduti, amici. Il re è spesso così,
lo è stato fin da giovane. Prego, restate comodi.
L’accesso dura poco, in un momento
starà bene di nuovo. Se lo notate troppo
l’offendete e allungate la sua fitta.
Non fategli caso, continuate il pranzo. –
Sei un uomo?
MACBETH
Sì, e un uomo coraggioso, se oso guardare
ciò che spaventerebbe il diavolo.
LADY MACBETH
Addirittura!
Ciò che vedi è il ritratto del tuo spavento.
È il coltello in aria che a sentirti
ti portò a Duncan. Oh questi sbalzi e scatti,
questi falsari della paura, van bene
per una fiaba di femmina al focolare d’inverno
garantita dalla nonna. Ah che vergogna!
Perché fai quelle smorfie? Dopo tutto
guardi solo una seggiola.
MACBETH
Guarda lì, ti prego!
Guarda! Lo vedi? Ah! Cosa mi dici?
Io me ne sbatto dei tuoi cenni! Parla!
Se i carnai e le fosse devono rispedire
i sepolti al mittente, i nostri monumenti
saranno i gozzi dei nibbi. Il fantasma esce.
LADY MACBETH
Come, castrato dalla pazzia?
MACBETH
L’ho visto, com’è vero che sono qui.
LADY MACBETH
Via, vergognati!
MACBETH
Sangue se n’è versato prima d’ora,
ai tempi antichi, prima che leggi più umane
purgassero e ingentilissero i popoli.
Sì, e anche dopo si son commessi omicidi
troppo tremendi a sentirsi. Ci sono stati
dei tempi, che quando il cervello era fuori,
l’uomo moriva, ed era tutto. Ma ora
risuscitano con venti ferite mortali
sui crani, e ci scacciano dai nostri seggi.
Questo è più mostruoso che uccidere.
LADY MACBETH
Mio signore,
i tuoi nobili amici ti richiedono.
MACBETH
Mi sono smarrito. Ma non stupitevi, amici
stimatissimi: è un male strano, che è nulla
per chi mi conosce. Avanti, un cordiale
brindisi a tutti! E dopo mi siedo.
Datemi vino. Riempite all’orlo!
Entra il fantasma.
Bevo alla felicità della tavolata
e al caro amico Banquo che ci manca.
Magari ci fosse! A tutti e a lui vogliamo
brindare, e ognuno brindi a ciascun altro.
NOBILI
Alla nostra lealtà e al vostro brindisi!
MACBETH (vede il fantasma)
Vattene, sparisci! Scendi sottoterra!
Le tue ossa non hanno midollo, il tuo sangue
è freddo. Non hai vista in quegli occhi
che mi spalanchi addosso.
LADY MACBETH
Miei buoni pari,
è un male cronico, vedete; non è altro.
Solo che ci rovina il trattenimento.
MACBETH
Io oso ciò che un uomo può osare.
Vieni come un peloso orso russo o come
un rinoceronte corazzato o una tigre
ircana, prendi ogni forma tranne questa
e i miei nervi non tremeranno. O risuscita
e sfidami con la spada in un deserto:
se allora tremo, chiamami il bamboccio
d’una mocciosa. Vattene, ombra orribile!
Vano scherno, va via! Il fantasma esce.
Ecco, è sparito
e torno ad essere un uomo. – Prego, sedete.
LADY MACBETH
Hai cacciato l’allegria, hai guastato la festa
col tuo soqquadro incredibile.
MACBETH
Ma possono succedere
cose simili, e passare su di noi
come nubi d’estate
senza lasciarci sconvolti? Mi fai dubitare
dell’animo forte che credo di avere
se penso che puoi veder queste cose e serbare
intatto l’incarnato delle tue guance,
mentre le mie sbiancano di spavento.
ROSS
Quali cose, maestà?
LADY MACBETH
No, non parlate, vi prego; sta sempre peggio.
Le domande l’infuriano. Amici miei, buona notte.
Uscite pure senz’ordine. Presto, andate.
LENNOX
Buona notte. E guarisca sua masetà!
LADY MACBETH
Dolce notte a tutti!
I nobili escono.
MACBETH
Avrà sangue, dicono; sangue vuole sangue.
Pietre si sono mosse, pare, alberi hanno parlato;
presagi e spiegazioni di nessi hanno svelato
con la voce di corvi, gazze, taccole,
l’assassinio più occulto. A che punto è la notte?
LADY MACBETH
Incerto, ormai, se ci sia lei o il mattino.
MACBETH
Cosa ne dici, Macduff si rifiuta
al nostro alto invito.
LADY MACBETH
Hai mandato un messaggio?
MACBETH
No, l’ho saputo, così. Ma manderò.
Non c’è uno di loro che in casa
non abbia un servo spesato da me. Domani
e di buon’ora, andrò dalle Sorelle.
Dovranno dire di più. Ora voglio sapere
il peggio, ad ogni costo. Ogni ragione deve
cedere al mio interesse. Sono entrato
così a fondo nel sangue, che dovessi
non seguitare nel guardo
tornare sarebbe duro come passarlo.
Ho in mente cose strane, da fare ad arte;
mi tocca recitare senza imparare la parte.
LADY MACBETH
Ti manca il farmaco d’ogni natura, il sonno.
MACBETH
Vieni, andiamo a dormire. Quel mio abbaglio è paura
di novizio che manca di dura pratica.
Nell’azione siamo ancora immaturi. Escono.
ATTO TERZO – SCENA QUINTA
Tuoni. Entrano le tre streghe e incontrano Ecate.
PRIMA STREGA
Dimmi, cos’hai, Ecate? Sembri arrabbiata.
ECATE
E non ne ho motivo, vecchiacce che site
sfrontate e sfrenate? Con quale fegato
brigare spacciare con Macbeth
sciarade e maneggi di morte,
e me, signora degli incanti,
segreta orditrice di guai
non chiamarmi a far la mia parte
o mostrar la gloria dell’arte?
E ciò ch’è peggio avete operato
solo per un figlio traviato
stizzoso e rabbioso, che, come succede,
s’infischia di voi, pensa al suo bene.
Ma via, fate ammenda: pronte
correte all’abisso d’Acheronte
e incontriamoci lì domattina.
Verrà per sapere il suo destino.
Voi preparate fatture e vasi
e filtri e il resto che fa al caso.
Io parto a volo; consacro la notte
a un’opera orrenda, foriera di morte.
Prima dell’alba ho un lavoro duro
da fare su un corno della luna.
Lassù pende una goccia d’aria
misteriosa; prima che cada
io l’acchiappo e la distillo
con magici trucchi e ne strizzo
spiriti finti. Con forte illusione
lo porteranno a perdizione.
Sfiderà il destino, disprezzerà
la morte e spingerà
le sue speranze oltre la grazia,
la saggezza e la peritanza.
Voi lo sapete, esser troppo sicuri
è il nemico peggiore degli uomini.
Musica e canzone.
Ecco! Mi chiamano. Lì, vedete,
il mio spiritello siede
su una nube grigia e m’aspetta.
Canto fuoriscena: «Vieni via, vieni via», ecc.
PRIMA STREGA
Su affrettiamoci: tornerà presto.
Escono.
ATTO TERZO – SCENA SESTA
Entrano Lennox e un altro nobiluomo.
LENNOX
Le cose che v’ho detto erano solo
degli ammicchi alla vostra intelligenza
che può andar oltre da sé. Dico solo
di certo strano modo di fare. Il buon Duncan
fu pianto da Macbeth: sfido, era morto!
E il valoroso Banquo uscì a passeggio
troppo tardi. Direte, se volete,
che lo ammazzò Fleance, dacché Fleance
tagliò la corda. Non bisogna andare
in giro troppo tardi. E chi non penserà
che fu mostruoso in Donalbain, in Malcolm,
scannare un padre così buono? Un atto
diabolico, e quanto ne sofferse
Macbeth! Difatti, lì per lì,
pieno di santa furia, non ti sbrana
quei due delinquenti, schiavi
del vino e succubi del sonno? Nobile
azione, o no? Ma certo, e saggia anche.
Perché chiunque ci avrebbe visto rosso
a sentirli negare. Perciò dico
che fu corretto in tutto. E credo bene
che quei figli di Duncan, li avesse sotto chiave
(come non avverrà se piace a Dio)
scoprirebbero cosa vuole dire
far fuori il babbo. E anche lui, Fleance.
Ma acqua in bocca! Per aver parlato
un po’ troppo e per essersi negato
al gala del tiranno, Macduff, sento,
è caduto in disgrazia. Anzi, potete,
signore, dirmi dove se n’è andato?
NOBILUOMO
Il figlio di Duncan, cui questo tiranno
nega il diritto di nascita, vive
alla corte inglese, e dal piissimo Edward
è accolto con tanta grazia, che la malasorte
non toglie niente al rispetto
che gli è dovuto. Macduff
è andato lì a pregare il santo re
che voglia, a suo favore, convincere Northumberland
e il valoroso Seyward, che con il loro aiuto
– e Lui lassù ad approvare l’opera –
noi si possa di nuovo dare cibo
alle mense, sonno alle notti, e i convitti
e i banchetti affrancare dai coltelli
insanguinati, e rendere leale
omaggio, e avere onori liberi – tutte
quelle cose per cui adesso ci struggiamo.
E la notizia ha esasperato tanto
il re, che egli prepara qualche azione
di guerra.
LENNOX
Ha mandato a chiamare Macduff?
NOBILUOMO
Sicuro. E al suo deciso «Nossignore!»
il messo si rabbuia e ti volta le spalle
e borbotta qualcosa come a dire:
«Ti pentirai di brutto per avermi accollato
questa risposta».
LENNOX
E questo, spero bene,
gl’insegnerà a tenere la distanza prudente
che saprà metter di mezzo. Qualche angelo
voli alla corte d’Inghilterra e dica
il suo messaggio prima di lui: la grazia
ritorni presto a questa terra che soffre
sotto una mano maledetta!
NOBILUOMO
Mando
con lui le mie preghiere.
Escono.
Macbeth
(“Macbeth” – 1605-1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
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Atto III
Atto IV
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