(“Measure for measure” 1603)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
[Corte di giustizia.]
Entrano Angelo, Escalo e servi, e [un] giudice.
ANGELO
Non dobbiamo far della legge uno spauracchio,
messo lì a spaventar gli uccelli, e inalterato
con l’abitudine diventa il loro trespolo,
senza più incutere timore.
ESCALO
Sì, ma
stiamo accorti, meglio tagliare un po’
che abbattere e colpire a morte. Ahimè,
questo gentiluomo, che io vorrei salvare,
ha un padre nobilissimo. Consideri Vostro Onore
– che io credo sia di rettissima virtù –
qualora all’insorgere dei vostri desideri
tempo e luogo, luogo e voglia fossero coincisi,
o la spinta decisa dello stimolo carnale
avesse potuto ottenere il proprio scopo,
se una volta nella vita non avreste ceduto
sul punto per cui ora condannate quest’uomo,
tirandovi addosso i rigori della legge.
ANGELO
Una cosa è esser tentato, Escalo,
altra cadere. Non nego che la giuria
chiamata a giudicare un carcerato
possa avere uno o due ladri fra i giurati,
più colpevoli del processato. La giustizia
colpisce ciò che si manifesta alla giustizia.
Le leggi non badano che ladri condannino
altri ladri. È evidente che il gioiello
trovato ci chiniamo a raccoglierlo
perché lo vediamo; a quel che non si vede
senza pensarci ci passiamo sopra.
Non potete sminuire il suo delitto
perché io l’abbia condiviso. Piuttosto,
se anch’io che lo condanno ne commetto,
la mia sia egualmente una condanna a morte,
e senza attenuanti. Signore, deve morire.
Entra il Bargello.
ESCALO
Sia fatto come vuole la vostra saggezza.
ANGELO
Dov’è il Bargello?
BARGELLO
Qui, con licenza, Vostro Onore.
ANGELO
Provvedete che Claudio sia giustiziato
domattina alle nove. Portategli
il suo confessore, e che sia preparato,
perché è alla fine del suo pellegrinaggio. [Esce il Bargello.]
ESCALO
Ah, il cielo lo perdoni; e ci perdoni tutti.
Chi innalza il vizio, chi la virtù ha distrutti.
Chi da falle aperte nel ghiaccio sfugge intatto,
e chi paga per un solo misfatto.
Entrano Gomito [e] gendarmi [con] Schiuma [e] Pompeo.
GOMITO
Su, portateli via. Se sono persone perbene della re-pubblica, queste che non fanno che usare e strabusare nelle case pubbliche, non conosco legge. Portateli via.
ANGELO
E voi come vi chiamate, messere? Che succede?
GOMITO
Con licenza di Vostro Onore, sono il capogendarme del povero Duca e mi chiamo Gomito. Poggio sulla giustizia, e porto qui al cospetto di vostro Buononore due notori benefattori.
ANGELO
Benefattori? E che benefattori sarebbero? Non sono piuttosto malfattori?
GOMITO
Con licenza di Vostro Onore, non so bene cosa sono. Ma sono furfanti puritannici, di sicuro, e senza quella profanazione del mondo che dovrebbero avere i buoni cristiani.
ESCALO [a Angelo]
Alla buonora. Un ottimo gendarme.
ANGELO
Avanti. Che razza di gente sono? Tu ti chiami Gomito? Perché non parli, Gomito?
POMPEO
Non può, signore, è uscito dai gomiti.
ANGELO
E tu chi sei?
GOMITO
Lui, signore? Un taverniere, signore; mezzano a mezzo servizio; uno che serve una poco di buono, la cui casa, come si dice, è stata demolita nei sobborghi; e adesso professa un bagno turco, che sarà altrettanto di malaffare.
ESCALO
Come lo sai?
GOMITO
Mia moglie, signore, che detesto al cospetto del cielo e Vostro Onore…
ESCALO
Come? Tua moglie?
GOMITO
Sì, signore, che grazie al cielo è una donna onesta…
ESCALO
E tu allora la detesti?
GOMITO
Dico, signore, anch’io, come lei, detesto che ‘sta casa, se non è un casino, è peccato per lei, perché è di malaffare.
ESCALO
E tu come lo sai, gendarme?
GOMITO
Caspita, signore, da mia moglie che, se fosse stata donna dedita cardinalmente, si poteva accusare di fornicazione, adulterio e tutte quelle porcherie.
ESCALO
Per colpa di quella donna?
GOMITO
Sì, signore, di Madama Sfondata; ma lei gli ha sputato in faccia, così l’ha sfidato.
POMPEO
Con licenza di Vostro Onore, non è mica così.
GOMITO
Provalo davanti a questi mestatori, uomo d’onore che sei, provalo.
ESCALO [a Angelo]
Sentite che strafalcioni?
POMPEO
Signore, sua moglie venne col pancione, e avendo voglia, con rispetto di Vostra Eccellenza, di prugne cotte, ne avevamo solo due in casa, che in quel tempo distante stavano diciamo così in un piatto da frutta, un piatto da quattro soldi; le vostre eccellenze ne hanno visto di questi piatti, non di porcellana, ma ottimi piatti…
ESCALO
Forza, avanti; non importa il piatto.
POMPEO
No, signore, neanche pensarci, avete ragione. Ma torniamo al punto. Come dicevo, essendo la signora Gomito come si dice incinta e col pancione, e avendo voglia, come ho detto, di prugne cotte, e sul piatto, come ho detto, ce n’erano solo due, Mastro Schiuma, qui, in persona, avendo mangiato le altre, come ho detto, e, pagandole, dico, onestamente; perché, sapete, Mastro Schiuma, non potrei restituirvi quattro soldi…
SCHIUMA
Eh, no.
POMPEO
Molto bene; mentre voi, se vi ricordate, schiacciavate i noccioli delle prugne suddette…
SCHIUMA
Sì, così facevo infatti.
POMPEO
Bene, molto bene; dicendo io allora, se vi ricordate, che il tale e il talaltro non guarivano di quel male là, se non si mettevano a una buona dieta, come avevo detto…
SCHIUMA
Tutto vero.
POMPEO
Bene, molto bene, allora…
ESCALO
Basta, che buffone noioso. Al punto: che cosa fu fatto alla moglie di Gomito che lui voglia sporgere querela? Veniamo a quello che le fu fatto.
POMPEO
Vostro Onore non può ancora venirci.
ESCALO
No, messere, né ne ho intenzione.
POMPEO
Ma signore, con licenza di Vostro Onore, ci verrete. E vi supplico, considerate questo Mastro Schiuma qui, signore; un uomo da ottanta sterline l’anno, col padre che gli è morto a Ognissanti – non è stato a Ognissanti, Mastro Schiuma?
SCHIUMA
La vigilia di Ognissanti.
POMPEO
Bene, molto bene; qui spero c’è del vero. Lui, signore, stava seduto su una bassa seggetta – era al Graspo de Ua, che è il vostro posto favorito per starci, non è vero?
SCHIUMA
Sì, perché è una stanza pubblica, e buona per l’inverno.
POMPEO
Bene, molto bene, allora: qui c’è del vero.
ANGELO
Questo durerà più delle notti di Russia
nel cuore dell’inverno. Io me ne vado,
e lascio voi a trattare questa causa, sperando
che abbiate giusta causa per frustarli tutti.
ESCALO
Lo spero anch’io. Buona notte a Vostra Signoria.
Esce [Angelo].
Su, forza, messere. Che è stato fatto alla moglie di Gomito, una buona volta?
POMPEO
Una volta, signore? Niente le fu fatto una volta.
GOMITO
Vi supplico, signore, chiedetegli cosa quest’uomo ha fatto a mia moglie.
POMPEO
Vi scongiuro, Eccellenza, domandatelo a me.
ESCALO
Ebbene, che cosa le ha fatto questo gentiluomo?
POMPEO
Vi supplico, signore, guardategli in faccia. Buon Mastro Schiuma, guardate Sua Eccellenza: è a buon pro. – Vostro Onore vede la sua faccia?
ESCALO
Sì, molto bene.
POMPEO
No, vi supplico, guardatela bene.
ESCALO
Lo sto facendo.
POMPEO
Vostro Onore vede niente di male sulla sua faccia?
ESCALO
Be’, no.
POMPEO
Supporrò sul libro, la faccia è la cosa peggiore che ha. – Bene, allora: se la faccia è la cosa peggiore che ha, come poteva Mastro Schiuma far del male alla moglie del capogendarme? Vorrei che Vostro Onore me lo dicesse.
ESCALO
Ha ragione, capogendarme; voi cosa rispondete?
GOMITO
Primo, se vi compiacete, la casa è una casa rispettata; secondo, lui è una persona rispettata; e sua moglie è una donna rispettata.
POMPEO
Su questa mano, signore, sua moglie è più rispettata di tutti noi.
GOMITO
Furfante, tu menti! Menti, brutto furfante! Ha da venire il tempo che sia mai rispettata con uomo, donna o bambino.
POMPEO
Signore, con lui era rispettata, prima che la sposasse.
ESCALO
Chi è più saggio qui, Giustizia o Iniquità? È vero?
GOMITO
O farabutto, furfante! Brutto farabutto d’un Annibale! Io rispettato con lei, prima di sposarla? Se mai sono stato rispettato con lei, o lei con me, Vostra Eccellenza non mi consideri più il gendarme del povero Duca. Provalo, furfante d’un Annibale, o ti querelerò per vie di fatto.
ESCALO
E se ti desse un bel ceffone, lo potresti querelare anche per calunnia.
GOMITO
Caspita, ringrazio Vostra Eccellenza. Cosa vuole Vostra Eccellenza che ne faccia di questa brutta canaglia?
ESCALO
Invero, gendarme, poiché ha sul capo dei delitti che tu sveleresti se potessi, che continui per la sua strada finché non saprai cosa sono.
GOMITO
Ah, ringrazio Vostra Eccellenza. – Vedi, brutto farabutto, cosa ti è capitato. Adesso devi continuare, furfante, devi continuare.
ESCALO
Dove siete nato, amico?
SCHIUMA
Qui a Vienna, signore.
ESCALO
E valete ottanta sterline l’anno?
SCHIUMA
Sì, con vostra licenza, signore.
ESCALO
Ah. [A Pompeo] Tu che mestiere fai?
POMPEO
Il taverniere, il taverniere di una povera vedova.
ESCALO
Come si chiama la tua padrona?
POMPEO
Madama Sfondata.
ESCALO
Ha avuto più di un marito?
POMPEO
Nove, signore; Sfondata per via dell’ultimo.
ESCALO
Nove! – Venite qui, Mastro Schiuma. Mastro Schiuma, vi consiglio di stare alla larga dai tavernieri; vi spilleranno tutto, Mastro Schiuma, e voi li farete impiccare. Andatevene, non voglio più sentir parlare di voi.
SCHIUMA
Ringrazio Vostra Eccellenza. Da parte mia, non entro mai in una taverna, signore, senza che mi spillino.
ESCALO
Bene: basta, Mastro Schiuma; addio. [Esce Schiuma.] Adesso voi, Mastro taverniere. Come ti chiami?
POMPEO
Pompeo.
ESCALO
E poi?
POMPEO
Chiappe, signore.
ESCALO
In fede, siccome la chiappa è la cosa più grande che sei, così, nel senso più bestiale del taverniere, sei Pompeo Magno. Pompeo, sei mezzo mezzano, Pompeo, anche se ti travesti da taverniere, no? Su, di’ la verità, sarà meglio per te.
POMPEO
Davvero, signore, sono un pover’uomo che vuol campare.
ESCALO
Come campi, Pompeo? Facendo il mezzano? Che ne pensi di questo mestiere, Pompeo? È un mestiere legale?
POMPEO
Se la legge lo permette, signore.
ESCALO
Ma la legge non lo permette, Pompeo, né lo si permetterà a Vienna.
POMPEO
Vostra Eccellenza intende castrare e sterilizzare tutti i giovani della città?
ESCALO
No, Pompeo.
POMPEO
E allora, signore, secondo me, ci daranno dentro. Se Vostra Eccellenza provvederà a puttane e furfanti, non dovrà preoccuparsi dei mezzani.
ESCALO
I provvedimenti sono avviati, te lo dico io. Non si parla che di decapitare e impiccare.
POMPEO
Se decapitate e impiccate tutti quelli che peccano a quel modo per dieci anni, dovrete ordinare una fornitura di teste nuove; se questa legge dura per dieci anni a Vienna, ci affitterò la casa migliore a quattro soldi a vano. Se vivrete tanto da vederlo, dite che Pompeo l’aveva previsto.
ESCALO
Grazie, buon Pompeo; e in cambio della tua profezia, ascolta: ti consiglio di non ricomparirmi davanti per qualsivoglia reato, neppure per abitare dove abiti. Se succede, Pompeo, ti ricaccerò nella tua tenda alla maniera di Cesare spietato. In poche parole, Pompeo, ti farò frustare. E per ora, addio, Pompeo.
POMPEO
Ringrazio Vostra Eccellenza per il buon consiglio; [a parte] ma lo seguirò come determinerà la carne e la fortuna.
Frustarmi? No, no, frusti il suo brocco il carrettiere;
a cuor gagliardo la frusta non farà cambiar mestiere.
ESCALO
Vieni qui, Mastro Gomito: vieni qui, capogendarme. Da quanto tempo avete questa carica?
GOMITO
Sette anni e mezzo, signore.
ESCALO
Pensavo, dall’abilità con cui ti muovi, che fossi un veterano. – Sette anni in tutto, dici?
GOMITO
E mezzo.
ESCALO
Ahimè, ti avrà dato dei grattacapi; ti fan torto a chiamarti così spesso in servizio. Non ci sono uomini nel tuo distretto capaci di farlo?
GOMITO
In fede, signore, pochi che hanno cervello in queste cose. Come vengono eletti, sono felici di scegliere me al loro posto; io lo faccio per quei quattro soldi, e mi sobbarco tutto.
ESCALO
Fammi avere i nomi di sei o sette, i più competenti della parrocchia.
GOMITO
A casa di Vostra Eccellenza, signore?
ESCALO
A casa mia. Addio. [Esce Gomito.] Che ore saranno?
GIUDICE
Le undici, signore.
ESCALO
Vi invito a cena a casa mia.
GIUDICE
Vi ringrazio umilmente.
ESCALO
Mi affligge la morte di Claudio, ma
non c’è rimedio.
GIUDICE
Lord Angelo è severo.
ESCALO
Deve esserlo.
Quella che spesso sembra clemenza non è tale;
il perdono fa sempre da bàlia a un nuovo male.
Eppure, povero Claudio! Non c’è rimedio.
Venite, signore. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
[Anticamera della stessa.]
Entrano il Bargello [e un] servo.
SERVO
Sta trattando una causa; verrà subito.
Vi annuncerò.
BARGELLO
Te ne prego. [Esce il servo.] Saprò
la sua decisione, forse sarà indulgente.
Ahimè, ha trasgredito come in sogno;
ogni classe ed età ha l’uzzolo di questo vizio,
e lui deve morirci!
Entra Angelo.
ANGELO
Ebbene, cosa c’è, Bargello?
BARGELLO
Volete dunque che Claudio muoia domani?
ANGELO
Non ti ho detto di sì? Non avevi l’ordine?
Perché me lo richiedi?
BARGELLO
Per non precipitare.
Correggetemi pure, ma ho visto
casi in cui ad esecuzione avvenuta,
ci si è pentiti della sentenza di condanna.
ANGELO
Va’, è affar mio. Esegui gli ordini o lascia il posto.
Possiamo fare a meno di te.
BARGELLO
Perdonatemi.
Che ne faremo di Giulietta con le doglie, signore?
Sta per partorire.
ANGELO
Falla portare
in un luogo più acconcio, e in tutta fretta.
[Entra un servo.]
SERVO
C’è la sorella dell’uomo condannato
che vi chiede udienza.
ANGELO
Ha una sorella?
BARGELLO
Sì, buon signore, una giovane molto virtuosa,
che presto si farà suora, se non lo è già.
ANGELO
Bene, fatela entrare. Fate allontanare [Esce il servo.]
la fornicatrice: che abbia il necessario,
non il superfluo. Avrete gli ordini.
Entrano Lucio e Isabella.
BARGELLO
Dio vi salvi, Eccellenza. [Fa per andare.]
ANGELO
Resta ancora un po’.
[A Isabella] Siate benvenuta: che cosa desiderate?
ISABELLA
Sono supplice dolente di Vostro Onore.
Abbiate la compiacenza di ascoltarmi.
ANGELO
Ebbene: la vostra supplica?
ISABELLA
C’è un vizio
che sopra tutto aborro e che vorrei
subisse il rigore della giustizia,
per il quale non supplicherei, se non dovessi;
per il quale non supplicherei, se qui non fossi
in guerra fra volere e non volere.
ANGELO
Allora: di che si tratta?
ISABELLA
Ho un fratello
che è condannato a morte; vi supplico,
si condanni il misfatto, e non mio fratello.
BARGELLO [a parte]
Il cielo ti dia la grazia di smuoverlo!
ANGELO
Condannare il misfatto e non l’autore?
Ogni colpa è condannata prima di commetterla:
sarebbe azzerare la mia funzione
colpire la colpa come previsto dalla legge,
e rilasciar l’autore.
ISABELLA
Oh, legge giusta
ma severa! Allora non ho più fratello.
Il cielo protegga Vostra Eccellenza.[Fa per andare.]
LUCIO [a Isabella]
Non arrendetevi così. Tornate alla carica,
supplicatelo, inghinocchiatevi davanti a lui,
attaccatevi alla sua toga: siete troppo fredda.
Se supplicaste per un ninnolo, non potreste
farlo con voce più dimessa. Forza, vi dico.
ISABELLA
Deve proprio morire?
ANGELO
Non c’è rimedio, fanciulla.
ISABELLA
Sì: io penso che potreste perdonarlo
senza che il cielo o uomo abbia a dolersi
della vostra clemenza.
ANGELO
Non voglio farlo.
ISABELLA
Ma, volendolo, potreste?
ANGELO
Badate,
quel che non voglio, non posso farlo.
ISABELLA
Ma se poteste farlo senza offendere,
se vi toccasse il cuore quella compassione
che tocca il mio?
ANGELO
È condannato, è troppo tardi.
LUCIO [a Isabella]
Siete troppo fredda.
ISABELLA
Troppo tardi? No, no. Detta una parola
posso sempre ritirarla. – Oh, credete,
nessun attributo dei grandi, né corona
del re, né spada di giustizia, mazza
del maresciallo, toga del giudice,
si addice loro con tanta grazia quanto
la clemenza.
Se fosse stato al vostro posto, e voi al suo,
avreste peccato come lui, ma lui con voi
non sarebbe stato tanto severo.
ANGELO
Vi prego, andate.
ISABELLA
Se il cielo mi desse la vostra potenza,
e voi foste Isabella! Sarebbe così allora?
No: farei vedere cos’è esser giudice,
ed esser prigioniero.
LUCIO [a Isabella]
Sì, così si fa a toccarlo.
ANGELO
Vostro fratello è colpevole per legge,
e voi sprecate il fiato.
ISABELLA
Ahimè, ahimè!
Tutte le anime erano un tempo perdute,
e Colui che più poteva trarne vantaggio
trovò il rimedio. Come sareste voi
se Colui che di giustizia è il culmine,
vi giudicasse sol per quel che siete?
Pensateci, e fra le labbra allora vi aliterà
clemenza, come a un nuovo Adamo.
ANGELO
Siate ragionevole, bella fanciulla:
la legge, non io, condanna vostro fratello;
fosse mio parente, un fratello o figlio,
sarebbe lo stesso. Deve morire domani.
ISABELLA
Domani? Ah, è così presto!
Risparmiatelo, risparmiatelo!
Non è preparato a morire. Anche in cucina
uccidiamo il pollame quand’è la stagione;
con meno riguardo serviremo il cielo
di quello usato per il nostro io corporeo?
Mio buon, buon signore, ripensateci:
chi è mai morto per questo delitto?
Molti l’hanno commesso.
LUCIO [a Isabella]
Ah, ben detto.
ANGELO
La legge non è morta, anche se dormiva.
Quei molti non avrebbero osato trasgredire
se il primo a infrangere il decreto
avesse pagato di persona. Ora è desta,
prende nota delle azioni e, come un profeta,
vede nel magico cristallo quei mali futuri
– nuovi o per indulgenza di nuovo concepiti,
quindi in incubazione e destinati a nascere –
a cui ora è tolta prospettiva di sviluppo,
stroncati sul nascere.
ISABELLA
Mostrate un po’ di pietà.
ANGELO
Ne mostro soprattutto mostrando giustizia.
Allora ho pietà di chi non conosco,
che un delitto impunito ferirebbe,
e rendo invece giustizia a chi, pagando
per una colpa infame, non vivrà per ripeterla.
Rassegnatevi, vostro fratello muore domani.
Datevi pace.
ISABELLA
Così sarete il primo a emettere
questa sentenza, e lui a soffrirne. Oh,
è bello avere una forza da gigante,
ma da tiranno usarla da gigante.
LUCIO [a Isabella]
Ben detto.
ISABELLA
Se i grandi potessero tuonare
al par di Giove, Giove non avrebbe requie;
il più gretto funzionario riempirebbe
il proprio cielo di tuoni; solo tuoni.
Cielo misericordioso, tu con la tua folgore
sulfurea e repentina schianti la quercia
nodosa e inaccessibile alla bietta,
non il tenero mirto. Ma l’uomo, nel suo orgoglio,
rivestito d’una piccola e breve autorità,
ignorando ciò che più deve assicurarlo
– il sembiante divino – come scimmia stizzosa
si dà a lazzi e sberleffi in faccia all’alto cielo
da far piangere gli angeli, che se avessero
la milza dei mortali, morirebbero dal ridere.
LUCIO [a Isabella]
Dàgli, dàgli, ragazza. Sta per cedere.
Fa marcia indietro: lo vedo.
BARGELLO [a parte]
Voglia Iddio che lo persuada.
ISABELLA
Non possiamo soppesare il prossimo
col nostro peso. I grandi scherzano coi santi:
in loro è arguzia, ma negli inferiori
sarebbe profanazione infame.
LUCIO [a Isabella]
Sei sulla via giusta, ragazza; dài, così.
ISABELLA
Nel capitano è uno sbotto di collera
quel che nel soldato è pura bestemmia.
LUCIO [a Isabella]
Hai capito la solfa? Di più, di più.
ANGELO
Perché mi snocciolate questi detti?
ISABELLA
Perché l’autorità, che erra come tutti,
ha in sé come un antidoto che cicatrizza
il vizio. Guardate in voi stesso, bussate
e chiedete al vostro cuore che cosa sa
d’una colpa come quella del fratello mio.
Se confessa una tendenza naturale
ad una colpa simile alla sua,
la vostra lingua non emetta suono
contro la vita di mio fratello.
ANGELO [a parte]
Lei parla,
e così a senso, che risveglia i miei sensi. –
Addio. [Fa per andare.]
ISABELLA
Gentile signore, rimanete.
ANGELO
Rifletterò. Ritornate domani.[Fa per andare.]
ISABELLA
Sentite come vi sedurrò: rimanete,
mio buon signore.
ANGELO
Cosa? Sedurmi?
ISABELLA
Sì, con doni che il cielo dividerà con voi.
LUCIO [a Isabella]
Stavi per rovinare tutto!
ISABELLA
Non con sciocche monete d’oro zecchino,
o pietre che valgono tanto o poco
a seconda di come le valuti il capriccio;
ma con sincere preghiere, che saliranno
ed entreranno in cielo prima dell’alba:
preghiere d’anime caste, di vergini austere
che non si dedicano ad alcunché di temporale.
ANGELO
Bene: ritornate da me domani.
LUCIO [a Isabella]
Dài, dài, è fatta; andiamocene.
ISABELLA
Il cielo protegga Vostro Onore.
ANGELO [a parte]
Amen.
Perché di lì vado in tentazione,
dove sono in contrasto le preghiere.
ISABELLA
A che ora domani mi presenterò
a Vostra Signoria?
ANGELO
Prima di mezzogiorno.
ISABELLA
Dio salvi Vostro Onore.[Escono tutti tranne Angelo.]
ANGELO
Da te, e dalla tua virtù!
Cos’è questo? Cos’è? È colpa sua, o mia?
La tentatrice o il tentato: chi pecca di più?
Lei no: non è lei che tenta; sono io
che sdraiato al sole accanto alla violetta
faccio come la carcassa, non il fiore,
mi corrompo per la fertile stagione.
Può essere che la donna modesta ecciti
i nostri sensi più di quella licenziosa?
Con l’abbondanza di terreno incolto
vorremmo radere al suolo il santuario
ed ergervi il nostro immondezzaio?
Che schifo! Che fai, o cosa sei tu, Angelo?
Turpe, la desideri per ciò che la fa onesta?
Oh, salva la vita a suo fratello! I ladri
hanno tutte le ragioni per rubare
quando anche i giudici rubano. L’amo,
che la vorrei ancor sentir parlare
e dei suoi occhi pascermi? Che cosa sogno?
O perfido nemico, che per prendere un santo
coi santi armi il tuo amo! La più pericolosa
è la tentazione che a peccar ci spinge
innamorandoci della virtù. La puttana
col suo doppio potere, natura ed arte,
non riuscì mai a turbare il mio equilibrio:
ma questa vergine virtuosa mi soggioga tutto.
Fino ad ora soltanto sorridevo
degli infatuati, e come fosse mi chiedevo. Esce.
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
[Una prigione.]
Entrano [separatamente] il Duca [travestito da frate] e il Bargello.
DUCA
Vi saluto, Bargello… siete il bargello, vero?
BARGELLO
Sono il bargello. Che desiderate, buon frate?
DUCA
Per obbligo di carità, e del mio ordine pio,
vengo a visitare i derelitti della prigione.
Concedetemi il privilegio clericale
di visitarli e conoscere la natura
dei loro delitti, ché possa in consequenza
fornire loro il mio ministero.
BARGELLO
Farei ben di più, se occorresse…
Entra Giulietta.
Ecco, ne viene una: una gentildonna
che caduta nei trasporti della gioventù
ha macchiato la sua reputazione. È incinta
e il colpevole è condannato; un giovane
più adatto a ripetere il misfatto
che a morirne.
DUCA
Quando deve morire?
BARGELLO
Credo domani.
[A Giulietta] Ho provveduto a voi; aspettate un po’,
che vi condurrano via.
DUCA
Vi pentite,
bella giovane, del peccato che portate?
GIULIETTA
Sì; e lo sopporto da penitente.
DUCA
Vi insegnerò a far l’esame di coscienza
e appurare se il vostro pentimento
è sincero o di facciata.
GIULIETTA
Lo farò volentieri.
DUCA
Amate l’uomo che vi ha sedotta?
GIULIETTA
Sì, come amo la donna che l’ha sedotto.
DUCA
Allora pare che l’atto più peccaminoso
sia stato commesso di comune accordo?
GIULIETTA
Sì.
DUCA
Allora la vostra colpa fu più grave della sua.
GIULIETTA
Lo confesso, e me ne pento, padre.
DUCA
Così va bene, figliola; ma per tema
che vi pentiate perché il peccato
vi ha condotto a questa vergogna,
ch’è contrizione verso noi stessi, non il cielo,
mostrando di non volerlo offendere
non per amore, ma per timore…
GIULIETTA
Me ne pento perché è male in sé,
e accolgo con gioia la vergogna.
DUCA
Continuate così. Il vostro complice
sento che deve morire domani
e andrò da lui coi miei precetti.
La grazia sia con voi. Benedicite! Esce.
GIULIETTA
Deve morir domani! O amore nocivo
che mi concedi una vita il cui conforto
è sempre orrore di morte!
BARGELLO
Che pena per lui! Escono.
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
[L’anticamera.]
Entra Angelo.
ANGELO
Quando vorrei pregare e meditare
medito e prego in opposte direzioni.
Il cielo ha le mie vacue parole,
mentre la fantasia, sorda a quel che dico,
si fissa su Isabella. Ho in bocca il Cielo
come se soltanto ne masticassi il nome,
e nel cuore il male forte e travolgente
del mio desiderio. Gli affari di stato
ai quali dedicavo le mie cure
come un buon libro letto e riletto
mi diventano tediosi e vizzi; sì,
la gravità di cui (nessun mi senta)
inorgoglisco, potrei cambiarla con profitto
con una piuma che in aria svolazzi vanitosa.
Ah, posizione, pompa, di frequente
col tuo aspetto esteriore agli stolti
incuti soggezione, ed i più saggi
assoggetti alla tua ingannevole apparenza!
Sangue, sei sempre sangue. Scriviamo
angelo buono sulle corna del demonio –
non potranno servirgli da cimiero.[Bussano.]
Eh? Chi c’è?
Entra un servo.
SERVO
Una certa Isabella, novizia, chiede udienza.
ANGELO
Accompagnala qui. [Esce il servo.] O cielo,
perché il sangue mi affluisce al cuore
incapacitandolo, e al tempo stesso
privando del vigore necessario
gli altri miei organi? Così la stupida ressa
di gente si comporta con chi sviene
accalcandosi in aiuto, e togliendo l’aria
che possa rianimarlo; allo stesso modo
il popolino per un re beneamato
lascia le proprie incombenze e s’affolla
in ossequio inconsulto alla sua presenza,
ed il suo amore sconsiderato per forza
apparirà molesto.
Entra Isabella.
Che c’è, bella fanciulla?
ISABELLA
Vengo a conoscere il piacer vostro.
ANGELO [a parte]
Mi piacerrebbe di più se lo sapeste,
senza chiederlo. – Vostro fratello non vivrà.
ISABELLA
È così. Il cielo protegga Vostro Onore.
ANGELO
Pure potrebbe vivere per un poco;
magari come voi e me. Ma dovrà morire.
ISABELLA
Per la vostra condanna?
ANGELO
Sì.
ISABELLA
Quando, vi imploro? Che nell’attesa,
lunga o breve che sia, venga preparato
affinché non disperi la sua anima.
ANGELO
Eh? Che schifo, questi vizi immondi!
Tanto varrebbe graziare chi alla natura
ha rubato una vita già formata
che condonare l’impudente lascivia
di chi conia l’immagine divina
in stampi proibiti. È tanto facile sopprimere
illegalmente una vita legittima
che versar metallo in matrici indebite
per crearne una falsa.
ISABELLA
Così si prescrive in cielo, non in terra.
ANGELO
Dite così? Allora vi porrò io la questione.
Preferireste che una legge giusta
prenda la vita di vostro fratello,
o per salvarlo, offrire il vostro corpo
alle dolcezze lussuriose, come colei
che lui ha macchiato?
ISABELLA
Credetemi, signore:
darei piuttosto il mio corpo che l’anima.
ANGELO
Non parlo della vostra anima. I peccati
a cui siamo costretti fanno numero,
ma non contano.
ISABELLA
Come dite?
ANGELO
Ebbene,
non lo garantisco: posso ribattere
quello che dico. Rispondete a questo:
io – portavoce d’una legge scritta –
emetto condanna a morte per vostro fratello.
Non potrebbe essere carità il peccato
commesso per salvarlo?
ISABELLA
Se lo fate,
il rischio l’assumerà l’anima mia:
non è affatto peccato, ma carità.
ANGELO
Se lo fate voi, rischiando l’anima,
sarebbe parimenti peccato e carità.
ISABELLA
Se è peccato implorare la sua vita,
il cielo me lo addossi; per voi concederla,
se è peccato, sarà mia preghiera mattutina
che venga addebitato ai miei peccati
e non ne rispondiate voi.
ANGELO
Ah, state a sentire:
i vostri sensi non coincidono coi miei.
O siete ignara, oppure fate finta;
e non va bene.
ISABELLA
Sia pure ignara e inetta,
ma grazie a Dio so di non valer di più.
ANGELO
Già, il sapere vuol brillar di più
quando si sminuisce; e questi veli neri
proclamano la bellezza che nascondono
dieci volte più forte d’una beltà esibita.
Ma attenzione: per farmi ben capire
parlerò più crudo: vostro fratello
sarà messo a morte.
ISABELLA
Lo so.
ANGELO
E il suo delitto è così evidente
da richiedere per legge quella pena.
ISABELLA
Vero.
ANGELO
Mettiamo che non ci sia altro modo
di salvargli la vita – io ammetto questo
o altro modo solo come pura ipotesi –
se non che voi, sua sorella, sapendovi
desiderata da qualcuno il cui credito
presso il giudice, o l’alta posizione,
possa strappare vostro fratello ai ceppi
della legge coercitiva, e che non vi siano
altri mezzi terreni per salvarlo
tranne concedere i tesori del vostro corpo
a questa ipotetica persona, o lasciare
che egli muoia: che fareste?
ISABELLA
Per il mio povero fratello, quanto per me:
se fossi sotto pena di morte, i segni
delle sferzate li porterei come rubini,
e mi spoglierei per la morte come per un letto
per il quale di desiderio abbia languito,
prima di offrire il mio corpo alla vergogna.
ANGELO
Allora vostro fratello deve morire.
ISABELLA
È la via che costa meno. Meglio
che un fratello muoia una volta sola,
piuttosto che una sorella, per salvarlo,
muoia per l’eternità.
ANGELO
E così, non sareste crudele
come la sentenza tanto vituperata?
ISABELLA
L’ignobile riscatto e un libero perdono
son di due case: una legittima clemenza
non è parente d’una sconcia redenzione.
ANGELO
Poco fa facevate della legge un tiranno,
considerando la caduta di vostro fratello
più spasso che vizio.
ISABELLA
Perdonatemi, signore;
spesso per avere quel che vogliamo
non diciamo quello che intendiamo.
Scuso un pochino la cosa che detesto
a vantaggio di colui che tanto amo.
ANGELO
Siam tutti fragili.
ISABELLA
Mio fratello muoia
se senza complici o sodali, ma solo lui
con il retaggio di questa debolezza.
ANGELO
Anche le donne sono fragili.
ISABELLA
Sì, come gli specchi in cui si mirano,
rotti con la facilità con cui creano forme.
Le donne? – Dio ci aiuti, approfittandone
gli uomini rovinano la creazione divina.
Ah, dieci volte fragili potete dirci:
siamo tenere come la nostra carnagione
e cedevoli alle false impressioni.
ANGELO
D’accordo;
e da questa testimonianza del vostro sesso
– non credo infatti che noi siamo più forti
dei difetti che minano la nostra indole –
avrò l’ardire di prendervi in parola.
Siate quel che siete, ossia una donna;
se foste di più, non lo sareste. E se lo siete –
tutti i vostri attributi non lasciano dubbi –
mostratelo ora, indossando la livrea
a cui le donne sono destinate.
ISABELLA
Io ho solo una lingua, buon signore;
vi supplico, parlate come prima.
ANGELO
Insomma capite, io vi amo.
ISABELLA
Mio fratello amava Giulietta,
e voi mi dite che per questo morrà.
ANGELO
Non morrà, Isabella, se mi darete amore.
ISABELLA
So che la vostra virtù ha licenza,
peggiore all’apparenza di quel che è,
di sviare gli altri.
ANGELO
Sul mio onore, credetemi,
le mie parole esprimono il mio intento.
ISABELLA
Eh, poco onore per trovar molto credito,
e intento pernicioso! Ipocrisia, ipocrisia!
Ti denuncerò, Angelo, sta’ attento.
Firmami subito la grazia per mio fratello,
o a gola spiegata proclamerò al mondo
che razza d’uomo sei.
ANGELO
Chi ti crederà, Isabella?
Il mio nome specchiato, l’austerità
della mia vita, la mia testimonianza
contraria e la mia posizione nello stato
soverchieranno di tanto la tua accusa
che soffocherai nella tua denuncia
puzzando di calunnia. Ho cominciato,
e ora do libero sfogo alla foga dei sensi:
acconsenti al mio bramoso desiderio,
spogliati d’ogni ritrosia e diffusi rossori
che ottengono il contrario. Salva tuo fratello
abbandonando il tuo corpo alle mie voglie;
sennò non solo verrà messo a morte,
ma la tua snaturalezza prolungherà
la sua agonia con estenuanti sofferenze.
Rispondimi domani, o per la passione
che ora mi domina, sarò con lui spietato.
Quanto a te, di’ quel che vuoi; la mia falsità
avrà la meglio della tua sincerità. Esce.
ISABELLA
A chi ricorrere? Se lo raccontassi,
chi mi crederebbe? O bocche traditrici,
che in sé albergano una sola lingua
per condannare o approvare, ordinando
alla legge di piegarsi al loro volere,
legando il giusto e l’ingiusto all’appetito,
per seguirlo là dove conduce!
Andrò da mio fratello. Benché caduto
per impulso carnale, ha ancora in lui
un così elevato senso dell’onore
che avesse venti teste da posare
su venti ceppi insanguinati, le offrirebbe
prima che sua sorella ceda il proprio corpo
a tale aborrita polluzione. Allora, Isabella,
tu vivi casta, e tu, fratello muori:
più di un fratello vale la purezza.
Gli dirò di che proposta Angelo è capace,
e lo preparerò alla morte, ché l’anima abbia pace. Esce.
Misura per misura
(“Measure for measure” 1603)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V