Otello – Atto I

(“Othello” – 1602 – 1603)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Otello - Atto I

Personaggi
OTELLO, nobile Moro al servizio della Repubblica di Venezia
BRABANZIO, senatore di Venezia e padre di Desdemona
CASSIO, luogotenente di Otello
IAGO, alfiere di Otello
RODERIGO, gentiluomo veneziano
IL DOGE DI VENEZIA
Altri senatori
MONTANO, predecessore di Otello come governatore di Cipro
GRAZIANO, fratello di Brabanzio
LODOVICO, parente di Brabanzio
Clown, servo di Otello
DESDEMONA, figlia di Brabanzio e moglie di Otello
EMILIA, moglie di Iago
BIANCA, una cortigiana
Marinaio, messo, araldo, ufficiali, gentiluomini, musicanti e persone del seguito.

SCENA: Atto I, Venezia; Atti II-V, Cipro

ATTO PRIMO – SCENA PRIMA

Una strada di Venezia.

 

Entrano Iago e Roderigo.

RODERIGO

No, non dirmi; proprio non mi va giù

che tu, Iago, che tenevi i cordoni

della mia borsa, ne fossi al corrente.

IAGO

Per Dio, non mi volete ascoltare!

Se mai ne ho avuto il minimo sentore,

detestatemi pure.

RODERIGO

Dicevi che era oggetto del tuo odio.

IAGO

E disprezzatemi se non è così.

Tre uomini potenti della città

per chiedergli di farmi suo luogotenente

gli han fatto tanto di cappello,

e, in fede, conosco il mio valore,

quel posto me lo merito. Ma lui,

badando solo al suo orgoglio e ai propri fini,

li elude con tronfie tergiversazioni

infarcite di termini di guerra,

e, in breve, li lascia a mani vuote.

“Il fatto è” dice, “che ho già scelto

il mio luogotenente” E chi è?

Perbacco, uno bravo a far di conto,

un certo Michele Cassio, fiorentino,

uno pronto a dannarsi per una bella donna,

che non ha mai schierato in campo uno squadrone

e di come si dispone un esercito

non ne sa più di una ragazzina,

uno che conosce solo le teorie libresche

su cui togati senatori sanno discettare

quanto lui. Gran chiacchiere e niente pratica;

ecco la sua esperienza di soldato.

Ma è stato scelto lui, signore, ed io

che ho dato prova di me a Cipro e Rodi

e in altri campi cristiani e pagani,

io mi devo arenare sottovento

per uno che tiene partite e libri mastri;

alla buon’ora, lui, questo contabile,

sarà il suo luogotenente, ed io,

ci aiuti Iddio, l’alfiere di Sua Signoria.

RODERIGO

Cielo, meglio essere il suo boia!

IAGO

Eppur non c’è rimedio, questa è la piaga

della carriera militare; le promozioni

dipendono da favori e raccomandazioni,

non dall’anzianità, come una volta,

quando il secondo succedeva al primo.

Giudicate voi, signore, se ho

buone ragioni per amare il Moro.

RODERIGO

Allora perché restare al suo servizio?

IAGO

Oh, state tranquillo, signore.

Restare al suo servizio serve al mio scopo.

Non tutti possono essere padroni,

né tutti i padroni avere fedeli servitori.

Ne conoscerete parecchi di devoti

e deferenti, rimbambiti a forza di servire,

che passano la propria vita come l’asino

del padrone, per un po’ di biada,

e da vecchi vengono messi da parte.

Onesti furfanti, da prendersi a frustate!

Altri, con la meschina apparenza del dovere

badano solo al proprio interesse,

e facendo gran mostra di fedeltà

verso i padroni, ne traggono gran frutto,

e una volta riempitesi le tasche

non rendono omaggio che a se stessi.

Queste sono persone di talento,

ed io mi professo uno di loro… Signore,

quant’è vero che siete Roderigo,

se io fossi il Moro, non vorrei esser Iago.

Stando al suo servizio, servo me stesso.

Lo sa il cielo, non è né per amore

né per dovere, ma solo in apparenza

per i miei fini particolari. E quando

le mie azioni esteriori riveleranno

l’intima natura e intento del mio animo,

allora sì mi mostrerò col cuore in mano

per darlo in pasto alle tortorelle.

Io non sono quel che sono.

RODERIGO

Che razza di fortuna ha quel labbrone

se gli va bene questa!

IAGO

Svegliate il padre,

stanate il Moro, dategli addosso,

avvelenategli la gioia, denunciatelo per le strade,

scatenategli contro i parenti di lei,

e benché viva in un clima fertile,

infestatelo di mosche; e se si gode la sua gioia,

creategli tali motivi di fastidio

da toglierle un po’ del suo splendore.

RODERIGO

Ecco la casa del padre. Ora chiamo.

IAGO

Sì, con grida di paura e di terrore,

come quando in una grande città

si scopre in piena notte e di sorpresa

che è divampato un incendio.

RODERIGO

Ehilà, Brabanzio! Signor Brabanzio.

IAGO

Sveglia! Ehilà, Brabanzio! Al ladro, al ladro!

Attento alla casa, alla figlia, ai tesori!

Al ladro, al ladro!

Brabanzio a una finestra.

BRABANZIO

Perché tutte queste grida? Che succede?

RODERIGO

Signore, tutti i vostri familiari sono a casa?

IAGO

E le porte sono sbarrate?

BRABANZIO

Perché lo chiedete?

IAGO

Per Dio, signore, siete stato derubato;

presto, vestitevi. Vi è scoppiato il cuore,

vi hanno strappato via metà dell’anima.

Ora, proprio ora, un vecchio caprone nero

si sta montando la vostra pecorella bianca.

Su, movetevi, svegliate a suon di campane

i cittadini che russano, prima che il diavolo

vi renda nonno! Movetevi!

BRABANZIO

Siete usciti di senno?

RODERIGO

Reverendissimo signore,

riconoscete la mia voce?

BRABANZIO

No, chi siete?

RODERIGO

Sono Roderigo.

BRABANZIO

Ti venga un accidente.

Ti ho proibito di ronzare nei paraggi;

ti ho detto chiaro e tondo che mia figlia

non è per te. E adesso come un pazzo,

ingozzato di cibo e di bevute, coi tuoi schiamazzi

vieni a disturbare la mia quiete.

RODERIGO

Signore, signore…

BRABANZIO

Ma sta sicuro che con la mia forza

e autorità te ne farò pentire.

RODERIGO

Calmatevi, buon signore.

BRABANZIO

Che vai cianciando di furti? Qui

siamo a Venezia, non in mezzo ai campi.

RODERIGO

Siete molto severo, Brabanzio;

io vengo qui con animo sincero e schietto.

IAGO

Per Dio, signore; siete uno di quelli che non servirebbero Dio nemmeno se glielo ordinasse il diavolo. Noi veniamo a rendervi un servigio e voi ci prendete per furfanti, così vostra figlia sarà coperta da uno stallone di Barberia, i vostri nipoti nitriranno, i vostri cugini saranno corsieri e i vostri germani, giannetti.

BRABANZIO

E tu chi sei, infame canaglia?

IAGO

Sono uno, signore, che viene a dirvi che vostra figlia e il Moro ora stan facendo la bestia a due groppe.

BRABANZIO

Sei un farabutto.

IAGO

E voi, un senatore.

BRABANZIO

Ti conosco, Roderigo, e ne risponderai.

RODERIGO

Risponderò di quello che vorrete. Ma vi scongiuro;

se è col vostro consenso e gradimento

(come mi par di capire) che vostra figlia

in quest’ora oscura e incerta della notte

scortata né più né meno che da un servo

prezzolato, un gondoliere, approda

fra le rozze braccia d’un Moro lascivo;

se la cosa vi è nota e vi sta bene,

allora vi abbiamo fatto torto marcio.

Ma se non vi è noto, ho il sospetto

che avete torto voi a rimproverarci.

Non crediate che contro ogni regola civile

io mi diverta a scherzare con Vostro Onore.

Se non ha il vostro consenso, lo ripeto,

vostra figlia s’è sconciamente ribellata,

legando dovere, bellezza, mente e fortuna

a uno straniero errabondo, senza patria,

ora qua, ora là. Accertatevene subito.

Se lei è nella sua stanza o nella casa,

scatenatemi addosso i rigori dello stato

per avervi ingannato.

BRABANZIO

Forza con l’acciarino, su!

Datemi una candela, chiamate la mia gente.

Questa sciagura s’accorda col mio sogno;

già me ne sento oppresso. Luce, luce! Esce in alto.

IAGO

Addio, devo lasciarvi.

Non si confà né giova alla mia posizione

deporre contro il Moro, come mi toccherà

se resto qui. So bene che la Repubblica,

sebbene possa creargli qualche fastidio,

non può buttarlo a mare impunemente;

con tale consenso è stato imbarcato

nella guerra di Cipro, in pieno svolgimento,

che non troverebbero un altro della sua stazza

per condurre l’impresa. Ecco perché,

sebbene lo odi come le pene dell’inferno,

costretto dalle attuali circostanze

devo sbandierargli il mio amore, che però

è solo di facciata. Per trovarlo di sicuro,

il drappello si rechi dritto al Sagittario,

e mi troverete lì con lui. Addio. Esce.

Entrano Brabanzio in vestaglia e servi con torce.

BRABANZIO

La sventura è troppo vera. È fuggita,

e il futuro della mia odiosa vita

sarà solo amarezza. Dove l’hai vista,

Roderigo? O infelice ragazza!

Col Moro, dici? Chi vorrà più esser padre?

Come l’hai riconosciuta? Oh, inganno inconcepibile!

Che ti ha detto? Altre torce, svegliate

tutti i parenti. Si sono sposati, credi?

RODERIGO

Credo proprio di sì.

BRABANZIO

O cielo! Come ha fatto a fuggire?

Che tradimento del sangue! Padri,

imparate a non fidarvi delle figlie

dalle apparenze; ah, quali malie

possono traviare le giovani innocenti!

Hai mai letto, Roderigo, di queste cose?

RODERIGO

Sì, signore, certo.

BRABANZIO

Chiamate mio fratello. Ah, l’avessi data a te!

Alcuni vadano di qua, altri di là.

Sai dove possiamo sorprenderla col Moro?

RODERIGO

Credo di sì. Seguitemi con buona scorta.

BRABANZIO

Guidaci tu, ti prego. Busserò a ogni casa,

sono influente in molte. All’armi, all’armi!

E svegliate qualche ufficiale della notte.

Su, buon Roderigo, sarai ricompensato. Escono.

ATTO PRIMO – SCENA SECONDA

Davanti al Sagittario.

Entrano Otello, Iago e servitori con torce.

IAGO

Benché in battaglia io abbia ucciso,

per motivi di coscienza rifuggo

dall’omicidio a sangue freddo. Non ho

la cattiveria che potrebbe avvantaggiarmi.

Ma dieci volte a Roderigo ho avuto voglia

di piantare un pugnale fra le costole.

OTELLO

Meglio così.

IAGO

No, quello sbraitava,

vomitava insulti così lerci e provocanti

sul vostro onore, che benché poco religioso,

ho fatto gran fatica a non colpirlo.

Ma ditemi, signore, siete sposato?

Badate che il Magnifico è molto amato,

e gode di un’influenza doppia

anche del Doge. Data la sua autorità

può farvi divorziare, o imporvi

tutte le restrizioni ed i rigori

per i quali la legge gli dà corda.

OTELLO

Sfoghi pure la sua ira; i servigi

che ho reso alla Serenissima

prevarranno sulle sue proteste.

Non si sa ancora – e lo promulgherò

quando la vanteria sarà un merito –

che discendo da lignaggio regale

e a fronte alta il mio valore può aspirare

a un successo come quello che ho raggiunto.

Sappi, Iago, che se non fosse per amore

della mia dolce Desdemona, neanche

per tutti i tesori degli oceani

imporrei vincoli e restrizioni

al mio stato di libero soldato.

Ma guarda, si avvicinan delle torce.

IAGO

Sono quelle di suo padre e dei suoi amici;

fareste meglio a ritirarvi.

OTELLO

Non io

Mi trovino pure. Le mie qualità,

il mio grado, la mia coscienza immacolata

paleseranno il mio diritto. Sono loro?

IAGO

Per Giano bifronte, non direi.

Entra Cassio, con ufficiali e torce.

OTELLO

Le guardie del Doge e il mio luogotenente!

Felice notte a voi, amici. Quali nuove?

cassio Il Doge vi saluta, generale,

e richiede la vostra immediata presenza,

all’istante.

OTELLO

Ne sapete il motivo?

CASSIO

Qualcosa da Cipro, immagino, e piuttosto urgente.

Stasera dalle galere si sono susseguiti

svariati messaggeri, e già dal Doge

si sono recati parecchi senatori

svegliati nel sonno o rintracciati per via.

Voi siete stato convocato con urgenza,

e non trovandovi a casa, tre drappelli

vi stanno cercando per tutta la città.

OTELLO

Mi avete trovato, meno male. Il tempo

di scambiare una parola in casa,

e sarò con voi. Esce.

CASSIO

Alfiere, che ci fa qui Otello?

IAGO

Be’, stanotte ha abbordato un galeone di terra.

Se si dimostrerà preda legittima,

è sistemato per sempre.

CASSIO

Non capisco.

IAGO

Si è sposato.

CASSIO

Con chi?

Entra Otello.

IAGO

Perbacco, con…

Ecco capitano, siamo pronti.

OTELLO

Andiamo pure.

CASSIO

Ecco un altro drappello che vi cerca.

Entrano Brabanzio, Roderigo, e altri con torce e armi.

IAGO

È Brabanzio. Attento, generale,

viene con cattive intenzioni.

OTELLO

Fermi!

RODERIGO

Signore, è il Moro.

BRABANZIO

Addosso al ladro!

Snudano le spade.

IAGO

Voi, Roderigo. A noi due, allora.

OTELLO

Rinfoderate le spade risplendenti,

che la rugiada non le arrugginisca.

Nobile signore, otterrete di più con l’età.

che con le armi.

BRABANZIO

Oh, lurido ladro!

Dove hai nascosto mia figlia?

Dannato come sei, tu l’hai stregata.

A lume di ragione, come pensare

che se non fosse per forza di magia,

una ragazza così tenera, dolce e felice,

così ostile alle nozze che ha respinto

i più ricchi e avvenenti partiti,

si sarebbe mai sottratta alla tutela,

offrendosi al dileggio generale, per gettarsi

sul nero petto di un coso come te?

È stata certo paura, non amore.

Giudichi il mondo, se non è palmare

che le hai praticato magie nere,

abusando della sua tenera età con droghe

e filtri che paralizzano la mente.

Ti porterò in giudizio; è chiaro

e lampante. Perciò ti arresto e accuso

come lercio corruttore e praticante

d’arti magiche proibite ed illegali.

Acciuffatelo, e se oppone resistenza,

usate la forza.

OTELLO

Giù le armi,

sia voi della mia parte e gli altri.

Se fossimo alla scena della zuffa

non mi occorrerebbe suggeritore.

Dove volete che vada, a rintuzzare

questa vostra accusa?

BRABANZIO

In prigione,

finché secondo i termini di legge

non ti venga intentato il processo.

OTELLO

E se obbedisco, che dirà il Doge,

i cui inviati qui al mio fianco

attendono di accompagnarmi da lui

per qualche urgente affare di stato?

UFFICIALE

È vero, nobile signore; il Doge

è in consiglio, e voi stesso siete atteso.

BRABANZIO

Come? Il Doge in consiglio? A quest’ora?

Portatelo con voi; le mie accuse

non sono da poco; il Doge stesso

o anche i miei colleghi del Senato

la riterranno un’offesa personale.

Se questi misfatti vengon condonati,

da schiavi e pagani saremo governati. Escono.

ATTO PRIMO – SCENA TERZA

La camera del consiglio.

 

Entrano il Doge e i Senatori, a un tavolo con torce e servitori.

IL DOGE

Non possiamo dar credito a notizie

così discordanti.

PRIMO SENATORE

Sì, non coincidono.

Le mie lettere dicono centosette galee.

IL DOGE

E le mie, centoquaranta.

SECONDO SENATORE

Le mie, duecento.

Ma se non corrispondono nei numeri

(come spesso nel caso di rapporti

basati sulle stime), confermano tutte

che una flotta turca muove su Cipro.

IL DOGE

Già, risulta logico; la discordanza

non mi rassicura, mentre appare vera

e allarmante la sostanza.

MARINAIO (Da dentro)

Ehilà! Ehilà!

UFFICIALE

Un messo dalle galere.

Entra un marinaio.

IL DOGE

Che c’è di nuovo?

MARINAIO

La flotta dei Turchi punta su Rodi;

così mi ha ordinato di riferire

il signor Angelo.

IL DOGE

Che pensate di questo cambiamento?

PRIMO SENATORE

Non può essere, a lume di ragione…

È una finta per confonderci le idee.

Basta considerare l’importanza

di Cipro per il Turco, per capire

che gli sta più a cuore di Rodi; inoltre

Cipro è più facile da conquistare

perché non ha né fortificazioni

né difese apprestate come Rodi.

Riflettendoci, non è da supporre

che il Turco sia tanto scriteriato

da posporre il suo primo interesse

senza cercare una facile conquista,

incorrendo in un inutile rischio.

IL DOGE

Sì, di sicuro non punta su Rodi.

UFFICIALE

Ecco altre notizie.

Entra un messo.

MESSO

Illustrissimi signori, gli ottomani

facendo rotta sull’isola di Rodi

si sono ricongiunti a un’altra flotta.

PRIMO SENATORE

Ah, come pensavo. Quante navi saranno?

MESSO

Una trentina; e ora, invertita la rotta,

si dirigono apertamente su Cipro.

Il signor Montano, vostro fidato

e valoroso servitore, ve ne informa

in base all’obbedienza che vi deve,

e prega che gli prestiate fede.

IL DOGE

Senza più dubbio, puntano su Cipro.

Marco Lucicco non è in città?

PRIMO SENATORE

No, è a Firenze.

IL DOGE

Scrivetegli con la massima urgenza, svelti.

PRIMO SENATORE

Arrivano Brabanzio e il valoroso Moro.

Entrano Brabanzio, Otello, Cassio, Iago, Roderigo e ufficiali.

IL DOGE

Valoroso Otello, dobbiamo subito impiegarvi

contro il comune nemico ottomano.

(A Brabanzio) Non vi avevo visto; benvenuto, signore,

stasera ci è mancato il vostro consiglio

e il vostro aiuto.

BRABANZIO

E a me il vostro.

Vostra Grazia mi perdoni; né il mio ufficio

né questioni di stato mi hanno strappato

dal letto, né il pubblico interesse

occupa i miei pensieri; un dolore personale,

di natura così prepotente e travolgente,

inghiotte e assorbe tutte le altre pene

senza darmi tregua.

IL DOGE

Che è successo?

BRABANZIO

Mia figlia, mia figlia!

TUTTI

Morta?

BRABANZIO

Sì, per me.

È stata sedotta, rapita, corrotta,

con incanti e filtri da ciarlatani;

un essere umano che non sia tarato,

cieco o dissennato, non potrebbe

senza malia errare in modo così assurdo.

IL DOGE

Chiunque in maniera così abbietta

abbia privato vostra figlia di se stessa,

e voi di lei, subirà la punizione

che sarete voi stesso a decretare

secondo il rigido dettame della legge,

anche se l’accusato fosse mio figlio.

BRABANZIO

Ringrazio umilmente Vostra Grazia.

Ecco l’uomo; il Moro, che qui pure

è stato convocato, su vostro ordine,

per affari di stato.

TUTTI

Ne siamo addolorati.

IL DOGE

(A Otello) Che avete da dire a vostra discolpa?

BRABANZIO

Niente, non può negare.

OTELLO

Potenti, saggi e reverendi signori,

miei nobili e venerati padroni;

è verissimo che ho portato via

la figlia a questo vecchio; e l’ho sposata.

Questo è tutto il campo e la portata

della mia offesa, e nulla più.

Io parlo rudemente, non ho il dono

dei bei giri di frase; queste mie braccia

dacché ebbero il vigore dei sett’anni

fino all’incirca a nove lune or sono

han compiuto la loro opera migliore

sui campi di battaglia. E so dir poco

del gran mondo che non si riferisca

a fatti di guerra e di tumulti; poco perciò

gioverà alla mia causa parlare per me stesso.

Tuttavia, col vostro grazioso permesso,

vi farò un racconto semplice e completo

del mio amore; con che droghe, scongiuri,

incantesimi e potenti magie – che

di tali pratiche vengo qui accusato –

conquistai sua figlia.

BRABANZIO

Una vergine pudica,

di animo così quieto e tranquillo

che arrossiva persino di se stessa;

e lei, contro natura, età, paese,

reputazione e tutto, innamorarsi

di chi avrebbe avuto paura di guardare?

È mancanza di senno e di giudizio

ammettere che tale perfezione

vada contro ogni legge di natura;

la causa del traviamento per forza

va ricercata in pratiche infernali;

ribadisco perciò che con misture

che influenzano il sangue, o con pozioni

create a questo scopo, ha sedotto mia figlia.

IL DOGE

Affermarlo non basta come prova,

ne occorrono di più chiare e esplicite

che non queste labili apparenze

e mere congetture su luoghi comuni,

per accusarlo.

PRIMO SEN.

Parlate, Otello;

è stato con mezzi subdoli e forzosi

che avete soggiogato e avvelenato

i sentimenti di questa fanciulla,

o è accaduto con la persuasione

e il conversare che l’uno all’altro avvince?

OTELLO

Vi prego, mandate a chiamare la signora

al Sagittario, e che parli di me

al cospetto di suo padre. Se il suo racconto

va a mio discapito, non solo toglietemi

la fiducia e il compito affidatomi,

ma comminatemi la pena capitale.

IL DOGE

Conducete qui Desdemona.

Due o tre servitori si avvicinano alla porta.

OTELLO

(A Iago) Alfiere, guidali; tu conosci il posto.

Escono Iago e i servitori.

E nell’attesa, con quella sincerità

con cui confesso al cielo i miei peccati

racconterò alle vostre sagge orecchie

come ho conquistato l’amore della bella signora,

e lei il mio.

IL DOGE

Racconta, Otello.

OTELLO

Suo padre mi amava, spesso mi invitava,

e mi chiedeva sempre di narrargli

la storia della mia vita, di anno in anno;

le battaglie, gli assedi, le vittorie

che ho passato.

Io raccontavo, dagli anni dell’infanzia

fino ai giorni presenti; narravo

di disastri ed emozionanti avventure

per mare e terra, di quando per un pelo

ero sfuggito a imminenti pericoli di morte,

caduto in mano al nemico arrogante

e venduto in schiavitù; del riscatto

e di tutte le mie peregrinazioni.

E così ebbi modo di parlare

di antri immensi e deserti sconfinati,

di cave petrose, rocce e monti

che svettano nel cielo; e dei cannibali,

che mangiano altri uomini, degli antropofagi

e di quelli che han la testa nel petto.

Desdemona era ansiosa d’ascoltare

e quando si doveva allontanare

per le faccende di casa, le sbrigava in fretta

per tornare a divorare avidamente

le mie parole. Io me ne accorsi,

e colsi modo e momento opportuno

perché con tutto il cuore mi pregasse

di narrarle estesamente il mio peregrinare

che lei aveva sentito solo a brani,

di tanto in tanto. Io acconsentii,

e spesso le strappavo qualche lacrima

narrandole le traversie subite

in gioventù. Conclusa la mia storia,

trasse sulle mie pene un gran sospiro,

giurando che era strano, molto strano,

un racconto che destava pietà, molta pietà;

avrebbe preferito non sentirlo,

ma anche voluto essere lei quell’uomo.

Mi ringraziò e mi disse che se avevo

un amico che le voleva bene,

bastava insegnargli a narrare la mia storia

per conquistarla. Allora le parlai;

lei mi amò per le mie pene passate,

ed io l’amai perché ne provò pena.

La magia da me usata è tutta qui.

Ecco, lei stessa può testimoniarvelo.

Entrano Desdemona, Iago, servitori.

IL DOGE

Questo racconto avrebbe conquistato

anche mia figlia. Buon Brabanzio, cercate

di sistemare al meglio la faccenda;

è preferibile usare armi spuntate

che non le nude mani.

BRABANZIO

Vi prego di ascoltarla. Se ammette

che è stata lei a indurlo a corteggiarla,

ch’io sia dannato se accuso ancora il Moro!

Avvicinatevi, dolce signora;

a chi di questa nobile accolta

dovete più obbedienza?

DESDEMONA

Nobile padre,

il mio dovere è qui diviso in due;

a voi mi legano nascita ed educazione,

e nascita ed educazione mi insegnano

a rispettarvi. Voi siete il mio signore,

essendo io finora vostra figlia.

Ma qui c’è mio marito; e la stessa

obbedienza che vi mostrò mia madre,

anteponendovi al padre suo,

io devo dichiarare di dovere

al Moro mio signore.

BRABANZIO

Addio, che altro?

Agli affari di stato, Vostra Grazia.

Meglio adottare che generare figli.

Vieni qui, Moro; ti do con tutto il cuore

ciò che se già non te lo fossi preso,

con tutto il cuore ti rifiuterei.

Per causa tua (mia gioia) in cuore mi rallegro

di non aver altri figli; la tua fuga

me li farebbe costringere in ceppi,

da tiranno. Ho finito, mio signore.

IL DOGE

E allora io parlerò per voi,

emettendo un giudizio sentenzioso

che come una scala al vostro affetto

riconduca questi due innamorati.

Se non c’è rimedio, finiscono le pene,

vedendo che il peggio ha tolto ogni speme.

Piangere un malanno già passato

è chiamarsene un altro sul capo.

Ciò che la sorte toglie non ha difesa,

sopportarlo irride la sua offesa.

Il derubato che ci ride su, deruba il ladro stesso;

indulgere a un vano dolore è derubar se stesso.

BRABANZIO

Così se Cipro al Turco abbandoniamo

e ci ridiamo su, non lo perdiamo;

accetta di buon grado la sentenza chi sopporta

solo la consolazione ch’essa gli porta;

ma ne sente tutto il peso ed il bruciore

chi con poca pazienza s’abbandona al dolore.

Queste sentenze, siano esse dolci o amare,

essendo a doppio taglio, posson equivocare.

Ma le parole volano, e non ho mai sentito

che dall’orecchio si curi il cuor ferito.

Vi supplico, agli affari di stato.

IL DOGE

Il Turco con una potente flotta dirige su Cipro. Otello, voi conoscete bene le fortificazioni dell’isola, e sebbene ci sia già là un rappresentante di riconosciuta capacità, pure l’opinione pubblica, arbitra assoluta nelle decisioni, vede in voi l’uomo più indicato. Dovete perciò rassegnarvi a offuscare il lustro delle vostre recenti fortune con quest’impresa più ardua e rischiosa.

OTELLO

L’abitudine tiranna, nobili senatori,

mi ha reso il duro giaciglio di guerra

un soffice letto di piume. Mi riconosco

una naturale inclinazione alle fatiche

e perciò sono pronto a intraprendere

questa guerra contro gli ottomani.

Inchinandomi umilmente alla vostra autorità

chiedo consone disposizioni per mia moglie,

mezzi e privilegi, una residenza

e un seguito all’altezza del suo rango.

IL DOGE

Se volete, può restare dal padre.

BRABANZIO

Io non lo desidero.

OTELLO

Nemmeno io.

DESDEMONA

Ed io neppure; non vorrei che stando da lui

la mia costante presenza rinfocolasse

la sua collera. Serenissimo Doge,

ascoltate serenamente quanto esporrò,

fate buon viso alla mia richiesta;

e se la mia inesperienza…

IL DOGE

Che cosa desiderate? Parlate.

DESDEMONA

La mia aperta ribellione e lo spregio

dei beni terreni proclamano al mondo

che amavo il Moro per vivere con lui.

Il mio cuore è soggiogato al suo piacere.

Ho visto il volto di Otello nel suo animo,

e consacrai il mio essere e le mie fortune

al suo onore e valore militare.

Così, miei signori, se io resto qui

come imbelle tignola, e lui va in guerra,

vengo privata dei riti per cui lo amo,

e sarò oppressa dall’assenza del mio caro.

Lasciate che lo segua.

OTELLO

Parlate, signori.

Io vi scongiuro di darle il vostro assenso,

e non lo chiedo per sfogare i miei appetiti

o soddisfare il calore della carne –

gli ardori giovanili sono in me spenti –

ma per assecondare il suo desiderio.

E Dio non voglia che in cuor vostro pensiate

che per la sua presenza io trascuri

il grande e grave compito affidatomi.

No, se i trastulli dell’alato Cupido

ottenebrassero col velo della lussuria

le mie azioni e percezioni, compromettendo

e intaccando il mio senso del dovere,

che le massaie usino come pentola il mio elmo

ed i più indegni e vili oltraggi

distruggano la mia reputazione!

IL DOGE

Decidete voi stesso se Desdemona resta

o v’accompagna. L’attuale emergenza

va fronteggiata con urgenza. Dovete partir subito.

DESDEMONA

Questa notte stessa, mio signore?

IL DOGE

Questa notte.

OTELLO

Sono pronto.

IL DOGE

Domattina alle dieci ci ritroviamo qui.

Otello, lasciate uno dei vostri ufficiali

che vi porterà le nostre istruzioni

e le altre cose di qualità e valore

che vi competono.

OTELLO

Col vostro permesso,

il mio alfiere; uomo onesto e di fiducia.

Alla sua scorta affiderò mia moglie,

e le altre cose che Vostra Grazia

riterrà necessario inviarmi.

IL DOGE

Sia così.

Buona notte a tutti; e, nobile signore,

e se virtù e bellezza vanno assieme,

vostro genero è più bianco che nero.

PRIMO SENATORE

Addio, valoroso Moro. Trattate bene Desdemona.

BRABANZIO

Tienila d’occhio, Moro, o vedrai com’è;

tradito il padre, può tradire anche te.

Escono il Doge, i senatori, gli ufficiali & c.

OTELLO

Sulla sua fedeltà ci gioco la mia vita.

Onesto Iago, ti affido la mia Desdemona;

ti prego, tua moglie si occupi di lei,

e appena possibile conducila da me.

Vieni, Desdemona, ho soltanto un’ora

d’amore, d’affari e di istruzioni,

da passare con te. Dobbiamo sottostare.

Escono Otello e Desdemona

RODERIGO

Iago!

IAGO

Che dici, cuor mio?

RODERIGO

Cosa credi che farò adesso?

IAGO

Be’, te ne andrai a dormire.

RODERIGO

Andrò difilato ad annegarmi.

IAGO

Se lo farai, non ti amerò più. E perché mai, sciocco d’un gentiluomo?

RODERIGO

È sciocco vivere, quando vivere è un tormento; e poi, quando la morte è il nostro medico, la prescrizione è di morire.

IAGO

Che stupidaggine! Considero il mondo da ventotto anni e da quando so distinguere un favore da un’ingiuria non ho mai trovato un uomo che sappia amare se stesso. Prima di dire che vado ad affogarmi per una pollastra mi cambierei in babuino.

RODERIGO

Che dovrei fare? Lo confesso, innamorarsi così è una vergogna, ma non ho l’animo di porvi rimedio.

IAGO

L’animo? Un corno! Essere questo o quello dipende solo da noi. Il nostro corpo è un giardino, e la nostra volontà è il giardiniere. Se vogliamo piantarvi ortiche o seminarvi lattuga, farvi crescere l’issopo o estirparvi il timo, mettervi un solo genere di erbe o molte specie, tenerlo sterile per ozio o renderlo fertile col lavoro, il potere e la capacità correttiva sono nella nostra volontà. Se la bilancia della nostra vita non avesse il piatto della ragione per equilibrare quello della sensualità, i bassi istinti della nostra natura ci porterebbero ai più assurdi esperimenti. Ma la ragione raffredda i nostri bollenti appetiti, le passioni carnali, la sfrenata lussuria; perciò quello che si chiama amore non è altro che una talea o un pollone.

RODERIGO

Impossibile.

IAGO

Non è che una fregola del sangue e un dar sfogo alla lussuria. Su, sii uomo. Affogarti? Affoga i gattini e i cuccioli ciechi. Io mi professo tuo amico, e mi dichiaro legato al tuo merito con gomene forti e tenaci. Mai come ora posso esserti d’aiuto. Metti denaro nella borsa; aggregati a questa spedizione, sfigurati il volto con una falsa barba; metti denaro nella borsa, dico. Non può essere che Desdemona continui ad amare il Moro… metti denaro nella borsa… né lui, lei. È stato un violento inizio, e vedrai una fine corrispondente; metti denaro nella borsa. Le voglie dei mori sono volubili… riempi la borsa di denaro. Il cibo che ora gli è gustoso come zuccherini, gli sarà presto amaro come l’assenzio. Saziatosi del suo corpo, lei si accorgerà del proprio errore; vorrà cambiare, vorrà cambiare. Perciò rifornisci la borsa. Se proprio vuoi dannarti fallo in modo più delicato che annegandoti. Raccatta tutto il denaro che puoi. Se il rituale e fragile vincolo fra un barbaro errabondo e una smaliziata veneziana non sarà troppo forte per il mio ingegno e tutta la tribù dell’inferno, te la godrai. Perciò raccogli denaro. Altro che annegarti, non se ne parla nemmeno. Meglio finire impiccato per averla goduta che annegarti per non averla avuta.

RODERIGO

Realizzerai le mie speranze?

IAGO

Puoi star sicuro… Su, a trovar denaro… Ti ho detto spesso e te lo ripeto ancora; io odio il Moro. La mia causa ha validi motivi, e altrettanto la tua; uniamoci dunque nella vendetta contro di lui. Se riesci a farlo becco, procurerai goduria a te e un bel gusto a me. Il tempo è gravido di molti eventi da partorire. Marsch! Su, va’ a procurarti il denaro. Ne riparleremo domani; addio.

RODERIGO

Dove ci incontreremo domani mattina?

IAGO

Nel mio alloggio.

RODERIGO

Ci sarò di buon’ora.

IAGO

Su, va’, addio… hai sentito, Roderigo?

RODERIGO

Che cosa?

IAGO

Basta coi suicidi, hai sentito?

RODERIGO

Sono cambiato.

IAGO

Su, va’; addio! Riempi bene la borsa.

Esce Roderigo.

Come sempre, farò che l’idiota paghi le spese.

Profanerei la conoscenza che ho del mondo

se perdessi tempo con un tale allocco

senza trarne svago e guadagno. Io odio il Moro,

e si dice che fra le mie lenzuola

abbia fatto le mie veci. Non so se è vero…

Eppure il semplice sospetto a me basta

quanto la certezza. Egli ha stima di me;

tanto più facile mi sarà raggirarlo.

Cassio è un bell’uomo; vediamo un po’,

soffiargli il posto e attuare il mio piano

con un doppio tiro… ma come, come?

Vediamo un po’, dopo un certo tempo

potrei insinuare nell’orecchio di Otello

che si prende confidenze con sua moglie.

Ha un bel fisico e una disposizione

che legittima il sospetto, da tentar le donne.

Il Moro è d’indole franca e leale,

ritiene onesto chiunque tale appaia

e si farà docilmente menare per il naso

come un asino… È fatta, ha preso corpo.

Ora la notte e l’inferno tenebroso

daranno alla luce questo parto mostruoso. Esce.

Otello
(“Othello” – 1602 – 1603)
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Introduzione al teatro di Shakespeare
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