(“Love’s Labour’s Lost” 1593 – 1596)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
IL RE FERDINANDO DI NAVARRA
BEROWNE, barone alla corte del Re
LONGAVILLE, barone alla corte del Re
DUMAINE, barone alla corte del Re
DON ADRIANO DE ARMADO, smargiasso spagnolo
BRUSCOLINO, suo paggio
OLOFERNE, maestro di scuola
DON NATALINO, curato
INTRONATO, gendarme
MELACOTTA, contadino
GIACHENETTA, la ragazza che munge le vacche
UN GUARDABOSCHI
LA PRINCIPESSA DI FRANCIA
ROSALINA, damigella della Principessa
MARIA, damigella della Principessa
CATERINA, damigella della Principessa
BOYET, nobile francese
DUE BARONI
MARCADÉ, messo
Baroni e persone delle due corti
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano Ferdinando Re di Navarra, Berowne, Longaville e Dumaine.
RE
La gloria, che ogni vivo insegue, viva
incisa in bronzo sulle nostre tombe,
e sia la nostra grazia, nella disgrazia
della morte; se in dispetto al Tempo,
falco di mare famelico, lo sforzo
dei nostri fiati saprà qui acquistare
quell’onore che smussa il taglio acuto
della sua falce, e che farà di noi
gli eredi dell’eterno. Dunque, o bravi
conquistatori – ché tali voi siete,
voi che muovete guerra alle passioni
di voi stessi, e alla falange immensa
delle brame del mondo – il nostro editto
resta operante in tutta la sua forza:
Navarra diverrà la meraviglia
del mondo; diverrà, la nostra corte,
un’accademia picciola, studio quieto e costante
dell’arte di ben vivere. Voi tre,
Birùn, Dumaine e Longaville, avete
giurato, per lo spazio di tre anni,
di vivere con me, compagni nello studio,
e di attenervi alle disposizioni
che qui registra il programma. Voi vi siete
digià votati; ora sottoscrivete
i vostri nomi, che la sua stessa mano
possa affossar l’onore di chi ne violerà
la minima regola. Se vi siete armati
per fare quanto avete qui votato,
firmate il giuramento solenne, e rispettàtelo.
LONGAVILLE
Io son deciso. Non è che un digiuno
di soli tre anni. Il corpo languirà,
però la mente siederà a banchetto.
Pancia piena fa zucca magra, e i morsi succolenti
rafforzano le costole, affossano gl’ingegni.
Firma il documento.
DUMAINE
Mio diletto signore, Dumaine è morto al mondo.
I modi più volgari delle gioie terrene
le getta ai vili schiavi d’un mondo infame.
Amore, lusso, soldi, in sé li spegne e soffoca,
per vivere con voialtri di vita filosofica.
Firma anche lui.
BEROWNE
Io, non so che ripetere le loro affermazioni.
Tutto ciò, caro sire, ho già giurato,
cioè, di vivere qui e studiarvi tre anni.
Però, ci sono regole assai severe:
come, in tutto quel tempo, non veder mai una donna –
ma questo, spero bene, non è scritto qui drento;
e non toccare cibo un dì alla settimana,
e un solo pasto gli altri dì, per giunta –
il che, lo spero bene, qui drento non è scritto;
e poi, notte per notte, dormire solo tre ore,
e tutto il dì non farsi mai sorprendere
a fare sissignore, allor ch’io sono aduso
a pensar che non c’è nulla di male
nel dormir tutta notte, e anzi fare
notte buia di mezza la giornata –
ma ciò, lo spero bene, lì drento non è incluso.
Ah, son regole sterili codeste,
son troppo, troppo dure da rispettare,
niente donne, studiare, vegliare e digiunare.
RE
Di tutto ciò hai giurato farne a meno.
BEROWNE
No sire, se vi garba, lasciatemi dire: no.
Studiare con vostra grazia, solo questo ho giurato,
e che qui, per tre anni, con voi sarei rimasto.
RE
Birùn, questo hai giurato, e tutto il resto.
BEROWNE
Alla buon’ora, sire! Allora giurai per scherzo.
Perché si studia, chiedo? Ditelo voi, sentiamo.
RE
Via, per sapere cose che sennò non sappiamo.
BEROWNE
Cioè, negate e chiuse alla comune competenza?
RE
Appunto: è dello studio la divina ricompensa.
BEROWNE
Andiamo allora, io giuro di studiare
per sapere qualcosa che m’è proibito imparare:
esempio, dove fare una cenetta sopraffina,
quando che il fare festa mi si nega espressamente;
oppure, dove incontrare qualche bella donnina,
se nel comune sapere le femmine son carenti;
o, se ho giurato cosa ch’è troppo duro osservare,
come tenere la fede, e insieme ritrattare.
Se questo è veramente ciò che lo studio fa,
allora esso conosce ciò che ancora non sa.
Volete che giuri questo? Birùn non rifiuterà.
RE
Ma questi sono gl’intoppi che impediscono di studiare,
ed allenano l’intelletto ai piaceri più vani.
BEROWNE
Ma ogni piacere è vano, e il più vano di tutti
è quello, avuto con pena, che di pena dà frutto:
come ponzare su un libro con fatica,
cercando la luce del vero, e intanto il vero riduce
la vista a tradimento, e l’occhio acceca.
Luce che cerca luce ruba luce alla luce;
e, prima di scoprire dov’è la luce nel buio,
perdi gli occhi e la luce ti s’abbuia.
Studiatemi come all’occhio dar piacere,
fissandolo su un occhio più leggiadro,
che lo abbagli e diventi la sua stella polare,
e gli ridia la luce di cui l’avea privato.
Lo studio è come il sole glorioso del cielo
che non si può indagare con occhi impertinenti.
Chi sgobba troppo ha avuto da sempre poco reddito,
tranne conferme misere dai libri d’altra gente.
Questi padrini in terra delle luci del cielo,
che danno un nome ad ogni stella fissa,
dalle notti stellate non hanno più compenso
di chi va sotto gli astri e non li conosce mica.
Saper troppo ci rende famosi ma ignoranti,
e dare i nomi è facile, i padrini son tanti.
RE
Com’è ben educato nel negare l’educazione!
DUMAINE
S’è istruito bene, per distruggere l’istruzione.
LONGAVILLE
Estirpa il grano e fa crescere il loglio.
BEROWNE
Maggio è vicino quando le oche covano.
DUMAINE
Questo che c’entra?
BEROWNE
Sì, a suo tempo e luogo.
DUMAINE
Per fare senso, no.
BEROWNE
Però fa rima, un poco.
RE
Birùn è come un gelo maligno, acuminato,
che azzanna i primi nati dell’Aprile.
BEROWNE
E sia! Perché dovrebbe vantarsi mai l’estate
prima che gli uccelletti han causa di squittire?
Perché dovrei gioire di una nascita abortiva?
Per Natale io non ho voglia di rose
più che non voglia neve sulle nuove
vesti di Maggio: adoro i frutti di stagione.
Così voi, che studiate all’ora di andare a letto,
scalate la vostra casa per aprirvi il cancelletto.
RE
Bene, tu resta fuori. Birùn, va’ a casa. Addio!
BEROWNE
Eh no, ho giurato di vivere con voi, signore mio.
Sebbene abbia lodata la barbarie
più che voi non potreste quell’angelo, la sapienza,
ciò che ho giurato lo terrò, fedele,
e ogni dì per tre anni saprò far penitenza.
Datemi qua quel foglio, ch’io lo rilegga bene,
e in calce ai più severi dettami apponga il nome.
RE
Bravo! Tu ti riscatti con questa sottomissione.
BEROWNE (legge)
Inoltre: nessuna donna s’accosti a meno d’un miglio dalla mia corte. Questo quando l’avete escogitato?
LONGAVILLE
Quattro giorni fa.
BEROWNE
Vediamo la punizione: A rischio di perdere la lingua. Chi l’ha pensato questo bel castigo?
LONGAVILLE
Io, perdincibacco.
BEROWNE
E perché mai, dolcissimo signor mio?
LONGAVILLE
Così, per tenerle a bada con quell’orrida pena.
BEROWNE
È una legge rischiosa contro le buone maniere!
Inoltre: chi viene sorpreso a parlare con una donna nel corso dei tre anni, sarà assoggettato a pubblica ignominia, quale potrà decidere il resto della brigata.
Ma sire, quest’articolo voi stesso lo violerete,
ché qui in ambasceria ben presto arriverà
la figlia del Re di Francia, lo sapete,
fanciulla colma di grazia, dicono, e di maestà.
Viene per l’Aquitania, da rendere al padre suo,
ch’è malato, decrepito, e allettato.
Quest’articolo dunque mi pare proprio inutile,
oppure la rinomata Delfina viaggia invano.
RE
Che ne dite, baroni? Ce l’eravamo scordati!
BEROWNE
Sempre così, lo studio travalica il suo bersaglio.
Mentre cerca d’avere quel che chiede,
dimentica di fare ciò che deve;
e quando ottiene quel che più ricerca,
l’ottiene come terra bruciata: vinta e persa.
RE
Dobbiamo farne a meno, questa regola qui non va.
Lei deve alloggiarsi a corte, per pura necessità.
BEROWNE
E questa necessità ci farà tutti spergiuri
tremila volte in tre anni; ogni uomo nasce
con le proprie passioni, e queste di sicuro
non le vince la forza, ma una grazia speciale.
Se vengo meno ai patti, quella parola m’assolverà:
mi sono ricreduto per pura “necessità”.
Perciò scrivo il mio nome sotto tutte le vostre leggi,
e colui che le viola anche in minima quantità
si espone alla condanna, al disonore eterno.
A me le tentazioni come ad ogni altro vengono.
Vi sembra che mi ripugni firmare? Eppure io credo,
di tutti sarò l’ultimo a tenere il giuramento.
Mette la firma.
Ma dico, ci si concede qualche piccola distrazione?
RE
Certo. Come sapete, frequenta la mia corte
un viaggiatore di Spagna, un uomo di zucca fina,
esperto nelle mode mondane di ogni sorte,
che di parole in testa ha una vera officina;
un uomo che la musica del suo stesso sproloquio
incanta come magica armonia,
un uomo di qualità, che la ragione e il torto
si sono scelti ad arbitro del loro disaccordo.
Quest’essere fantastico, che don Armado ha nome,
come pausa agli studi, ci verrà a render conto
in modi altisonanti delle gesta di molti eroi
nell’arsa Ispagna, persi nel conflitto del mondo.
Cosa vi dia piacere, signori, io non lo so,
ma v’assicuro, io amo sentire le sue frottole,
e voglio usarlo come mio contastorie.
BEROWNE
Sì, Armado è un gentiluomo di gran nota,
un uomo dalle parole di zecca, anzi il campione
medesimo della moda.
LONGAVILLE
Costui e quell’idiota
di Melacotta saranno il nostro spasso,
e tre anni di studio, vedrete, voleranno.
Entrano Intronato con una lettera, e Melacotta.
INTRONATO
Chi l’è, qua, la persona medesima del Duca?
BEROWNE
Questa qui, bello mio. Cosa ti serve?
INTRONATO
Io me stesso riprendo la sua istessa persona, in quanto che sono il vigile urbano di Sua Eccellenza. Però mi vorrìa vedere il suo personale medesimo in carne e ossa.
BEROWNE
Appunto, eccolo qua.
INTRONATO
Il segnor Armando… segnor Armadio, vi manda a salutare! C’è malacarne in giro. Questa lettera vi dirà di più.
MELACOTTA
Eccellenza, le incontinenze di essa lettera sono a risguardo del qui presente.
RE
È una lettera del magnifico Armado.
BEROWNE
La materia sarà terra terra, ma spero in Dio che ci mandi parole alate.
LONGAVILLE
La tua speranza è alta, ma il cielo che speri mi pare bassino. Dio ci conceda pazienza!
BEROWNE
Pazienza di stare a sentire, o di non stare a sentire?
LONGAVILLE
Di stare a sentire con santa pazienza, caro mio, e di non ridere a crepapelle; oppure di non fare né l’una né l’altra cosa.
BEROWNE
Beh caro mio, staremo a vedere sino a che spasso ci si potrà arrampicare sul suo stilo.
MELACOTTA
Eccellenza, dicevo che la materia decerne il sottoscritto, in quanto decerne Giachenetta. La maniera della materia è che mi beccarono in sul maneggio.
BEROWNE
Ma quale maneggio?
MELACOTTA
Nel maneggio o maniera che vi dirò, monsignore, in tutti quanti i tre punti seguenti; sono stato veduto con lei nel maniero, che mi ero seduto con lei in certa quale maniera, e poi mi hanno colto mentre che la seguivo nel parco; le quali cose, mettendole assieme, formano la maniera e il maneggio che mi appresto a dire. Allora, monsignore, per quanto concerne il maneggio, questo l’è il maneggio dell’omo che si manifesta alla femmina. E per quanto concerne il formato, l’è ben formata davero.
BEROWNE
E per quanto concerne quel che segue, birbone mio?
MELACOTTA
Quel che segue sarà la mia punizione – e il Patrenostro sorregga il giusto!
RE
Volete fare un po’ d’attenzione e ascoltare la lettera?
BEROWNE
Come ascolteremmo un oracolo.
MELACOTTA
Tanta è l’umana castroneria nel dare ascolto alla carne.
RE (legge)
Gran deputato, della celeste volta vicereggente, e solo dominator di Navarra, dell’anima mia terrestre nume, e del mio corpo nutricante patrono…
MELACOTTA
Di Melacotta sinora nemmanco una sola parola…
RE
Così l’è ita…
MELACOTTA
Sarà ita così; ma se lo dice lui, per dire la verità, sarà ita così o cosà.
RE
Andiamo, un po’ di pace!
MELACOTTA
Per me e per ciascheduno che ha fifa di fare a botte.
RE
Chiudi il becco!
MELACOTTA
Sugli affari degli altri, mi raccomando.
RE
Così l’è ita che, assediato da fosca melancolia, io affidai il negro opprimente umore alla salubrissima medicina dell’aria tua risanante; e, com’è vero ch’io son gentilomo, donammi a deambulare. L’ora in cui? Intorno all’ora sesta, quando di più il bestiame bruca, gli osei dan più di becco, e siedono i morituri a quella nutricazione vocata cena. Ciò basti per l’ora in cui. Ora in quanto al terreno il quale – sul quale, volea dire, incedevo. Nomato è il parco tuo. Dipoi per il luogo in cui – ove, intendo, io m’imbattei in quell’osceno e assurdissimo evento che trae dalla mia bianconivea penna l’inchiostro ebanaceo che tu miri, ammiri, rimiri o vedi. Ma per tornare al luogo in cui. Esso incombe a tramontana e verso levante dall’angolo occiduo del tuo dedaléo verziere. Là io vidi quell’ignobile uomo de’ campi, quel minimo pesciolino del tuo diporto…
MELACOTTA
Me?
RE
Quell’anima illetterata ed ignorante…
MELACOTTA
Me?
RE
Quell’epidermico vassallo…
MELACOTTA
Di nuovo me?
RE
Il quale, se ben ricordo, vien vocato Melacotta…
MELACOTTA
Oh, me!
RE
Appaiato e consorziato, in dispregio del fisso e conclamato tuo editto e canone di continenza, con chi – ah, con chi mai – ma a questo punto mi duole il dir con chi…
MELACOTTA
Con una monella.
RE
Con una rampolla di nostra nonna Eva, una femmina ovvero, per il tuo più delicato comprendonio, una donna. Colui io – come sempre spronami a fare il mio beneamato dovere – ho spedito a te, onde riceva il guiderdon del castigo, per mano de l’uffizial di tua dolce grazia, Antonio Intronato, uomo di buona reputazione, portamento, comportamento ed estimo.
INTRONATO
Cotesto sono me, vostra eccellenza. Antonio Intronato l’è proprio me.
RE
In quanto a Giachenetta – così appellasi il vaso più fragile – la quale appresi col sopranomato cafone, io tengola qual vascello de la collera della tua legge, e al minimo de’ tua cenni squisiti meneròttela pel processo. Il tuo con ogni complimento di devoto e accorato calor di zelo,
Don Adriano de Armado
BEROWNE
Non è buona come speravo, ma la migliore che abbia udita.
RE
Sicuro, la migliore delle peggiori. Ma tu, gaglioffo, cosa mi dici di quest’accusa?
MELACOTTA
Vostra eccellenza, confesso la ragazzuola.
RE
Non hai sentito il mio bando?
MELACOTTA
Confesso di averlo assai sentito ma ben poco ascoltato.
RE
Il bando commina un anno di restrizione a chi è sorpreso con una ragazza.
MELACOTTA
Ma eccellenza, a me non m’hanno sorpreso per nisba con una ragazza; m’hanno sorpreso con una donzella.
RE
Bene, il bando diceva proprio “donzella”.
MELACOTTA
Urca, la mia non era neanche una donzella, sire: l’era una vergine.
RE
È una variante prevista anch’essa, il bando includeva le vergini.
MELACOTTA
In tal caso io nego la sua verginità. M’han sorpreso con una fantesca.
RE
Questa fantesca, caro mio, non ti servirà alla bisogna.
MELACOTTA
Questa fantesca, sire mio, mi servirà alla bisogna.
RE
Briccone, ora pronuncio la tua condanna: digiunerai una settimana a pane e acqua.
MELACOTTA
Malannaggia, preferirei pregare un mese a zuppa e coscio d’agnello.
RE
E Don Armado sarà il tuo carceriere.
Monsignore Birùn, fatelo consegnare;
e noialtri, signori, andiamo ad attuare
quel che ci siamo giurati fermamente.
Escono il Re, Longaville e Dumaine.
BEROWNE
Scommetto la mia capoccia contro qualunque berrettaccia:
questi impegni e divieti non saranno che una farsa.
Andiamo, giovanotto.
MELACOTTA
Monsignore, io sono un martire della verità. Perché l’è vero ch’io fui sorpreso con la Giachenetta, e la Giachenetta l’è una rampolla verace. Per cui sia benvenuto l’amaro calice della prosperità! Un dì potrà sorridermi di nuovo la scontentezza, e sino ad allora fai pure i tuoi porci comodi, malasorte! Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Entrano Armado e il suo paggio Bruscolino.
ARMADO
Fanciullo, che segno è quando un uomo di animo magno ti diventa malinconico?
BRUSCOLINO
Monsignore, l’è un segno sicuro ch’egli avrà una cera da funerale.
ARMADO
Ma via, diavoletto mio, tristezza e melanconia son proprio la stessa cosa.
BRUSCOLINO
No, no. Gesù, monsignore, no!
ARMADO
E come farai a distinguerle, mio tenero giovenale?
BRUSCOLINO
Con una semplice dimostrazione del loro operato, mio coriaceo signor.
ARMADO
Perché coriaceo signor? Perché coriaceo signor?
BRUSCOLINO
Perché tenero giovenale? Perché tenero giovenale?
ARMADO
Io l’ho detto, mio tenero giovenale, come un congruo epiteto che si confà a’ tua giovani dì, i quali possiamo vocare teneri.
BRUSCOLINO
Ed io, coriaceo signor, come un titolo ben appropriato alla vostra tarda età, che ben possiamo apostrofare coriacea.
ARMADO
Grazioso ed azzeccato.
BRUSCOLINO
Che volete dire, padrone? Io grazioso e il mio dire azzeccato, oppure io azzeccato e il mio dire grazioso?
ARMADO
Grazioso tu, perché piccolino.
BRUSCOLINO
Grazioso ma solo un pochino, dacché son piccolino. Ma perché azzeccato?
ARMADO
E in conseguenza azzeccato, perché molto animato.
BRUSCOLINO
Padrone, questo lo dite per farmi una lode?
ARMADO
Sì, una lode ben meritata.
BRUSCOLINO
Potrei lodare un’anguilla con le stesse parole.
ARMADO
Come, un’anguilla d’ingegno molto animato?
BRUSCOLINO
No, un’anguilla molto animata.
ARMADO
Oibò, quello ch’io dico è che sei svelto a rimbeccare. E mi fai scaldare il sangue, certe volte.
BRUSCOLINO
Non parliamone più, non parliamone più!
ARMADO
Caspio! Da te non amo una simile grana!
BRUSCOLINO (a parte)
L’è proprio il contrario: l’è la grana che non ama lui.
ARMADO
Ho promesso di studiar per tre anni col Duca.
BRUSCOLINO
Un’ora sola potrebbe bastarvi, padrone mio.
ARMADO
Non dire sciocchezze.
BRUSCOLINO
Quanto fa tre volte uno?
ARMADO
I conti non li so fare, è roba da bettoliere.
BRUSCOLINO
Già, siete un gentiluomo e un giocatore.
ARMADO
Ammetto l’uno e l’altro. Tutti e due rifiniscono un uomo completo.
BRUSCOLINO
Allora saprete, ne sono sicuro, a quanto assomma far prima due e poi uno.
ARMADO
Beh, assomma ad uno più di due.
BRUSCOLINO
Che il basso volgo nomina tre.
ARMADO
Esatto.
BRUSCOLINO
Bene signore mio, ci vuole poi così tanto studio a capire questo? Eccovi il tre studiato in meno di tre sbattiti d’occhio. E l’è una cosa assai facile aggiungere “anni” a “tre” e studiare tre anni in due motti! Ve lo sa dire persino quel cavalluccio che sa ballare.
ARMADO
Ma guarda un po’ che splendido tropo!
BRUSCOLINO (a parte)
Il che vi dimostra un topo.
ARMADO
Dopodiché io vo’ confessarti di essermi innamorato; e poiché per un soldato l’innamorarsi è volgare, mi sono innamorato di una volgare monella. Se snudare il brando contro l’umor d’amore potesse liberarmi da quell’ignobile pensamento, io trarrei prigioniero il mio desìo, e lo scambierei con un qualsiasi cortegiano francioso che m’insegnasse un inchino di nuovo conio. Sospirare io lo credo spregevole: forse dovrei con giuramento rinnegare Cupìdo. Un po’ di conforto, monello mio. Quali degli uomini magni sono stati malati d’amore?
BRUSCOLINO
Ercole, signore mio.
ARMADO
Dolcissimo Ercole! Altri esempi, caro mottino, dimmene altri; e che si tratti, bello il mio piccoletto, di uomini ben portanti e di sicura nomea.
BRUSCOLINO
Sansone, padrone mio: lui sì ch’era ben portante, anzi di gran portata, perché come portatore si portò sulle spalle le porte della città. E s’era preso una tale sban-
data.
ARMADO
Oh ben portante Sansone! Oh forzuto Sansone! Io ti batto col mio spadone come tu mi battevi nel portare le porte. Ho preso anch’io una forte sbandata. Chi l’era l’amor di Sansone, mio caro Bruscolino?
BRUSCOLINO
Una donna, padrone.
ARMADO
Sì, ma di quale incarnato?
BRUSCOLINO
Di tutti e quattro, o di tre, o di due, o d’uno dei quattro.
ARMADO
Dimmi esattamente di qual colorito di pelle.
BRUSCOLINO
Color verde acquamarina, padrone.
ARMADO
L’è questo uno dei quattro incarnati?
BRUSCOLINO
Così ho letto, padrone; e il migliore di tutti.
ARMADO
Invero il verde è il color degl’innamorati. Epperò mi pare curioso che un tipo in gamba come Sansone mi s’andasse a innamorare di una con quel colorito. Di certo se ne invaghì perch’era una donna di spirito.
BRUSCOLINO
Proprio così, padrone mio, l’era di spirito verde verde.
ARMADO
L’amore mio l’è bianco e rosso, de’ colori più immacolati.
BRUSCOLINO
Ma sotto a quei colori, padrone mio, son camuffati i più maculati pensieri.
ARMADO
Spiegati, spiegati meglio, o ben coltivato infante.
BRUSCOLINO
Ora l’arguzia di mio padre e la lingua di mia madre m’assistano!
ARMADO
Soave invocazione d’un bimbo – graziosissima e toccante!
BRUSCOLINO
Se la tua bella è bianca e rossa,
mai le sue colpe potrai provare,
ché la vergogna le guance arrossa,
e la paura le fa sbiancare.
Se dunque ha fifa o va incolpata,
dal suo colore non lo saprai,
ché sempre le guance ha colorate
dei suoi colori naturali.
Versucci pericolosi, padrone mio, che ti consigliano di non fidarti del bianco e del rosso.
ARMADO
Dimmi ora, piccione mio, non c’è minga una ballata che parla del Re e dell’accattona?
BRUSCOLINO
Ma sì, il mondo se ne macchiò di brutto un tre secoli fa, ma io credo che adesso non la si trovi più; e comunque se la si trovasse non potremmo più digerirla, né per la musica né per lo scritto.
ARMADO
Me la farò riscrivere tutta daccapo, onde trovare in quella storia un precedente di gran peso da citar come esempio per la mia trasgressione. Fanciullo mio, io son cotto e stracotto di quella villanella che ho catturata nel parco con quel bifolco cervelluto di Melacotta. La giovincella merita molto.
BRUSCOLINO (a parte)
Come no, di venire frustata – però merita pure qualcuno migliore del mio principale.
ARMADO
Cantami qualche cosa, fringuellino. Il mio spirito fassi pesante pel fardello d’amore.
BRUSCOLINO (a parte)
E c’è da stupirne assai, visto che sbava per una monella così leggera.
ARMADO
Cantami, ti ripeto.
BRUSCOLINO
Un po’ di pazienza oh, aspettate che passi questa brigata.
Entrano Intronato, Melacotta e Giachenetta.
INTRONATO
Eccellenza, il Duca vi fa preghiera di far da carceriere a questo qua, Melacotta; e non gli dovete permettere di procurarsi piacere né dispiacere, visto che deve digiunare tre giorni per una settimana. Questa madamigella qua io la devo tenere in bosco, dove che l’è addetta al servizio di spillare le vacche. Ogni bene a vossignoria.
ARMADO (a parte)
Qua va a finire che mi tradisco arrossendo. Pulzella…
GIACHENETTA
Uomo.
ARMADO
Verrò a visitarti nel casotto di caccia.
GIACHENETTA
L’è qua a due passi.
ARMADO
Io so bene dov’è situato.
GIACHENETTA
Gesù come siete saggio!
ARMADO
Ti dirò ciò che non t’aspetti.
GIACHENETTA
Con quella faccia?
ARMADO
Io sonmi cotto di te.
GIACHENETTA
Ve l’ho già sentito dire.
ARMADO
E con ciò statti bene.
GIACHENETTA
Il bel tempo vi meni.
INTRONATO
Giachenetta, spicciati, andiamo!
Escono Intronato e Giachenetta.
ARMADO
Villanzone, farémoti stare a bocca vacante prima di condonarti li crimini tuoi.
MELACOTTA
Monsignore, io spero soltanto di poterlo fare a pancia piena.
ARMADO
Verrai punito molto pesantemente.
MELACOTTA
Allora sarovvi più obbligato dei vostri servi, che sono pagati molto leggermente.
ARMADO
Porta via questo delinquente, mettilo sotto chiave.
BRUSCOLINO
Forza, furfante trasgressore, datti una mossa!
MELACOTTA
Sotto chiave no, signorino. Digiunerò a piede libero.
BRUSCOLINO
Gnornò, saresti libero di farcela sotto il naso. Devi andare in guardina.
MELACOTTA
Ebbene, se mai rivedrò i bei giorni di desolazione che ho già veduti, qualcuno l’avrà da vedere…
BRUSCOLINO
Cosa vedrà qualcuno?
MELACOTTA
No, niente, padron Bruscolino, nient’altro che quello su cui posa gli occhi. Ai carcerati non tocca star troppo zitti nelle loro parole, percui non dico niente. Graziaddio io piglio uno scazzo come non pochi, percui so starmene zitto e buono. Escono Bruscolino e Melacotta.
ARMADO
Io adoro persino il terriccio, roba vile, sui cui la di lei ciabatta, roba ancora più vile, sospinta dal suo piè ch’è vilissima cosa, incede. Amando sarò spergiuro, il che l’è una gran prova di falsità. E come può essere amor sincero, l’amore che viene intrapreso con animo menzognero? L’amore è un diavoletto custode, l’Amore è il diavolo stesso, non c’è angelo con le corna tranne l’Amore. Ma pure Sansone fu tentato, ed era il più forzuto di tutti; e Salomone anche lui si prese la cotta, e aveva un cervello che non vi conto. Il dardo senza barbigli di Cupido fu troppo possente persino per la clava d’un Ercole, percui l’ha troppi vantaggi sullo spadone d’uno spagnolo. Né mi serviràalla bisogna appellarmi alla prima e alla seconda causa; se ne fotte della passata, del codice de’ duellanti non gliene importa un corno. Ha la sfortuna d’esser chiamato fanciullo, ma la sua gloria l’è di soggiogare i maschioni. Addio dunque, coraggio! Arrugginisci o mio acciaro! Stattene muto tamburo mio. Il vostro padrone ha preso una cotta; proprio così, egli ama. Assistimi tu, uno qualunque de’ numi estemporanei della rima, ch’io certamente darommi tutto a’ sonetti. Aguzzati, mio talento. Attacca a scrivere, penna. Mi vo’ versare in interi volumi in folio. Esce.
Pene d’amor perdute
(“Love’s Labour’s Lost” 1593 – 1596)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V