Pene d’amor perdute – Atto III
(“Love’s Labour’s Lost” 1593 – 1596)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA (unica)
Entrano Armado e Bruscolino.
ARMADO
Gorgheggia, fringuellino: appassionami il senso dell’udito.
BRUSCOLINO (canta)
Quand Colinelle…
ARMADO
Oh aria soave! Vai, tenerezza degli anni tuoi, piglia cotesta chiave, tirami fuori quel buzzurro e portalo qui festinatamente. Lo vo’ impiegare per addurre una lettera alla mia bella.
BRUSCOLINO
Capo, volete sedurla con un trescone francese?
ARMADO
Che intendi dire? Dovrei trescare alla francese?
BRUSCOLINO
No di certo, mio capoccia ed uomo universale; volevo dire canticchiare una giga in punta di lingua, improvvisar su quella duo passettini di danza, assecondarla levando al cielo il bianco degli occhi, sospirare una nota e una nota cantare, tratto a tratto tenendola in gola come se nel cantar d’amore inghiottiste l’amore, a tratto nel naso come se annusando l’amore sniffaste l’amore, col cappello a pensilina sulla bottega degli occhi, le braccia conserte sul giustacuore stretto sul ventre smilzo come un coniglio allo spiedo, o le mani in tasca a mò dei vecchi ritratti; e senza mai tenere troppo a lungo un solo motivo, ma qualche battuta e via. Queste son le finezze, queste sono le sprezzature, son queste le cose che ti fanno cascare ai piedi le belle figliole, che ci cascherebboro volentieri anche senza; le cose che danno ai gentiluomini un vero tocco di classe – sentite che classe signori del pubblico? – dico a quelli che di più tengono a cuore coteste cose.
ARMADO
Urca ma com’è che ti sei fatto tutto sto savoir faire?
BRUSCOLINO
Con un baiocco d’osservazione.
ARMADO
Ma guarda un po’, ma guarda tu …
BRUSCOLINO
“E della cavallina chi si ricorda più?”
ARMADO
Lo chiami “cavallina” il mio dolce amore?
BRUSCOLINO
No capo. La cavallina non è che una puledra, (a parte) e la vostra bella l’è forse una rozza sfiancata. (A lui) Ma l’amor vostro l’avete dimenticato?
ARMADO
Beh, l’avevo quasi.
BRUSCOLINO
Scolaretto negligente! Lo dovete imparare a memoria.
ARMADO
Nella sacra memoria del mio cuore, minuzzolo mio.
BRUSCOLINO
E pure fuori del cuore, capo. Tutt’e tre le alternative ve le posso dimostrare.
ARMADO
Cos’è che mi puoi dimostrare?
BRUSCOLINO
Che sono un uomo, se riesco a vivere un po’ di più; e vi dimostro all’istante questi “a memoria”, questi “nel cuore” e “fuori del cuore”. “A memoria” l’amate perché non potete stringerla al cuore; “nel cuore” l’amate perché il cuore è cotto di lei; e “fuori del cuore” perché siete proprio scorato per non potervela fare.
ARMADO
È vero, io son tutt’e tre queste cose.
BRUSCOLINO
E tre volte tante, e allo stesso tempo siete un nulla assoluto.
ARMADO
Portami quel cafone, mi deve recapitare una lettera.
BRUSCOLINO
Che perfetta combinazione! Un cavallo che fa da ambasciatore a un somaro.
ARMADO
Ehi, ehi, che vuoi dire?
BRUSCOLINO
Per la Monna, capoccia mio, voglio solo dire che dovete mandare l’asino sul cavallo, perché ha il passo d’un lumacone. Ma ora vado.
ARMADO
Vai, vai! La strada è corta.
BRUSCOLINO
Vò ratto come il piombo, messere.
ARMADO
Che altro t’inventi, testolina pizzuta che non sei altro? Il piombo non è un metallo pesante, lento e intronato?
BRUSCOLINO
Minime, signor mio, o piuttosto signornò.
ARMADO
Io dico che il piombo è lento, perdio!
BRUSCOLINO
Siete un poco azzardato a dirlo, io dico di no.
È forse lento il piombo sparato da un cannone?
ARMADO
Bel fumo di retorica, o santo diavolone!
Mi piglia per un cannone, e lui si crede che sia
la palla. Ti sparo sul villico.
BRUSCOLINO
Fate bum! E io volo via.
Esce.
ARMADO
Acutissimo giovenale! Quale colta e agile grazia!
Caro cielo, col tuo permesso ti dovrò sospirare in faccia.
O sarvatica melanconia, il valor mio ti cede il posto.
E il mio araldo è già di ritorno.
Entrano Bruscolino e Melacotta.
BRUSCOLINO
Salve, capo, che meraviglia! Una mela s’è rotta una chiappa.
ARMADO
Altri rompicapi e sciarade! Spiégati, via! Attacca.
MELACOTTA
Ma che domine di sciroppi, che rompicapi e spiegazzamenti! Sia chiaro, con me niente sugo di salvia dalla tua sacca di ciarlatano! Piantaggine, signor mio, un buon impiastro di petacciola e basta! Niente spiegazzamenti, niente stiracchiamenti, niente salvia messere, solo un po’ d’erba e basta!
ARMADO
Per la mia anima virtuosa, tu mi forzi alle risa! Oh la tua castroneria, oh la mia milza! L’enfiarsi de’ miei polmoni mi coarta a un ridicolo riso! Ah perdonatemi, stelle! Questo sconsiderato non ti piglia “salve” per salvia, e la parola “spiegazioni” per uno stiracchiamento?
BRUSCOLINO
Ma perché, forse che i saggi la pensano diversamente? Cos’altro è una spiegazione, se non uno stiracchiamento?
ARMADO
No, ragazzo: l’è un epilogo, o un discorso per chiarire
qualcosa d’oscuro che precede e ci è scappato di dire.
Facciamo un esempio:
La volpe, l’ape e lo scimpanzé
stavan sempre a brigare, perch’erano in tre.
Questa è la parabola. Adesso viene la spiegazione, l’envoy…
BRUSCOLINO
Un momento, l’envoy ce lo metto io. Dite di nuovo la parabola.
ARMADO
La volpe, l’ape e lo scimpanzé
stavan sempre a far briga, perch’erano in tre.
BRUSCOLINO
Fin quando l’ochetta uscì sullo spiazzo,
e la zuffa finì perch’erano in quattro.
Ora son io che comincio con la vostra parabola, e voi fate seguito col mio envoy.
La volpe, l’ape e lo scimpanzé
stavan sempre a brigare, perch’erano in tre.
ARMADO
Fin quando l’ochetta uscì sullo spiazzo,
e la zuffa finì perch’erano in quattro.
BRUSCOLINO
È un ottimo envoy che finisce con l’oie. Che cosa vorreste di più?
MELACOTTA
Ostia! Il piccolo l’ha incastrato con l’oca, chiaro e tondo.
Capo, se l’oca è grassa hai speso bene il tuo soldo.
Per vendere bene ci vuol furbizia e gioco di passa passa.
Vediamo sto anvuà: l’è grasso – e pure l’oca l’è grassa.
ARMADO
Venite, venite qua. La discussione com’è cominciata?
BRUSCOLINO
Dicendo che ‘na melacotta s’era sbucciata la fiancata.
E poi avete chiesto l’envoy.
MELACOTTA
Esatto, ed io v’ho chiesto il decotto di petacciola – la discussione s’è avviata in questa maniera; appoi fece seguito sto minuzzolo col suo anvuà bell’e grasso, e l’oca che vi siete comprata – e l’è qua che v’ha buggerato.
ARMADO
Ma spiegami un po’, com’è che ha fatto la melacotta ad acciaccarsi uno stinco?
BRUSCOLINO
Mò ve lo spiego con chiarezza e senso.
MELACOTTA
Ma va là, moscerino, tu non lo senti mica il bruciore che sento io. Lo dico io l’anvuà:
Io Melacotta, correndo fuori mentre che stavo dentro tranquillo
ho inciampato sulla soglia e mi son mezzo rotto lo stinco.
ARMADO
Bene, figlioli, di questa materia non ne parliamo più.
MELACOTTA
Finché non ci sarà altra materia nel mio stinco.
ARMADO
Animo, sù, Melacotta, che ora ti affrancherò.
MELACOTTA
Forza, maritatemi con una certa Franca! Però mi par d’annusare qualche anvuà, qualche ochetta che ci cova drento.
ARMADO
Per l’animuccia mia, voglio solo dire che ti metto in libertà, che affranco la tua persona. Tu eri murato drento, costipato, astretto e occluso.
MELACOTTA
Esatto, e ora vossìa sarà la mia purga e mi darà la sciolta.
ARMADO
Ti do la libertà, ti tolgo dalla galera, e al posto di quella non t’impongo altro che questo (gli dà una lettera): récami questo significante alla contadinella Giachenetta. Eccoti la remunerazione (gli dà una moneta) dacché la miglior custodia dell’onor mio è nel remunerare i miei dipendenti. Séguimi, Bruscolino.
BRUSCOLINO
Vi seguo come la prossima puntata. Signor Melacotta, addio.
Escono Armado e Bruscolino.
MELACOTTA
Addio, mia dolce oncia di carne umana, addio mio fine giuderellino! E ora diamo un’occhiata alla sua remunerazione. “Remunerazione”! Ora capisco, è la parola latina per dire tre baiocchi. Tre baiocchi – remunerazione. “Ehi tu, quanto spendo per sta fettuccia?” “Un picciolo”. “No, ti do una remunerazione”. Beh, la cosa funziona! “Remunerazione”! Per la Peppa, l’è un nome assai meglio d’una corona franciosa. Mai più vorrò accattare o vendere qualche cosa senza usare cotesta parola.
Entra Berowne.
BEROWNE
Mio caro birbone, sono felicissimo d’averti intoppato.
MELACOTTA
Ditemi per cortesia, vostr’eccellenza, quanta fettuccia color carne di suora si può comprare con una remunerazione?
BEROWNE
Che caspita è questa remunerazione?
MELACOTTA
Per la Mariola, signore, l’è mezzo baiocco e un picciolo.
BEROWNE
Beh allora, sono tre piccioli di fettuccia.
MELACOTTA
Grazie mille a vossìa. E Iddio v’accompagni.
BEROWNE
Aspetta, manigoldo. Ho bisogno di te.
Se ci tieni al mio favore, cara birba mia,
fai per me questa cosa che ti chiedo per cortesia.
MELACOTTA
Quand’è che la volete fatta, monsignore?
BEROWNE
Questo pomeriggio.
MELACOTTA
La sarà fatta, signore. Statevi bene.
BEROWNE
Ma se non sai neanche di che si tratta.
MELACOTTA
Signore mio, lo saprò quando l’avrò fatta.
BEROWNE
Gaglioffo che non sei altro, lo devi sapere prima.
MELACOTTA
Verrò da vossignoria domani di prima mattina.
BEROWNE
La cosa va fatta sto pomeriggio.
Ascoltami bene, cafone, si tratta solo di questo:
La Principessa viene a caccia qui nel parco,
e nel suo seguito c’è una donna gentile;
quando le lingue sono soavi, pronunciano il suo nome,
e la chiamano Rosalina. Tu chiedi di lei,
e fa in modo di porre nella sua mano di neve
questa lettera sigillata.
Dà una lettera a Melacotta.
Ecco il tuo guiderdone. Va’.
Gli dà delle monete.
MELACOTTA
Oh guiderdone, o dolce guiderdone! Meglio d’una remunerazione – meglio per undici svanziche e un picciolo. Dolcissimo mio guidone! Monsignore, fò tutto alla perfezione. Guardone! Remunerazione! Esce.
BEROWNE
Ed io stracotto, maledizione!
Io che sono già stato la frusta dell’amore,
il vero fustigatore d’ogni sospiro scorato,
il critico, anzi lo sbirro del buon costume,
il maestro pedante che tiranneggia quel pupo
ch’è tanto più munifico d’un qualunque mortale!
E sto cosino piagnucoloso, bendato, orbo, capriccioso,
questo vecchio bebé, nano gigante, don Cupido,
reggente de’ versi d’amore, signor delle mani al cuore,
unto monarca di sospiri e lagne,
sire di perdigiorno e malcontenti,
temuto principe delle fessurine
nelle sottane, re delle braghette,
unico imperatore e generale in capo
de’ trottanti tutori della morale… Ah povero me!
Eccomi diventato il suo aiutante di campo,
eccomi qui a portare i suoi colori
come nastrini sul cerchio d’un saltimbanco!
Ma come! Io cotto? Io far la corte? Io cercar moglie?
Una donna, che è come un orologio tedesco,
sempre in riparazione, sempre fuori di sesto,
e che non va mai bene, lui che dovrebbe segnare il tempo,
se non perdendo tempo a badare che vada bene!
Peggio, anzi peggio di tutto, diventare spergiuro,
prendere la sbandata per la peggiore di tutt’e tre,
una fraschetta pallidina con la fronte di velluto,
che in faccia, al posto degli occhi, ha due palline di pece;
ma sì, perdinci, una monella capace di fare il fatto
anche se Argo fosse il suo eunuco e carceriere!
Ed io sospirare per lei, perdere sonno per lei,
dire giaculatorie per lei! Ma questo è un flagello
che Ser Cupido t’infligge, caro mio, perché trascuri
il suo minuscolo, terrificante, onnipossente imperio.
E sta bene, io amerò, scriverò e sospirerò,
pregherò e farò la corte, mi torcerò gemendo le braccia:
c’è chi deve amar la mia donna, e chi amare una qualche donnaccia.
Esce.
Pene d’amor perdute
(“Love’s Labour’s Lost” 1593 – 1596)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V